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Autore: Becky2000GD    09/04/2020    0 recensioni
Durante una placida serata passata in un locale di Siviglia insieme agli amici, l'attenzione di Brian viene attirata dal suono deciso di una chitarra flamenca. La sconvolgente introduzione musicale precede l'entrata in scena della bella Nadia: una straordinaria ballerina con le ali ai piedi e le mani sfuggenti, abilissime nell'uso concitato delle castañuelas. Ogni piroetta dona sensualità alla minuta figura di lei, avvolta nelle frappe rosso sangue del suo abito. Il chitarrista americano viene così a contatto con un mondo nuovo, che scopre trascorrendo le sue giornate con la famosa bailaora de flamenco e visitando luoghi come il Parque de Maria Luisa ed il Real Alcázar. La vera magia, però, l'avvolge di notte, quando nel Barrio de Santa Cruz il profumo delle arance inonda e colora di nuova luce quello spicchio della ciudad. Anche il corpo di Nadia viene travolto dall'incantesimo del crepuscolo e si tramuta in un anelito di evasione dalla realtà. Una volta tornato ad Huntington Beach, Brian è ancora stordito dalla peccaminosa esperienza e dalla confusione sentimentale che ne deriva, tanto da sentire il bisogno di ripercorrere l'intera vicenda e cercare una degna conclusione.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Las Noches de las Naranjas

 

 

 

Capitolo 1:

Consecuencias de un inevitable final

 

 

 

 

 Con gli occhi fissi, contemplo la lampada di sale himalayano sul comodino dall’altro lato del letto. I cristalli rosa si sono annidati l’uno sull’altro, hanno sfidato i secoli solo per formare quel tozzo cilindro che mia moglie ha comprato per pochi dollari online, con l’intento di adornare la nostra camera. «La cromoterapia attenua lo stress», ha tagliato corto lei al tempo, liquidandomi prima che potessi dire qualunque cosa. Mi conosce così bene, sapeva che le avrei elencato le ragioni per le quali non credo che una grezza scheggia di sale indiano possa avere un qualunque effetto benefico sulla mia salute psicofisica.

Sono tre anni che convivo con questo scarso pezzo d’arredamento, me lo sono fatto andare bene, mi sono inevitabilmente arreso, ma mai prima d’ora mi ero reso conto di quanto – contro ogni previsione – possa in verità essere distruttivo; al limite, pensavo che fosse inutile, non di certo dannoso. E invece, lo è. Lo è adesso, in questo momento; mi sta riportando indietro con la memoria a qualche mese fa, ed è l'unica cosa che vorrei evitare. Non c'è nulla che possa nuocerci tanto quanto i nostri stessi pensieri; ognuno di noi conosce il suo tallone d'Achille, quello che può fargli male fino alle lacrime. E il mio, adesso come adesso, è illudermi anche solo per mezzo secondo che ci possa essere un finale alternativo all'intera faccenda, che possiamo risolverla diversamente. 

Sono immerso nella luce aranciata che emana quella abat-jour improvvisata e scopro un nuovo motivo per odiarla; sto fingendo di avere una forza che non mi appartiene, mentre proiettate sulla parete color crema rivedo le sfumature della sangria nel mio bicchiere, quella con cui mi sono quasi ubriacato la prima notte a Siviglia. Gli occhi vagano sul muro, in cerca degli stessi volti, delle stesse immagini che vidi quella sera, ma una parte di me non smette mai di prestare ascolto a questa piccola donna piangente dentro al telefono. Chiama talmente tanto spesso che, negli anni a venire, potrei finire per associare il suo ricordo solo alla voce rotta dalle lacrime. Potrei lasciare indietro il suo nome, e quei lunghi capelli da gitana che si muovevano in un magnifico tutt'uno col suo corpo volteggiante sul palco di legno. Potrei relegare in un antro della mia memoria tutte le cose che me ne farebbero sentire ancora la mancanza, e ripensare a lei solo come questa voce che parla un Inglese stentato.

Mi sento stralunato, esterrefatto da me stesso e dalla piega che un'avventura come tante ha preso. Ho passato tutta la vita ad essere scettico e distaccato, forse addirittura pragmatico per certi versi, perché non mi sono quasi mai lasciato andare all’amore e a tutte quelle stronzate da mocciosi. Le promesse non sono divine, non sono eterne, piuttosto sono fragili, dettate dal capriccio del momento. Ci illudiamo di poter essere così poco umani da donare la vita intera a qualcuno, come dimostrazione di un sentimento mutabile. Siamo ridicoli e ipocriti. Eppure, nonostante questa consapevolezza e l’età avanzata, sto lasciando che ogni mia certezza venga trascinata via da un pianto sterile; sia mai che getto via quindici anni di vita, solo per l'improbabile prospettiva di una storia duratura con una sconosciuta spagnola. Appoggio per un momento la mano sulla spalla sinistra, come se volessi farmi coraggio da solo. Quando le dita ricadono giù trasversalmente ed attraversano  tutto il torace, però, mi accorgo che per un attimo mi manca un battito. Neanche io so se vorrei solo essere lasciato in pace e porre fine a questa chiamata del cazzo, o squarciarmi in due il petto, tagliare via la carne e lasciare che tutto il resto venga fuori, da quelle stronzate di sentimenti al cuore stesso, che ultimamente mi sembra così pesante. Vorrei essere libero, in questo frangente più che mai, ma costa troppo sacrificio. Non sono disposto a perdere così tanto. 

Lei è disperata, dice, non mangia, non fa l’amore, non si lascia avvicinare da nessuno se non dall’uomo delle consegne, perché quello che pretende il saldo per i liquori e per il vino che lascia sulla soglia. Io ridacchio nervosamente mentre immagino la scena, le dico che non c’è nulla di meno sexy di una ragazza che non riesce più a bagnarsi, la sbeffeggio come mi viene più naturale fare, cercando solo di farmi odiare. Prendere in giro lei, è la copertura migliore per prendere in giro anche e soprattutto me stesso.«Mi succede solo quando ricordo te. Mi ritrovo bagnata in mezzo secondo, con le mutandine fradice». Lascia cadere le mie provocazioni nel costante, goffo tentativo di addolcirmi. Si rende superiore, e mi fa sentire minuscolo e indegno, troppo meschino per meritare una simile attenzione.

È diretta, non si nasconde dietro a futili giri di parole; è abile con la lingua, sia quando si tratta di incantare un uomo, che quando si ritrova ad adoperarla in ben altre situazioni. Questa piccola è una giovane serpe, sibila e si muove sinuosamente, seguendo un istinto ed una logica che la rendono pericolosa. Riesco a percepire la maniera in cui si sta mordendo il labbro inferiore, se chiudo gli occhi riesco a vederlo da qui, dall’altra parte del mondo, con molto più dell’oceano a dividerci. Nel poco tempo che ho avuto, ho imparato così tanto sul suo conto che quasi mi gira la testa. Forse non mi illudo quando credo di saperle leggere nella mente, di sentire perfino da qui che cosa le passa per la testa; quel ronzio di sottofondo è una preghiera infinita, un mantra che continuerà a ripetersi fin quando non la inviterò a venire da me. O a prepararsi al mio ritorno. Ma non succederà mai, e lei è solo una disadattata che non sa come funziona la vita.

Inizio a sentire i brividi lunga la schiena e mi lascio distrarre dalle mie ciocche gonfie d’acqua, che gocciano ovunque, bagnando il parquet di bambù e le lenzuola color cioccolato su cui sono seduto da mezz'ora. Nudo come un verme, attendo con fin troppa pazienza di poter uscire da questo universo parallelo che si apre intorno a me ogni volta che rispondo ad una chiamata di Nadia. Gradirei tornare sulla Terra, sì, quella dove non ci sono incantesimi o miracoli e io sono sposato ed impegnato, sotto i più svariati punti di vista. Ma allora perché cazzo mi sento così furioso?

«Se non torni tu qui da me, prenderò il primo aereo e ti raggiungerò, solo per ammanettarmi al tuo letto e cosringerti a raccontare a tutti che esisto», mormora con fare deciso dopo un lungo silenzio, in cui si aspettava una risposta da me che non è mai arrivata. Io mi irrigidisco di botto, perdendo tutta la spavalderia che mi contraddistingue; è fuori di testa, povera poppante, vuole rovinarmi solo perché ho passato qualche notte nel suo letto! Quel che è peggio, però, è che io non mi sento totalmente in grado di impedirglielo.

Alzo gli occhi al cielo e faccio schioccare la lingua, preoccupato solo a metà. La gente come lei parla di viaggi come se fossero l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine di questo o di quello, ma io ho abbastanza esperienza in merito da sapere che non tutto deve per forza cessare ad una nuova partenza, o ad un arrivo. Basta avere chiaro in mente ciò a cui si è disposti e ciò che si ripudia. Mi piace evitare di sentirmi sperduto quando sono in un altro continente, non amo dormire da solo perché le coperte sembrano fogli di carta stagnola quando non c’è nessuno a tirarle dall’altro lato. Non significa che quando le ho messo gli occhi addosso l'abbia fatto pensando che sarebbe stato per sempre; ci sono tanti pesci nel mare, e non mi limiterò mai quando sarò da solo, là fuori. Però adesso sono a casa, non nutro l’esigenza di cercare nulla di più di quello che già mi passa tra le mani, che in qualche modo mi sono conquistato nel tempo con fedeltà solo apparente e menzogne a non finire. Forse è solo per abitudine che durano i matrimoni, o forse è per via di quella spessa crosta di rancore che si cela sotto la superficie – l’odio e l’amore sono entrambi due collanti sociali formidabili, che spesso si confondono e sono ben difficili da distinguere. Comunque, la mia incapacità di comprendere la causa di tale successo, non cambia la conseguenza: sarò pure un vigliacco conclamato, ma sto bene dove sono, così come sono e non ho voglia di apportare cambiamenti radicali. Costano troppa fatica, uno sforzo immane. Un po’ come quello di lei, al di là della cornetta, che resta appesa ad ogni mio silenzio, chiedendomi sottovoce se io sia ancora qui a prestare l’orecchio alle sue follie. La vita, quella reale, ha fretta e non può farsi carico delle speranze vane dei bambini. Ahora seca tus ojos y deja de imaginar cosas, chica; no salvo a nadie que no sea a mí mismo.

«Devo uscir fuori a cena stasera e, magari, se mi concentro abbastanza sul rosso del gazpacho, mi tornano in mente le balze del tuo vestito da flamenco. Vedrò di farmele bastare fin quando non mi ricorderò più neppure che faccia hai.» Che pessimo modo di riattaccare in faccia a qualcuno, che battuta squallida. Avrei potuto fare di meglio. Non per niente, mia madre ha sempre detto che sono talmente indisponente da avere un negozio di sartoria al posto della lingua; taglio a pezzi le persone ed ogni loro buona intenzione, per poi ricucirle peggio di prima. Me la sarei potuta cavare molto meglio se me ne fossi uscito con qualcosa di più sensato, brillante, qualcosa nel pieno del mio stile sarcastico, ma la verità è che non mi andava proprio.

Mi infilo i jeans dal motivo camouflage, mi accorgo che mi vanno stretti, più di quando li ho comprati due anni fa. Mi passo l’indice e il medio sul lato desto del naso e poi sulla fronte, mi stropiccio un po’ la faccia, sfinito, cercando di nascondere un mezzo sorriso a labbra strette. Mi rendo conto che il non riuscire neppure più ad allacciare i pantaloni è una triste, misera metafora della mia attuale condizione; tutto è più stretto adesso di quanto non lo fosse prima dell’ultimo tour. Se anche la giacca di pelle inizia a tirare in vita o attorno alle spalle, credo che sarò docile e mi lascerò soffocare.

   
 
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