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Autore: Huilen4victory    11/04/2020    1 recensioni
Sono passati cinque anni, Jungkook ora ha ventisette anni e Jimin ne ha quasi trenta. Durante questo periodo hanno portato avanti le proprie abitudini quotidiane, cercando di adattarsi il più possibile alla contingenza che inevitabilmente arriva con la vita adulta.
Sono ancora numeri zero, ma sono anche ancora insieme e felici.
È risaputo che il cambiamento non tiene conto dei piani. (Un mondo per noi due - sequel)
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La routine poteva essere una benedizione e una maledizione.

Considerando quanto aggrovigliato e confuso era stato l’inizio suo e di Jimin, Jungkook aveva accolto a braccia aperte l’arrivo della routine.

Era la ricompensa a tutte le difficoltà a cui erano andati incontro fin da quando erano piccoli, e la serenità tanto agognata dopo le brutture che il loro status aveva imposto su di loro.
Tuttavia, Jungkook avrebbe dovuto sapere che le cose non sono fatte per rimanere immobili. Per quanto si potesse amare la pace, essa era solo uno stato transitorio tra una fase e l’altra e tempi diversi, portano sfide diverse con le quali doversi misurare.

Aveva erroneamente pensato che la routine potesse essere solo una benedizione e non si era aspettato che questa si trasformasse nel più perfido dei camuffamenti. La sua ripetitività aveva finito col diventare la maschera dietro cui celare verità scomode e Jungkook si chiedeva con orrore da quanto questo andasse avanti.

Era passata appena una settimana dall'incidente al centro ricreativo e Jungkook era stato costretto ad assistere allo spettacolo di Jimin che si alzava, andava a lavorare e tornava a casa, comportandosi come se nulla fosse successo. Jimin lo salutava con lo stesso sorriso, lo accarezzava con la stessa premura e, se era stato più affettuoso del solito, era perché si preoccupava dell’episodio di Jungkook e non certo del suo.

Stava diventando fin troppo frustrante vedere il suo amante infliggersi questo trattamento, al punto che Jungkook si chiedeva se fosse stata una buona idea lasciare che Jimin stabilisse il suo ritmo e trovasse le proprie risposte prima di affrontarlo. Ora invece aveva paura che il maggiore avesse scelto di reprimere e soffrire in silenzio pur di non causare un disturbo.

Jungkook non poteva fare a meno di sentirsi colpevole. Le sue capacità percettive erano sempre state penose ma era stato davvero così concentrato su sé stesso da non capire che qualcosa non stesse andando da tempo? D'altra parte, era anche vero che Jimin era un maestro nel nascondere le sue emozioni.

Nonostante le sue mancanze, a Jungkook rimaneva una qualità redentiva. Amare Jimin moltissimo.

Quindi alla fine ci era arrivato, ma non appena la verità gli era stata infine evidente, allo stesso modo lo era stata la sua impotenza. Non poteva costringere Jimin a fare affidamento su di lui, poteva solo ricordargli ogni giorno con i suoi gesti e parole che lui sarebbe sempre stato lì al suo fianco.

Seokjin una volta gli aveva detto che l'amore riguardava il lasciar andare e Jungkook non aveva capito allora, perché non poteva immaginare di lasciar andare Jimin in alcun modo. Ora, quelle parole avevano un senso.

Jungkook sospirò rotolando di lato nel letto solo per trovare l'altra parte vuota. Tastò le lenzuola che erano calde al tocco segnale che Jimin non doveva essersi alzato da troppo tempo.
Almeno l'altra sua questione era stata risolta, si disse. Namjoon aveva compiuto il miracolo ed era riuscito a requisire la scandalosa intervista prima che venisse trasmessa, diventando sostanzialmente l'unico motivo per il quale Jungkook aveva ancora una scaletta di attività e quindi una carriera.

I giorni a seguire, in particolare, sarebbero stati molto intensi e avrebbero richiesto la sua piena attenzione.

Si trascinò fuori dal letto, a piedi nudi, preoccupandosi a malapena di indossare una maglietta. Uscì dalla stanza e si diresse verso la cucina, dove sapeva che avrebbe trovato il maggiore.

"Buongiorno!" fu il saluto squillante di Jimin non appena Jungkook ebbe oltrepassato la porta. Sbatté le palpebre nel tentativo di disperdere gli ultimi rimasugli di sonno e mettere a fuoco il maggiore.

Jimin era già vestito con suoi abiti da direttore dell’accademia, pantaloni grigi e camicia bianca, capelli pettinati lateralmente. Stavano diventando lunghi e gli incorniciavano il viso in modo delizioso, non riuscì a fare a meno di notare Jungkook sebbene assonato. Ma dopotutto Jimin era sempre uno spettacolo da guardare anche quando faceva cose ordinarie come servirsi una tazza di caffè.

Aveva peraltro già servito una tazza fumante per Jungkook, con tanto di cartone del latte a fianco e zuccheriera, l’unico modo in cui Jungkook riusciva a bere il caffè.

Era un gesto di routine dettato dall’abitudine ma era anche la prova di come Jimin si prendeva cura di lui ogni giorno. Incapace di resistere si avvicinò a Jimin, prese tra le mani il suo viso e lo baciò dolcemente assaporando le sue labbra. Dopo che si furono staccati fissò il suo volto per un lungo momento, il pollice andò ad accarezzare lo zigomo con reverenza e venerazione ammirando il fluttuare timido delle ciglia dell’altro, prima che le sue dita andassero ad afferrare una ciocca di capelli e rimetterla a posto dietro l'orecchio del maggiore.

"Un ciuffo ribelle, " mormorò Jungkook quasi in trance.

"Non hai bisogno di una scusa per baciarmi,” mormorò Jimin, alzandosi poi in punta di piedi per premere di nuovo le labbra contro quelle di Jungkook.

Si separarono troppo presto per i gusti di Jungkook e fu difficile trattenersi dal seguire Jimin al suo posto e riprendere le loro attività, al diavolo la colazione.

Jimin gli lanciò un sorrisetto come se sapesse esattamente cosa gli passava per la testa. Fortunatamente per l’orgoglio di Jungkook decise di non commentare e decise invece di cominciare a mangiare. Jungkook seguì con riluttanza il suo esempio, sedendosi e versando il latte nel suo caffè fino a riempire la tazza fino all'orlo.

"Oggi potrò tornare a casa presto, e tu?" Chiese Jimin, sorseggiando dalla sua tazza.

"Ricordi quello spettacolo che dovevamo girare con gli altri artisti senior?" Disse Jungkook mentre divorava un biscotto dopo l’altro.

"Aspetta, è oggi?" Chiese Jimin, improvvisamente scioccato dalla consapevolezza di aver dimenticato un fatto del genere. Guardò il calendario appeso sul frigorifero dove aveva segnato con un cerchio rosso tutti gli eventi di Jungkook. Jimin era molto attento quando si trattava di eventi particolarmente speciali soprattutto quando questi finivano in televisione, cosa così rara per un numero zero.

C'era, in effetti, una data cerchiata per quel mese, ma non era il giorno corrente.

“Oggi ho le prove e alcune pre-registrazioni, ma lo spettacolo è domani. Però sai come vanno queste cose, molto probabilmente starò fino a tarda notte ad aspettare il mio turno visto che la mia parte è piccola.”

"Fammi sapere quando manderanno in onda la tua esibizione. Devo registrarla,” disse Jimin risoluto.

"Non è la fine del mondo se ti perdi una delle mie apparizioni televisive, sai,” cercò di scherzare Jungkook. L’entusiasmo di Jimin riusciva sempre a farlo galleggiare tre metri sopra terra.

“E invece sì. Soprattutto perché adoro vederti ballare, non me lo perderei per nulla al mondo.”

"Anche io adoro vederti ballare," rispose Jungkook con affetto, ricordando lo spettacolo fatto insieme tanti anni prima.

“Ah. È stato tanto tempo fa."

"E anche così sei ancora il mio ballerino preferito."

Jimin scosse la testa e Jungkook sapeva che quello che sarebbe stato tutto. Una volta aveva chiesto al maggiore se si fosse mai pentito di aver messo da parte la danza una seconda volta dopo averne riscoperto il piacere, ma Jimin aveva negato ogni tipo di qualsivoglia rimpianto e aveva giurato di essere felice della svolta che aveva preso la sua vita.

Jungkook era convinto che l’essere un numero zero non glielo avesse impedito, Jimin sarebbe naturalmente cresciuto nella sua arte. Ballava in modo così sublime.

Tuttavia quando la giusta occasione si era infine presentata nella forma del nuovo progetto di Namjoon, Jimin si era tirato indietro con la scusa dell’essere troppo vecchio per quel tipo di carriera ed era vero, Jungkook stesso aveva fatto una scommessa bella grossa nell’accettare l’invito.  

Eppure pur essendo evidente l’amore di Jimin per il suo attuale lavoro, Jungkook non riusciva a fare meno di pensare ai se e a volte si chiedeva se non avesse sottovalutato l'entità dei sacrifici di Jimin.

"Immagino che non ti vedrò molto in questi giorni, allora", commentò Jimin con un sospiro. “Almeno Taehyung è tornato, mi sento sempre meglio quando c’è lui, soprattutto quando tu non sei disponibile. È un po’ come avere te."

"E questo cosa vorrebbe dire?" Jungkook chiese con una risata incredula. Era vero che lui e Taehyung erano amici d'infanzia e avevano un sacco di manierismi in comune, con tutti quei giorni trascorsi fianco a fianco era stato inevitabile, ma erano comunque due entità separate e due persone completamente diverse. Almeno lo sperava. Amava Taehyung, ma il suo migliore amico era decisamente ridicolo.

“Beh, vi comportate spesso nello stesso identico modo. Avete entrambi un forte senso competitivo, vi lasciate spesso trasportare dalle vostre passioni al punto che non riuscite a notare altro e avete una devozione all’arte che sfiora la venerazione. Anche Hoseok la pensa così, credo sia uno dei motivi per cui non ha potuto fare a meno di adottarti tanti anni fa,” replicò Jimin pensieroso.
La strana relazione che Hoseok, Taehyung e Jungkook avevano condiviso era qualcosa di cui non si sarebbe mai pentito e, tuttavia non sarebbe mai riuscito a liberarsi dell’imbarazzo che provava ogni volta che pensava a quanto inopportuno era stata la sua presenza nella coppia.

Non poteva immaginare quanto fosse dovuto costare a Hoseok ignorare il suo istinto da numero due che gli urlava di avere Taehyung tutto per sé, e includere Jungkook nelle loro dinamiche.
Non c'erano parole per descrivere quanto Jungkook era grato alla coppia per averlo fatto sentire meno solo.

“Per favore, non dirlo mai più. Taehyung è un idiota."

Jimin scoppiò a ridere, e Jungkook fu contento - no sollevato, di vedere il maggiore rilassato.

“Come preferisci, Jungkook. Immagino saprai che lui dice qualcosa di simile. In effetti l’ultima volta ha detto che le mie reazioni alle sue storie sono molto migliori delle tue e che le tue battute non sono affatto divertenti "

Jungkook arricciò il naso.

"Non sono divertenti? Puoi dirgli che c’è un bel paese in cui può andare?"

"Mi assicurerò di dirglielo quando lo incontrerò più tardi," disse Jimin, soffocando un'altra risatina. Jungkook non poté evitare di sorridere a sua volta, anche se era a sue spese.
Erano frangenti come questi che gli facevano desiderare che il mondo potesse fermarsi e catturare solo loro due e la loro minuscola ma lucente bolla che era la loro casa. Ma non poteva essere così, vero?

Esistevano in questo mondo e il mondo sarebbe sempre venuto a pretendere la propria parte nelle loro vite.

"Meglio che vada," disse Jimin lanciando uno sguardo eloquente all’ora indicata dall'orologio sul muro, seppur ancora scosso dalle risate. Si alzò lentamente, evidentemente riluttante ad abbandonare l’atmosfera leggera che aleggiava in cucina, per mettere via le sue cose e lavare la sua tazza.

Tuttavia fu con il solito brio che una volta finito si diresse verso Jungkook, lo abbracciò forte da dietro e gli sussurrò "buona fortuna!" nell'orecchio prima di stampargli un bacio sulla guancia e scappare dalla cucina.

Jungkook tuttavia fu più rapido e afferratelo per un polso lo attirò verso di sé, bisognoso di sentire quelle labbra sulle sue ancora.

"Riguardati," sussurrò in tono accorato prima di lasciare andare uno sbalordito Jimin.

Jungkook sapeva che, nonostante fosse un amante affettuoso, uno slancio così drammatico non era proprio da lui.

"Anche tu," sussurrò Jimin, stringendogli la mano a mo’ di rassicurazione.

Jungkook guardò Jimin allontanarsi dalla cucina, lo sentì indossare le scarpe all'ingresso e poi il suo solito "Vado, a dopo!” con cui era solito congedarsi, e infine il suono della porta che si apriva e si chiudeva.

Fu solo quando fu sicuro che Jimin si era allontanato, che Jungkook si lasciò andare. Si coprì il viso con entrambe le mani.

Doveva rimanere forte e avere fiducia nel loro legame. Aveva deciso di dare a Jimin tempo e Jungkook avrebbe aspettato che l’altro fosse pronto.

Scosse la testa sconsolato mentre si alzava per lasciare la tazza nel lavandino. Improvvisamente non aveva più così tanta fame, perciò decise di prepararsi per uscire a sua volta.
Nonostante Jungkook si fosse ripromesso di mantenere i propri propositi per quanto difficile, era comunque uscito dal seminato e chiesto a Seokjin di tenere d’occhio Jimin quando lui non c’era. Se aveva imparato qualcosa nell’innamorarsi di Jimin, era che solo perché eri in grado di fare qualcosa da solo, non significava che eri costretto a farlo. Avere qualcuno al tuo fianco oltre a te stesso faceva la differenza e Jungkook, e tutti i numeri zero con lui, lo sapeva bene.

Per questo aveva fatto giurare a Seokjin su tutto ciò che aveva di più prezioso che gli avrebbe detto se le cose si fossero fatte strane e pericolose.

"Parla con lui," aveva insistito Seokjin in tono secco. Sebbene avesse promesso non aveva risparmiato a Jungkook la paternale.

“Non risolverebbe il problema. Deve essere lui a venire da me e non io, o non potremo mai andare avanti."

"Lasciargli nascondere tutto sotto il tappeto non è una soluzione però,” rispose Seokjin accigliato. C’era rimasto molto male quando aveva saputo da Jungkook della chiusura di Jimin.

"Non lo è. Ma qualcuno una volta mi ha detto che amare è anche saper lasciar andare,” gli disse Jungkook guardandolo negli occhi. Il cipiglio di indignazione di Seokjin si sciolse all'istante, lasciandosi dietro un silenzio triste.

"Va bene, d’accordo. Ho capito," concesse alla fine con un sospiro mentre scuoteva la testa in disappunto. “Che cosa devo fare con voi bambini, eh? Finirete col farmi invecchiare più velocemente.”

"Non hai bisogno del nostro aiuto per comportarti da vecchio,” aveva ribattuto Jungkook cercando di alleggerire la tensione. Il che finì con guadagnarli un cuscino del divano in faccia.

No, non doveva necessariamente agire da solo, forse con l'aiuto dei suoi amici sarebbe riuscito a mantenere Jimin al sicuro.

"Attenzione. Segnaliamo che il centro città è da questo momento chiuso. Il centro città è chiuso. Vi terremo aggiornati, ci scusiamo per il disturbo."

Jungkook sussultò dal suo torpore. Era salito come ogni mattina sul metro che lo avrebbe portato lavoro e il dondolio del vagone gli aveva fatto chiudere per un attimo gli occhi. Ora invece si sentiva completamente sveglio. E allerta.

Stava sicuramente succedendo qualcosa di losco.

Gli annunci che avvertivano la cittadinanza della chiusura di certe aree della città erano iniziati dopo che si era svolta la prima manifestazione ed essi quindi erano finiti con il diventare una necessità. Un tale oscurantismo non solo era una tattica di contenimento e repressione del governo - negavano visibilità al freddom movement, motore dei manifestanti e permetteva loro di gestire meglio le informazioni, ma era anche un ottimo strumento di controllo e al tempo stesso una tattica politica.

Con la scusa di voler impedire l’alimentarsi delle manifestazioni attraverso i posti di blocchi stradali veniva di fatto marcata ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, la differenza di status tra i cittadini e attribuita la responsabilità di gesti singoli all’intera categoria.

Solo ai numeri due era permesso raggiungere i luoghi chiusi per necessità o lavoro. I numeri zero venivano respinti, non importava quanto importante fosse la ragione del loro spostamento, in qualità di pericolo per la tranquillità pubblica.

Jungkook non era stato affatto sorpreso del maltrattamento né di venir trattati alla stregua di auto con targhe dispari invece di pari. Al di là delle sue considerazioni politiche personali, ciò che più scocciava Jungkook era come queste limitazioni interferissero con la sua vita e nello specifico come in quel momento gli stessero impedendo di raggiungere il suo posto di lavoro.
L'unico modo per arrivare al KN Entertainment era passare attraverso il centro. Che ora era chiuso.

Jungkook imprecò sottovoce.

Era la prima volta che gli succedeva. Tutte le altre volte infatti era stato o a casa o si era già trovato nell’edificio, quindi al momento non sapeva come comportarsi e non poté evitare una leggera ondata di panico al pensiero dei suoi impegni giornalieri. Dove diamine avrebbe potuto fare gli ultimi aggiustamenti per la sua esibizione se non poteva andare alla sua sede dai suoi istruttori?

Nonostante ciò a Jungkook non passò per la testa, nemmeno per un attimo, l’idea di non seguire le istruzioni che scorrevano a caratteri cubitali nei piccoli schermi appesi all'interno della metropolitana, e pertanto scese all'ultima fermata prima del centro città. Non si fermò fino a quando non giunse finalmente all’area aperta e lontano dal personale di vigilanza che controllava i passeggeri in uscita. Il suo ultimo incontro con la polizia e affini, non era stato carino e non voleva essere trascinato in una cella un’altra volta per un qualsivoglia futile motivo.

Una volta fuori e con la rete dati in funzione, Jungkook chiamò subito il suo manager per capire il da farsi.

Come artista della KN Ent., avrebbe potuto usare i servizi della compagnia e lasciarsi accompagnare dal suo manager ovunque, ma Jungkook aveva preferito che la sua vita rimanesse il più normale possibile e aveva sempre respinto qualsiasi soluzione che potesse influire sulla sua libertà di movimenti.

Questo nuovo sviluppo avrebbe potuto finire con il cambiare del tutto le cose.

"Jungkook, tutto bene?" chiese il suo manager due squilli dopo che Jungkook aveva chiamato. Il suo manager era un brav’uomo, un po’ troppo apprensivo forse, ma decisamente una persona per bene. Era anche un numero due felicemente accasato e con una vita domestica e lavorativa invidiabile.

Il sistema gliela aveva fornito su un piatto d’argento e sulla carta era probabilmente l'ultima persona interessata a sostenere il primo artista numero zero mai uscito allo scoperto, eppure eccolo lì, a lavorare per lui e lo aveva fatto con dedizione sin da quando si erano conosciuti.

Aiutava Jungkook a fare il lavoro che in teoria non avrebbe mai dovuto fare.

"Sì. Sono appena sceso dalla metropolitana e sto cercando di capire come raggiungere la KN ent.”

“Dimentica la KN, è troppo rischioso. Ho già organizzato per te delle prove direttamente nel luogo in cui si svolgerà la registrazione dello spettacolo. L'ultima cosa che voglio è mettere a rischio la tua carriera o il tuo benessere solo perché non abbiamo preso sul serio il divieto. Dimmi solo dove sei e farò in modo che qualcuno ti dia un passaggio dove ti serve. Lo farei io, ma sto ricontrollando i tuoi programmi per assicurarmi di avere un piano B nel caso le cose non…vadano."

Jungkook avrebbe voluto protestare perché probabilmente tutti questi nuovi riarrangiamenti erano fonte di ulteriore stress e lavoro per il suo staff, ma sapeva anche che il suo manager aveva ragione. Considerando quanto fosse fragile lo stato delle cose, sapeva che disobbedire o protestare avrebbe potuto causare un danno alla società e ai suoi dipendenti. Dopotutto, Namjoon gli aveva chiesto di essere pronto e ora si rendeva conto che forse aveva inteso anche questo.

Quindi Jungkook fece come gli era stato detto, condivise la sua posizione e cercò un bar vicino dove poter aspettare che arrivasse la macchina per lui.

Si sentiva stranamente cauto, come se si aspettasse che la polizia facesse irruzione da un momento all’altro per arrestarlo. Sapeva di essere un po' paranoico, ma non gli piaceva come la situazione si stava evolvendo e non aveva in generale un buon presentimento al riguardo.

Ordinò un caffè, anche se sapeva che era il secondo nell'arco di appena un'ora e che molto probabilmente lo avrebbe reso più nervoso di quanto non fosse già.

Jungkook si strinse nella sua giacca e addosso alla finestra al cui tavolo si era seduto, controllando la strada ogni due minuti sperando di riconoscere una macchina aziendale.

Pensava tuttavia che sarebbe stato difficile per loro essere veloci perciò fu grande la sua sorpresa quando, con più della metà del caffè latte ancora da bere, una macchina della KN parcheggiò lì di fronte e suonò il clacson.

Jungkook si affrettò a uscire dal bar, giusto in tempo per vedere il faccione di Taehyung che lentamente appariva da sopra il finestrino che si abbassava.

"Buongiorno!" il suo amico lo salutò, prima di aprirgli la portiera e scivolare di lato sul sedile posteriore e fargli spazio.

"Che ci fai qui?" Chiese Jungkook incredulo mentre sistemava la borsa tra di loro.

"Bentornato Taehyung, è bello rivederti amico mio, grazie per avermi salvato o mia altra metà,” cantilenò Taehyung, incrociando le braccia sul petto indispettito.

"Dovresti essere alla KN o dvunque tu debba essere in questo momento e non qui a interrompere il tuo programma giornaliero per me,” lor rimproverò invece Jungkook.

Odiava essere un peso per gli altri, soprattutto se a farne le spese era Taehyung dopo che Jungkook gli aveva imposto i suoi problemi praticamente per tutta la vita.

“Ho sentito le notizie alla radio e ho chiamato il tuo manager. Eravamo quelli più vicini a te e quindi darti un passaggio era la cosa più sensata da fare,” replicò Taehyung, facendo cenno al suo manager di proseguire.

"Anche se significasse andare nella direzione opposta?" Chiese Jungkook, sospirando.

"Soprattutto. Poi non ci vediamo dal compleanno dei gemelli. Mi mancava il mio migliore amico,”ribatté Taehyung con una scrollata di spalle, ma c'era qualcosa di un po' troppo disinvolto nel suo modo di fare perché Jungkook potesse credergli sulla parola.

Taehyung lo stava osservando con lo stesso sguardo che aveva avuto quando gli aveva annunciato che la sua introduzione con la sua anima gemella era vicina. Timoroso. Preoccupato. Estremamente determinato a far capire a Jungkook che Taehyung non aveva intenzione di andare da nessuna parte senza di lui.

Gli occhi di Jungkook si strinsero sospettosamente. "Namjoon ti ha detto tutto, vero?" Il volto imbarazzato di Taehyung fu una risposta sufficiente.

Jungkook si strinse la radice del naso tra le dita in esasperazione.

“Prima di prendertela con Namjoon, devi sapere che lui non voleva dirmelo sono io che gliel’ho estorto. Per quanto tu abbia cercato di metterlo a tacere, le voci corrono anche nella nostra compagnia. Mi sono permesso solo perché si tratta di te e del tuo benessere e perché lo so come sei fatto, tu non me l’avresti mai detto perché pensi ancora di importunarmi, non importa quante volte io ti abbia ripetuto il contrario."

“Dato che la questione era già stata risolta, non pensavo fosse necessario parlartene. Non voglio che ti preoccupi per cose che sono già passate."

"Cazzate. Ti conosco Jeon Jungkook e non ti lascerò minimizzare questo incidente solo perché vuoi continuare a comportarti come se nulla fosse successo," Jungkook distolse lo sguardo, incapace di continuare a guardare in faccia il suo migliore amico. Soprattutto perché aveva ragione.

Il viso di Taehyung era abbronzato per tutto il sole che aveva preso durante le sue vacanze e in qualche modo rendeva la sua presenza ancora più radiosa. Eppure quando Jungkook infine tornò a guardarlo in volto, anche lui sembrava contagiato dal suo stesso stato di angoscia. Esattamente l’ultima espressione che Jungkook aveva voluto vedergli addosso.

“Alla fine te l'avrei detto. Però credo anche sia importante che io impari ad affrontare problemi del genere da solo, devo farlo se voglio continuare a fare questo lavoro."

“Siamo amici Jungkook, è un po' scritto tra le righe del contratto invisibile che abbiamo firmato da bambini che è mio dovere impicciarmi. L'hai detto a Jimin almeno?”

"Certo che l'ho fatto,” rispose Jungkook immediatamente, quasi offeso dall'implicazione di Taehyung. Era stato spesso definito troppo testardo per il proprio bene, ma sapeva che la comunicazione era alla base di ogni relazione e che essere in due significa condividere il bello ma anche il brutto. Cercò di ignorare il sentimento di sgomento che lo consumava dall’interno nel constatare il comportamento al contrario di Jimin.

"Sono contento di sapere che ti apri con lui," rispose Taehyung, chiaramente sollevato.

Jungkook aveva sempre saputo che per anni la più grande preoccupazione di Taehyung era stata assicurarsi che Jungkook non si sentisse mai solo, ed era per questo che all’epoca era stato il sostenitore numero del matrimonio combinato tra lui e Jimin.

Le cose alla fine erano andate come lui si era augurato ma non certo perché Jungkook avesse ceduto da subito. C’era voluta molto pazienza, infiniti sforzi, e tanti ostacoli da superare e forse, chissà, anche un po’ di destino.

Tuttavia Taehyung doveva sapere che solo perché lui desiderava un lieto fine con tutto il cuore, questo non doveva per forza accadere.

“Taehyung, hai la tua carriera e io ho la mia. Per quanto ci sia piaciuto credere in tutti questi anni che entrambi siamo allo stesso livello, tutto ci sta mostrando come chiaramente non è così. Tu sei un numero due e io un numero zero, la discriminazione del mio status è inevitabile, mi sorprende in realtà che non sia successo prima. Namjoon è convinto che d’ora in poi gli episodi negativi potrebbero intensificarsi e sono d'accordo con lui. Questo è qualcosa che devo affrontare da solo per quello che sono, un numero zero, ed è qualcosa che aveva messo in preventivo sin da quando ho firmato per la KN ent. Né tu né io possiamo frenare l’inevitabile."

"Può darsi. Ma posso avere gli occhi e le orecchie aperti. Posso espormi anche io seguendo le mie convinzioni. Posso essere d’aiuto, come numero due."

Jungkook scosse la testa e sorrise tristemente. “Non mi perdonerei mai se la tua carriera ne risentisse solo perché ti sei esposto per me Taehyung.”

Taehyung lo guardò, cercando qualcosa nel viso di Jungkook che gli lasciasse qualche speranza e quando non la trovò, inspirò stancamente, come se gli stesse costando un pezzo troppo grande di se stesso sottostare alla verità.

“A volte odio questo mondo così tanto. Vorrei poter trovare un modo per fare di più,” sussurrò Taehyung.

"Fai sempre moltissimo per me Taehyung," disse Jungkook, stringendogli la mano. Poi distolse definitivamente lo sguardo sopraffatto dai suoi sentimenti.

Non parlava solo del Taehyung che era venuto a dargli un passaggio, ma si riferiva a tutte le scelte che il suo migliore amico aveva fatto per aiutare il numero zero Jungkook. E fino a che punto si era spinto pur di dimostrare che il suo rispetto per Jungkook non era definito dalla possibilità o meno di stare insieme.

Kim Taehyung era un nome molto noto nella scena musicale, era sicuramente più famoso di Jungkook e avrebbe potuto raggiungere la fama mondiale molto tempo addietro se non fosse stato per il suo rifiuto di lasciare che il pubblico vedesse la sua faccia. Non solo Taehyung non aveva mai concesso servizi fotografici ma anche i cellulari erano stati banditi durante i suoi concerti e il numero di foto che si potevano trovare su Internet poteva essere contato su una sola mano e non era neppure recenti o di qualità (erano sufficienti comunque a creare un gran rumore intorno alla sua avvenenza).

La gente e i critici musicali pensavano che la sua compagnia stesse usando il misticismo come mezzo per assicurargli una carriera a lungo termine o che addirittura gli stesse tarpando le ali per paura di perderlo. Era una congettura ridicola, considerando che era stato Taehyung stesso a chiedere di scrivere quella clausola sul suo contratto.

"Avevo voglia di essere apprezzato per la mia musica e nient'altro,” aveva affermato spesso nelle sue interviste.

Naturalmente, non gli avevano creduto. Dal loro punto di vista nessun CEO con almeno un po’ di fiuto per il denaro avrebbe mai permesso a qualcuno con il volto avvenente di Taehyung di rimanere nascosto, non importava quanto nobile fosse la causa. Una tale decisione diceva moltissimo sul carattere rivoluzionario di Kim Namjoon ma anche, se chiedevi a Jungkook, sull’ammontare di rispetto che questi aveva nei confronti dei suoi artisti e delle loro opinioni.

A volte però Jungkook non aveva potuto fare a meno di chiedersi se la decisione di Taehyung non fosse stata più politica di ciò che lasciava credere a tutti. A volte Jungkook non aveva potuto fare a meno di chiedersi se nel rifiutarsi di usare la sua faccia - la faccia di un numero due - per promuovere se stesso, non ci fosse un tentativo da parte di Taehyung di costringere la stampa e il pubblico a non prestare attenzione solo all'aspetto superficiale delle cose e concentrarsi invece su ciò che contava davvero del loro lavoro.

L'arte.

Che andava consumata cruda e senza pregiudizi. Libera da ogni etichetta.

Il cuore di Jungkook si stringeva ogni volta che ci pensava. “E tu Jeon Jungkook. Cosa stai facendo invece?"

Tutti sembravano determinati e pronti a promuovere i propri ideali nella funzione delle rispettive professioni, Namjoon e Taehyung come artisti, Hoseok con il suo ospedale pubblico, Seokjin e Jimin con i loro istituti.

Jimin.

"So che incontrerai Jimin più tardi,” Jungkook disse improvvisamente, cambiando bruscamente argomento e facendo sussultare Taehyung.

La conversazione con Taehyung lo aveva scombussolato a tal punto che invece di parlare e usare quell’occasione per aprirsi, Jungkook aveva finito con il guardare fuori dal finestrino per il resto del tempo. A giudicare dagli edifici, in effetti, non erano lontani dalla stazione televisiva dove avrebbe avuto luogo la registrazione dello spettacolo e il loro tempo insieme era agli sgoccioli.
"Tienilo d'occhio per me, ok?" chiese mentre autentica sorpresa sbocciava sul viso di Taehyung.

Forse la sua carriera si stava dirigendo verso un sentiero ripido, ma onestamente, se Taehyung voleva davvero tenere gli occhi e le orecchie aperti per qualcuno, preferiva che concentrasse le sue energie su qualcosa, qualcuno, molto più importante.

Una parte di lui avrebbe quasi voluto chiedere a Taehyung di indagare per conto suo, ma sapeva che usare simili sotterfugi avrebbe ferito tutti e basta e non avrebbe fatto bene alla sua relazione. Taehyung aveva detto di essere felice che Jungkook si aprisse con qualcuno, anche se quel qualcuno non era lui quindi anche Jungkook, imitando il suo esempio, avrebbe dovuto ritenersi soddisfatto che Jimin potesse parlare di ciò che lo preoccupava, anche se la persona con cui lo faceva non era lui.

"È successo qualcosa?" Chiese Taehyung, agitandosi.

"Non proprio. Sono solo ... "la macchina si fermò. Erano arrivati. "Ora non abbiamo tempo, ma promettimi che lo farai,” chiese Jungkook, consapevole di quanto la sua suonasse come una supplica.

"Ma certo!" Taehyung disse senza neanche doversi fermare un secondo a pensare. “Tu assicurati di distruggere quel palcoscenico. Voglio vedere tutti quei numeri due tifare per te! A Jimin ci penso io," Esclamò Taehyung con quasi il fuoco negli occhi.

Jungkook finalmente sorrise.

Commosso come lo era ogni volta che coloro che lui amava si dimostravano dalla sua parte.

Anche dopo anni, il suo rapporto con i suoi genitori non si era mai completamente risolto. Jungkook avrebbe potuto perdonare la paura per il benessere di qualcuno che ami, ma non la sfiducia e la disapprovazione di tutte le sue decisioni come se la sua opinione non avesse importanza. Naturalmente Jungkook li amava ancora, eppure non poteva fare a meno di provare un amore speciale verso i suoi amici e verso il suo partner, i quali senza condividere nemmeno un briciolo del suo DNA, gli guardavano le spalle sempre e comunque.
 
 

 
Mentre invecchiava e attraversava questa nuova fase chiamata età adulta, Jimin aveva capito che essere un adulto non significava esattamente avere tutte le risposte. In effetti, la maggior parte delle volte significava essere in grado di mantenere una faccia da poker mentre si sclerava internamente.

Jimin era preoccupato.

Era preoccupato per il suo lavoro e gli ultimi avvenimenti, era preoccupato per il futuro che questi eventi stavano prospettando, era preoccupato per Jungkook (molto) per il possibile contraccolpo che il giovane poteva ricevere senza meritarlo.

In generale era preoccupato per ciò che tutto questo poteva significare per lui e Jungkook.

Sì, era preoccupato e non riusciva a smettere di pianificare. I suoi pensieri vorticavano confusi mentre il suo cervello cercava di metter ordine alla ricerca di un piano che potesse funzionare, valutando scenari e possibilità e continuando a ripetersi ogni mattina di “andare avanti”.

Eppure più di ogni altra cosa, era preoccupato che tutti questi sforzi non sarebbero stati abbastanza.

Sapeva di essere testardo e che doveva solo aprirsi con il suo compagno, ma di fronte a tutte le difficoltà che Jungkook stava attraversando, Jimin non pensava di avere il diritto di lamentarsi di suoi personali desideri egoistici.

Jungkook probabilmente si sarebbe arrabbiato se lo avesse sentito parlare così di sé stesso.

Aveva voluto essere molto chiaro sin dall’inizio della loro relazione, di modo che Jimin sapesse che non c'era più la necessità di nascondergli qualcosa, che avrebbe accettato ogni cosa, e che amava le sue brutture così come tutte le sue ferite in quanto facenti parti di Jimin e quindi Jimin stesso.

A Jimin tuttavia, appunto perché amava Jungkook alla follia, riusciva difficile non volerlo proteggere dall'angoscia che il loro stato di impotenza avrebbe inevitabilmente causato loro.
Non importava quanto Jungkook si fosse impegnato, augurato o sperato, questa non poteva aggiustarla, e Jimin non voleva che si sentisse come se avesse fallito Jimin in alcun modo, soprattutto quando Jungkook si era messo per sé stesso degli standard altissimi. E non quando per lui "fallimento" equivaleva a essere Min Yoongi.

“Per quel che mi riguarda, la mia anima gemella sei tu, " aveva detto Jimin con tutta la sincerità di cui era stato capace quando Jungkook gli aveva confessato il suo complesso nei confronti del suo ex amante.

Jimin certamente non poteva negare di essere stato innamorato di Yoongi. Ma pur sapendolo e anche nei rari momenti in cui le cose sembravano andar bene, aveva sempre saputo in cuor suo che l’amore non avrebbe potuto mettere una pezza al fatto che fossero due pezzi di un puzzle destinato a non essere mai composto.

Ecco perché aveva fatto così tanto male, da sempre.

Anche quando lo aveva creduto un numero zero, Jimin sapeva che non era per lui.

Eppure con Jungkook, nonostante il giovane fosse stato perentorio nel dichiarare più e più volte il suo diritto all’indipendenza dal momento che il sistema lo aveva lasciato solo, Jimin non si era mai sentito disperato né inadeguato. Perché Jungkook non aveva fatto altro che dire la verità.

Erano numeri zero e sulla carta erano le ultime persone che avrebbero potuto stare insieme e mantenere una relazione.

Denudati di ogni artifizio e aspettativa, Jimin e Jungkook si erano avvicinati per quello che erano, stampi vuoti dello stesso legno i quali tuttavia nello sfregarsi avevano generato calore.
Quello che avevano era troppo prezioso perché Jimin lo rovinasse con i propri problemi e perciò era determinato a sopportare in silenzio il più a lungo possibile, sperando che il solo desiderarlo fosse sufficiente a farlo sparire.

La negazione, dopo tutto, era la sua unica arma.

Jimin si dimenò nervoso sulla sedia, mentre scrutava nervosamente l'ambiente circostante.

Come aveva detto a Jungkook, si era messo d’accordo con Taehyung di pranzare insieme e sperava che la presenza dell’amico lo aiutasse a calmarsi.

E questo perché oltre a essere una persona molto calorosa, Taehyung gli ricordava davvero Jungkook, non importava quanto questi si indignasse per l’affronto di un tale confronto.
C'erano molte piccole abitudini e modismi che entrambi avevano, di cui non erano neppure consapevoli, che li rendeva simili. Il modo in cui mangiavano sempre con la forchetta tenuto al rovescio; il fatto che entrambi odiavano il caffè schietto e lo bevevano solo se affogato in tre litri di latte e zucchero; le mimiche facciali tendente al dramma; e il modo in cui entrambi tendevano a esprimere la propria opinione sempre e comunque senza preoccuparsi di censurarsi troppo.

Era un fatto che sia Jimin che Hoseok trovavano affascinante e Jimin era contento che crescendo i due avessero potuto contare sull’altro al punto da influenzarsi a vicenda. Naturalmente Taehyung gli piaceva anche per la persona che era individualmente.

Più estroverso e frizzante di Jungkook, Taehyung aveva una disposizione così positiva verso la vita che era in grado di sollevare l'umore di chiunque.

Aveva perfettamente senso, in effetti, che fosse finito per essere l'anima gemella di Jung Hoseok, il suo compagno di danza quando erano bambini, e probabilmente la persona più accomodante e piena di energia che Jimin avesse mai conosciuto.

In conclusione Taehyung era, per molti motivi, l'amico di cui non sapeva di aver avuto bisogno e che era grato di aver incontrato. Jimin gli voleva molto bene.

Eppure anche così, un sentimento angoscioso aveva iniziato a mettere radici nel suo cuore. Diffondeva il suo veleno lentamente e inesorabilmente, non importava quanto Jimin combattesse contro di esso, e così ogni volta che incontrava un numero due, e nella fattispecie Taehyung, un profondo e bruciante sentimento di invidia rischiava di annegarlo tutto.

Nonostante la sua situazione, Jimin non aveva mai nutrito sentimenti negativi nei confronti dei numeri due. Odiava il sistema per aver creato disuguaglianze e seminato discordia tra le parti e si arrabbiava con le persone che usavano il sistema per giustificare le loro azioni sbagliate, ma non era mai stato contro i numeri due solo per via della loro etichetta.

Tuttavia via via che i suoi desideri mettevano radici così cresceva anche la sua avidità, e diventava sempre più difficile non provare invidia nei confronti di tutti quelli che potevano facilmente avere ciò che a lui non era concesso, e ancora di più verso coloro che – come Taehyung - pur avendo i privilegi, non ne facevano uso.

La porta del ristorante tintinnò e questa volta la persona che oltrepassò la soglia fu Taehyung, che scandagliò subito la stanza alla ricerca di Jimin.

Avrebbero dovuto incontrarsi nel loro solito ristorante nel centro della città, ma la polizia aveva imposto blocchi stradali per impedire l'ingresso di numeri zero per Dio sapeva quale motivo. Ed era per questo che avevano deciso di mangiare nella caffetteria accanto al centro ricreativo, che era ben lungi dall'essere un luogo turistico e probabilmente un posto che normalmente una persona sul raffinato andante come Taehyung non avrebbe mai considerato.

Il centro ricreativo era stato fondato in una parte della città considerata zona B, suburbio composto da capannoni di piccole fabbriche, case modeste e vecchi condomini abitativi mai restaurati. Non era un luogo esteticamente bello ma era sicuro e al riparo da occhi indiscreti. Non solo i cittadini del centro città non ci sarebbero mai andati, ma anche le istituzioni vi prestavano poca attenzione e dal momento che si trattava di luoghi poco popolari, chiudevano un occhio sulle attività di un distretto così dimenticato.

Era stato un buon posto per operare senza problemi e a Jimin piaceva pensare che la buona reputazione che il centro aveva costruito intorno a sé nel corso degli anni, avesse contribuito a elevare lo status di quella parte della città, rendendola un quartiere più accogliente.

Jimin sollevò un braccio per farsi notare e il sorriso che Taehyung gli diede quando i loro occhi si incontrarono lo fece vergognare dei sentimenti che stava nascondendo. Taehyung era un buon amico. Non aveva bisogno che lui si sentisse così nei suoi confronti.

"Hey! Riesci a credere che sono venuto qui per visitare te e Seokjin un sacco di volte ma non mi sono mai fermato nel quartiere? Ammetto di essermi perso, quindi scusami per il ritardo!” Taehyung disse tutto d’un fiato mentre si sedeva di fronte a Jimin.

"Non preoccuparti, sono appena arrivato anch'io,” disse Jimin, agitando una mano per minimizzare.

In realtà era arrivato con mezz'ora d’anticipo, sperando che un cambio di aria lo avrebbe aiutato a dimenticare l'espressione ferita di Seokjin quando l’agenzia per la sicurezza che avevano assunto per installare un sistema di video sorveglianza nel centro, era venuta a fare il proprio lavoro. Era stata una decisione difficile da prendere perché entrambi odiavano ogni tipo di strumento di monitoraggio, eppure la sicurezza della comunità veniva prima dei sentimenti personali.

Taehyung sorrise ancora una volta prima di prendere il piccolo menu e seppellirci il naso.

Jimin osservò le linee rilassate del suo volto e si chiese se anche lui un giorno avrebbe avuto quel tipo di aspetto fantastico. Jimin non stava parlando di avvenenza, anche se era indubbio che Taehyung fosse un bel ragazzo. Jimin intendeva quella brillantezza che sembrava risplendere da ogni suo poro, di chi sa che al mondo nulla può turbarlo o nel caso così non fosse che questo potesse essere facilmente sistemato.

Jimin immaginava che tornare da una tua terza luna di miele desse un aspetto spettacolare a chiunque, ma la verità era, in effetti, che Taehyung aveva ben poco di cui preoccuparsi.
Certo come ogni persona doveva affrontare i piccoli dossi quotidiani della vita adulta ma, per ammissione stessa di Taehyung, per anni la sua unica e più grande fonte di preoccupazione era stata il benessere di Jungkook e dal momento che il suo migliore amico si trovava in una relazione felice, anche quella ragione era scomparsa.

Jimin si chiedeva cosa avrebbe pensato Taehyung se avesse saputo che tipo di pensieri gli turbinavano in testa.

"Allora, com'è andato il tuo viaggio?" Chiese Jimin dopo che il cameriere fu passato a raccogliere i loro ordini.

"Meraviglioso! Tu e Jungkook dovete andarci almeno una volta, penso di non aver mai visto spiagge più belle!" Taehyung disse con entusiasmo.

Per un momento Jimin si permise di fantasticare sull'idea. Non sembrava una brutta idea uscire dal loro paese e godersi la pace che solo la bolla sicura di una vacanza era in grado di offrire. Fu una fantasia breve. Sapeva che loro non potevano.

“Magari un giorno. Siamo sempre così impegnati, poi dati i recenti sviluppi è meglio se non ci muoviamo troppo,”disse Jimin con un sospiro.

Aveva saputo dei blocchi stradali solo in mattinata e subito dopo aveva immediatamente chiamato Jungkook il quale gli aveva assicurato che stava bene. Jimin era stato sollevato, ovviamente, ma la notizia non dipingeva uno buono scenario per i numeri zero. Il governo stava operando sulla mobilità dei numeri zero sempre più spesso ed era capitato che a molti viaggiatori zero fosse stato impedito di attraversare i confini per motivi non ben definiti.

Considerando quanto fosse fragile la situazione politica, Jimin non voleva viaggiare e rischiare di non poter uscire, o peggio, tornare.

"Vado via solo per dieci giorni e le cose riescono a farsi ancora più strane,” commentò Taehyung, una smorfia di disappunto in volto. “Namjoon mi ha raccontato cosa è successo con l'intervista di Jungkook. Sfortunatamente, non sono riuscito a convincere Jungkook ad elaborare ulteriormente sull’accaduto.” Sentendo il suo tono dispiaciuto Jimin cercò di porre rimedio alla situazione.
“È spaventato e non vuole che ti preoccupi per lui. Immagino che non sia stato facile neppure dirlo a me, ma quando ha iniziato questa carriera gli ho fatto promettere che non mi avrebbe nascosto nulla e per fortuna ha sempre prestato fede alla parola data,” Jimin spiegò con trasporto. Jungkook, leale e onesto Jungkook che manteneva sempre le promesse.

“Sono il suo migliore amico e gli amici si coprono le spalle. Ma solo stamattina mi ha detto che pensa che questo sia qualcosa che deve affrontare da solo. E tecnicamente anche noi abbiamo una promessa in piedi, accidenti a lui!” Taehyung protestò, spaventando il cameriere che era appena venuto a portare il pranzo.

Se Taehyung non fosse stato così irremovibilmente e completamente innamorato del suo numero uno Hoseok, forse Jimin si sarebbe sentito geloso del tipo di legame che Jungkook e lui condividevano. Ma considerando che era stato quel legame che era riuscito a far superare a Jungkook le difficoltà ed anche la ragione per cui Jimin aveva avuto modo di incontrare una persona così intera e meravigliosa, Jimin non pensava di poter mai provare alcun tipo di animosità al riguardo.

Non ne avevano mai parlato con Hoseok il quale aveva assistito di prima persona e molto più a lungo di lui a quel legame speciale, ma Jimin pensava che forse non ce n'era bisogno di confrontarsi per capire. Taehyung e Jungkook erano come due facce diverse della stessa medaglia.

“Non abbiamo sempre bisogno di sapere tutto per prenderci cura di chi amiamo. Anch'io mi preoccupo per lui, ma non posso essere lì ventiquattro su ventiquattro per proteggerlo da qualunque cosa gli possano lanciare addosso anche se lo vorrei. Posso solo fidarmi che mi permetterà di condividere il peso dei suoi affanni e rimanere al suo fianco durante i tempi meno belli. Anche se confesso che sapere che sia tu che Namjoon lo tenete d'occhio è ciò che mi ha impedito di andare fuori di testa,”Jimin disse prima di masticare finalmente un boccone della sua bistecca.
Taehyung fece una faccia strana, che Jimin non riuscì a decifrare, ma poi la piega delle sue sopracciglia si appianò e qualsiasi cosa Taehyung avesse pensato scomparve.

“Puoi sempre contare su di me, Jimin. Non solo per via di Jungkook, spero che tu lo sappia,” disse Taehyung guardandolo negli occhi. “Seokjin e Namjoon, Hoseok e io, siamo numeri due e potremmo non capire mai cosa avete passato entrambi, cosa passate entrambi ogni giorno della vostra vita, ma vi amiamo. Quindi, anche se siamo ignoranti e non lo capiremo mai, noi ci siamo," Taehyung disse e Jimin sentì ribollire il sangue nelle vene per il disperato bisogno che improvvisamente sentiva di aprirsi.

“Che voi siate numeri due non è mai contato per noi. Anche noi vi amiamo a prescindere,” rispose Jimin accorato.

Il sorriso di Taehyung era così largo e genuino che i sentimenti di Jimin stavano correndo il rischio di strabordare. Che male avrebbe fatto confessare? Era lecito aprirsi con Taehyung e non con Jungkook?

Non ci era riuscito neppure con Seokjin, il suo migliore amico.

Taehyung si stava asciugando la bocca, ma si fermò non appena si rese conto che Jimin lo stava guardando intensamente.

"C'è qualcosa sulla mia faccia?" chiese innocentemente, e Jimin scosse la testa ancora incerto, incapace di formare parole.

"No, il tuo viso è perfettamente pulito, in realtà ... Volevo chiederti una cosa,” riuscì a far uscire Jimin alla fine.

"Certo, spara!" Taehyung disse, incoraggiante. Jimin poteva davvero fare questo a Jungkook? Ma aveva bisogno di dirlo a qualcuno anche se non poteva pensare di ferire la persona che amava di più.

"Ti sei mai sentito come se tutto quello che hai, tutto quello di bello che hai, sia tantissimo eppure non abbastanza allo stesso tempo? Sei mai stato tormentato dal desiderio del volere di più?"

"Di più di cosa?" Chiese Taehyung, sopracciglia che si aggrottavano, confuse.

Fu come essere schiaffeggiato in faccia, perché quella era la stessa domanda che si poneva ogni volta che il problema riappariva, ma per una volta Jimin lo sopportò e andò oltre.

“Ognuno di noi ha la sua parte di preoccupazioni e problemi e certamente il mondo esterno non sempre aiuta le nostre situazioni… però la mia vita, è una buona vita. Molto buona. Eppure anche così… non ti svegli mai con la sensazione di non poter continuare a fare gli stessi passi ancora e ancora, come se stessi soffocando nella tua stessa pelle al pensiero che possa esistere qualcosa che potrebbe rendere la tua vita migliore? Come se tu ti stessi perdendo qualcosa di importante?”

Jimin non sapeva come spiegarsi senza essere spaventosamente esplicito, ma doveva provare così e capire prima se Taehyung era in grado di immaginarsi qualcosa di diverso da quello che già aveva.

"Non so se sto capendo cosa stai cercando di dire, Jimin,” disse Taehyung, fronte corrugata in profonda confusione. “Da quando ho incontrato Hoseok ho sempre pensato che ogni giorno che aggiungiamo al nostro tempo insieme sia migliore del giorno precedente. Come se l'amore invece di espandersi, si accumulasse, strato dopo strato in una montagna enorme di euforia. Non riesco a pensare a qualcosa di più, non riesco a pensare di vivere diversamente da come sto già vivendo. Solo io e Hoseok, è più di quello che avrei mai potuto augurarmi per me,” concluse Taehyung con una semplicità così terrificante, che ogni pensiero di voler confessare morì in gola a Jimin.

Avrebbe dato il suo braccio destro per poter provare la stessa cosa.

Forse il governo aveva sempre avuto ragione, forse c'era qualcosa di sbagliato nei numeri zero, qualcosa di indubbiamente difettoso. Jimin peraltro non si sentiva solo imperfetto. Si sentiva orribile.

Eppure anche Jungkook era un numero zero e Jimin non riusciva a pensare a un’anima più bella della sua, quindi alla fine forse era lui.
Era lui, il problema.

“Ma perché me lo chiedi? C'è qualcosa che ti preoccupa Jimin? Non sei soddisfatto del tuo lavoro, sei ... c’entra Jungkook ...stai ripensando alla tua relazione? " Taehyung chiese incerto, quasi vergognandosi di porre l'ultima domanda, eppure guardandolo come se fosse pronto a ricevere una bomba.

Gli occhi di Jimin si spalancarono per lo shock.

"Che cosa? No! Assolutamente no! Amo Jungkook, lo amo più di quello che posso esprimere a parole. È la cosa migliore che mi sia mai capitata! Non pensare mai diversamente, per favore!" Rispose Jimin agitato.

Sentì il calore aumentare nelle sue guance e sapeva che più di un paio di sguardi erano atterrati su di lui, ma non gli importava, sostenne lo sguardo di Taehyung perché aveva bisogno che l'altro non avesse alcun dubbio.

"Mi dispiace! Mi dispiace! Non era mia intenzione offenderti! Jungkook dice sempre che ho il tatto di un elefante in un negozio di cristalli e immagino che avesse ragione! È solo che Jungkook sembrava preoccupato stamattina e ora mi stai dicendo questo ... Ho fatto due più due ma probabilmente non era questa la somma da fare. So che vi amate, è solo che il tuo discorso mi ha confuso. Perdonami Jimin, non sono una persona intuitiva,” Taehyung concluse mortificato e ugualmente agitato.

"Non è colpa tua Taehyung, sono un pessimo oratore e scommetto che le mie parole non sono state affatto chiare,” rispose Jimin, stringendo la mano di Taehyung in modo rassicurante.
Taehyung sospirò sollevato e Jimin gli sorrise. Anche se gli costò farlo.

Aveva sempre saputo, nel profondo, che non poteva confessarlo a nessuno. Chiuse brevemente gli occhi mentre si preparava a dire ancora un'altra mezza verità. E un'altra mezza bugia.

“Questi tempi sono strani e pericolosi. A volte temo che succederà qualcosa a strappare via la mia felicità. Mi piacerebbe trovare il modo di fare di più, trovare un modo per impedire che accada qualcosa di brutto. "

C’era del vero in quelle parole perché Jimin non poteva negare che il governo con le sue regole spietate assieme a un mondo esterno aspro e senza cuore stessero minando il loro equilibrio, ma c’era qualcosa di molto più personale e meno a che fare con l’esterno in quello che sentiva Jimin.

Ed ora aveva la prova del fatto che Taehyung non poteva capire. E molto probabilmente nemmeno Jungkook.

Come per dare più autenticità alle sue parole, neanche si fossero messi d’accordo, il proprietario del bistrot alzò il volume della TV che faceva sfoggia di dietro al bancone. La voce piatta e priva di intonazione di un giornalista si propagò nella stanza per annunciare che i blocchi stradali erano stati sollevati e per informare la popolazione che il governo era riuscito ad arrestare un gruppo di disturbatori.

Durante tutti quegli anni, dacché ne aveva memoria, i canali di informazione avevano riportato per lo più solo brevi riassunti di politica, alcune novità banali e gli incidenti occasionali che persino il loro governo oppressivo non poteva impedire come disastri naturali o incidenti. Anche allora però la narrazione era orientata a sottolineare come il governo fosse puntualmente riuscito a contenere i danni. In sintesi, il filo conduttore delle trasmissioni televisive era stata la perfezione del loro sistema governativo.

Tuttavia, ciò che era sempre stato notevole e che non aveva mai smesso di essere fonte di incredulità per lui, era la facilità con cui tutti sembravano essere in grado di ingoiare qualsiasi cosa il sistema desse loro in pasto.

Fino ad ora.

Il cambiamento era sottile, ma era lì. Una volta il cittadino medio non si sarebbe mai interessato di politica o questioni sociali e comunque non così apertamente. Dopo il referendum tuttavia, lentamente ma con costanza, la facciata aveva iniziato a mostrare le sue crepe. Adesso la gente ascoltava e guardava con attenzione. Non era chiara comunque quale svolta avrebbe preso questa nuova consapevolezza.

Considerando che il primo risultato di questo primo interesse era stato il freedom movement, Jimin era molto più che leggermente preoccupato.
Tuttavia, per quanto preoccupante fosse, ciò che stava congelando il sangue di Jimin nelle vene era il fatto che la TV stesse mostrando immagini e video di atti di vandalismo molto simili a quello che era accaduto a loro.

Jimin riuscì a respirare solo quando le notizie furono passate e non fu riportata una parola sul centro ricreativo. In un attimo il suo castello di carta sarebbe potuto crollare se avessero mandato in onda l’incidente prima che lui fosse riuscito a parlare con Jungkook.

Jimin era stato uno sciocco a credere di poter nascondere tutto sotto il tappeto. Scommettere così sulle circostanze nella cieca speranza che Namjoon non discutesse degli avvenimenti del centro con Jungkook.

“Jimin?” Taehyung gli stringeva forte la mano preoccupato. Jimin distolse gli occhi dallo schermo per riportarli su Taehyung.

La faccia di Taehyung era tesa. Indicò la porta, suggerendo silenziosamente di uscire di lì se questo era ciò che Jimin voleva, considerando come si era raggelato l'ambiente circostante. Jimin inghiottì le sue paure e scosse la testa.

"Restiamo. Non abbiamo ancora finito e mi rifiuto di andarmene senza dolce.”

Taehyung annuì, si accomodò meglio sulla sedia e bevve un grande sorso dal suo bicchiere.

Jimin sapeva che Taehyung non aveva mai dovuto fingere nemmeno uno dei suoi sorrisi durante la sua vita perché per lui era vero che la sua felicità era la sua anima gemella designata. Ma Taehyung non era ingenuo né cieco: aveva visto i suoi cari soffrire per mano di quello stesso sistema di anime gemelle che aveva concesso a lui così tanto.

Rimasero lì come aveva richiesto Jimin e fecero del loro meglio per godersi ogni cosa. Si separarono con riluttanza, desiderando entrambi di avere più tempo perché era palpabile l’aria di sospensione che aleggiava tra di loro. Taehyung però doveva tornare alla KN Ent. e Jimin al centro ricreativo.

IL centro ricreativo ormai diventato più un istituto nella sua struttura, doveva inaugurare il nuovo anno accademico e Jimin doveva ancora finire di organizzare il programma della giornata aperta. Anche se la cerimonia di apertura si svolgeva solo nella sede centrale, Jimin e Seokjin dovevano ancora controllare che i corsi non si sovrapponessero e assicurarsi che tutto procedesse senza intoppi. Era un sacco di lavoro, ma a Jimin piaceva. Per giunta prima del giorno della cerimonia, era loro tradizione tenere il centro aperto per quei genitori e quelle persone che erano ancora incerti sull'iscrizione o non avevano fatto in tempo a iscriversi.

Non volendo intimidirli imponendo la loro presenza in quanto direttori, Jimin e Seokjin di solito lasciavano questo lavoro di benvenuto ai loro insegnanti. Jimin sapeva che, nonostante la loro buona reputazione, alcune persone potevano essere ancora incerte o scettiche. Dopotutto, lo era stato anche Jimin quando Seokjin gli aveva restituito il volantino dei corsi di ballo.

Durante le giornate aperte quindi Seokjin lavorava da casa e Jimin si chiudeva nel suo ufficio.

Quindi ora si affrettava per le strade, impaziente di tornare nel suo ufficio e nascondercisi dentro.

Taehyung gli aveva offerto un passaggio, ma Jimin aveva rifiutato. Desiderava respirare un po’ d'aria fresca e chiarire i suoi pensieri.

Aveva fatto un buon lavoro nel nascondere i propri sentimenti, ma Jimin ammetteva di essere più scosso di quello che voleva ammettere. Si sentiva nervoso e infelice e si trovò quindi a percorrere il paio di isolati che lo separavano dal centro con un senso di struggimento a cui si sommava la paura per ciò che aveva visto in TV soprattutto se correlato agli avvenimenti della giornata.
Per l'amor di Dio. Prima le sue stupide fantasie. Non Aveva bisogno di iniziare a paranoiarsi anche sul resto.

"Jimin, vieni qui!" una voce - la voce di una donna - urlò nella sua direzione.

Colto di sorpresa quasi inciampò sui suoi stessi piedi e con la mente che correva a immaginarsi i peggiori scenari, rimase immobile e impietrito sul posto. Ma qualunque pericolo la sua mente aveva evocato nel suo stato accelerato, non accadde mai.

“Jimin! Quante volte ti ho detto di non correre davanti a me!” Disse la donna in tono di rimprovero. Non guardava nella sua direzione né tantomeno si stava rivolgendo a lui.
Parlava a una bambina che saltellava a un paio di metri da lui, la quale sfoggiava il broncio più grosso che Jimin avesse mai visto, probabilmente nel tentativo di ammorbidire sua madre.
"Scusa mamma. Non lo farò più,” mormorò la bambina. A giudicare dal sorriso di sua madre, ci era riuscita.

"Sarà meglio. Ora andiamo a casa e rimani qui accanto a me, " rispose la donna prima di prendere la piccola mano della bambina tra le sue. Quest'ultima contenta di aver scampato una sgridata saltellò su stessa felice.

Jimin si sentì sollevato e nel complesso un po' stupido.

Jimin era un nome abbastanza comune e adatto sia un maschio che a una femmina, quindi ovviamente tutti quelli che urlavano quel nome non si rivolgevano necessariamente a lui.

Osservò il duo riprendere il cammino, mano nella mano, inconsapevole di aver attirato l'attenzione di uno sconosciuto, ma questo cambiò quando la donna guardò di fronte e se lo trovò davanti. Lo squadrò torva da capo a piedi e Jimin, imbarazzato per essere stato sorpreso a assistere a un momento così tenero, sorrise nella loro direzione a mo’ di scusa. La donna lo ignorò, puntò rapidamente lo sguardo a terra e accelerò il passo, passandogli accanto come se lui non esistesse.

Jimin fece una smorfia. Probabilmente doveva essere parso uno stralunato.

Per qualche motivo rimase fermo un paio di secondi a fissare le due figure. La bambina si era voltata e aveva agitato timidamente la mano nella sua direzione. Jimin intenerito fece un cenno con la mano a sua volta e rimase lì fino a che non le vide scomparire dietro l’angolo.

Le sue spalle si afflosciarono.

Non c'era pericolo alcuno la fuori, ma solo una madre che si prendeva cura di sua figlia.

Era meglio che si desse una calmata se una bambina col suo nome era in grado di scuoterlo così tanto.
 

 

 
Jungkook stava provando la sua esibizione da ore in una delle sale della stazione televisiva. Non era l'ideale perché c'erano molti altri artisti, con i quali non aveva molta familiarità, che avendo avuto un problema simile utilizzavano lo stesso spazio.

C'era un cantante in particolare che aveva guardato Jungkook storto per tutto il tempo. Jungkook lo conosceva, anche se non molto bene. Era un giovane cantante fresco fresco di debutto, che non aveva mai lavorato con Jungkook e non capiva perché quindi costui avrebbe potuto avere animosità nei suoi confronti. Lavoravano in diversi campi artistici e il giovane era un numero due, chiaramente un livello irraggiungibile per Jungkook, e quindi decisamente uno spreco di tempo da parte sua darsi al bigottismo di classe quando contava già più di Jungkook.

Fortunatamente, il suo staff dedicato e il suo manager arrivarono non troppo tempo dopo che lui era arrivato e lo avevano aiutato a sistemarsi e perfezionare gli ultimi dettagli della sua esibizione. Dopo ore di lavoro, ora era quindi pronto a fare una doccia veloce nel suo camerino e passare per la sala trucco. E liberarsi dello sguardo insistente di quel giovane almeno per un po’.
Jungkook era sempre stato orgoglioso, ma non voleva dover mettere al suo posto un novellino alla vigilia di un evento così importante. Tuttavia prima che potesse uscire dalla sala, una voce lo chiamò.

"Jeon Jungkook?"

Si voltò verso la persona che si stava rivolgendo a lui, mentre si asciugava il sudore dal viso con un soffice asciugamano. Una giovane donna lo stava aspettando sulla soglia della sala di prova. Jungkook non aveva idea di chi fosse.

"Mr. Lee vorrebbe scambiare alcune parole con te, quindi dopo la prima registrazione sentiti libero di passare dal suo camerino,” disse, porgendogli un biglietto da visita. Quando Jungkook lesse il biglietto quasi si lasciò sfuggire un verso per la sorpresa.

Con "Mr. Lee ", la giovane donna aveva inteso quel Mr. Lee, uno dei cantanti più popolari della nazione. Ed anche il suo scandalo più recente, considerando che era fresco di coming out sul suo status.

Jungkook era convinto che se non bandito da ogni esibizione, sarebbe stato lui stesso a cercare di non esporsi troppo dopo quel fatto. E invece il cantante era lì come da programma ed ora chiedeva di lui. Perché?

"Allora sono vere le voci che dicono che hai amici ai piani alti,” osò rivolgergli la parola il giovane cantante.

Apparentemente aveva assistito al breve scambio, ma anche così Jungkook non capiva perché questo tizio stesse facendo un commento del genere con una così chiara mancanza di rispetto ed educazione.

Tuttavia, prima di poter chiedere chiarimenti al ragazzo questi si era già allontanato.

Le sopracciglia di Jungkook si corrugarono mentre le sue dita stringevano violentemente il biglietto da visita.

Che cosa stava succedendo?
 
   
 
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