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Autore: AleeraRedwoods    12/04/2020    3 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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 -Illusione-




    Un manipolo di orchi strisciò lungo le pendici degli Ered Lithui,[1] celato dal favore delle perpetue tenebre di Mordor.
    Anche dopo la distruzione dell’Unico Anello, il Monte Fato non aveva smesso di innalzare la sua alta colonna di cenere e lapilli e continui incendi devastavano quel poco di sterile vegetazione che ancora resisteva nella vasta pianura del Gorgoroth.
    L’orco a capo del gruppo fermò bruscamente i compagni, poco più di una disordinata mezza dozzina: -Fermi, stupida feccia. C’è qualcuno.- Si appiattirono contro la pietra gelida.
    Per molti giorni avevano seguito gli spostamenti dell’immenso esercito nero che aveva preso vita in quelle montagne e con i loro occhi avevano visto le carcasse putride delle passate legioni di Sauron alzarsi in piedi e radunarsi come diligenti formiche silenziose. Quando l’esercito aveva infine preso a marciare verso Ovest, il piccolo gruppo aveva colto l’occasione per scoprire chi dimorasse ora in quei luoghi maledetti.
    L’orco in testa all’improvvisata compagnia si sporse verso la piana sotto di loro, grugnando: -Ci sono guardie. Guardie non morte.- Gli altri ringhiarono rumorosamente e lui fu costretto a zittirli a suon di spintoni: -Aggiriamoli, cani schifosi! Non dobbiamo farci vedere. Ricordate cosa è successo a quegli stupidi che sono arrivati fino a qui?-
    Uno degli orchi dietro di lui, piccolo e deforme, lanciò un’esclamazione con voce rauca: -Nessuno è tornato indietro!-
    Il capo gli tirò un violento pugno sul grugno, stizzito: -Sta zitto, verme! Non urlare o ci sentiranno.-
    Prima che potessero azzuffarsi nuovamente, un rumore improvviso alle loro spalle li fece sobbalzare. Ovviamente, le guardie non morte scorte poco prima aveva avuto tutto il tempo di accorgersi di loro, spostarsi e raggiungerli.
    Gli orchi brandirono le loro armi arrugginite con più ferocia che mai ma, dentro di loro, sapevano bene che, contro i due enormi moruruk[2] non morti, potevano fare ben poco. Questi parevano fissarli dall’oscurità dietro i loro elmi neri e, nel corpo fetido, la carne marcita lasciava intravedere le ossa grigie. Gli orchi si lanciarono all’attacco, urlando come ossessi.
    In breve, il capo dello sfortunato gruppo si ritrovò a guardare i compagni squartati cadere a terra, attorno a lui.
    L’uruk più grosso gli afferrò la testa, sollevandolo come se non avesse peso e l’orco ebbe solo il tempo di constatare che dietro l’elmo nero di quella creatura non vi fosse altro che un teschio coperto di melma, prima che questo gli spezzasse l’osso del collo con un violento schiocco.
    Impassibili, i moruruk legarono metodicamente le caviglie dei cadaveri e li trascinarono lungo lo stretto sentiero che conduceva alla vallata, sul fianco della montagna. Qui, svariate miglia sopra la valle del Gorgoroth, immense rovine nere si stagliavano contro l’orizzonte nebbioso. Guglie e bastioni un tempo di dimensioni mastodontiche, ora giacevano a terra come giganti addormentati, avvolti da una nebbia perenne e densa di gelida inquietudine. Era il lascito di un regno caduto trent’anni prima, ma il ricordo era ancora vivido nella mente degli Uomini dell’Ovest: Barad-dûr, la Torre Oscura.
    I due moruruk attraversarono l’ammasso di rovine velocemente, giungendo dinanzi ad una grossa spaccatura nel muro di pietra nera, sorvegliata da altri orchi non morti. Questi li lasciarono entrare, silenziosi e rigidi come statue.
    All’interno, le gigantesche rovine buie avevano l’aspetto di un intricato labirinto, che scendeva svariate miglia sotto terra.
    Quando la discesa sembrò diventare infinita, una luce tremolante illuminò le pareti di un corridoio largo e spoglio. I due uruk si diressero diligentemente verso essa e sbucarono in un’ampia sala dalle pareti nere, dove molte delle colonne portanti erano adesso spezzate e crollate sul pavimento di pietra.
    -Altri volontari pronti ad unirsi a noi, che piacere.- Commentò sarcasticamente una voce profonda, che riecheggiò nelle volte del soffitto. Un grosso candelabro faceva luce su una scrivania lucida, alla quale sedeva una singolare figura curva, avvolta in un mantello dall’ampio cappuccio scuro.
    Questa si alzò quasi a fatica, sorreggendosi su un bastone dalla cima nodosa. Arrivò lentamente vicino ai due moruruk, che non mossero un passo, nemmeno quando si chinò sui cadaveri, prendendo a esaminarli.
    Dopo una breve ispezione, la figura afferrò uno dei tanti sacchettini dall’aria consunta che pendevano dalla sua cinta e, con le dita secche e sottili, tirò fuori un minuscolo sassolino traslucido. Con metodo, lo schiacciò nella carne dell’orco più grosso, in profondità: subito, questo spalancò gli occhi vitrei, imitato all’istante da tutti gli altri cadaveri.
    -Alzatevi ora.- Ordinò la voce profonda dell’uomo incappucciato.
    Questi si tirarono in piedi come marionette e l’altro batté loro una pacca sulla spalla, amichevole: -Bene, bene! Andrete a guardia di questo luogo. Sono desolato, ma ormai gli altri sono partiti senza di voi. Suppongo lo sappiate già comunque, o non vi sareste azzardati ad avvicinarvi tanto.-
    Gli orchi non risposero.
    Certo non potevano rispondere, essendo morti.
    Eppure, ogni volta lui si prestava a quel futile giochetto, aspettandosi davvero una qualche battuta di spirito da parte loro. La figura curva dell’uomo fece segno ai non morti di andarsene e questi scattarono come un sol uomo, lasciandolo solo nella grande sala: -Che noia.- Commentò, laconico.
    Prese il candelabro e si avviò lentamente oltre le spesse colonne, seguendo un corridoio dalla volta pericolosamente frastagliata.
    Bussò a una porta di legno tarlato, posta proprio in fondo al corridoio, e una voce limpida gli giunse alle orecchie: -Avanti.-
    Una volta entrato, l’uomo con il bastone dovette aspettare che i propri occhi si abituassero alla luce degli ampi lampadari, prima di individuare i vari oggetti nella stanza. Tre enormi scaffali strabordavano di libri consunti e cianfrusaglie varie, la scrivania era sommersa da pietre e cristalli di forme e dimensioni improbabili e le pareti di pietra umida erano letteralmente tappezzate di disegni, scarabocchi e pagine ingiallite, strappate da chissà quale antico e dimenticato grimorio.
    La figura riuscì a farsi largo verso destra e a sporsi oltre le altissime pile di libri davanti a sé, individuando infine il proprietario della stanza: -Salute, Maestro!-
    Il grazioso elfo cui si era rivolto, sdraiato scompostamente sull’improvvisato letto di stoffa sdrucita, si voltò appena. -Salute, stregone.- Questo sedette sulla sedia di legno accanto al letto, sospirando, come colto da una grande fatica.
    -Che occhiaie indecenti. Sei forse stanco?- Chiese l’elfo, apparentemente poco interessato. L’altro annuì: -Muovere un migliaio di unità per così tanto tempo è faticoso.-
    -Oh, ma non mi dire.- Commentò l’elfo, sardonico. -Come se io non provassi la tua medesima fatica.- Il colorito dell’elfo, in effetti, era pallido, i suoi lunghissimi capelli neri sfibrati e spenti.
    Lo stregone gli posò una mano sulla fronte, premuroso: -Starai meglio. Ti permetterò di riposare a dovere non appena Maestro Saedor sarà giunto ai confini di Gondor.-
    L’altro parve rilassarsi sotto il suo tocco, socchiudendo i grandi occhi blu: -è giusto così. Ora è lui ad aver bisogno della nostra forza.-
    Stettero un po’ in silenzio, a riflettere ognuno sui propri crucci.
    Poi, entrambi furono distratti da un sussurro nell’aria.
    Era una voce femminile, flebile come un alito di vento, lontana e vicina allo stesso tempo. L’elfo dai capelli scuri non si scompose e si limitò a rivolgere un’occhiata allo stregone. Infatti, egli sapeva bene da dove provenisse quella voce e infilò velocemente una mano nella manica della veste blu. Estrasse con delicatezza un grosso pezzo di quello che poteva sembrare vetro scuro, dai bordi frastagliati, e guardò attentamente dentro ad esso: -La stella si è ritirata nel Palazzo, da sola. Riesco a vederla, attraverso le tende della sua stanza.- Sorrise.
    L’elfo dai capelli neri sollevò le sopracciglia arcuate, curioso:
    -La nostra efficiente spia non perde tempo.- Commentò.
    -Come sempre...- Lo apostrofò l’altro, concentrandosi sulle immagini che si muovevano veloci sotto la superficie traslucida del vetro: -Mhm, credi di avere abbastanza energie da permettermi di fare una cosa davvero divertente, Lhospen? Devo ancora sistemare alcuni dettagli del mio piano e questo mi sembra il momento perfetto.- Chiese allora lo stregone, allargando il proprio ghigno. L’elfo ricambiò il sorriso, intuendo al volo i pensieri dello stregone: -Quello che desideri.-
    Sedette sul letto e incrociò le gambe affusolate, respirando profondamente. Prima, scrutò nel vetro scuro, come a imprimersi nella mente ogni dettaglio della scena che vi era riflessa; poi chiuse gli occhi blu e, dopo poco, lo stregone si trovò immerso nella penombra di una stanza da letto. Qui, la stella dormiva, l’espressione serena. -Chissà cosa sta sognando.- Sussurrò.
    Lhospen gli lanciò un’occhiataccia, continuando ad arricchire l’illusione attorno a loro. Portare le loro proiezioni astrali fino a Minas Tirith era un esercizio difficile, soprattutto se l’unico riferimento che aveva era un’immagine sfocata, dentro una pietra traslucida. Si concentrò e la sua illusione si fece sempre più macabra. Aggiunse una pila di cadaveri mutilati, qualche fiotto di sangue qua e là. Poi si concentrò sui suoni, gli odori, le sensazioni: non vedeva l’ora di vedere la faccia spaventata della stella. Volle esagerare e la giovane Principessa Miniel era di certo perfetta per quella parte del suo piano.
    Lo stregone, una volta conclusasi l’opera, fissò la scena davanti a sé e squadrò la propria figura gemella, come l’elfo l’aveva creata: -Io non sono così alto, Lhospen.- Puntualizzò.
    L’altro scosse una mano: -Dettagli, dettagli. Tu pensa al tuo discorso, io penso all’illusione. Questi sono i patti.- Lo stregone rise, posando il proprio bastone e concentrandosi totalmente sul suo compito. Sapeva bene cosa fare.
    La falsa Miniel svegliò la stella con la sua petulante voce e il falso stregone, puntualmente, la uccise. Quello vero, comodamente seduto sulla sedia di legno, alzò gli occhi al cielo per l’esagerata teatralità del Maestro delle Illusioni, che invece sorrideva, sadico.
    La scena si protrasse per un po’, tragica.
    Poi la stella reagì con improvvisa violenza.
    Quando la luce bianca del suo potere si stagliò nella scena, Lhospen sobbalzò, preso in contropiede. -Presto, mostrale il volto di Alatar!- Impose velocemente lo stregone.
    L’elfo fece quanto gli era stato detto, cercando di rimanere più fedele possibile alla realtà. Ed ecco apparire il viso dell’altro stregone, più dettagliato di quanto Lhospen volesse ammettere.
    A quella visione, la stella si spense all’istante e Pallando allargò il proprio ghigno: -Come sospettavo. Alatar ha fatto un gran bel lavoro. Ora mostrale il mio volto.- Sibilò.
    Quando fu certo di aver catturato a dovere l’attenzione di Sillen, sorrise: -Stella dei Valar… che piacere conoscerti.-

 
**

    Sillen aprì gli occhi, frastornata.
    Era buio, doveva essere calata la notte. Sdraiata sul morbido letto, cercò di muoversi ma, con sua grande sorpresa, trovò qualcosa a trattenerla. Strattonò gambe e braccia ma queste erano strette da spessi anelli di ferro: era incatenata ai quattro angoli del letto.
    Improvvisamente, le immagini di poco prima le invasero la mente con prepotenza. I cadaveri, Alatar, Miniel e quell’individuo...
    Si agitò, furiosa e spaventata, urlando: -Dannazione, dove sei maledetto?!- Una luce si accese improvvisamente al suo fianco e lei sobbalzò. Era la luce di una candela, la cui fiammella zampillò sul comodino, viva e tremolante, illuminando la figura seduta sul bordo del letto. Sillen strattonò più forte le catene, non aspettandosi di trovarlo così vicino.
    -Non temere, Stella dei Valar. Se avessi voluto ucciderti, lo avrei già fatto.- Sorrise lo stregone davanti a lei.
    La stella approfittò della fioca luce per guardarsi febbrilmente intorno ma si pentì ben presto di averlo fatto. I corpi dei suoi compagni non erano più ammassati in un angolo: i loro cadaveri ciondolavano dal soffitto, appesi per i polsi, le orbite nere e vuote scavate nei volti pallidi.
    La stella serrò gli occhi, stringendo i pugni.
    Non riusciva a guardare, non riusciva nemmeno a pensare.
    Sentì l’uomo al suo fianco muoversi e gli puntò gli occhi ametistini addosso, cercando di concentrarsi su di lui.
    Era tutto perduto. I suoi compagni erano tutti morti.
    -Dimmi, Sillen. Che cosa stai provando, in questo momento?-
    -Ti ucciderò!- Urlò lei, fuori di sé. Voleva strappargli quel sorrisetto dalla faccia, a mani nude. -Capisco.-
    Lo stregone si passò una mano sul viso, tirando in dietro i lunghi capelli brizzolati. Un gesto quasi… familiare.  
    -Chi sei, maledetto?- Sibilò la stella, fissandolo.
    Quegli occhi grigi, quell’abito blu e sbiadito…
    Lui ricambiò il suo sguardo, accennando un sorriso: -Il mio nome è Pallando.- Rispose, candidamente. Per un attimo, la stella non fu in grado di elaborare l’informazione.
    Dentro di sé, urlava. 
    Pallando, lo Stregone Blu. Il compagno di Alatar.
    Sì, di Alatar, del suo Alatar. Com’era arrivato sino a lì?
    Non era possibile, le Aquile lo avrebbero di certo visto, le guardie lo avrebbero fermato.
    Sillen soppresse un conato. Era sconvolta, disgustata e spaventata. Sentiva il battito frenetico del suo cuore nei polsi, premuti contro gli anelli di ferro.
    -Presto dovrò andarmene, Stella dei Valar. Non ho molto tempo.-
    Catturò di nuovo la sua attenzione, Pallando. Lo stregone blu non somigliava molto ad Alatar, a dire il vero: al contrario di quest’ultimo, Pallando sembrava più vecchio e debole, i polsi sottili e il volto scavato. I lunghi capelli erano ormai quasi del tutto grigi, screziati di un bianco sporco e gli occhi piccoli erano cerchiati da profonde occhiaie scure.
    Ad un tratto, la stella ridusse gli occhi arrossati a due fessure e il suo respiro affannoso si bloccò improvvisamente: per un secondo, solo per un secondo, la veste lurida dello stregone parve tremolare, come uno specchio d’acqua increspato dal vento. La stella tornò a concentrarsi sul suo interlocutore.
    -Hai ucciso tutti.- Ringhiò, strattonando le catene tanto da incrinare lo spesso legno del letto. Pallando si guardò attorno, come se vedesse quei cadaveri per la prima volta: -Che macabro spettacolo, eh?- Le chiese. Con un gesto, lo stregone oscurò tutto ciò che stava intorno a loro, persino il letto e a Sillen parve di essere incatenata al buio stesso.
    Solo lei, Pallando e la candela che nient’altro illuminava, sospesi nel nulla.
    -Sono qui per proporti un accordo. Arrenditi e io risparmierò la città di Minas Tirith, dove con tanta presunzione credi di resistermi.- Sorrise lui. Sillen serrò la mascella, senza credere ad una singola parola: -Tu sei pazzo! Come puoi pensare che io accetti un accordo con te?-
    Lui parve rifletterci su, guardando altrove.
    Poi incrociò le braccia e sorrise, un ghigno tirato a scoprire i canini innaturalmente appuntiti: -Dunque sei sveglia come credevo che tu fossi, Stella dei Valar! Hai intuito che tutto questo è solo un sogno.-
    Dannazione. Se ne era già accorto.
    Lei imprecò e si mosse velocemente, distruggendo le catene con un solo, violento strattone del braccio. Afferrò il bavero dello stregone: -Che tu sia maledetto.- Sibilò, spezzando con gesti secchi le altre catene, come fossero di vetro sottile. Si tirò alla stessa altezza dello stregone, incenerendolo con lo sguardo.
    -Le illusioni perdono di efficacia, quando vengono smascherate.- Disse lui, senza che un fremito turbasse la sua espressione divertita. -Codardo! Se tu non fossi solo una dannata allucinazione, ti avrei già ucciso.- Ringhiò la stella, a un soffio dal viso magro dell’uomo. Lui ricambiò lo sguardo di quei magnetici occhi viola, che mandavano bagliori cristallini: -Mhm, Alatar ne soffrirebbe.- Le labbra di Sillen tremarono impercettibilmente.
    Non doveva credere a quel maledetto ingannatore, non voleva.
    Pallando approfittò del suo silenzio per infierire: -Andiamo, Stella dei Valar. Chi pensi mi abbia comunicato la tua posizione?- Sussurrò lui: -Chi se non lui poteva sapere in anticipo dove ti avrei trovata, ogni volta? Al Nido delle Aquile, a Gondor… Faresti meglio ad aprire gli occhi, mia cara.-
    Sillen scosse con forza la testa, alzando un pugno: -Stai zitto!-
    Lhospen, concentrato come da tempo non era, strinse la mascella e si affrettò a cambiare scenario, per paura che lei riuscisse a scalfire il suo meticoloso lavoro.
    Come fumo, il mantello blu si smaterializzò nel buio, e lo stregone con lui, sfuggendo dalla presa d’acciaio della stella.
    Sillen si guardò attorno, in posizione di difesa.
    -Sei una creatura interessante, Stella dei Valar. Ci rincontreremo presto. Un vero peccato che quell’occasione sarà la tua fine.- La voce dello stregone rimbombò nel buio, da tutte le direzioni.
    -Fatti vedere!- Urlò lei, furente e tesa come un predatore pronto a balzare all’attacco. Invece che ricevere una risposta, un forte vento avvolse la stella, sbattendola da una parte all’altra delle tenebre come se non avesse peso.
    La risata sadica dello stregone proruppe violentemente intorno a lei e Sillen sentì il suo corpo tremare senza controllo. Tutta la disperazione e la rabbia si riversarono fuori dal suo petto e i suoi occhi si riempirono di luce, fendendo il buio come saette bianche. Con violenza, il suo potere esplose attorno a lei, spazzando via l’innaturale vento e, con lui, l’illusione stessa.

    La mente stanca di Lhospen tornò improvvisamente nella spoglia stanza di Barad-dûr e il suo corpo fu sbalzato via dal letto dalla forza disarmante della stella. Rovinò a terra e andò a sbattere violentemente contro uno degli stracolmi scaffali, finendo sommerso dai libri. Rimase a fissare il soffitto con sgomento, gemendo dal dolore.
    Pallando si alzò di scatto dalla sedia di legno, ridendo forsennatamente: -Incredibile!-
    Scocciato, il Maestro dell’Illusione si tirò a sedere, pulendosi il sangue che colava copiosamente dal naso: -Che potere tremendo.- Sibilò, stringendo le braccia sul costato, ancora profondamente scosso.
    -Ti ha dato il ben servito, eh?- Lo canzonò lo stregone, accucciandosi al suo fianco e carezzandogli i capelli neri, scostandoli per valutare la gravità delle ferite.
    -Ero già debole! E per colpa tua, ora non ho nemmeno le forze per dartele di santa ragione, maledetto.- Sorrise l’altro, ma il suo colorito grigiastro non prometteva nulla di buono.
    Pallando lo sollevò senza troppe cerimonie e lo riportò a letto: -Quante storie, di certo non morirai. Tuttavia, ti sei meritato una bella dormita, Maestro.- Gli rimboccò le coperte con gentilezza, tamponandogli il viso con una pezza umida.
    Prima che potesse uscire dalla stanza, l’elfo lo trattenne debolmente, afferrandogli la mano: -Pallando…- L’altro la strinse tra le sue, tornando al suo capezzale. -Farò del mio meglio. Per te.- Sussurrò Lhospen, sorridendo stremato e addormentandosi subito dopo. Lo stregone annuì, gli carezzò la mano sottile e uscì silenziosamente dalla stanza, più che soddisfatto di quello che aveva appena vissuto.
    Si appoggiò con la schiena alla porta di legno: -Finalmente un po’ d’azione, da quanto tempo!-
    E tornò a fissare il pezzo di vetro scuro, allargando il proprio sorriso ferino.

 
**

    -Sillen? Sillen!- La stella si tirò a sedere urlando, allontanandosi e quasi cadendo dall’altro lato del letto. Miniel, fresca e in salute, la guardò sorpresa: -Scusami! Non volevo spaventarti! Credo tu stessi avendo un incubo, piangevi e ti dimenavi nel sonno.-
    Sillen guardò la stanza, ordinata e vuota com’era sempre stata e sospirò, tremando per il sollievo.
    Abbracciò con forza la principessa: -Non era un incubo.-
    Prese il viso di Miniel tra le mani, guardandola negli occhi.
    Stava bene, stavano bene.
    –Il nemico. So chi è il nemico. Corri da tuo padre, riunite i capi degli eserciti e aspettatemi nella Sala del Trono. Vi dò quindici minuti.- Si rivestì in fretta, tentando di fermare il tremore del suo corpo. La principessa, spaventata dallo stato della stella, corse a fare ciò che le era stato ordinato senza obbiettare.
    Rimasta sola, Sillen crollò in ginocchio, imprecando. Fece appena in tempo ad afferrare la bacinella sulla specchiera che fu scossa da violenti conati. Si buttò l’acqua fresca della brocca sul viso, incurante di bagnare le vesti e i capelli.
    Doveva riprendersi, non aveva tempo per la debolezza.
    Si appoggiò al fodero della spada e si rialzò in piedi, una mano premuta sullo stomaco. Corse lungo i corridoi vuoti, illuminati dai primi raggi dell’alba: nella cittadella non c’era più nessuno.
    Tutti gli abitanti erano stati evacuati, tutti i soldati si erano riuniti altrove, come previsto dal piano. Il silenzio che avvolgeva Minas Tirith sembrava rivestire la pietra grigia a cui Sillen s’appoggiava, disorientandola. Ma le sue gambe sapevano bene dove condurla.
    Svoltò in un corridoio silenzioso, aumentando il passo.
    Con un cenno, allontanò i quattro soldati a guardia della porta scura davanti a lei, che spalancò, fiondandosi senza esitazione sull’unica persona presente all’interno della stanza.
    Con forza, prese Alatar per il colletto e lo sbatté contro la parete dietro di lui, sollevandolo da terra: -Dimmi quello che sai! Parla, dannato traditore! Mi fidavo di te!- Urlava sul volto atterrito dello stregone, che incassò la testa nelle spalle. Gli occhi della stella brillavano con la stessa intensità del sole e lui non riuscì a reggere il suo sguardo: -Sillen, non so di cosa parli! Che sta succedendo?- Lei strinse la presa e Alatar annaspò, in cerca d’aria: -Non mentire, NON MENTIRMI! Ti ucciderò, ti ucciderò con le mie mani!-
    -Ti prego Sillen…- Boccheggiò lui. I suoi occhi stavano diventando sempre più rossi a causa dei capillari che si rompevano con violenza: -Ascoltami! Qualsiasi cosa tu abbia sentito, lascia che ti spieghi.-
    Per un attimo, Sillen tornò in sé. Sulla terrazza, solo pochi giorni prima, quell’uomo l'aveva stretta tra le braccia.
    Solo pochi giorni prima, lei aveva trovato lo spazio tra quelle braccia il luogo più sicuro e accogliente del mondo.
    Lo lasciò cadere a terra, indietreggiando velocemente.
    Alatar tossì a lungo, massaggiandosi il collo: -G-grazie.-
    Lei respirò a fondo e i suoi occhi riacquistarono il loro solito colore. Per un secondo, aveva temuto di ucciderlo davvero.
    Lo stregone cercò il suo sguardo: –Ti senti bene?-
    -Stai zitto. Fa silenzio!- Ringhiò lei.
    Doveva calmarsi, respirare.
    Gli fece cenno di alzarsi: -Non starò ad ascoltarti, adesso. Non qui e non da soli. Non mi fido di te, non permetterò che la mia mente venga manipolata.- Lui strinse i pugni, concitato.
    -Dannazione, io non so cosa sia successo ma di certo non ti ho mai manipolato. Sillen, io- Lei lo spinse con poca gentilezza oltre la porta, senza dargli la possibilità di impugnare il suo bastone.
    -Ho detto che devi fare silenzio.-
    Lelya, il piccolo falco dello stregone, non si era spostata dal suo trespolo, limitandosi a osservare la scena senza intervenire.
    Sillen la fissò negli occhi solo per pochi attimi, poi passò oltre.
    –Portate lo stregone nella Sala del Trono. Incatenato.- Ordinò alle guardie, con voce dura.

    Alatar e le guardie entrarono per primi nella sala, seguiti da Sillen, temibile come mai gli alleati l’avevano vista.
    L’aria attorno a lei pareva tramare e la sua pelle dorata attirava su di sé tutta la luce della stanza.
    I presenti fecero largo al suo passaggio, fissando sconvolti lo stregone con le mani incatenate dietro la schiena. Le guardie lo fecero inginocchiare ai piedi della stella senza tante cerimonie e lo stregone piegò le labbra in una smorfia di dolore, tanto le spalle gli dolevano a causa delle braccia strette troppo duramente dietro di sé.
    Elessar e Legolas furono presto accanto a Sillen ma questa non permise loro di parlare: -Ora io parlerò e voi ascolterete.-
La sua espressione glaciale li ammutolì.
    Glorfindel, discosto dal resto del gruppo, osservava la scena con cipiglio grave, poco lontano da Faramir, éomer e tutti gli altri capi degli eserciti.
    Sillen, accertandosi che l’attenzione di tutti fosse rivolta a lei, alzò il mento e parlò: -Al mio arrivo, la Regina Arwen ebbe una visione. Ricordo bene le parole che mi rivolse. Disse che il futuro era stato svelato e mostrava il Falco blu che artigliava la Stella.-
    L’aria si fece pesante a quelle parole, come se un’ombra oscura si fosse posata sui presenti, rabbuiando ancor di più la sala.
    Gli occhi di Sillen corsero a cercare quelli di Elessar e Legolas.
    -Non avrei dovuto sottovalutare un simile ammonimento.-
    Legolas strinse gli occhi a due fessure, puntandoli sullo stregone curvo su sé stesso, e il Re degli Uomini posò istintivamente una mano su Andúril.
    -Stanotte, il Falco blu è venuto da me. Ho visto in faccia il nostro nemico ed egli, ovviamente, ha minacciato di distruggerci, finendo però per esporsi.- I due compagni fecero per avvicinarsi allo stregone, pronti ad intervenire ma Sillen allungò un braccio, bloccando loro il passaggio: -No, non si tratta di lui.- Sibilò, fissando Alatar dall’alto: -O almeno, non del tutto.-
    Prima che la confusione negli sguardi dei presenti si trasformasse in parole, Sillen si affrettò a terminare il discorso:
-Si tratta di Pallando, l’altro Stregone Blu.- A quelle dure parole, Alatar sgranò gli occhi, fissi a terra e Sillen sentì la propria mascella serrarsi: o lui davvero non sapeva nulla o stava recitando molto bene la sua parte.
    Nella sala, le voci degli alleati si sollevarono, oltraggiate.
    -Dovrebbe essere morto!-
    -Alatar disse che Pallando perì a Est, anni fa.-
    -Non è possibile, è un tradimento! Alatar è una spia!-
    -Lo stregone ci ha traditi!-
    -Silenzio.- Li interruppe Sillen e tutti tacquero all’istante.
    Alatar non si mosse, nemmeno quando la stella si avvicinò, troneggiando su di lui. Teneva gli occhi sgranati fissi nel vuoto, la stella poteva quasi vedere i suoi pensieri rincorrersi a un ritmo vertiginoso attraverso essi. -Parla. Davanti a tutti.- Ringhiò lei, stringendo i pugni. Vederlo in ginocchio davanti a lei, le lacerava l’anima. Continuava a combattere contro il desiderio di rannicchiarsi a terra e piangere senza ritegno.
    Alatar sollevò lo sguardo su di lei: -Io ero certo che lui fosse morto.- Farfugliò. -Io non c’entro nulla con questo Sillen, devi credermi.-
    -Mi hai chiesto di lasciarti spiegare. Bene, spiegati.- Concluse questa, soffiando l’ultima parola tra i denti.
    Lo stregone respirò a fondo: -Pallando e io operavamo ad Est, in terre lontane e dimenticate, le dimore degli Esterlings. Durante la guerra dell’Anello, abbiamo tentato di strappare più comunità possibili all’influenza di Sauron. E per un po’, ci siamo riusciti.- Ammise, tenendo gli occhi grigi fissi in quelli viola della stella.
    -Ma il nemico si era accorto di noi, così finimmo nelle mani di un’unità di uruk di Mordor. Io riuscii a scappare…- Deglutì, come se parlare di tali ricordi gli costasse molte energie: -ma non vidi mai più Pallando. Ero certo che lui fosse morto.- Scandì.
    A quelle parole, Sillen voltò il viso, gettando il suo freddo sguardo lontano da lui. -Non hai prove, tantomeno dei testimoni che possano confermare la tua storia. Inoltre, Landroval per primo diffidava delle tue intenzioni.- Esordì.
    Alatar non rispose e la stella sentì l’angoscia stringerle lo stomaco. -Allora rispondi a questo: come poteva sapere Pallando dove trovarmi?-
    Lui scosse il capo: -Non lo so. Io non sono una spia.-
    La stella esitò, sentendosi bruciare dalla rabbia e dall’impotenza. Lo stregone era stato suo amico, suo confidente, il suo punto fermo ed ora lei non riusciva più sopportare il suono della sua voce. Era la voce di chi l’aveva confortata, protetta, poi ingannata e tradita.
    Alatar riconobbe quelle emozioni sul volto della stella, un volto che aveva imparato a leggere bene: -Sillen. Non potrei farti questo.- La sua voce era profonda e seria e la stella sentì i battiti del proprio cuore accelerare: -Perché? Cosa t’impedirebbe di farlo?- Tornò con gli occhi su di lui, senza riuscire a dissimulare il tremito della sua voce: -Dammi solo un motivo per cui dovrei crederti.-
    Lo stregone ricambiò a lungo il suo sguardo duro e ferito: la sua intera essenza gli urlava di parlare, di confessare tutto quello che non era mai stato in grado di ammettere nemmeno a sé stesso.
    Tuttavia, sapeva che la stella non gli avrebbe creduto.
    E avrebbe avuto tutte le buone ragioni per non farlo.
    Strinse le labbra e, ignorando il fastidioso dolore alle spalle, si tirò in piedi, scrollandosi di dosso le mani pesanti delle guardie. Con un passo, si ritrovò quasi a sfiorare la stella.
    Sillen non lo guardò, non ne era più capace.
    Sentì l’odore familiare dello stregone, il suo respiro sui capelli ma non si mosse. -Perdonami.- Fu tutto quello che lui le disse.
    Sillen sentì il sangue gelarsi nelle vene: quella era una confessione. Per tutto il tempo aveva sperato, pregato che lo stregone le desse una valida spiegazione.
    Quella, invece, era solo una maledetta confessione.
    Alzò il viso per affondare nuovamente i propri, freddi occhi d’ametista in quelli dello stregone: -Portatelo via.-
    Alatar ricambiò il suo sguardo con intensità, poi le guardie lo costrinsero a voltarsi e lo spinsero lontano da lei. Nessuno osò parlare e la stella lasciò la Sala del Trono poco dopo, senza che alcuno tentasse di fermarla.
    Legolas si portò una mano al cuore, sofferente: quel giorno, per Sillen così come per tutti loro, era un giorno di lutto. Elessar gli strinse una spalla ed entrambi stettero in silenzio, consci più che mai che il male era sceso nuovamente su di loro.

    Nel frattempo, a miglia e miglia di distanza, nelle viscere della terra, una figura curva osservava il suo pezzo di vetro nero, ridendo di gusto: -Splendido. Adesso la guerra può finalmente cominciare.-


 
 
[1] Ered Lithui: (nome sindarin delle Montagne di cenere) è la catena montuosa che forma la barriera settentrionale del regno di Mordor. Su una cima interna, protetta dalla catena montuosa, sorge la Torre di Barad-dûr. Deve il nome al suo singolare colore grigiastro e per il cielo coperto dalla cenere fitta dovuta alla continua attività del vicino Monte Fato.
 
[2] Moruruk: (o semplicemente Uruk Neri) sono una razza di orchi creata da Sauron a Mordor, alla fine della Seconda Era. Sono un’evoluzione degli orchi creati da Morgoth, più forti e più alti degli altri orchi. Durante la Terza Era diventano parte integrante e fondamentale delle armate dell'Oscuro Signore.



N.D.A

Ciao a tutti! Bentornati ad un nuovo capitolo: allora, chi è confuso? XD Spero di aver saputo creare la giusta atmosfera per questo evento “a sorpresa”!
-Ahah illusa, lo avevano capito tutti che Pallando caro era l’antagonista principale.- ^-^
-Ah. Grazie voce nella mia testa per avermelo ricordato.- <3
Almeno si sono presentati due nuovi personaggi, no? Se siete curiosi di conoscere il seguito
-Mitomane.-
-Shhh taci-
seguitemi nel prossimo capitolo! Vi aspetto *-* Intanto, fatemi sapere cosa ne pensate ;)

Mille abbracci,
Aleera
   
 
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