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Autore: T612    08/04/2020    0 recensioni
È scientificamente provato che anche l’organismo apparentemente più perfetto al mondo – con tutte le contraddizioni del caso e le implicazioni scomode delle singole parti – può raggiungere il collasso, basta trascurare un singolo tassello infinitesimale per far strada ad un’infezione così ramificata da poter raggiungere ogni singolo centimetro dell’ospite, spingendo l’anima a ribellarsi ad un corpo asmatico, psicotico e tachicardico.
È semplice, è basilare… è Anatomia, per risolvere il problema basta solo sapere dovere incidere ed intervenire. L’unico dilemma è il chi tiene il bisturi dalla parte del manico.
[Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CERVELLO

 

PSICOSI: Cura
Psicoterapia, imparare a scindere tra finzione e realtà.





 

«Sei qui.» afferma Natasha spalancando la porta di accesso al tetto, individuando James seduto a filo del cornicione inesistente con le gambe a penzoloni nel vuoto ed un mozzicone in via di spegnimento intrappolato tra i denti. 

«Dove altro dovrei essere?» replica l'uomo ironico, seguendola con lo sguardo mentre lo raggiunge sul bordo a strapiombo, requisendo il tabacco per sé sfilandogli la sigaretta dalle labbra. «Ehi…» 

«Ti fanno male.» lo liquida disintegrando il mozzicone contro il pavimento in cemento, urtandolo appena con una spalla in modo scherzoso. «Considerato che sono le quattro di mattina… non lo so, forse a letto con me magari?» 

«Non riesco a dormire, 'Tasha.» mormora James sospirando appena puntando i palmi all'indietro, tornando a rivolgere lo sguardo alle sporadiche stelle appena visibili a causa dell'inquinamento luminoso. «Lo sai.»

Natasha tace, assecondando il silenzio di James quanto basta prima che inizi a starle stretto, obbligandolo ad esternare quei pensieri morbosi che gli impedivano di chiudere gli occhi e riposare. 

«Fammi entrare nella tua testa, parlami.» chiede in un soffio sottile allungando due dita a sfiorargli la guancia, lasciandogli un bacio a stampo sulle labbra prima di inchiodarlo con lo sguardo. «A cosa pensi?» 

«A prima, al piano, a cosa abbiamo detto...» cede arrendevole l'uomo, perdendosi nei suoi occhi cercando in lei un àncora, raddrizzandosi per sporgersi a premere la fronte contro la sua, senza tuttavia abbassare lo sguardo e celarle il mare in tempesta che si dibatteva al suo interno. «Non vorrei che fosse così facile uccidere.»

«Nessuno ha mai lasciato intendere che fosse una decisione facile da prendere.» replica Natasha tradendo un mezzo sospiro, scrollando le spalle cercando di togliersi di dosso la sensazione opprimente di quella consapevolezza che aleggiava nell’aria... non riuscendoci, svicolando via con lo sguardo ritrovandosi a corto di parole di conforto, stringendosi al braccio di carne e premendo la guancia contro la spalla di James, avvertendo le labbra dell’uomo posarsi sulla sua fronte in un muto ringraziamento.

La chiacchierata al telefono con Fury non era stata piacevole, Nick aveva tentato di tergiversare aggirando l’argomento, ma era finito per ammettere le proprie colpe sciogliendosi la lingua spiegandole spiccio tutti gli incidenti con il Tesseract che aveva insabbiato prima di New York, ritenendo più opportuno all’epoca metterli al corrente di minacce più urgenti come Loki, trascurando l’esistenza di una bambina aliena credendo di avere la situazione sotto controllo. Aveva ammesso di averla affidata a Pierce, in quel lasso di tempo imprecisato in cui si fidava ancora del Segretario e credeva ancora nell’istituzione dello SHIELD, fidandosi della parola dell’uomo quando aveva affermato di essersene “occupato”, confondendo l’eliminazione del problema alla fonte con la tutela garantita da un nazista.

Natasha aveva informato l’intera squadra degli ultimi sviluppi a cena, restituendo la moneta a James tagliandolo fuori dalla parte organizzativa illudendosi di avere un filo di lucidità in più del marito per far fronte alla situazione, spiegando che stando all’Archivio di Tania Madame Hydra si era macchiata dei crimini più aberranti, ma non rappresentava una reale minaccia dal punto di vista fisico… il problema era ciò che la morte della donna avrebbe scatenato, ma quello era un argomento che Natasha desiderava evitare il più a lungo possibile, illudendosi che così facendo l'ombra della Bestia che oscurava Steve evaporasse. Era una speranza vana… lei lo sapeva, James pure e tristemente non potevano farci assolutamente nulla. 

Elisa Sinclair aveva un esercito, un cubo cosmico e teneva Steve in pugno, ma a conti fatti era un comune essere umano… e dalla loro avevano tre super-soldati, due spie qualificate, un meccanico geniale con un esercito di armature e un paio di alleati all’interno del Palazzo, compresa Kobik. Poteva ritenersi quasi uno scontro ad armi pari, se non si considerava il coinvolgimento sentimentale… e su quel fronte Natasha non poteva far altro che restare sveglia insieme a James ad aspettare l’alba. 

Se non si calcolavano i rischi dettati dall’impulso emotivo il loro poteva ritenersi un buon piano d’attacco, nonostante fossero ben consapevoli che il comizio al municipio annunciato al telegiornale serale per il mattino seguente era palesemente un invito in prima fila ad una carneficina, ma scarseggiavano di occasioni migliori per trascinare Elisa e Steve fuori dal Palazzo garantendo una finestra per la fuga a Kobik e Sharon.

«Non mi piace l’idea di coinvolgere la bambina.» afferma James di punto in bianco dirottando la conversazione concedendole uno spiraglio su una parte dei propri pensieri in tumulto, strappandosi la confessione dai denti dopo una ponderata analisi dei pro e dei contro nel renderla partecipe dell’inferno che imperversava nella sua testa, ruotando il polso destro intrecciando le dita tra le sue alla ricerca di un contatto. «Ci sarà l’esercito… sarà un bagno di sangue.»

«Non è una comune bambina indifesa.» replica Natasha con tono che si sforza di essere ragionevole, stringendo la presa intorno alle sue dita con fare rassicurante. «Kobik è l’incarnazione del cubo cosmico… è l’essere più potente dell’universo, se vogliamo far rinsavire Steve abbiamo bisogno anche di lei.»

«L’idea non mi piace comunque… potrebbe ucciderci tutti con uno schiocco di dita se inizia a fare i capricci, questo è vero, ma ciò non cambia che è una bambina ‘Tasha.» afferma James sospirando sconsolato quando torna a cercare il suo sguardo, incontrando nelle sue iridi verde foresta la sua stessa reticenza nel coinvolgere la piccola in uno scontro armato. «Se proprio voglio essere sincero, non mi piace nemmeno l’idea che una volta finita tutta questa storia dobbiamo consegnarla nelle mani di Fury… Nick la trasformerà in un arma, la tratterà alla stregua di un genio nella lampada.»

«Stai empatizzando troppo.» lo placa Natasha allungando la mano libera ad accarezzargli nuovamente la guancia, sorridendo triste tradendo una punta di colpa consapevole quando James si abbandona contro il suo tocco, ruotando appena la testa baciandole il palmo della mano.

«Difetto di fabbrica.» ironizza con tono spento, inchiodandola con le iridi ghiacciate constatando una seconda verità indiscussa che tuttavia non suonava come una colpa, ma più come un dato di fatto per il quale non si poteva più fare nulla. «Tu invece non empatizzi abbastanza

«Difetto di fabbrica.» Natasha gli regge il gioco replicando allo scherzo facendogli il verso, ma ritirando la mano dal suo volto come se si fosse scottata, ribadendo un concetto basilare dal quale non potevano più fingere di nascondersi o fuggire. «Nessuno ha mai detto che fosse una decisione facile da prendere, ma siamo i migliori in ciò che facciamo… ed anche se ciò che facciamo non è bello, que-...» 

«… questa è solo l'ennesima brutta giornata. Lo so.» James conclude la frase per lei, respirando a fondo nel tentativo di riesumare e sedimentare nel cervello la prima regola coniata dall'Arma più sanguinaria del Dipartimento, spezzando il ricambio di ossigeno scrollando il capo. «Lo so, ma non riesco più a farlo.»

«Vuol dire che finita questa storia ci troveremo un hobby.» concede Natasha conciliante, siglando una proposta andata persa giorni prima tra le mura di un rifugio di fortuna, stringendo con ancora più forza le dita intrecciate tra quelle di James fornendogli un appiglio, tornando a posare la tempia contro la sua spalla. «È l'ultima volta, promesso.»

Natasha accarezza l'idea di concretizzare in fatti le parole espresse, sognando ad occhi aperti la fine delle battaglie e del sangue, ipotizzando giornate scandite da baci che si tengono ben lontani dal filo del rasoio… e si sente persa, dubbiosa dell'oceano di incertezza che le si profila davanti, senza una routine scandita da polvere da sparo e proiettili. Avverte una vertigine destabilizzante, aggirandola a pié pari ancorandosi alle dita di suo marito avvinghiate alle proprie, ritrovando il suo posto nel mondo che per una frazione di secondo aveva perso… è con James e, a discapito di ciò che le aveva insegnato Logan una vita prima, la giornata poteva solo migliorare. 

 

Mosca, 1944: una lunga serie di "brutte giornate"

 

«Non ricordi proprio nulla, zio?» chiede Natalia in un sussurro, articolando domande pericolose a discapito delle guardie armate che la circondano, alzando la guardia appena in tempo per difendersi dal colpo inflitto dal suo istruttore, finendo a gambe all'aria e rimettendosi in piedi subito ignorando il nuovo livido. 

«No.» sibila burbero l'uomo, fermando lo scontro correggendo la sua guardia, indicandole i suoi punti deboli e quelli di forza, spiegandole come gestire il nuovo attacco che stava per illustrarle, avvicinandosi al suo orecchio sfruttando la scusante della vicinanza richiesta dalla spiegazione per parlare. «Concentrati. Vogliono che tu diventi brava quanto me ad uccidere, non ti servono dei ricordi per riuscirci

Natalia incassa il colpo ed annuisce poco convinta, rimettendosi in posizione di difesa ed eseguendo il richiesto per ripararsi dai colpi inflitti da Logan, arretrando fino al limitare del cerchio disegnato a terra sulle proprie gambe e non venendo sbalzata fuori da uno dei colpi micidiali del suo insegnante… ma non demorde, intestardita a soddisfare la propria curiosità al pari di un prurito fantasma che sapeva non l'avrebbe lasciata in pace fin quando non l'avrebbe grattato via. 

Natalia aveva fatto ricerche, aveva scassinato la porta dell'ufficio di Ivan Petrovich nel tentativo di capirci qualcosa, di rubare una qualche informazione che la aiutasse a capire quale fosse il suo "posto nel mondo", qual era il motivo di fondo che aveva scatenato la disputa per la quale la stavano preparando, per quale ragione fra tutti un uomo come il suo insegnante fosse finito a Mosca ad addestrare delle sedicenni da spedire sul campo di battaglia. Voleva solamente capire, soddisfare quel bisogno di appartenenza, sentendosi costantemente inadeguata tra le mura di cemento della caserma in cui era confinata… e credeva di aver trovato la persona che cercava nel suo istruttore, riconoscendo la natura dei suoi vuoti di memoria simili ai propri, combattendo contro il muro che l'uomo aveva eretto per tenerla a distanza liquidano il suo interesse con giustifiche irremovibili che non sconfinavano dal suo compito di dover semplicemente insegnarle ad uccidere con cognizione di causa. 

«I ricordi non servono per uccidere, ma a saper distinguere un alleato da un nemico.» annuncia Natalia risoluta, dissimulando il brivido che le percorre la schiena alla vista degli artigli d'osso snudati che fuoriescono dalle nocche del suo insegnante, modificando la guardia preparandosi a contrastare colpi che le avrebbero spillato sangue oltre che procurato lividi. «Io e te cosa siamo, zio Logan? Nemici o alleati?» 

«Cavie da laboratorio convertite in armi.» replica burbero l'uomo in un sibilo, schivando l'affondo ma inciampando nel movimento, sentendosi afferrare per una spalla e crollando a terra, regolando il respiro per non graffiarsi con gli artigli sospesi ad un paio di centimetri dalla sua carotide. «Se hai l'occasione di andartene, fallo.»

«Per andare dove? Non ho un posto nel mondo.» lo sfida apertamente facendo leva con l'intero corpo, riuscendo a divincolarsi dalla presa senza ferirsi più del necessario. 

Natalia non conosceva nulla al di fuori delle mura della caserma, ma tale consapevolezza invece di farle temere l'oscurità del bosco limitrofo alla base militare, essa la attirava all'esterno per fuggire dalle ombre ben più pericolose che la circondavano giorno e notte… ed vorrebbe poter dire a zio Logan che desiderava scappare via con lui, che si fidava abbastanza da non porgli più domande scomode, che il suo interesse assillante tradiva una punta di affetto malcelato che si illudeva fosse corrisposto. Vorrebbe confidargli di aver trovato nell'ufficio di Petrovich i documenti che certificavano la compravendita per scopi scientifici del "prigioniero americano"... i Capi avevano annotato che Logan era uno dei caduti delle linee nemiche giapponesi, sembrava fossero riusciti ad identificarlo unicamente dal numero seriale del reggimento, riconducendolo ad uno dei pazzi che viaggiava per l'Europa con gli "Howlings Commandos", segnalando che l'amnesia doveva avercela già da prima perché nella piastrina era riportato semplicemente il nome che si era scelto [1]

«Non ti serve un posto nel mondo, bambina.» la riprende Logan atterrandola di nuovo, correggendo i suoi errori, limando i suoi punti deboli a pugni e parole… perché la ricerca di un branco di appartenenza era insito nell'istinto di sopravvivenza animale, ma era un concetto che forse poteva ancora applicarsi all'umanità che si erano dimenticati di avere e alla ferocia delle bestie che avevano imparato ad essere, non alle armi che dovevano diventare. «Sei un arma, i ricordi non ti servono a niente, non sprecare tempo a cercarli.»

«Io li rivoglio indietro… io sono l'arma di me stessa, non la loro.» afferma testarda, sfidandolo apertamente a demolirla con una contraddizione. «Deve esserci più di questo.»

«Non farti domande sul futuro, bambina… per quelli come noi il futuro e solamente un'altra brutta giornata.»

Forse Natalia avrebbe dovuto dargli retta, ma negli anni aveva continuato a porsi domande, a risolvere enigmi, a cercare risposte… perdendo pezzi di sé per strada, dilaniandosi, rimuovendo dettagli e ricostruendoli a posteriori, intestardita a conquistare il suo "posto nel mondo" e farlo coincidere con un porto sicuro a cui fare sempre ritorno. C'erano voluti anni, ma aveva scoperto che il suo concetto di "casa" rispondeva al nome di James ed era regolato dallo strano equilibrio vertiginoso che li bilanciava… le "brutte giornate" continuavano ad essere la prassi, ma erano ormai anni che avevano smesso di farle paura. 

 

«Non farmi promesse che sai di non poter mantenere…» interviene James spezzando il filo dei suoi pensieri, sollevando lo sguardo sul suo profilo fingendo un'espressione di disappunto per la contestazione espressa, sbilanciando involontariamente l'equilibrio di cui si era appena convinta. «Un hobby non ti basterebbe 'Tasha, dopo un po' inizieresti ad odiarmi.» 

«Questo sta a me deciderlo, no?» lo rimbecca la donna punta sul vivo, sollevandosi di scatto dalla sua spalla studiandolo con lo sguardo. 

«Vogliamo cose diverse, любовь моя …» afferma James scrollando le spalle, soffermandosi a riflettere meglio sulle parole appena espresse, correggendo il tiro nel giro di una frase. «O meglio… io sono incapace di lasciarti rischiare l'osso del collo da sola, nonostante desideri solo un po' di pace. La mia unica prerogativa sei tu, ma tu hai decisamente bisogno di un lavoro a tempo pieno.»

«E se fossi tu il mio lavoro a tempo pieno?» mormora Natasha retorica prima di poter accartocciare le parole sulla lingua, ponendosi la domanda ad alta voce inconsciamente, sgranando gli occhi quando realizza di aver dato aria alla bocca con sillabe compromettenti. 

«L'hai detto davvero?» si sorprende James spalancando gli occhi a sua volta, sfoggiando un sorriso mozzafiato che scaccia le nubi temporalesche all'orizzonte. «Tu, Natalia Alianovna Romanova, hai detto qualcosa che suona vagamente romantico?» 

«Posso ritrattare…» sorride Natasha incerta stringendosi nelle spalle, mettendo su un broncio che voleva testare l'istinto di autoconservazione di suo marito, boccheggiando confusa quando lo vede scoppiare a ridere, incrociando le braccia al petto indispettita. «Smettila

«Mi segno la data sul calendario, festeggeremo la ricorrenza al pari dell'anniversario.» James la ignora sghignazzando senza ritegno alcuno, covando un istinto suicida che si manifesta all'istante quando Natasha gli punta i palmi al petto obbligandolo a stendersi sul pavimento in cemento, salendogli sopra a cavalcioni ed allungando le mani a tappargli la bocca nel tentativo inconcludente di ridurlo in silenzio, ritirando le dita di scatto quando l'uomo finge di prenderle a morsi le falangi per ripicca. «Devi impegnarti più di così per farmi stare zitto.»

«È un suggerimento?» ribatte Natasha maliziosa, rabbrividendo appena quando le dita di metallo di suo marito scivolano sotto i vestiti e le risalgono la schiena in una tacita conferma, alludendo al premio da riscuotere decantato nel pomeriggio limitandosi a sorriderle, portandosi un indice alle labbra facendo voto di silenzio. «Se la metti così allora…»

Natasha snuda i denti da cobra e cala sulla preda con foga silenziosa, accorciando il respiro di James e troncando ogni gemito sulla soglia delle labbra a forza di baci, sorprendendosi di raggiungere la loro camera da letto sulle proprie gambe e con ancora tutti gli indumenti addosso, ricredendosi velocemente quando viene spinta contro la porta chiudendo fuori occhi indiscreti e malelingue, beandosi del sorriso stronca-fiato di James quando balugina le zanne da lupo famelico, invertendo i ruoli di preda e predatore cedendogli arrendevole il controllo una volta tanto, divertendosi ad autoeleggersi garante del semi-silenzio tra quelle quattro mura. 

«Non vogliamo cose poi così tanto diverse, звезда моя…» sussurra ironica Natasha in lingua madre quando James crolla su di lei, soffocando un accenno divertito posando le labbra sul suo sterno, accoccolandosi contro il suo fianco decretandola la posizione del collasso definitivo, con la testa seppellita tra l'incavo dei suoi seni e l'orecchio premuto all'altezza del suo cuore. «Dormi ora, ai tuoi incubi ci penso io.»

 

***

 

Il mondo, la mattina dopo, sembra andare a rilento e James non sa decidersi se tale sensazione sia dovuta dal suo cervello carente di caffeina o se semplicemente il sesto senso che gli pungola lo stomaco voglia donargli una mezz'ora di quiete aggiuntiva prima di catapultarlo brutalmente sul campo di battaglia dove tutto si riduceva a riflessi, destrezza, polvere e sangue. 

Lo sveglia Natasha, districandogli le ciocche sulla nuca tirandogli leggermente i capelli, posando il primo bacio della giornata sulle sue labbra e sgusciando da sotto il suo peso reclamando la doccia per prima, spiaggiandosi sul materasso a pancia in su allargando le braccia perdendosi a studiare i disegni semi-invisibili del pulviscolo che formano ghirigori sopra la sua testa. I secondi scorrono lenti sul mare di latte che lo circonda, rallentando i suoi movimenti mentre incespica sulla soglia del bagno per lavarsi via l'intontimento dovuto dai recessi di sonno che gli otturano ancora il cervello, sibilando infastidito svegliandosi di colpo quando dà il cambio alla moglie sotto la doccia ritrovandosi a fare i conti con una cascata gelata invece del tenue torpore dell'acqua tiepida. 

James si veste lentamente, riservando una cura speciale anche nel infilarsi i calzini, nella vana speranza di poter posticipare di una qualche altra mezz’ora il momento in cui scenderanno in piazza e l'aria si saturerà inevitabilmente di polvere da sparo… ed il sesto senso torna ad agitarsi irrequieto nei recessi delle sue viscere, registrando la pelle d'oca sulle braccia mentre si infila il primo strato di kevlar, sollevando lo sguardo sulla moglie concentrata ad intrecciarsi i capelli davanti allo specchio in canottiera intima e pantaloni rinforzati. 

James vorrebbe essere in grado di articolare in parole coerenti i propri dubbi, chiedendo a Natasha se lo sentiva anche lei quel refolo di vento che gli scuoteva le ossa, ma inghiotte sillabe vane e si affretta a raggiungerla, sfilandole le forcine dalle mani assicurandole le trecce cremisi in una crocchia sulla nuca, per poi porgerle la giacca in kevlar ed allungare le mani a chiuderle la zip fino alle clavicole. 

«Rilassati.» mormora Natasha in russo sorridendo incoraggiante, sollevandosi sulle punte per raggiungere le sue labbra, allungando le dita verso le asole ed iniziando ad allacciargli i bottoni del giubbotto antiproiettile della tenuta, per poi discostarsi da lui a lavoro concluso chinandosi sotto il letto recuperando gli stivali, lanciandogli dietro gli anfibi per spronarlo. 

«È facile dirlo.» ribatte in lingua scrollando le spalle, dissipando la preoccupazione latente per essere scivolati entrambi nell'idioma slavo senza rendersene conto, allacciando gli scarponi e sfilando il borsone da sotto il letto iniziando a far scorta di proiettili, pistole e coltelli, calciandolo in direzione della moglie per rivendicare l'arsenale restante. «Non sei tranquilla nemmeno tu.»

«Mi preoccuperei del contrario, James.» si nasconde Natasha dietro la lingua anglofona, venendo interrotta da un colpo di nocche alla porta da parte di Clint, il quale annuncia che la colazione è servita e si augura che siano entrambi svegli ed operativi, scrollando le spalle finendo di allacciare le fibbie intrecciate del giubbotto antiproiettile prima di allungare una mano verso la maniglia... e James agisce d'impulso bloccandola nel movimento, entrando in rotta di collisione con le sue labbra rubandole l'ossigeno, manifestando una punta di paura che viene puntualmente spazzata via dal sorriso di sua moglie. «Ehi звезда моя, non abbiamo tutto il giorno.»

«Lo so, è solo…» "che non so davvero cosa farei senza di te" vorrebbe ammettere James, dimenticandosi momentaneamente come si parla riscontrando un nodo fastidioso alla lingua, respirando a fondo ricomponendosi prima di proferire parola, allestendo una giustifica labile che non necessita di spiegazioni. «Avevo solo bisogno di un momento, tutto qui.»

L'incantesimo si spezza ed il tempo ritorna a scorrere regolare mentre tracanna il caffè in piedi puntellato ai fornelli delle cucine dell’orfanotrofio, registrando una brusca accelerata del ticchettio delle lancette quando iniziano a muoversi tutti e cinque sul piede di guerra, raggiungendo e sparpagliandosi in piazza nascondendosi dalla folla in attesa dei loro bersagli… mentre la paranoia trasforma il ticchettio delle lancette in quello di una bomba ad orologeria, spingendo James a riscoprirsi credente ritrovandosi a masticare preghiere mute tra i denti nella speranza di venire ascoltato da Qualcuno. 

«Sono in posizione, Barnes.» annuncia Yelena Belova all'auricolare come concordato, registrando mentalmente la presenza di Steve e Madame Hydra sul palchetto allestito di fronte al municipio, sollevando lo sguardo su Stark e Natalia controllando che il messaggio sia stato recepito anche dai compagni. «Aspetto il segnale.»

«Ci sono quasi.» replica Clint a distanza di un paio di secondi, riferendo la situazione a Palazzo ed aggiornandoli sull’avvio del segnale in leggero ritardo rispetto ai tempi prestabiliti. «Qualcosa dev'essere andato storto...»

«Che genere di imprevisto?» li anticipa Natasha premendo un indice contro l'auricolare, tradendo un'occhiata preoccupata nella sua direzione alla menzione dell'intoppo. «È gestibile?» 

«Volo da te? Ti serve una mano?» si propone Tony tempestivo, manifestando un tremito di impazienza nell'apprendere che il salvataggio della cugina aveva avuto un piccolo incidente. 

Il piano che avevano concordato era semplice, ma la catena di eventi non avrebbe dovuto riscontrare intoppi altrimenti sarebbe collassato… James reprime un sospiro quando Clint fa rientrare la possibile emergenza, comunicando via radio che Sharon e la bimba erano uscite dai cancelli, reprimendo un verso spaventato quando Kobik lo identifica e materializza lei e la donna al suo fianco a due condomini e tre piani di altezza di distanza, facendoli rientrare nei tempi prestabiliti della loro tabella di marcia.

«Ora.» ordina James dando il permesso a Clint di procedere, aspettando l'esplosione del fumogeno scoccato dall'arciere prima di dare inizio all'attacco simultaneo. 

È questione di un attimo, di un battito di ciglia, un sospiro trattenuto e rilasciato con una irruenza comparabile ad una scintilla all'interno di una distilleria… la canna del fucile da precisione di Yelena fumava ancora che la bolgia si era aperta in due gridando al cecchino, iniziando a correre in preda al delirio seguendo inconsciamente come un gregge la prima fonte di salvezza fornita, incarnata dall'armatura di Iron Man che si librava sopra le loro teste direzionando la folla in zone più sicure, mentre la notizia che Elisa Sinclair era stata freddata con un proiettile alla testa si diffonde a macchia d'olio richiamando in campo l'esercito. James si lancia in mezzo alla ressa e corre con Natasha appresso, dividendosi a metà strada dal palco registrando con la coda dell'occhio la scomparsa dei capelli rossi dal suo campo visivo periferico, mentre la moglie procede a passo di carica in direzione di Clint per aprirgli la strada sbaragliando qualunque avversario le si pari davanti, presto aiutata nella riduzione della mole di guardie da affrontare quando la Iron Legion si dispiega nel cielo richiamata da Stark e scende sul campo di battaglia per dare loro una mano… e poi il tempo si ferma, il ticchettio della bomba ad orologeria si placa per quella frazione di secondo che precede l'innesco, facendo inciampare James sulle suole dei propri anfibi quando Steve solleva lo sguardo dal corpo senza vita di Madame Hydra e lo punta su di lui con occhi annacquati, le spalle che tremano ed una vaga aria omicida ad esasperare il tutto. 

James si arresta in mezzo al campo di battaglia e fronteggia Steve, fasciato nell'uniforme di Capitan America con un nuovo scudo triangolare fissato sulle spalle per ordine della donna che teneva stretta tra le braccia e contemplava con disperazione montante… Steve che si specchia nello sguardo vitreo di Elisa era un monumento alla pietà e all'umana indecenza resa possibile dall'annientamento di un uomo, perdendo un battito accettando la consapevolezza che stavolta le mani che tiravano le fila nell'ombra erano le sue, promosso da burattino ad artefice di decisioni aberranti nonostante la situazione richiedesse quel genere di scelte drastiche. James sa cosa ha appena scatenato, lo ha già visto succedere per ben tre volte, ma non è pronto comunque ad affrontare la Bestia… si ricorda fin troppo bene del ragazzino rachitico che aveva rischiato di causarsi un infarto nel tentativo di mettere a soqquadro il salotto per sfogare la frustrazione e la rabbia di fronte alla notizia della morte della madre, alle lacrime che solcavano le guance di Steve mentre tempestava di pugni inconsistenti il petto di suo padre quando aveva comunicato a tutti e tre i figli che anche loro madre era passata a miglior vita, ascoltando nuovamente le urla del fratello quando aveva sollevato lo sguardo dalla lettera dell'esercito ed era esploso al pari dell'ordigno che aveva ucciso loro padre. Questa volta è diverso – non ci sono apparenze da salvare, non esistono persone da rassicurare, restavano soltanto Steve, il dolore e l'omicida che l'aveva causato – e di fronte al corpo senza vita di Elisa Sinclair Steve reagisce come suo solito, implodendo a primo acchito ed esplodendo in un grido il momento dopo, traducendo il dolore in una furia incontrollabile veicolata in una mole ben diversa dal fisico gracile che aveva subìto i tre lutti precedenti. 

Steve ora è un involucro di tendini, muscoli e sangue che alimenta un arma umana e i suoi pugni fanno dannatamente male quando impattano contro il corpo di James rilasciando furia, obbligando quest'ultimo a concentrarsi più a schivare la punta di metallo del nuovo scudo triangolare che l'HYDRA aveva fornito al fratello per l'occasione, invece di difendersi nel vero senso della parola e rispondere all'attacco con la medesima violenza incontrollata… lo scenario che si dipinge davanti agli occhi del Soldato d'Inverno assomiglia in modo spaventoso a Washington, ma stavolta James ha la netta sensazione che sarà lui quello a finire sul letto di un ospedale, appurando con un verso stizzito che le contusioni al diaframma avevano iniziato ad accorciargli il respiro in un modo che solo il principio di una lesione interna poteva garantirgli, precipitando incontro al pavimento quando il ginocchio cede sotto il calcio alla rotula da parte di Steve e rotolando via appena in tempo per non sentire nuovamente la punta di metallo lacerargli la pelle in un punto semi-vitale spillandogli altro sangue. 

«Clint, dov'è Kobik?» urla James all'auricolare nella speranza che quel supplizio termini al più presto, covando il sospetto fondato di poter collassare da un momento all'altro e svenire permettendo a Steve di dargli il colpo di grazia, maledicendo a gran voce la punta di metallo dello scudo che attentava alla sua vita colpo dopo colpo… aveva rinunciato diverse contusioni fa a prendere in considerazione l'idea di discutere con Steve durante lo scontro, limitandosi a schivare, pregare e maledire le sigarette per non avere il fiato per urlargli contro, tradendo una frustrazione latente nel non ricevere risposta dall'arciere. «Clint! Rispondimi, maledizione!» 

«È qui, Bu-...» la voce di Barton cola a picco, subito sostituita da una imprecazione esagitata della moglie e l'urlo disumano della bambina, riuscendo a prendere fiato quando sia James che Steve sollevano il capo al cielo per una frazione di secondo, mentre nuvoloni neri e sferzante di vento piombano sul campo di battaglia richiamate da Kobik, peggiorando ulteriormente una situazione ingestibile fin dal principio. 

«Cosa diavolo…?» esordisce James confuso, arretrando di mezzo passo quando lo scontro riprende come se i nuovi fattori in gioco non esistessero, appurando che la lucidità di Steve era compromessa al punto da fregarsene della tempesta telecinetica in corso. 

«Hanno sparato a Barton, la bimba ha reagito al sangue.» lo aggiorna Stark teso, volando in picchiata dall'uomo per prestare soccorso e portarlo via da lì.

«Non è ancora morto, ma il proiettile gli ha sfiorato la tempia a bruciapelo…» interviene Natasha con una voce innaturale venata dal panico, accendendo in James un campanello d'allarme, distraendosi per quella frazione di secondo che basta per finire riverso a terra con il fiato mozzo, facendo leva sulle gambe per sbalzare via Steve quando ne approfitta per saltargli addosso, strappandosi accidentalmente qualcosa nel movimento… e suo fratello non si placa, non demorde, assumendo le sembianze di un toro imbufalito sotto droghe pesanti che puntava unicamente a sventrarlo, quando James al contrario vorrebbe solo avere il fiato per chiedere aiuto ed invece si ritrovava a fare i conti con un qualcosa che gli ostruiva i polmoni impedendogli di respirare abbastanza. 

Fa che non sia sangue, fa che non sia sangue, fa che non sia sangue. 

«Romanov, il Soldato ha decisamente bisogno di un assist.» Tony prende prontamente il controllo della situazione, silenziando ogni obiezione elargendo direttive a tutti i presenti avendo una perfetta visuale delle condizioni di ognuno. «Mini-Vedova, corri ad aiutarli… Sharon, calma Kobik e portala da Steve, io trascino Clint lontano da qui e contatto i nostri amici di Seoul.»

Nel tempo necessario a Stark per concludere la frase, Yelena fa in tempo ad entrare nel campo visivo di James ed aiutarlo a rimettersi in piedi eseguendo una rapida diagnostica, informandolo che le costole incrinate si erano fratturate e non doveva compiere movimenti troppo bruschi per evitare di perforare i polmoni, mentre una scheggia rossa si precipita in picchiata contro uno Steve a dir poco furioso dando inizio ad un secondo scontro… e la bomba ad orologeria ricomincia a ticchettare, mentre James segue con lo sguardo i movimenti della moglie che tentano di tenergli suo fratello a distanza saltando sulle spalle di Steve, iniziando a cavalcarlo come un toro meccanico il tempo necessario a Kobik per avvicinarsi e poter intervenire, ripristinando l'equilibrio mancante che aveva tramutato Steve in una Bestia furiosa. 

«Barnes hai le costole rotte, Cristo!» strepita Yelena quando James si butta a testa bassa in mezzo allo scontro, preferendo rischiare il collasso di un polmone piuttosto di vedere Natasha ridotta alle sue stesse condizioni, assecondando l'istinto innato di protezione che provava nei suoi confronti. 

È una frazione di secondo. Una fottutissima frazione di secondo. 

Steve riesce a disarcionare Natasha facendola precipitare a terra, mirando alle costole fratturate di James con la punta di metallo dello scudo per infliggergli il colpo di grazia… ma Yelena reagisce d'istinto afferrandolo per la protesi trascinandolo lontano dalla linea di tiro, facendo scattare la testa di Natasha nella sua direzione a causa del suo movimento improvviso, assecondando la decisione della sorella di impulso puntandogli i palmi al petto spingendolo all'indietro, finendo accidentalmente nella traiettoria del colpo… e la punta di metallo impatta… lacera la carotide… trapassa la cervicale… ed il mondo cessa di esistere. 

Crack

Non è successo, non può essere successo.

Natasha cade a peso morto su James, afferrandola al volo inciampando all'indietro collassando al suolo mentre le costole fratturate risentono del movimento brusco, accusando una stilettata di dolore che risale la spina dorsale e riecheggia nel vuoto emotivo che si propaga tra le pareti congelate e spigolose del suo cuore, concretizzandosi in un gemito rauco, disumano e agonizzante di fronte allo sguardo vitreo della moglie rivolto ad un cielo tempestoso che non poteva più vedere. 

«No… no, no, no no no NO!» James urla nel silenzio in cui è piombato il campo di battaglia, mentre un secondo grido acuto irrompe con la potenza di una bomba atomica, rilasciando un'onda d'urto azzurrina che ha come epicentro Kobik, polverizzando l'esercito nemico e ricalibrando la psiche svalvolata di Steve in un colpo solo… non che a James interessi, per lui il mondo ha appena perso ogni importanza. 

James stringe Natasha tra le braccia ed ordina al proprio cervello di illudersi che la donna sia semplicemente svenuta… ma non c'è respiro, non c'è battito… c'è solo sangue che zampilla dalla carotide recisa nonostante lui continui ad esercitare pressione sulla ferita con la mano destra e la consapevolezza che se rimuove la sinistra dalla nuca della donna il collo si piegherà in un angolo innaturale e terrificante. James si chiude nella sua bolla fatta di panico, lacrime e sangue, cullando Natasha tra le braccia mettendo in secondo piano pure l'insufficienza respiratoria, iniziando ad iperventilare senza rendersene conto… sforzandosi di ignorare la voce di Tony all'auricolare che chiede cosa sia successo, il silenzio assordante generato dalla risposta mancata, i singhiozzi trattenuti di Yelena alle sue spalle e quelli nitidi e sonori della bimba aliena che osservava la scena a qualche metro di distanza, chinandosi a premere la fronte con forza contro a quella fredda della moglie contraendo la contusione, inviandogli una seconda stilettata di dolore che gli ricorda di essere vivo ad ogni respiro compiuto, avvertendo il sapore del sangue addensarsi sul fondo della bocca minacciando di soffocarlo in risposta al collasso dei suoi polmoni in corso. 

«Cosa… oh mio Dio…» la voce di Steve fa breccia nel muro che James si è costruito intorno, disintegrando la bolla che lo isolava dal resto del mondo, minacciando di avvicinarsi alla donna per prestare soccorso nel vano tentativo di riparare ai danni causati. 

«Tu non puoi toccarla, vattene!» strepita James sputacchiando sangue congelando il fratello sul posto, concedendosi il permesso di piangere lasciando che calde lacrime silenziose gli righino le guance, pregando di chiudere gli occhi e morire a sua volta in santa pace. 

Dio… ti prego, se esisti, prendimi ora. 

James rigetta altro sangue e i suoi polmoni collassano in risposta. 

Pace, finalmente. 

 

***

 

James era rimasto in terapia intensiva per quattro lunghissimi giorni, in bilico tra la medicina che pretendeva di tenerlo in vita e la sua volontà di lasciarsi morire… e nonostante tutto Steve non sapeva fargliene una colpa, ostinandosi a restare fuori dal reparto ed interpellare i medici di passaggio nei corridoi, consapevole che – nonostante il fratello fosse incosciente – James non l'avrebbe comunque voluto a vegliare sul suo capezzale. Di sicuro non dopo ciò che aveva combinato, almeno. 

Quei quattro giorni trascorsi a Seoul erano stati strani, ma necessari a Steve per assimilare i danni che aveva causato un pezzettino alla volta, iniziando a fare i conti con il proprio operato già dal campo di battaglia. 

Quando James era collassato su se stesso, continuando a stringere spasmodicamente Natasha tra le braccia, Steve era rimasto fermo immobile dove il fratello l'aveva inchiodato, lasciandosi scivolare addosso ogni tipo di sentimento per impedirsi di andare in cortocircuito… si era risvegliato dallo stato di trance quando aveva visto Kobik avanzare ed inginocchiarsi al fianco di James, infilando una mano eterea all'interno del torace del fratello raddrizzando manualmente le costole rotte, rimarginando i tessuti lacerati della cassa toracica facendola reagire positivamente agli input con uno spasmo, obbligando il corpo di James a vomitare altri fiotti di sangue liberando un respiro rantolante che segnalava un cenno di vita. 

«Stava morendo… io non volevo.» aveva spiegato la piccola strofinandosi le guance cancellando i segni di un pianto che tuttavia non sembrava intenzionato a smettere, nascondendo d’impulso il volto contro le gambe di Yelena cercando del contatto umano, la quale era crollata in ginocchio abbandonandosi all'abbraccio della piccola reggendole la nuca con una mano, sporgendosi istintivamente a girare James su un fianco per farlo respirare meglio, gattonando al cospetto della sorella chiudendole gli occhi e premendo a sua volta la fronte contro quella della donna in un ultimo saluto. 

«Natasha è morta, Tony. Bucky quasi.» annuncia la voce di Sharon alle spalle di Steve, fornendo una risposta via radio alle domande insistenti del cugino spiegandogli la situazione, usando un tono freddo che si sforzava di non cedere al panico. «Mi ser-... mi se-... sì, avvisa Seoul. Porta qui il Quinjet... fa in fretta.»

Natasha è morta… Bucky quasi… ed è colpa tua, Steve. Tutta. Colpa. Tua. 

Era stato solamente dopo aver elaborato quel pensiero aberrante che le ginocchia di Steve avevano ceduto e lo stomaco si era ribellato, vomitando l'anima mentre la mano timida di Sharon si era posata sulla sua spalla. 

Le ore successive erano state confuse… Tony aveva ritirato la Iron Legion e l'aveva rispedita in America, facendo atterrare il modulo di contenimento del Quinjet per permettere a Yelena di caricare a bordo in modo più agevole i corpi di James e Natasha, trascinandosi la bimba appresso ed eseguendo le manovre di primo soccorso sul fratello per tenerlo in vita nelle ore di volo che li separavano da Seoul. Sharon era rimasta a terra con lui, spettatrice silenziosa ed imparziale mentre Steve dava degna sepoltura ad Elisa Sinclair in nome del presunto legame che la donna aveva costruito dal nulla negli ultimi giorni, facendo tappa all'orfanotrofio per informare la Direttrice Hoan sui nuovi sviluppi, raccogliendo gli averi dei compagni d'armi lasciati in quel luogo, caricando il tutto nel bagagliaio della sua auto targata SHIELD spiccando il volo alla volta di Seoul. 

Era stato solamente quando Steve aveva messo piede nella clinica di Helen Cho che aveva scoperto che il fratello versava in condizioni critiche e si trovava ancora sotto i ferri, mentre Clint era già stato ricoverato in terapia intensiva con una lesione al timpano che l'aveva lasciato completamente sordo dall’orecchio sinistro… aggiungendo anche quell'ultimo tassello alla lunga lista di colpe, trascinandosi fino alla stanza convertita in obitorio in cui i medici avevano sistemato Natasha, vedendosi sbattere la porta in faccia con un ringhio rancoroso da parte di Yelena in sottofondo per averla disturbata mentre si occupava di preparare il corpo della sorella dopo l'autopsia obbligatoria richiesta dall’ufficio amministrativo dello SHIELD per inoltrare le pratiche del funerale e la successiva sepoltura. Gli veniva di nuovo da vomitare alla sola idea che nella cartella clinica di Natasha ora alla voce “causa del decesso” fosse riportato nero su bianco un definitivo ed inconfutabile “frattura cervicale causata da Steve Rogers”.

Steve ignorava il come aveva avuto l'accesso alla palestra adibita alla riabilitazione, ma aveva trascorso i quattro giorni seguenti a tenere la mente occupata picchiando il sacco da boxe con spiccato accanimento, interrompendosi giusto il tempo dei pasti, dei check-up neurologici impostogli dalla dottoressa Cho – per monitorare le alterazioni sinaptiche dopo una prolungata esposizione ai poteri di Kobik – e gli aggiornamenti da parte della compagna in merito alle situazioni cliniche e amministrative che coinvolgevano la squadra, notando con una punta di rammarico che Sharon si rivolgeva a lui unicamente nelle vesti di Consulente e Capo Squadra, mettendo momentaneamente in standby tutti i doveri derivanti dall'essere ancora la sua fidanzata fino a prova contraria. 

Il secondo giorno Hill aveva messo piede a Seoul requisendo Kobik per portarla alle Mura da Fury come da accordi, ritenendo la bimba una minaccia troppo pericolosa per permetterle di soggiornare sulla Terra, fermandosi alla clinica il tempo necessario per porgere un ultimo saluto a Romanov, controllare il corretto funzionamento del respiratore a cui era collegato James, scambiare un paio di frasi scritte con Clint ed aggiornare Tony, Sharon e Yelena sul come gestire la situazione a Madripoor. Steve era stato ignorato, trovando solamente la forza di chiedersi se quella era la decisione più adatta per Kobik e se lei fosse d'accordo al trasferimento, ma aveva silenziato il cervello tornando a picchiare il sacco da boxe con ancora più forza. 

Il terzo giorno Stark era incappato di proposito nella sua stessa traiettoria verso la caffettiera del cucinino, obbligando Steve a scambiare un paio di parole di circostanza strettamente pratiche, scoprendo che l'ingegnere si era già messo al lavoro per costruire un apparecchio acustico per Barton, informandolo che Ross aveva visionato le pratiche e si era fatto vivo accettando la richiesta di impedire al governo russo di reclamare il corpo di Natasha, in replica aveva avanzato la proposta di seppellirla ad Arlington con la scusante del servizio reso alla Patria nelle vesti di Avenger… Steve aveva elaborato l'informazione ed aveva annuito, ma non aveva saputo dare a Tony una risposta, borbottando un “dovrebbe deciderlo Bucky" fuggendo dalla stanza. Non aveva avuto il coraggio di mettere piede nel reparto di terapia intensiva, Yelena l'aveva nuovamente sbattuto fuori dall'obitorio, ma in compenso Clint gli aveva rivolto un cenno di saluto quando era passato davanti alla porta della sua camera e Sharon era scesa in palestra a notte fonda solamente per abbracciarlo. 

Il quarto giorno James si era svegliato dal coma farmacologico indotto, aveva avuto un attacco di panico appena aveva ricordato cosa fosse successo causandosi una seconda crisi respiratoria, ma entro fine giornata i medici gli avevano rimosso i drenaggi ed era tornato a dormire sedato con la Belova a fargli da cane da guardia ai piedi del letto, lasciando sguarnita la porta dell'obitorio. 

«Mi sarei dovuto fermare prima.» ammette Steve con voce costretta di fronte al corpo senza vita della propria migliore amica, mentre Sharon gli stringe la mano con forza camuffando lo sguardo lucido, riesumando una scintilla di conforto nei suoi confronti che era rimasta assopita negli ultimi giorni. 

«È stato un incidente… non eri in te, non avevi il controllo.» mormora Sharon conciliante, un sussurro appena udibile che urla in contrasto al silenzio denso della stanza. 

«Questo non cambia la realtà dei fatti.» biascica in risposta strofinandosi arrabbiato le guance rigate di sale, respirando a fondo prima di riuscire a proferire parola senza far vacillare la voce. «Cosa si fa adesso? Mi processano?»

«Bucky ha creato un precedente… nel verbale hai specificato che non eri consapevole delle tue azioni, lo SHIELD non prenderà provvedimenti e vuole insabbiare l’episodio con la stampa.» spiega spiccia Sharon con tono pragmatico, stringendogli la mano con ancora più forza. «Devi trovare da solo il modo per conviverci a vita.»

Erano serviti un altro paio di giorni prima che James riuscisse a reggersi da solo sulle proprie gambe senza collassare incontro al pavimento, aggirandosi per i corridoi della clinica imbottito di farmaci e chiuso in un mutismo spettrale, finendo per trascinarsi in obitorio e piazzando Yelena a fare la guardia alla porta negando l'accesso a chiunque altro. 

Steve aveva scoperto da terzi che la proposta di Ross era stata declinata, a distanza di un altro paio di giorni avevano fatto tutti ritorno in America e la Belova si era assunta l'onere di organizzare il funerale della sorella secondo la tradizione ortodossa [2], prendendo accordi per seppellire Natasha nella tomba di famiglia dei Barnes a Brooklyn, ergendosi a braccio esecutore di James dato che quest'ultimo continuava a trascorrere le proprie giornate in uno stato di astinenza emotiva parlando a monosillabi che apparentemente venivano compresi solamente dalla piccola siberiana. 

Steve non era mai stato ad un funerale ortodosso, Sharon gli aveva detto che Tony aveva dovuto cedere alle pressioni di Ross permettendo l'accesso ai reporter previo consenso di Yelena, ritrovandosi a rabbrividire di fronte alle mura di pietra della chiesa illuminate unicamente dalla luce delle candele… si era nascosto in ultima fila con la compagna evitando esplicitamente di farsi riprendere dalle telecamere, tenendosi a debita distanza dal primo banco della chiesa, provando un moto di sconforto nel appurare la presenza di Yelena e dei Barton, ma non di James. Steve sperava di intravvedere il fratello al cimitero, ma non era riuscito in nessun modo ad identificarlo tra la ressa di persone vestite di nero, rinunciando alla ricerca ed intercettando Clint in mezzo alla folla, avvicinandosi in punta di piedi per chiedere spiegazioni. 

«Il funerale era per me e Yelena, non per lui.» afferma Clint scrollando le spalle, tradendo un sospiro rauco che manifestava una nota di pianto represso, sollevando lo sguardo su di lui con fare apprensivo realizzando la motivazione che si nascondeva dietro alla richiesta. «Non gli hai ancora parlato…»

«Non c'è nulla da dire.» lo liquida Steve fissando la punta delle proprie scarpe, sobbalzando appena quando Clint gli afferra una spalla e stringe, nel primo contatto umano dopo giorni escludendo i medici e Sharon. «Non so cosa dire… ed è comunque troppo presto.»

«Se lo dici tu...» mormora l’uomo svicolando con lo sguardo, accartocciando l’inizio di un paio di frasi sulla punta della lingua prima di pronunciare la sentenza definitiva. «Se lo cerchi è volato a Praga... chiamalo prima che salga alle Mura.»

«Oh… okay. Lo farò.» promette Steve senza rendersene conto, il cervello che si scollega per un attimo di fronte alla consapevolezza di ciò che comportava la menzione di Praga, avvertendo la bocca improvvisamente secca di fronte alla notizia che a breve il fratello si sarebbe trasferito in orbita portandosi fuori dalla sua portata, annuendo con convinzione come se a Clint importasse davvero se lui seguiva seriamente il suo consiglio o meno, sollevando lo sguardo per ringraziarlo scoprendo che l’uomo doveva averlo lasciato a rimuginare da solo già da un bel pezzo.

«Torniamo a casa, vuoi?» si sente richiamare da Sharon, avvertendo le sue dita sottili cingergli la base della schiena in un mezzo abbraccio, rendendosi conto che la folla stava pian piano scemando svuotando il cimitero, scoccando un ultimo sguardo alla lapide dei suoi famigliari interamente ricoperta di fiori… dove l’unico segno del passaggio di James era un mazzo di rose tinte di nero, Steve sapeva che erano sue, erano le uniche senza un biglietto o una dedica pacchiana appuntata sopra. 

«Prima-… devo fare una cosa, prima.» mormora Steve sfilando il cellulare dalla tasca, agendo d'impulso premendo l'icona di James avviando la chiamata rapida automatica. 

Steve aspetta… aspetta… aspetta… "risponde la segreteria telefonica…"

«Non importa, torniamo a casa.»





 

Note:

1. Breve identikit di Logan ricostruita da frammenti sparsi: James Howlett nasce alla fine del XIX secolo in una famiglia aristocratica canadese, è il figlio bastardo di Thomas Logan, il giardiniere. La notte in cui scopre le proprie origini coincide con la notte in cui si manifestano i poteri, prendendo il sopravvento con una furia omicida che causa la morte di tutti i famigliari, provocandogli una amnesia totale salvo per il nome "Logan" che adotta come proprio. Si sa poco nulla di cosa combini fino al 1917, quando lo si vede combattere durante la Grande Guerra a Madripoor con la divisione americo-canadese, dove apparentemente soggiorna fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dove torna sul campo di battaglia finendo per vie traverse ad affiancare gli Howlings (quindi sì, conosce Steve e Bucky), venendo catturato in Giappone e venduto al Dipartimento X per studiarlo. A Mosca conosce Natasha e, a discapito di una resistenza iniziale, inizia a trattarla come una figlia e la aiuta a fuggire con Nikolaj nel '46. Dopo la fuga torna in Canada, non si sa di preciso quando Sabretooth lo recluta per il progetto Arma X, ma gli X-men e compagnia cantante (comprese le ossa rivestite di adamantio) arrivano solo negli anni '60.

2. Speculazioni religiose: l'universo Marvel è abbastanza variegato da questo punto di vista, ma come tematica non viene mai trattata in modo approfondito (salvo alcuni casi particolari, tipo Daredevil), dando predilezione a battaglie, introspezione massacranti di vario genere ed un mare di cazzate. Per quanto riguarda i miei due prediletti sono rispettivamente di religione ortodossa e protestante, anche se per entrambi il rapporto con il Sommo negli anni è andato a scemare al punto da rasentare l'ateismo per Natasha ed un approccio agnostico per James, ma prendete le mie affermazioni con le pinze in quanto ricamano sopra a brandelli di scorci introspettivi e si basano fondamentalmente sul come sono state allestite le rispettive bare ai funerali (l'unica volta in cui gli amici illustratori si sono degnati di disegnare tale scenario, a discapito delle innumerevoli volte in cui mi hanno tirato momentaneamente le cuoia in una cinquantina d’anni erotti che i due personaggi esistono).


 

Commento dalla regia:

Non so con che coraggio sto scrivendo queste note a piè di pagina... forse perchè a questo punto come "autrice" devo dire un paio di parole, giusto?
In "Secret Empire" la morte di Natasha è esattamente questa, è brutale, improvvisa e i disegnatori hanno pensato bene di dedicarle un'intera pagina dominata da quel meraviglioso "crack" che come lettrice mi ha distrutto l'anima e mi ha fatto chiudere l'albo in questione per non toccarlo per un paio di giorni... e di norma l'avrei completamente ignorata nei miei scritti, se non fosse per lo spin-off che Mamma Marvel mi ha pubblicato dopo, materiale così bello che per me è stato praticamente impossibile non ricamarci sopra.
Colgo l'occasione per ringraziare chiunque ha seguito la storia fino a qui e l'ha inserita nelle sue liste, chi ha lasciato un commento e chi l'ha semplicemente apprezzata in silenzio... "apprezzata" ora come ora mi sembra una parola un po' fortina, considerati gli ultimi risvolti e tenendo conto che da settimana prossima si passa dal "cervello" ai "polmoni" ^^'
Nella speranza che il plot-twist vi abbia "stravolto la giornata in positivo", vi auguro buona Pasqua e noi ci risentiamo al prossimo aggiornamento!
Con affetto,
_T :*

   
 
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