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Autore: Arydubhe    13/04/2020    1 recensioni
70 anni separano gli eventi di Aang e Korra. 70 anni di cui ci viene detto pochissimo, un pelo di più lo si evince solo dai fumetti. Su due personaggi sopratto si sa poco e quello che si sa ha lasciato molti dubbi: che diavolo è accaduto a Toph e a Sokka?
Questi quindi sono, in romanzo, i miei ragionatissimi pensieri e le plausibili ricostruzioni del perchè le cose sono andate così e non come tutti avremmo voluto: perchè a Tokka è rimasta un sogni, chi diamine sono i padri delle figlie di Toph, come è arrivata la Rinnegata a diventare capo della polizia, come mai improvvisamente esistono così tanti metalbender e tanto altro ancora, che vedranno Toph protagonista indiscussa di una saga che ha poco da invidiare agli Avatar.
"Una consapevolezza su tutte, fino ad allora, del resto, le aveva permesso di procedere spedita: quella di essere la più grande earthbender del mondo. E le era bastata. Egregiamente anche. [...]
Di una cosa era certa: come che fossero andate le cose con quel matto pericoloso di Ozai, , non intendeva annoiarsi nemmeno dopo la sua sconfitta."
Tokka level 100%
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Sokka, Toph
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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METALBENDING
La leggenda di Toph Beifong


Img by GENZOMAN
Found on deviantart



PROLOGO :
Prospettive
Anno: 100 AG[1]

 

Sconfiggere il Signore del Fuoco.
Questa per un anno e poco più era stata la sola e unica preoccupazione di Aang, Katara, Sokka e Toph. Il Team Avatar non si era mai seriamente chiesto cosa sarebbe accaduto dopo.
In effetti, bisogna dire che nessuno di loro avrebbe scommesso con sicurezza che questo “dopo” ci sarebbe stato mai. E forse un po’ per scaramanzia, un po’ per via di questo pessimistico pensiero, il gruppo al completo si era astenuto dal formulare dei progetti veri e propri, di qualunque natura, come individui e come team.
Troppo incosciente pensare al futuro quando ad essere una scommessa era già solo il presente.
Se mai era capitato loro di affrontare l’argomento, pertanto, era stato così, di sfuggita, da lontano, più per ridere che per pianificare realmente qualcosa. Qualunque tipo di cosa.
 
L’unico del gruppo ad avere le idee piuttosto chiare era stato Zuko.
“Diventerò Signore del fuoco, sostituirò mio padre al governo e metterò fine a questi lunghi anni di guerra”.
Onesto.
La vecchia guardia del Team Avatar aveva atteso a lungo che questa decisione divenisse salda nella sua mente, decretando definitivamente il passaggio del ragazzo alle forze del bene dopo anni e anni trascorsi dal lato sbagliato dello schieramento, in quella lunga e sanguinosa guerra.
Certo era un obiettivo più facile a dirsi che a farsi, che implicava l’assunzione da parte di Zuko, alla fine, di responsabilità inimmaginabili, anche per lui che era di sangue regale ed era stato cresciuto per diventare, prima o poi, l’erede al trono della Nazione del Fuoco - che a un certo punto Ozai avesse esiliato il figlio e l’avesse estromesso dalla successione ritenendolo inadatto, era tutta un'altra faccenda, la quale, per come erano andate le cose, deponeva semmai adesso a favore del ragazzo: sicuramente Zuko avrebbe tentato di essere quanto più possibile diverso dal padre (il che poteva solo essere un bene); bisognava certo fare i conti con Azula, sua sorella, che già sentiva di sedere sul trono in vece del padre - e che per il bene di tutti mai avrebbe dovuto finirci davvero; ma almeno Zuko, insomma, cosa lo attendeva se i loro piani avessero avuto successo, a grandi linee lo sapeva; o poteva immaginarlo. Finché non avesse avuto sulla testa una corona non avrebbe compreso del tutto cosa voleva dire davvero essere re, ma che avrebbe dovuto tentare di governare -possibilmente al meglio delle proprie capacità- era quantomeno logico.
 
Aang e Katara si erano gettati più di una volta un’occhiata in tralice ogniqualvolta l’argomento si era fatto strada nella conversazione. Loro, un’idea di cosa fare alla fine di tutto questo, la avevano anche; ma avevano a stento il coraggio di ammetterlo con loro stessi, figurarsi ad alta voce di fronte agli altri. Quei due baci rubati tra loro avevano parlato da sé. Preferivano tuttavia rimandare a dopo il momento in cui avrebbero affrontato veramente la questione; se, però, il futuro fosse stato loro complice, allora, sicuramente, lo avrebbero affrontato assieme. Ma quel “se che precedeva inevitabilmente l’”allora” era troppo grande per concedere loro di andare oltre il mero fantasticare. L’unica puntualizzazione che Katara aveva avuto la forza di fare, l’ultima volta che Aang aveva osato posare le proprie labbra sulle sue, era stata infatti concludere che per quelle cose, ora, non avevano tempo; lei non aveva testa; e probabilmente tutti e due non erano affatto pronti. Così fino ad allora si erano limitati a gioire con discrezione di quel loro amore giovanile, con l’amara consapevolezza che tutto avrebbe potuto finire da un momento all’altro nel peggiore dei modi, e al contempo con la consolante presenza l’uno dell’altra al proprio fianco, come una bussola di salvezza, in ogni stretta, in ogni occhiata, in ogni parola che al momento del bisogno potevano scambiarsi.
Per quanto un po’ meno fumoso, quindi, il futuro per Aang e Katara rimaneva comunque un’incognita, con appena un faro di eventuale sicurezza reciproca in lontananza. E pure bene o male anche loro, uno spazio al poi lo avevano dato, assieme al pensiero di ciò che lo avrebbe riempito.
 
E dei due, il meno incerto era l’airbender: dopo la sconfitta di Ozai, sicuramente Aang avrebbe continuato a vegliare sui quattro regni per scongiurare il sopraggiungere di nuove crisi. Occuparsi di tutto ciò che competeva all’Avatar era un suo preciso dovere…del resto era l’Avatar e lo sarebbe stato fino al giorno della propria morte, essendo la sua una condizione che non si poteva scegliere, deporre, passare in consegna volontariamente, come una carica qualsiasi.
Il ragazzo, se fosse sopravvissuto allo scontro con il Signore del fuoco, Avatar sarebbe rimasto e dei compiti di Avatar avrebbe dovuto quindi preoccuparsi; perché nuovi pericoli sarebbero sicuramente sopraggiunti e ad essi avrebbe inevitabilmente dovuto dedicare la propria intera esistenza.
 E in queste sue nuove avventure, poco ma sicuro, Katara lo avrebbe seguito in capo al mondo. Forse anche gli altri. Ma tolta la solenne consapevolezza che lì tutti loro stavano facendo qualcosa di grande, che sicuramente non sarebbe stato esagerato ritenere che nelle loro giovani mani era posto il destino di interi Paesi di cui stavano scrivendo la storia…per quanto concerneva il “dopo” gli altri non potevano dire di avere le stesse certezze.
 
 “Quando sarò capo della Tribù dell’Acqua del Sud avrò la rivincita sui voi “dominatori” e le vostre mossette magiche bla bla” aveva sbraitato, un giorno, Sokka, picchiando a terra il proprio boomerang, spazientito dai compagni completamente immersi nei loro sproloqui su forme elementali e stili di dominazione (e da Zuko in particolare, che si stava dilungando in una noiosa e irrichiesta tirata introspettiva).
“Rivincita sulla più grande dominatrice della terra di sempre? Ah, baggianate” aveva replicato Toph con provocatoria noncuranza, scuotendo la mano come per scacciare via una mosca molesta; nemmeno per un secondo aveva pensato di muoversi da quella posizione supina in cui si trovava tanto bene, neanche per gettare all’amico un’occhiata di finto disprezzo con i suoi occhi ciechi o sottolineare la propria disapprovazione tirandogli una caccola.
Katara si era messa a ridere. “Tranquilla, Toph, mio fratello ne ha di strada da fare; e ammesso che non gli salti in testa di spodestare nostro padre -cosa di cui dubito-, ci vorrà del tempo prima che possa ricoprire quel ruolo…”
“Detta così -aveva osservato, ridacchiando, Sokka- non mi sembra sarebbe un’esperienza proprio nuova per noi, visto che tecnicamente è quello che stiamo facendo col padre di Zuko; sai com’è: detronizzare, privare della corona, deporre, cose così…nel caso avrei sicuramente un valido sifu che mi mostri come “destituire il proprio padre” …si spera con profitto…anche se quelle mossette da ballerino io non le so fare” aveva concluso, indicando Zuko.
Il principe gli aveva gettato un’occhiataccia offesa, che esprimeva quanto chiaramente avrebbe fatto a meno di quell’ingrato compito e soprattutto quanto poco gli andasse a genio quell’epiteto “ballerino” che lo metteva in ridicolo; ma Suki aveva annuito, dando corda a Sokka e impedendo così a Zuko di ribattere alcunché -o provare direttamente a strozzare il ragazzo -: “In effetti, ci stiamo specializzando a tirare giù governanti e sostituirli con gente più degna…- avevo detto con un trillo nella voce -Potremmo farne quasi un mestiere…riportare ordine, punire padri padroni, cacciare regnanti indegni…” a giudicare dal suo tono, la prospettiva sembrava allettarla alquanto “Siamo guerrieri, del resto…” aveva aggiunto, stringendo la spalla di Sokka con il suo sguardo fiero di kyoshi.
“Sì, come delle specie di…giustizieri…” aveva esclamato Sokka, sempre più fomentato.
“Intendi giocare a fare l’eroe, Sokka?” l’aveva sfottuto nuovamente Toph, un mezzo sorrisetto sulle labbra.
“Ehi! Qui non si tratta di giocare! Ti farei notare che noi siamo già eroi, quello che dico è che questa potrebbe essere la nostra occasione, il nostro trampolino di lancio verso nuove mirabolanti avventure!”
 “Aspettate…” aveva provato a bloccare quel flusso di ragionamenti sconclusionati Katara, intuendo la piega potenzialmente pericolosa che il discorso stava prendendo. Ma era stata ignorata.
“…Tipo creare una task force fissa contro i cattivi! In effetti però per farlo ci serve qualcuno da combattere …se poi è indegno…” aveva convenuto soprappensiero Sokka.
 “Detronizzare padri indegni? Io ci sto! Saprei anche da dove cominciare…” aveva esultato con entusiasmo Toph, guadagnano finalmente una posizione seduta, evidentemente fondendo un po’ troppe idee assieme in un percorso mentale tutto suo. L’astio per la famiglia Beifong aleggiava chiaramente attorno a lei come un’aura minacciosa.
 “Nostro padre non è indegno!” aveva però troncato la questione Katara prima che i commenti degenerassero ulteriormente, ammutolendo i compagni con una doccia di acqua fredda apparsa dal nulla grazie al waterbending. “E vergognati di parlare così proprio tu.” Aveva sibilato al fratello, gli occhi ridotti a una fessura, a metà tra l’allibito e il furibondo.
“…Ma…si faceva per dire…scherzavo ovviamente…”
“SILENZIO! Impegnati tu a diventare degno per quando arriverà il tuo momento”
“Appunto! – aveva sbottato -Se noi non combattiamo i cattivi, io come faccio a divenire un possente guerriero? Insomma, Aang, vedi di lasciarne in giro qualche cattivone per noialtri non-bender, o la vedo grigia…”
Suki aveva annuito convinta, Katara aveva tirato un lungo sospiro, scuotendo la testa sconsolata.
“Ci proverò” aveva concesso l’Avatar in un tono di ironica comprensione, incerto se qualunque ulteriore segno di condiscendenza avrebbe potuto significare anche per lui un’improvvisa sciabordata d’acqua in testa da parte di Katara.
 
Tutto sommato, insomma, anche Sokka, qualche piano degenere lo aveva. Fantasioso. Molto ottimista. Tendenzialmente assai generale. Ma c’era.
Di certo non avrebbe mai spodestato quel padre a cui voleva tanto bene; ma tutto sommato anche per lui la prospettiva concreta di succedergli prima o poi al posto di capo villaggio c’era. Banalmente, forse, sarebbe stato giusto definirli “obiettivi a lungo termine”, i suoi. Troppo per costituire una prospettiva reale per l’immediato futuro, ma abbastanza sensati per poter dire che proprio allo sbando anch’egli non lo fosse.  Di certo Sokka era desideroso di impegnarsi per imparare ad essere un buon capo, per quando fosse venuto li suo turno, così da essere degno di suo padre. Perché fin che si scherzava era un conto: ma Hakoda senza dubbio era la persona che Sokka più stimava al mondo. E forse, nella sua mente, quella di fare l’eroe qua e là per il mondo, tra battaglie e avventure, fino a quando non fosse giunto per lui il momento di raccogliere il testimone, poteva – non senza ragione- parergli un modo abbastanza concreto e proficuo per tenersi impegnato nel mentre; allenarsi, crescere… e soprattutto guadagnare quelle carte con cui dimostrare, a sé e agli altri, che un giorno sarebbe stato all’altezza di succedere a qualcuno di così grande come suo padre.
Sokka, del resto, amava pianificare -e i suoi amici ne sapevano qualcosa-, ma solo quando aveva i dati per farlo; altrimenti era il primo a vivere alla giornata e prendere le cose così come venivano. La relazione con Suki per prima. Non che non la amasse o intendesse la relazione con lei come un capriccio. Avrebbe dato la vita per lei. Ma seriamente, cosa poteva saperne ora di cosa sarebbe stato di loro due dopo?
 Stavano lottando per cambiare il mondo…come e quanto questo sarebbe cambiato dopo le loro azioni erano i primi a non saperlo. Per questo riteneva inutile e un totale spreco di tempo formulare piani di qualunque sorta. Per questo anche in quella relazione preferiva impegnarsi qui e ora, senza stupidi sfarfallii emotivi indirizzati al futuro e a fantasiose farneticazioni. Un pensiero piuttosto intelligente per il ragazzo, che, in effetti, nonostante le apparenze, stupido non lo era affatto. La loro non era una scampagnata senza rischi. Lui e Suki erano due combattenti. E non si sarebbero mai tirati indietro per paura. Nessuno dei due si sarebbe astenuto dall’assolvere i propri doveri fino in fondo, ad ogni costo. Con il futuro, avrebbero fatto i conti a tempo debito. Su questo, la stessa Suki si era dimostrata concorde.
 
Infine, c’era la giovane earthbender.
La risposta di Toph ai dubbi sul futuro era sempre stata mediamente uno sbuffo annoiato sulle ciocche della sua -troppo- lunga frangia e una scrollata di spalle -accompagnata da una scaccolata di naso -o piedi. Quando si era gettata in quella avventura, la ragazzina aveva lasciato dietro di sé tutto. Aveva abbandonato il suo status, la sua precedente vita, era fuggita dalla propria famiglia con cui aveva peraltro interrotto ogni contatto, guadagnandosi così ira e sdegno da parte dei genitori e del casato- forse neanche troppo immeritati, visti i modi con cui si erano lasciati. In seguito, il tentativo dei sui genitori di farla rapire pur di riaverla a casa non aveva certo contribuito a migliorare i rapporti tra loro.
Voleva ancora bene a sua madre e a suo padre e le dispiaceva che le cose fra loro fossero finite così; sapeva che ogni errore essi lo avevano compiuto in buona fede, nel tentativo di proteggerla, anche se oltre il necessario e sicuramente oltre i limiti che lei avrebbe gradito; ma la semplice verità era che i suoi non l’avevano mai capita e probabilmente mai si sarebbero seriamente sforzati di farlo, convinti come erano, ancora, di essere nel giusto. Ma lei non aveva nessunissima intenzione di farsi trascinare di nuovo in una vita che non sentiva come propria e che non desiderava affatto. Toph era convinta di avere ormai definitivamente abbandonato quella strada che sua madre e suo padre, un tempo, avevano pianificato per lei; e se questo voleva dire, conseguentemente, abbandonare loro, da tempo aveva deciso che avrebbe accettato questo sacrificio.
 
Che poi, “sacrificio” era un termine sbagliato, perché essenzialmente tutto questo – la fuga, l’interruzione di ogni contatto, la possibilità di girare in lungo e in largo senza scorte, tirapiedi e balie alle calcagna - aveva costituito per lei una liberazione: da quando aveva lasciato quelle quattro mura di casa che da sempre le erano state strette, troppo stette, lei si era trovata semplicemente benissimo. Per la prima volta aveva avuto l’opportunità di sentirsi veramente emancipata e realizzata, e se proprio avesse dovuto sputar fuori l’unica cosa che ancora le rodeva, era la consapevolezza che, nonostante tutto, i suoi erano e sarebbero rimasti per sempre insensibili alle sue imprese. Ma non avrebbe mai avuto rimorsi per aver creduto fino in fondo alle proprie ragioni. Nostalgia di casa? Un pelo sì, la aveva. Ma era lo scotto da pagare per la libertà, quella libertà che con le buone non era mai riuscita a ottenere e che, piuttosto, avevano provato a negarle persino con le cattive. Aveva colto, Toph, semplicemente, l’occasione per fuggire dalla gabbia dorata nella quale era stata relegata e dalla quale si sentiva soffocare; e, ora che aveva il più completo arbitrio di sé stessa, intendeva godersela al massimo.
 
Non sarebbe mai tornata sui propri passi, non perché non poteva -anche se il pericolo di essere stati diseredati e disconosciuti c’era, più simile a una certezza, in verità, e che neppure biasimava-, ma perché non voleva. Le porte di casa sua erano chiuse, ma andava benissimo così. Voleva semplicemente dire che per Toph c’era solo il futuro ad aspettarla più avanti. Nel suo modo di vedere, Sokka non aveva poi tutti i torti; i viaggi con l’Avatar erano stati solo l’inizio di una lunga avventura per il mondo a cui credeva destinata la propria vita. Un’avventura vissuta giorno per giorno, dove la vita stessa l’avrebbe condotta, nella consapevolezza che non aveva nessun posto dove andare, ma nemmeno nessun legame o dovere imposto da rispettare. Senza un posto a cui tornare né uno preciso a cui andare, quindi, Toph si trovava in balìa del mondo e al contempo se ne sentiva assoluta padrona. Dove sarebbe andata e cosa avrebbe fatto? Lo ignorava nella maniera più assoluta e completa. E le andava benissimo così. Un passo dopo l’altro avrebbe proseguito per la sua strada, giorno dopo giorno.
 
Ma tutto questo era troppo poetico e complicato perché le venisse voglia di spiegarlo agli altri -non sarebbe stato da lei- e decisamente troppo vago per permetterle davvero di formulare un qualsivoglia progetto. L’unica certezza che aveva, era quella di aver già da tempo imboccato una strada dalla quale non poteva più tornare indietro. Si sarebbe limitata a camminare a testa alta come suo solito, sempre in avanti. E se qualche muro le si fosse parato davanti…be’ semplicemente con i modi aggraziati che la contraddistinguevano, lo avrebbe sfondato a testate.
Una consapevolezza su tutte, fino ad allora, del resto, le aveva permesso di procedere spedita: quella di essere la più grande earthbender del mondo. E le era bastata. Egregiamente anche. Forse pure dopo la sconfitta del Signore del fuoco sarebbe stata, ancora una volta, quella sicurezza a ispirarla, guidandola verso una nuova fase della sua vita.
Di una cosa era certa: come che fossero andate le cose con quel matto pericoloso di Ozai, non intendeva annoiarsi nemmeno dopo.

                                                                                                                             
 
[1] La cronologia si calcola a partire dall’anno 0 corrispondente al massacro dei dominatori dell’aria.in accordo con la dicitura inglese useremo dunque il termine Year(s) before the Air Nomad Genocide (BG) and Year(s) after the genocide (AG).
  
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