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Autore: DarkDemon    12/04/2020    6 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - ISCRIZIONI CHIUSE]
«Sai, girano voci, alcuni figli di Apollo dicono di aver avuto delle visioni e l’augure sembra piuttosto irrequieto.» Helen aveva abbassato lo sguardo a terra mentre giocava nervosamente con uno dei suoi boccoli dorati. Boniface non aveva mai parlato con lei nonostante facessero entrambi parte della seconda coorte e la ragazza sembrava piuttosto timida e a disagio. «Tu… voglio dire, anche tu ne sai qualcosa no? Sto ancora imparando tutti questi dei, ma tu sei figlio di Giano, no? Qualcosina riesci a vederla.»
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Il ragazzo si voltò verso di lui con sguardo preoccupato. «Amico mio, prega che non sia chi penso, altrimenti… bhe, siamo in una montagna di merda.»
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«Semidei, siete ragazzi valorosi, mi dispiace essere io il portatore di cattive notizie, ma ho bisogno del vostro aiuto, tutti noi ne abbiamo.»
[...]
«Ah, figlia di Venere, la tua domanda è in realtà legittima.» Sorrise e tornò a chiudere gli occhi. «Io sono Astreo.»
«Titano degli astri, delle costellazioni e dell’oroscopo.»
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Nyx, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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    Quentin era augure ormai da dieci anni: giunto al campo quando ne aveva ancora cinque, dopo che Lupa lo aveva salvato dai ruderi della sua macchina in fiamme, dove la sua famiglia era morta, era adesso tra i ragazzi che frequentava il campo da più tempo. Tuttavia, nonostante le linee sul suo braccio aumentassero anno dopo anno, sopra la scritta S.P.Q.R. la pelle era ancora pulita: non riconosciuto. Sapeva di avere il dono della profezia, cosa che stringeva significativamente le possibilità, eppure nessun dio si era ancora preso il disturbo di riconoscerlo.
  Dopo che l’occhio di Boniface aveva iniziato a lacrimare Astreo era svenuto di nuovo e i tre ragazzi se ne erano andati lasciandolo alle cure dei figli di Esculapio e di Apollo. Cesaria aveva mandato subito a chiamare tutti, riunendo un assemblea in Senato per spiegare la situazione: era durata un ora e mezza ed ormai il cielo era scuro e pieno di stelle.
  Lo avevano riempito di domande a cui non era riuscito a dare risposte: vedeva da mesi le stesse cose ma non sapeva cosa fossero o cosa significassero ed onestamente non sapeva più cosa fare. Aveva sognato un vecchio con iridi fatte di cielo, aveva visto ed udito un uomo con un serpente ridere in modo maligno e poi solo tante, troppe immagini di un mondo ormai distrutto.
  Quando arrivò al padiglione della mensa, dopo che era finalmente riuscito ad andare in bagno, gli altri si apprestavano già a terminare il pasto. Sedette in un angolo della tavolata della quinta coorte e si servì lentamente la propria porzione, la mente affollata di pensieri.
  «Ehi Quin, tu ne sai qualcosa?» Chiese trillando una voce alla sua destra. Lanciò uno sguardo veloce alla ragazza di fianco a lui, una giovane dal viso affascinante e che decisamente non conosceva.
  «Non più di quanto il rapporto non vi abbia detto» Disse tra un boccone e l’altro. Conosceva il modus operandi fin troppo bene ormai: dopo le sedute i pretori aggiornavano il Campo prima dei pasti e in seguito sarebbe arrivato un foglio con stampato il rapporto della seduta, di modo che tutti potessero aver accesso alle informazioni reali senza storpiarle con inutili passaparola. 
  «Quantin, comunque.» Aggiunse scocciato, terminando il piatto e servendosene velocemente una seconda porzione.
  «Non ti facevo così irritabile… ma quanto mangi?» Chiese la ragazza, scrutandolo con un paio di profondi occhi neri e poggiando la testa sul pugno chiuso. Mentre si risedeva l’augure notò il simbolo sul suo braccio: Cupido. Roteò gli occhi irritato.
  «Prevedere il futuro fa bruciare davvero tante calorie, dolcezza.» Disse, mettendosi in bocca una forchettata forse un po’ eccessiva di mac n’chees, sperando che vedendolo occupato la brunetta rinunciasse. Era a conoscenza da ormai qualche anno che tra alcuni semidei riuscire a sedurlo era diventata una sorta di scommessa. Non sapeva bene da cosa fosse nato tutto o che cosa ci fosse in palio, ma la cosa stava diventando decisamente troppo molesta. A quanto gli aveva spiegato velocemente Cesaria una volta, centrava il suo non essere riconosciuto e il fatto che in tredici anni di permanenza al campo nessuno fosse mai riuscito ad intessere una relazione con lui. Non aveva compreso bene la prima parte, ma la seconda era qualcosa di cui non andava fiero nemmeno lui. Non era mai successo, tutto li.
  «Ma non mi dire, e dici che è una cosa che si può insegnare?» Continuò imperterrita la ragazza, scivolando sulla panca per avvicinarglisi ancora.
«Cazzo tesoro certo che ti può insegnare, così come un figlio di Giove ti può insegnare a volare!» Si intromise una vocina acuta. Una gamba coperta da una delicata calza bianca si intromise tra i due e un secondo dopo Angelika era seduta tra i due semidei, lo sguardo angelico sul viso fanciullesco rivolto alla figlia di Cupido che con uno sbuffo si voltò dall’altra parte.
  «Gli piaci proprio tanto, eh?» Trillò la ragazza, dondolando le gambe sotto il tavolo, un sorriso allegro e la pelle che brillava di una delicata luce bianca.
  «Che cosa ho fatto di male non lo so.» Sospirò esasperato Quentin, mettendosi in bocca l’ultima forchettata di pasta per poi allontanare il piatto, ormai decisamente sazio, o almeno per ora.
  «Sai, penso che chi non ti corteggi ti odi, hai i semidei più belli del campo a farti la corte, almeno uno paio potresti sfruttarli per farti una scopatina ogni tanto.» Ridacchiò facendolo sorridere. Nonostante si conoscessero da anni non poteva non sorridere al controsenso ambulante che era quella ragazza: alta un metro ed un barattolo, l’aspetto di una quattordicenne, seppur fosse più grande di lui, l’abbigliamento da bambola e la finezza di uno scaricatore di porto. Lui, Angelika e Cesaria erano tra i semidei che da più tempo vivevano al campo e per questo erano diventati un trio affiatato.
  «Però è roba grossa eh… Era da tempo che non succedeva roba simile, chissà che tu dica una grande profezia.» La sola idea fece gelare il sangue nelle vene al ragazzo. Era un opzione a cui non aveva nemmeno pensato e che avrebbe preferito continuare ad ignorare, però era inevitabile, in una situazione del genere.
  «Confido in Astreo, che si svegli presto e ci dica cosa sta succedendo. Spero sia venuto fino a qui per una ragione, non per finirci il nettare.» Brontolò il ragazzo, guardando con sguardo contrito la torta, meditando se prenderne una fetta o lasciar perdere, lo stomaco di colpo aperto all’idea di un po’ di crostata.
  «Come cosa ha effettivamente senso sai.» Angelika si leccò un dito e raccolse un po’ delle briciole della torta tagliata rimaste sul vassoio. «Non sei l’unico ad essere preoccupato.» Aggiunse piano mangiando le briciole mentre stringeva le ginocchia al petto. Con la frangetta castana e lo sguardo malinconico la figlia di Luna sembrava ancora più piccola di quanto già non paresse.
  «Cesaria?» Chiese il ragazzo, tagliandosi finalmente una fetta di torta. Certe volte si stupiva di quanto il suo stomaco si svuotasse velocemente, che la divinazione non bruciasse davvero calorie?
La ragazza annuì piano. «Vuole che io vada da lei sta notte.»
  «Non una novità.» Scrollò le spalle Quentin, ma vedendo lo sguardo truce dell’amica si affrettò ad aggiungere: «Ma immagino che questa volta ci sia qualcosa di diverso.»
  Di nuovo Angelika annuì. «Non l’ha chiesto come suo solito...» Sembrava stesse per aggiungere qualcosa ma fu interrotta da un urlo proveniente dal fondo della stanza.
  «QUENTIN CAZZO BLAIS ALZA IL CULO E VIENI!» In piedi su una panca Cesaria lo fissava con sguardo truce, da come lo guardava era certo che prima di quella volta lo avesse già chiamato almeno due. Dopo il momentaneo silenzio l’intera mensa era di nuovo caduta nel chiasso più assoluto, abituata ormai alle scenette del pretore. La figlia di Venere nel frattempo era tornata con i piedi per terra e parlava animatamente con una figlia di Esculapio le cui guance arrossate indicavano che doveva aver corso fin li dall’infermeria.
  «Parli del diavolo… vai, e trattamela bene, che sono io a dovermela sorbire sta notte.» Ridacchiò Angelika, guardandolo allontanarsi. »»


 


    Quando arrivarono in infermeria Astreo era seduto dritto sul letto, appoggiato ad una sfilza di cuscini rubati ai letti vicini. Nonostante il volto fosse ancora stanco, sembrava stare decisamente meglio mentre chiacchierava con una piccola figlia di Apollo, evidentemente a disagio mentre il titano cercava di intavolare una discussione come fosse una persona del tutto normale e non una divinità secolare.
  «Divino Astreo, la trovo meglio.» Asserì Cesaria entrando con decisione in infermeria e congedando con un gesto i pochi figli d’Apollo presenti, invitandoli ad andare a mangiare.
  «Pretore Morin, siete stata veloce.» Sorrise il vecchio voltandosi verso di lei e incrociando le nodose dita in grembo. Fece poi vagare lo sguardo da lei a Quentin, che si teneva qualche passo indietro.
  «Sbaglio o i pretori sono due?» Chiese ironicamente, guardandosi attorno come se si aspettasse di veder saltar fuori il figlio di Aurora da sotto un letto.
  «Non si sbaglia, ma per quanto la sua presenza ci onori abbiamo anche cinque Coorti di adolescenti riuniti in una stanza con del cibo. Avrà modo di incontrare il suo bel faccino domani, non si preoccupi.» Rispose spiccia, irritata da quella domanda, a suo avviso, inutile: erano loro quelli che dovevano fare le domande. Si sedette, scomposta come al solito, sulla stessa sedia di qualche ora prima, che era stata solo leggermente spostata per permettere ai figli di Apollo ed Esculapio di lavorare meglio.
  «Scelta saggia. Quindi tu devi essere quella più diplomatica.» Annuì il titano, parlando quasi più a se stesso.
  «Se questo implica che Nowak è quello che parla alle masse avrei qualcosa da ridire.» Borbottò Quentin divertito dall’altra parte della stanza dove era andato a recuperarsi una sedi a sua volta, rivolgendo uno sguardo angelico a Cesaria che lo guardava truce.
   «Diciamo che ce la caviamo entrambi, ma almeno adesso possiamo passare al sodo senza bisogno di ulteriori presentazioni.» Concluse la figlia di Venere, sporgendosi in avanti sulla sedia. 
  «Quindi, possiamo avere l’onore di sapere che cazzo succede?» Chiese, un sorriso smagliante sul volto, che tuttavia non brillava della stessa allegria. Era onestamente stufa marcia di aspettare che quel vecchio –perché anche se era un dio era vecchio– gli desse risposte: ci aveva già girato abbastanza attorno. Per quanto si fosse dimostrato un buon pretore in quegli anni, la pazienza continuava a non essere la sua più grande virtù.
  «Immagino che io vi debba delle spiegazioni.» Sospirò il titano abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Quentin, che era riuscito finalmente a sedersi annuì vigorosamente. «Non so se ci dirà una profezia o ci spiegherà le cose per quello che sono, ma prima ci aggiorna sui fatti prima possiamo aiutarla.» Disse gentilmente l’augure, guardandolo con uno sguardo quasi di supplica, anche lui decisamente stufo di quelle che erano state in realtà poche ore d’attesa.
  «Immagino che tutti voi conosciate lo zodiaco.» Iniziò, quando i due semidei annuirono in risposta riprese piano. «Ogni segno zodiacale è generato da un mito, così come ogni altra costellazione: persone, animali o cose la cui essenza è stata tramutata in stelle. Essa non è però la persona stessa ma un suo riflesso. Nel caso degli essere viventi è come se un fragmento della loro anima fosse stato strappato e avesse dato vita ad un riflesso. Questi riflessi sono le costellazioni e rientrano sotto il mio regno.» I ragazzi non sembravano molto convinti ma dopo un attimo annuirono lentamente, facendo segno di aver, più o meno, capito ed invitandolo a continuare.
  «Di questi, i dodici segni dello zodiaco sono i più potenti, che influiscono maggiormente sulla vita di voi mortali, sono… un elite del cielo, se così vogliamo definirli: dei duchi? Cavalieri...»
  «Saint Seiya!» Esclamò Quentin, lo sguardo illuminato come quello di un bambino, per poi stringersi nelle spalle leggermente imbarazzato. «Mi scusi, non intendevo interromperla.»
  «Blais, smettila con le tue cagate del secolo scorso.» Sbottò Cesaria per poi rivolgersi nuovamente ad Astreo, che li guardava con sguardo divertito. «Lo perdoni, diceva?»
  «Più o meno hai capito, augure, comunque ho amato quella serie, al tempo.» Sorrise e ammiccò al ragazzo che batte le mani deliziato, mentre assestava un calcio alla sedia di Cesaria la quale roteò gli occhi seccata.
  «Dov’ero rimasto… oh certo, lo zodiaco. I segni sono dodici e dodici devono restare, ma da qualche anno un nuovo segno sta tentando di inserirsi nello zodiaco, provai a spiegargli più volte ma non mi ha mai dato ascolto. Pensavo avesse capito, ma stava segretamente complottando da tempo ormai. Per anni ha sussurrato nell’orecchio dei mortali quest’idea, e più persone credevano e desideravano la sua presenza nello zodiaco più lui si faceva potente.» Sospirò passandosi una mano sul volto.
  «Avrete sentito parlare di Ofiuco.» Disse piano. «Ha catturato ed imprigionato i segni zodiacali e quando ci sarà il cambio di segno ha intenzione di imporre la sua presenza. Se dovesse riuscirci, le conseguenze saranno catastrofiche.»
  «Si, potrei averne una vaga idea.» Disse monocorde Quentin, deglutendo a vuoto.
  «Lo Zodiaco non può combattere e nemmeno io, il mio potere è il riflesso del loro, più loro sono deboli più lo sono io.»
  «Ed è qui che entriamo in gioco noi!» Esclamò deliziata Cesaria, nonostante il suo volto fosse serio come quello della morte stessa mentre guardava il dio, gli occhi blu accesi di quella che a Quentin sembrava in tutto e per tutto rabbia.
  «Mi sta chiedendo di mandare degli adolescenti contro delle stelle impazzite?»
  «Ti sto chiedendo dodici persone.» Tagliò corto Astreo, la voce dura così come si era fatto il suo volto. Era facile arrabbiarsi contro un vecchio fragile e malaticcio, ma era pur sempre una divinità, un Titano vecchio quasi quanto il mondo, che probabilmente stava perdendo la pazienza.
  «Dodici ragazzi che verranno benedetti da un segno. Saranno i loro ambasciatori, verranno protetti e rinforzati dal loro spirito, ma bisogna che siano persone degne e capaci. Sono qui come loro intercessore.» Posò il suo sguardo su quello del pretore.
   «Faremo tutto quello che è in nostro potere per proteggervi, figlia di Venere. Chiedo solo dodici vite, per salvarne miliardi.»
  «Tanto so che non mi sta dando una scelta.» Sospirò alzandosi. «Domani mattina spiegheremo tutto al senato, e ci sarà anche lei. Le consiglio di riposarsi.» E fatto un veloce inchino, palesemente a caso, si avviò a passo spedito fuori.
  Quentin rimase ad osservarla uscire con sguardo affranto. «La deve perdonare, giuro che sa essere simpatica quando si impegna.» Con una piccola smorfia si alzò, passandosi una mano tra i capelli biondicci, dove la tinta arcobaleno era ormai quasi del tutto sbiadita.
  «Anche a nome dei pretori la ringrazio.» Infilò le mani nelle tasche della felpa over-size mentre sulle labbra sottili appariva un sorrisetto divertito. «Penso non abbiano capito quanto siamo fortunati ad aver avuto una spiegazione chiara. Buona notte.» E detto ciò si incamminò con passo rilassato fuori, non vedendo l’ora di andarsi a coricare.


 


    Una volta che il sole era sceso l’aria si era fatta fredda e il vento si era alzato. Tuttavia quello non era l’unico motivo per cui Angelika indossava una lunga vestaglia mentre sgattaiolava fuori dal dormitorio della prima Coorte. Come figlia di Luna non aveva nessun potere se non quello di brillare, cosa in parte molto utile ma anche molto fastidiosa, sopratutto se l’intensità della luce rifletteva quella delle sue emozioni.
   Uscita in strada l’aria di fine novembre la fece rabbrividire, si strinse nella sua vestaglia rosa e, attenta a non far rumore, si incamminò verso il dormitorio dei pretori. Erano anni che percorreva quella strada, tant’è che avrebbe potuto farla anche immersa nella più completa oscurità, anche senza che brillasse. Da che ne sapeva lei, Cesaria non dormiva mai, non durante la settimana, preferiva recuperare le ore nel week-end e spendere le nottate a dipingere, fumare e bere. Era una cosa che probabilmente sapevano tutti ma di cui nessuno parlava, non fino a che non creava problemi seri; discutere con la figlia di Venere avrebbe solo creato inutili rogne che non avrebbero risolto un bel nulla. Angelika era l’unica, che ne sapesse lei, che era mai stata invitata alle serate di Cesaria e la cosa le accendeva un barlume di orgoglio dentro. La prima volta che glielo aveva chiesto era stato quasi un gioco: un invito sussurrato seducentemente all’orecchio con il solo scopo di vederla brillare più del solito, ma a quanto pareva al pretore la sua compagnia non era affatto dispiaciuta.
  Le finestre dell’alloggio di Cesaria erano coperte da spesse tende, ma la luce all’interno filtrava comunque tra gli spiragli. Angelika aprì la porta piano e se la richiuse alle spalle delicatamente, sapeva che era sarebbe stata perché avevano già avuto modo di constatare che Cesaria non l’avrebbe mai sentita bussare a causa delle cuffiette che indossava sempre.
  La stanza era un caos: immersa nella luce calda della lampada era quasi un assalto agli occhi: il letto era in un angolo, coperto da un telo di plastica spessa per poter salvare almeno quello dal marasma della figlia di Venere. Sui muri erano appesi o appoggiati dipinti, e sotto ad essi le pareti erano ricoperte di disegni e scritte. Un divano era a malapena visibile sotto scatole di tempere e pastelli. Opposto alla porta stava un cavalletto di legno e dietro di esso file e file di tele bianche. Su un piccolo tavolino i pennelli straripavano dai numerosi barattoli di vetro in cui erano stati infilati. Non era una stanza grande, ma, per citare la figlia di Venere, il caos aveva il potere di far entrare tutto il necessario in qualsiasi spazio.
  La stanza sapeva di fumo ed alcool, di vernice e di carta da disegno: un mix che non sapeva per nulla di buono ma che per Angelika sapeva di amicizia ed in un certo senso di vita.
  Si poteva dire qualsiasi cosa del pretore, ma non che non fosse una ragazza vitale. Per quanto il suo stile di vita fosse tutto meno che consigliabile, il suo intento non era quello di morire, ma quello di vivere a pieno quella che sapeva sarebbe stata comunque un esistenza corta.
Cesaria era in piedi davanti al cavalletto, osservava una tela piccola ricoperta da uno spesso strato di vernice blu scuro, interrotta da grumi di pittura bianca.
  «Zieetta.» Cantilenò Angelika, avvicinandosi al letto sfilando da sotto di esso il minifrigo dell’amica e prendendo una lattina di birra, consapevole che non l’aveva neppure sentita entrare. Le si avvicinò piano, mentre apriva la propria lattina e beveva un sorso.
  «Zia.» Chiamò di nuovo arrivandole di fianco. Vedendola con la coda dell’occhio l’altra sgranò appena gli occhi e si levò i due piccoli auricolari wireless per poi infilarli nella tasca frontale della salopette.
  «Lieke.» Disse in quello che era quasi un sospiro di sollievo. Angelika veniva chiamata Lieke solo ed esclusivamente dai suoi familiari, cosa che includeva curiosamente Cesaria, essendo la sua matrigna una figlia di Venere. «Sei qui da tanto?»
  «Abbastanza da servirmi da sola.» Ridacchiò alzando la birra per mostrargliela e prendendo poi un sorso. «Sono entrata adesso.» Sorrise e fece scivolare un braccio attorno a quello dell’altra, che con le mani in tasca osservava il dipinto. «Che cos’è?» Chiese piano poggiando la testa alla suo braccio, era in momenti come quelli che la sua altezza non le dava per nulla fastidio.
  «Sono gli occhi di Astreo.» Mormorò piano la figlia di Venere. «Ma questo quadro non fa loro giustizia, è come se tutte le stelle del cielo fossero state condensate in due iridi, eppure il blu è ancora dominante.» La figlia di Luna aveva alzato lo sguardo per guardare il volto di Cesaria.
  «Ti ci puoi perdere.» Si passò distrattamente la lingua sulle labbra screpolate e si riscosse, allontanandosi da Angelika, allungandosi per prendere un bicchiere pieno di un liquido ambrato e terminandolo con un breve sorso.
  «Non mi hai aspettato...» Mormorò la figlia di Luna. Avevano sempre iniziato a bere assieme, era una routine senza regole, mai erano state scritte, eppure in qualche modo erano infrangibili. Probabilmente come era la forza di gravità prima che venisse definita: un qualcosa di presente e certo pur non avendo spiegazione. Si sentiva in qualche modo tradita ed offesa da quella piccolezza.
  «No, non oggi.» Sbottò l’altra, recuperando la bottiglia da dietro una tela e riempiendosi il bicchiere nuovamente.
  «Ehi, se volevi ubriacarti da sola potevi evitare di coinvolgermi, a differenza tua la gente tende a dormire la sera.»
Lo sguardo che le rifilò Cesaria era impassibile, eppure un insieme di emozioni confuse tormentavano nei suoi occhi. «Se sei venuta per rompere il cazzo puoi tornare al tuo amatissimo letto.» Poggiò malamente il bicchiere sul tavolo e si mise a spostare le cose che ingombravano il divano per poi recuperare nuovamente il bicchiere e lasciarsi affondare in esso, il tutto sotto lo sguardo gelido dell’altra.
  «Potevi non disturbarti a chiamarmi.» Tra la testardaggine di una e la suscettibilità dell’altra quella non era la prima volta che litigavano e probabilmente non sarebbe stata l’ultima. Eppure non lo avevano mai fatto in quei momenti. Le notti che passavano assieme erano fatti di lunghi silenzi e di parole dette piano, oppure di risate ed abbracci. Erano momenti di amicizia e in cui confrontarsi e confidarsi, non fatti per i litigi. Mentre si avviava verso la porta sentiva una fastidiosa stretta al petto e in cuor suo sapeva che se avesse davvero varcato quella porta qualcosa si sarebbe spezzato nel loro rapporto.
  «Lieke.» Sentì chiamare la figlia di Venere, non aveva intenzione di fermarsi. Chiunque avrebbe detto che era per un motivo stupido, ma si era offesa, per davvero. Stava per aprire la porta quando l’altra la chiamò ancora.
  «Fermati.»
Si sentì pervadere da un brivido e di colpo il suo corpo era come un sasso. Non poteva credere lo avesse fatto davvero, aveva usato la lingua ammaliatrice su di lei, su sua nipote, sulla sua migliore amica.
  «Per favore.» Quando Cesaria parlò di nuovo sentì il corpo sciogliersi e il suo cervello riacquistare il controllo, si voltò furente verso di lei, se dopo quello che aveva fatto pensava di passarla liscia si sbagliava, si sbagliava tantissimo.
  «Tu… sei morta.» Sibilò, avrebbe voluto aggiungere di più ma era ancora troppo scossa, troppo sconvolta all’idea di quello che le aveva appena fatto.
Cesaria era nell’angolo del divano e la guardava con sguardo stanco, gli occhi lucidi e le occhiaie ancora più profonde del solito.
  «Sei fatta...» Iniziò a dire piano Angelika, assottigliando gli occhi ed avvicinandosi di qualche passo.
  «Non sono deficiente, lo sai che non bevo e non fumo quando mi faccio di roba.» Sbuffò l’altra, bevendo. Fu in quel momento che la figlia di Luna vide il pezzo di alluminio che un tempo avvolgeva il tappo della bottiglia di Jack Daniel’s, abbandonato ora a terra probabilmente da qualche ora, osservò poi la bottiglia, svuotata almeno per un terzo. Aveva bevuto molto più di quel che pensava, probabilmente appena era rientrata in stanza quella sera.
  «Cosa cazzo ti prende.» Chiese avvicinandosi sospirando, farle una scenata in quelle condizioni avrebbe avuto la stessa utilità di chiedere al sole di smettere di brillare. In quel momento il minimo che poteva fare era ingoiare il boccone salvando il litigio per l’indomani e supportarla, o sopportarla. Almeno avrebbe evitato di usare nuovamente la lingua ammaliatrice.
  «Nulla… sono solo un po’ agitata, tutto qui.» Mugugnò, stringendosi il bicchiere vuoto al petto. Angelika bevve un sorso della propria birra e andò a sedersi al suo fianco.
  «È normale avere paura.»
  «Non ho paura.» La figlia di Luna alzò un sopracciglio scettico e l’alta abbassò lo sguardo.
  «Okay, forse un pochino.» Brontolò in risposta. «Il punto è che non sono certa di essere la guida di cui il campo ha bisogno in questo momento. Andava bene fino ad ora, quando non stavamo per morire ecco…» Osservò il bicchiere vuoto e ridacchiò. «Questa sera va così, mi dispiace.» Cesaria non era una ragazza né da sentimentalismi e men che meno da discussioni a cuore aperto, ma se l’alcool la prendeva nel verso storto capitava che si sciogliesse e desse voce alle sue insicurezze.
  «Non è la prima volta che hai la ciucca triste, tesorino.» Ridacchiò, bevendo un altro lungo sorso di birra. «Andrà bene, non sei una sprovveduta, ci fidiamo di te, mi fido di te… solo cerca di dormire un po’ di più, non abbiamo eletto un panda.»
  «Ah ah. Bella questa.» Rise, poggiando la testa sulla sua spalla. Angelika poteva sentire il suo respiro caldo sul collo darle i brividi lungo la spina dorsale. «Sei la mia migliore amica, te l’ho mai detto?»
  «Si, ma mai da sobria.» Roteò gli occhi divertita, eppure come ogni volta non poté percepire il suo cuore fare una piccola capriola soddisfatta nel sentiglielo dire.
  «Anche Quin, ma tu non dirglielo.»
  «Non oserei.» Rispose ironica, terminando la propria birra.
  «Ma tu sei meglio...» Il suo tono era pensieroso e concentrato, come se stesse formulando un elaborato pensiero filosofico e non una semplice lista delle prprie amicizie. «Hai qualcosa in più...»
  «La figa?» Ci fu un attimo di silenzio prima che entrambe le ragazze scoppiassero a ridere. Risero per parecchi secondi, appoggiandosi l’una all’altra prima che Cesaria si bloccasse guardandola in modo serio.
  «Io non voglio che tu o Quin andiate in qualche missione suicida.» Nei suoi occhi cangianti si poteva leggere una paura umana e reale, non dovuta dall’alcool, che solo aveva avuto l’incarico di portarla alla luce. Cesaria era tante cose, testarda, ribelle, sotto certi aspetti, sicura e stranamente responsabile, ma più di qualsiasi altra cosa era umana: piena di difetti che non temeva di nascondere, guidata da vizzi di cui non si vergognava. La paura era umana, eppure quella cercava sempre di nasconderla, presentandosi invece come sicura ed determinata.
  Ma era pur sempre umana e, come tutti, certe volte crollava.
  «Non andremo da nessuna parte e nemmeno tu.» Disse la figlia di Luna piano, spostandole una ciocca di capelli blu dal viso. Sedute ormai a gambe incrociate una davanti all’altra le due ragazze rimasero ad osservarsi per un po’, non avevano bisogno di parlarsi per godere della compagnia l’una dell’altra, ma nemmeno di guardarsi in modo profondo. Il loro sguardo era rilassato e pacifico, come se il solo volto dell’amica fosse già di per se qualcosa di accogliente e familiare in cui trovare rifugio.
  In un attimo la fronte di Cesaria si corrugò e la osservò pensierosa. «Posso baciarti?» Disse di getto.
  «Cosa?!» Chiese l’altra. Colta del tutto alla sprovvista iniziò a brillare molto più intensamente, ma non era sicura se fosse per la rabbia o l’imbarazzo. Si erano già baciate prima, non sarebbe stata una novità, eppure nell’ilarità dell’altra sapeva che probabilmente lo aveva detto solo per farla brillare come una lampadina e ridere di lei.
  «Sei una stronza! Smettila di farlo apposta.» Protestò, lanciandole la lattina vuota che ancora aveva in mano.
  «Ahahaha, proprio non puoi impedirtelo eh? Come se poi non lo avessimo mai fatto… ahahaha, adorabile.» Continuò a ridere, asciugandosi una lacrima dall’angolo dell’occhio. Si conoscevano da quando aveva sette anni, eppure Cesaria non aveva mai smesso di istigarla con lo scopo di farla imbarazzare o arrabbiare e ancora adesso all’età di ventidue anni, rideva ogni volta ancora come quella bambina di otto anni che Angelika aveva conosciuto ormai tanti anni fa.
  «Certo che non posso impedirmelo, cretina! Lo sai benissimo! E poi cosa vuol dire “posso baciarti”?!» Sbottò, rifilandole un calcio. «Se vuoi baciarmi fallo e basta.»
  Il suo sguardo era serio mentre guardava l’altra che piano piano smetteva di ridere massaggiandosi lo stinco dove era stata colpita. Sembrò esitare solo qualche frazione di secondo prima di slanciarsi verso di lei, azzerando la distanza che le separava.
  Cesaria sapeva di fumo e di alcool, di vernice e di carta da disegno: un mix che non sapeva per nulla di buono ma che per Angelika sapeva di amicizia ed in un certo senso di vita.

 

 
Angolo Autore
 
Yo yo yo!
Sono puntuale! Come? Bho, magia di Pasqua (?)
A proposito, buona Pasqua! Vi ho fatto un regalino, visto che brava?
Che tra parentisi quanto domenica scorsa pubblicai io mica mi ricordavo che oggi sarebbe stata Pasqua, lol.
Allora, passiamo alla ciccia: sono fiera di questo capitolo? Non direi. Avrei potuto far di meglio? Assolutamente. E' lungo due volte lo scorso e metà è assolutamente inutile? Hell yes. Spero comunque vi sia piaciuto, o vi abbia divertito, ma che sopratutto vi abbia chiarito le idee. La parte importante è quella centrale (aka quella che mi fa più cacare. Daje.), il resto sono fronzoli messi giusto per allungare e rendermi una bimba felice. Capitemi, nel momento in cui l'interattiva in cui Cesaria e Lieke dovevano apparire è stata cancellata senza nemmeno arrivare alla selezione ci sono rimasta veramente male, dovevo dare a queste due bambine un attimo di gioia (a loro eh, non a me). Tra parentesi, fate tutti ciao ciao con la manina ad Angelika: non è una mia pargola, ma una creaturina di mamma Fe_ che mi ha gentilmente concesso di farle fare un cameo dolcino. Non è un personaggio principale della storia, non agitatevi, così come non lo è Cesaria (triste, lo so.), semplicemente queste due nelle nostre menti ormai girano in coppia, se c'era una non poteva non esseci l'altra u.u
Inoltre, il pretore citato è ancora una volta opera non mia ma di Itzi, avrete modo di conoscerlo meglio. (¬‿¬)
Passando ai fatti, spero abbiate capito un po' meglio la trama. Ci sono ancora alcuni punti non chiariti, ma ogni cosa a suo tempo.
Se qualcuno di voi avesse trovato oggi la storia: ehila! Siete ancora in tempo per partecipare, ma per favore prenotatevi nel capitolo precedente (comodità mia, sorry).
Per chi ormai è di casa,  ben ritrovato, sollecito chi non mi ha ancora inviato le schede a mandarmele ricordandosi che manca una settimana.
A seguito trovate un veloce FAQ per rispondere alle domande più richieste, una comoda dabellina che spiega come pronunciare i nomi pià improponibili e la lista dei segni zodiacali non più disponibili. Non vado in ordine di ricevimento (?) ma di quale oc preferisco/è scritto meglio. Se avevate prenotato un oc con un "occupato" mandatemelo comunque, si sa mai che io preferisca il vostro. Oppure ditemi se volete cambiarlo.
Alla prosima
Peace out ✌🏼
Ebe

P.S. Spero di non aver di nuovo fatto casino con l'editing





 


Pronunce:
In generale partite con il presupposto che i nomi non van letti all'itliana. Non so usare tutti i segnetti fighi e corretti per le pronunce,
farò del mio meglio nel traslitterare come si pronuncia.

Boniface: all'inglese: "Bonifeis" [fatelo pronunciare a google traduttore se avete dubbi]
Cesaria: alla francese: "Sesarìa" [again, google traduttore è vostro amico]
Angelika: alla francese: "Angelique" [no questa volta niente traduttore]




FAQ

Cosa si intende per identità di genere?

L'identità di genere è il sesso in cui una persona si riconosce. Se questo combacia con il sesso biologico si dice Cisgender,
altrimenti si può essere trans, genderfluid, non binari,...
P.S. Se non dovesse essere Cisgender, specificate i pronomi che usa


Il segno zodiacale assegnato deve combaciare con quello di nascita?
Nop. Basta che il carattere rispecchi il segno assegnato.

Cosa sono le "quattro parole per descrivere l'oc"?
Una descrizione in breve del personaggio, NON del segno. Le sue caratteristiche principali che
possono tornarmi utili nel caso dovessi cambiare il vostro oc di segno.





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