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Autore: thewickedwitch    13/04/2020    0 recensioni
Andarono in macchina fino a Boston. Guidò Emma, mentre Regina si occupava di Hope che non era troppo paziente a trascorrere in macchina più di cinque minuti.
Attraversare quel confine, dopo anni, fu strano. Per Emma fu quasi un tornare alla realtà dopo aver vissuto in una bolla per tutto quel tempo.
E per un solo, fugace, attimo, in fronte alla luce del sole, le parve di appartenere ai suoi sogni. A quelli che aveva da bambina, in cui ancora, nel profondo, credeva.
/Ambientata un paio d'anni dopo la fine della serie. Su Emma Swan e Regina Mills, sulla paura, sulla speranza,sull'amore e su come, nonostante il tempo possa passare, i sogni debbano sempre continuare a vivere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Hope Jones, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I know there's something in the wake of your smile,
I get a notion from the look in your eyes...
 
"Dov'è Hope?"
"Da Regina"
"Da Regina, davvero? Perchè la cosa non mi meraviglia?"
"Tu non c'eri, i miei neanche, a chi avrei dovuto lasciarla?"
"E così non ti è neanche venuto in mente che potessi essere tornato. Ma certo, Hope è sempre da Regina..."
"E come dovrei poter prevedere i tuoi spostamenti, sentiamo? E poi, ora ti interessa così tanto di lei? Sei sempre fuori, sai qual'è la verità? Che non fai mai niente per lei!"
"Non è vero! Le porto sempre regali, da ogni viaggio!"
"Ah davvero? Le porti i regali? E quale è stato il regalo il giorno del suo primo compleanno, quando sono dovuta venire a prenderti al porto perchè tu eri troppo ubriaco persino per camminare? Perchè non poteva bastarti la sua festa, no, avevi bisogno dei tuoi amici!"
"Non ho neanche il diritto di vedere i miei amici ora?!"
"Io....Io..." distolse lo sguardo digrignando i denti, lacrime di rabbia a combattere l'orgoglio delle sue palpebre.
"Non hai neanche voluto toglierti quello stupido uncino, nonostante possa ferirla in qualsiasi momento, solo per...cosa? Orgoglio? Per non dimenticare il personaggio che il tuo stupido ego ha costruito?"
sputò quelle parole con disgusto, aspettandosi una brusca risposta e tuttavia non importandosene :" non dovresti neanche più averne bisogno…"
"E tu non dovresti più aver bisogno di Regina, continui a dire che é l'altra madre di tuo figlio e lo fai sembrare addirittura importante, ma adesso ne hai un'altra di figlia, no? Ed Henry é abbastanza grande da non avere più bisogno di una madre. Che ti importa ormai di lei?"
lo guardò incredula:" Regina é parte della mia famiglia, mi importerà sempre di lei! E Henry avrà sempre bisogno di una madre!"
"Appunto, una. Non due…Dovresti pensare a me. Dovresti pensare a quello che é meglio per Hope, stare con suo padre"
Lo guardò cercando di capire se pensava davvero quello che diceva, e il suo sguardo non lo negò:
"Parli tu, che ami la tua nave più di quanto ami lei..." sibilò, con amarezza di rabbia e delusione
"Beh Swan, la mia nave è al mio fianco da tutta la mia vita, ma questo non significa..."
Fu troppo. Qualcosa esplose in lei,o forse si spezzò soltanto. Si rifiutò di ascoltare oltre e sosse la testa incredula. Gli voltò le spalle, sbattendo la porta, senza la voglia, o la forza, di sprecare una parola in più.
Non era un tipo paziente Emma, non lo era mai stata. Ed era diventata quello che mai aveva creduto di poter essere, ed era stata felice. Si, era stata felice, cullata dalla sua dolce illusione di amore e serenità.
E si, aveva fatto dei sacrifici per arrivarci, perchè non si può essere felici e basta, va guadagnata, la felicità. E non si può essere felici del tutto, lo sapeva, ed all'idea di una totale felicità aveva da tempo rinunciato, prendendo ciò che poteva, senza pretese, ciò che le era concesso, che era già tanto, per un'orfana come lei. Perché aveva ritrovato i suoi genitori, Emma, ma a volte continuava a sentirsi un'orfana senza sapere neanche perché.
Però non era a questo, che quei sacrifici avrebbero dovuto portarla.
Non era per ottenere questo, litigi giornalieri e stress continuo, che aveva accettato di reprimere parte di se, solo perché aveva sperato che con quella parte avrebbe represso anche il suo passato.
Eppure aveva Hope e doveva essere felice, no?
E lo era, per ogni suo più piccolo gesto, per ogni sua parola, per ogni sua vittoria in quella lotta interminabile chiamata crescita, insomma,per qualsiasi cosa la riguardasse.
Ed era felice, dell'affetto dei suoi genitori, dell'amore di Henry, dell'amicizia di tutti gli abitanti di Storybrooke e di tutti quegli innumerevoli regni che neppure aveva ancora conosciuto, e dell'amicizia... si, dell'amicizia di Regina.
Ma era anche stanca, dei conflitti dentro e fuori di se, con un marito che non si era rivelato quello che lei aveva confidato che fosse,  della realtà che aveva, che non era quella che aveva sperato di ottenere con quei sacrifici.
Ma in fondo, si diceva, avrebbe dovuto saperlo, perché già aveva vissuto, prima, già sapeva quanto era dura. E poco importava poi che quella cittadina dall'aspetto fiabesco fosse stata in grado di illuderla, che i suoi abitanti le avessero fatto credere davvero nella possibilità di un lieto fine persino per lei, che avesse visto il "vero amore" realizzato negli occhi dei suoi genitori. Non importava, perché quelle cose non facevano per lei lo stesso. Principessa o meno che fosse, aveva rinunciato al suo trono, e con esso al suo lieto fine, il giorno in cui era nata sotto il nome di Emma, in un destino da salvatrice già scritto.
Ed era strano, pensò Emma, come tutto le sembrasse così sbagliato, in momenti come quello.
Sospirò chiudendo gli occhi e alzando il viso al cielo,  lasciando che quel vento leggero e pungente che si infilava furtivo tra i tetti e le strade di quella cittadina in un immaginario Maine in quei giorni di metà Dicembre, lo sferzasse.
Si, forse era semplicemente stanca.
Non aveva alcun diritto di lamentarsi della sua vita ora, lo sapeva, dopo aver conosciuto cosa significasse  davvero una "vita di schifo", come aveva così chiaramente spiegato ad Henry i primi giorni che aveva passato con lui, spingendolo a non lamentarsi di ciò che aveva, una madre come Regina, che era tanto, davvero tanto, rispetto a chi non aveva niente, a quei volti affamati e a quegli occhi tristi di bambini sperduti nelle strade, che aveva avuto davanti per tutta la vita, a partire dal suo specchio.
Eppure più aveva avuto, più la sua speranza di poter avere quello che aveva sempre sognato era cresciuta, e più lo aveva desiderato, come era forse umano. Ma, come tutti, Emma sognava la perfezione. E la perfezione non si può ottenere, mai. A volte la si vede passare, la si riesce a sfiorare, ma non si può afferrare, non si deve, perché è irraggiungibile e se raggiunta finirebbe per disintegrarsi, ma una volta assaggiata, nulla potrebbe colmare il vuoto che lascerebbe.
 E se si fermava a pensarci, Emma, sentiva quella consapevolezza atrocemente umana squarciarle il petto, quell'unica, indiscussa, mancanza d'autostima vittima delle circostanze, che di quella umanità aveva scritto la storia stessa. E dunque preferiva ignorarla, barricandosi nelle celle imbottite della sua realtà, che avrebbero dovuto salvarla da quel baratro di follia su cui quei pensieri affacciavano, impedendo la sua autodistruzione.
Cercava così un sollievo dalla sua stanchezza, aggirandosi per strade abbandonate per il freddo da tutti se non da lesti passanti incappucciati, volti senza nome che non si sforzava di riconoscere o anche solo di vedere.
Eppure non lo trovava il sollievo che cercava, nelle ormai prossime festività natalizie, né nel futuro ad attenderla dopo di esse, non aveva più progetti ne ambizioni. E questo, a parer suo, era terribile.
Ma era già da un po' di tempo, in verità, che Emma non provava più nulla se non l'amore per sua figlia e la gioia di averla accanto, e non se ne domandava in fondo neppure il perché. Lasciava invece che il tempo alterato di quella cittadina le scorresse addosso, sperando che lui solo avrebbe sistemato tutto.
In fondo, lo aveva sempre fatto.
Tornò alla realtà solo quando un bianco contorno che quasi sbiadiva nella luce argentea, confondendosi con il simile cielo, si profilò dinanzi ai suoi occhi. Riemerse dalla furiosa tempesta dei suoi pensieri nella calma di quel primo cielo pomeridiano. Lanciò uno sguardo a quella enorme casa bianca, un giusto, se non umile, palazzo per quella che era ora un'imperatrice a tutti gli effetti, come se non ne conoscesse ormai a memoria ogni più piccola crepa ed invisibile traccia di bianco scrostato dal tempo.
Sentì i muscoli del suo viso venir rilasciati da parte di quella tensione che li teneva ancora contratti in quel cipiglio infastidito dall'immateriale odore di stantio che quell'ultima discussione la aveva lasciato addosso , e prese un respiro profondo. Mai come in quei momenti aveva bisogno di sua figlia, della sua luce, della sua allegra risata e del suo affetto incondizionato. E dopo non sapeva dove sarebbe andata. Di tornare a casa non aveva proprio voglia. I suoi genitori erano ancora nel loro vecchio castello nella foresta incantata.Vi tornavano periodicamente, accolti dagli attuali reggenti. In fondo, era quella la loro vera casa, il luogo in cui avrebbero voluto crescerla. Dunque da loro non poteva andare, ma voleva stare con Hope in un luogo tranquillo, che non era di certo casa propria. Certo c'era sempre il Granny's, ma di tutta quella gente non aveva voglia. E c'era, ovviamente, casa di Regina, che mai avrebbe negato loro la sua ospitalità, lo sapeva, ma già aveva accettato di badare ad Hope, come sempre, nonostante i suo infiniti impegni, e non le pareva giusto abusare ulteriormente della sua gentilezza.
Salì i pochi gradini che la distanziavano dalla sua porta e suonò, in un gesto ormai quasi automatico.
La porta si aprì dopo poco, scivolando sui cardini in silenzio.
E poi c'era Regina.
Si scansò per farla entrare, senza neppure guardarla, ma lei non si mosse, fissandola.
L'emblematico, enorme, punto interrogativo della sua esistenza, che tornava a tormentarla quando vedeva il suo viso, quando nei suoi lineamenti rileggeva quell'antica storia capace di calmare ogni tempesta, azzerare ogni pensiero in un istante, narrata dalla sua voce, materna come avrebbe sempre voluto, decisa come era sempre stata, resa reale dal suo profumo, di selvaggia libertà affogata in notti alcoliche, di umano, stordente quasi fino ad essere minaccioso, ma familiare, calore. Odorava di vita, Regina. Della vita che Emma aveva trascorso, di quella che credeva di avere e di quella che avrebbe voluto.
E si fermava a pensarci Emma, a cosa aveva significato, a cosa si era ormai convinta significasse Regina per lei, in momenti come quello.
Regina che era un astro a lei opposto, con cui si era scontrata in una sera d'Ottobre, discendente nella sua ascesa ed ascendente nella sua discesa, la luna che tutti avevano celato dietro il suo sole, ma che non aveva tentato mai di eclissarlo, nonostante tutto, e che aveva finito per brillare più del sole stesso, dopo essere stata da questo fissata e riempita di luce fin quasi a scambiare i loro ruoli.
Regina che aveva estirpato ogni sua convinzione alla radice, fino a cambiare la sua concezione stessa di bene e male, evidenziando l'invisibilità della linea che li separa e distingue, crescendola così, come nulla aveva mai fatto prima.
Ed era spaventoso, pensò Emma, quanto tutto ciò la innalzava ai suoi occhi, era spaventosa, l'ombra di quell'ammirazione in cui rischiava di perdersi ogni volta che la guardava.
Ma lo sapeva, perché era così da anni. E da quell'ombra, sapeva ormai come uscire.
Regina continuava a non guardarla, gli occhi incollati sul foglio che stringeva in mano, dietro quegli occhiali dalla leggera montatura nera su lei così improbabili da risultare perfetti.
E in fondo poteva riassumere tutto ciò che Regina era ed era sempre stata  per lei in quelle due parole: improbabile perfezione.
Non badò a quei pensieri, non furono volontari, ormai da tempo sopiti nella spessa coltre di ghiaccio che proteggeva la vita che si era costruita, che tornavano spontanei quando una nuova crepa vi si apriva, perché non era conveniente, che lei pensasse quelle cose di Regina. E lo era ancor meno, che i suoi occhi fossero calamitati dal lieve movimento quasi automatico delle sue labbra, intente a fissare, con lievi e confuse parole, in contenuto di quel foglio nel suo cervello.
Era ancora elegante Regina, come quando le aveva portato Hope quella mattina, aveva aggiunto solo una giacca di lana su quello che Emma poteva riconoscere come "abito da lavoro". Si, ormai sapeva distinguere persino le differenze tra gli abiti che indossava per le sue formalità di regina e quelli che invece aveva quando era solo Regina. "Solo", poi. Era un eufemismo che non si addiceva per niente al suo punto di vista personale, che la preferiva nettamente nella seconda versione.
"Preferiva" poi, lei non " preferiva" Regina, erano i suoi abiti che...si, parlava dei suoi abiti....
-Oh insomma!-
La bruna alzò solo allora gli occhi dal foglio, perplessa
"Emma, vuoi entrare? Fa freddo..."
Ed era automatico per entrambe, che lei volesse entrare, che non fosse lì per prendere Hope e basta, che avrebbe potuto raggiungerla fuori e andare via con lei. Era sempre entrata Emma, e sempre lo avrebbe fatto. Era normale fosse così.
"Certo, scusa"
Si riscosse ed entrò, lasciandole chiudere la porta. Non disse nulla, vedendola tornare sui suoi documenti, si limitò a seguirla in salotto in silenzio.
Istantaneamente il suo orecchio colse i gridolini allegri di Hope, da lì provenienti, che rimbalzavano per le pareti della casa riempiendone lo spazio vuoto lasciato dagli alti soffitti
-E rendendo il lavoro di Regina assolutamente impossibile-
pensò, ma avevano affrontato quel discorso già molte volte, e lei aveva ribadito di non avere problemi. Non aveva tuttavia idea di come l'altra facesse, a lavorare tranquillamente mentre badava alla bambina. Doveva avere una predisposizione naturale.
Raggiunse il salotto e la vide, la sua Hope, seduta sul tappeto a giocare con i suoi pupazzetti e le costruzioni di Henry, in un punto in cui poteva essere tenuta sotto controllo anche dalle tre stanze circostanti, in caso ci si fosse dovuti allontanare. Sapeva non fosse un caso, e il suo volto si illuminò istantaneamente, per la dolcezza della sua bambina certo, ma anche per l'infinita attenzione con cui sapeva Regina se ne prendesse cura, quasi fosse sua. E forse, dopotutto, un po' lo era. Esattamente come Henry.
"Hope, c'è la mamma..."
Le sentì dire distrattamente, ma con così tanta, naturale, dolcezza che le si strinse il cuore, mentre la piccola alzava lo sguardo su di lei, notando la sua presenza, e con uno slancio si metteva in piedi ignorando tutto ad un tratto il suo gioco, che sebbene avesse rappresentato tutto il suo mondo nelle ultime ore, passava in secondo piano dinanzi alla presenza di sua madre. Corse da lei e si lanciò tra le sue braccia, facendosi agilmente afferrare da quella stretta che la faceva sentire al sicuro.
"Ciao amore..."
Sussurrò Emma, che ancora non aveva imparato a mantenere una voce ferma davanti agli slanci di affetto di sua figlia, e le baciò i capelli, cullandola leggermente mentre la stringeva.
Lo sguardo vagante si posò, erroneamente, su Regina, ora ferma a fissarla, a sua volta dimentica  della sua precedente occupazione, quasi incantata dalla loro naturale dimostrazione d'affetto che, pur essendo abituale, non riusciva mai a lasciarla indifferente. Le sorrise, e la vide riscuotersi.
"Vuoi qualcosa? Un the o..."
"Caffè, se lo hai, ma se devi farlo apposta per me..."
Regina non la lasciò neanche finire di parlare, voltandole le spalle in quel modo assolutamente regale -e tremendamente studiato- che aveva di farlo
"Caffè sia. Siedi pure sul divano"
Emma annuì, dinanzi a ciò che era tutto tranne che un'offerta , e si sedette con un sospiro, mettendosi sulle gambe la sua bambina, cercando di sistemare i suoi tanti, sottili, fili d'oro affinchè fossero ordinati.
"Ti sei divertita amore?"
"Mhmh..." le rispose distrattamente giocando con i suoi capelli.
Regina riapparve poco dopo con due tazze di caffè, e sentendo Hope dimenarsi, già nuovamente attirata dal suo gioco, Emma la lasciò andare.
La guardò rimettersi a "lavoro" con affetto, girandosi poi per prendere quella tazza di caffè di cui già sentiva odore alle sue spalle. Dita pallide e sottili vi si avvolsero intorno, sfiorando per un momento quelle più scure appartenenti alla donna cui viso stava accuratamente evitando di guardare. E non sussultò, non incatenò al suo il proprio sguardo, come un tempo avrebbe fatto. Si mosse invece, in quella ormai acquisita abitudinale noncuranza, necessaria al suo instabile equilibrio, ritirandosi nello schienale del divano.
La sentì sedersi accanto a lei con naturalezza.
E con quanta delicatezza il suo peso deformava i morbidi cuscini in pelle bianca, e come era diversa, dal brusco squilibrio a cui era abituata, impresso da un peso nettamente superiore al suo.
Bevve un sorso di caffè in silenzio.
Profumava la sua casa, di essenza di giglio e shampoo per bambini, e l'odore del caffè si mischiava gentilmente a quel profumo di mela irradiato dalla donna a lei poco distante. Si lasciò cullare da quelle essenze e  da quel silenzio, non disturbato da voci di televisione, strumento a cui Regina era ancora piuttosto contraria, che nella sua casa era invece abituata a sentire,perturbato occasionalmente solo da tenere, vivaci, esclamazioni di gioia di Hope.
Lasciò dunque che la tranquillità prendesse il posto del rancore che il suo cuore aveva fino ad allora serbato, e non disse niente, non ne sentì il bisogno.
Non fu lei a rompere la quiete, quando Regina parlò, lo sguardo ancora fisso su Hope e una mano tra i capelli. Si tolse gli occhiali con un sospiro, ed un gesto fluido che con tutta la sua buona volontà Emma non riuscì a fare a meno di notare.
"Mi dispiace... non poterle dedicare più attenzione. Insomma giocare con lei è così bello ma... l'anno sta finendo, ogni regno deve chiudere i conti e devo sistemare così tante cose che..."
Era stanca la voce di Regina, notò Emma. Non stanca come la sua, pregna di apatica rassegnazione e sopito rancore, no. Era esausta, avrebbe potuto dire. Ma celava soddisfazione, in qualche modo. Rassegnazione si, ma rabbiosa e vendicativa, come in fondo la sua indole sarebbe sempre rimasta. Forte.
Regina era forte, sarebbe sempre stata più forte di lei, e non poteva che ammirarla per questo.
"Non hai di che scusarti, Regina. Già passi tantissimo tempo con lei, mi dai un aiuto davvero importante."
La vide stringersi nelle spalle
"Mi rattrista vederla giocare da sola"
Ed Emma si sentì in colpa. Senza sapere neanche perché, ad un tratto, si sentì in colpa. Perché forse non era lei, la madre che Hope meritava. Non era una famiglia in lotta, quello che meritava.
Però tacque, perché non poteva lamentarsi, non di se stessa, non con lei. Non ne aveva il diritto.
Si schiarì la voce, e con essa anche la mente, spostando il discorso su una neutralità che avevano sviluppato negli anni, con una cura ed un attenzione pari a quelle che si possono riservare ad una delicata ed instabile struttura cristallina.
"Come va nel regno?"
Regina la guardò per un solo istante prima di rispondere, il tempo necessario per cogliere l'utilità di quella domanda. Perché ad Emma non era mai interessato, del regno.
"Bene direi. Misthaven prospera più del solito quest'anno, non possiamo che aspettarci ancora di meglio per l'anno prossimo. Arendelle ha migliorato la sua politica di esportazione del ghiaccio, e a partire dal nuovo anno ridurrà le tasse di esportazione sulle quantità superiori ai trecento chili. Ad Agrabah la sultana ha istituito nuovi rifugi nelle lande sabbiose per tutti i senzatetto e..."
Ed Emma smise di ascoltare, perché non le era mai interessato del regno. Certo, era principessa, aveva delle responsabilità e bla bla bla, come sua madre non mancava di farle notare. Ma non era quello che aveva deciso di essere, per questo era rimasta a Storybrooke. Certo, non che tutti quegli altri regni non la interessassero, li avrebbe visitati volentieri, un giorno, ma l'arrivo di Hope glielo aveva impedito, almeno per il momento.
E poi, stava parlando Regina. Ed era ipnotizzante quasi, come la sua voce si sciogliesse abile tra i meandri delle sue responsabilità di regnante, pareva quasi sapesse tutte quelle nozioni a memoria. E probabilmente era così, perché nel suo lavoro era bravissima, impeccabile, la migliore. Emma pensava che se nel mondo reale fossero esistiti ancora regnanti così le cose sarebbero andate meno a rotoli.
Anche se a volte, Emma, non poteva fare a meno di domandarsi se quello fosse davvero ciò che Regina voleva.
Ma fissarla non le dava una risposta, come un tempo avrebbe fatto. O forse la aveva già, ma l'illusione di essere ancora fuori da alcuni dei suoi misteri le lasciava lo spazio sufficiente per allontanarsi quel tanto che le serviva per non perdere l'orientamento, nel mare profondo della sua voce.
Eppure non poteva evitare di fissarla, in nome di quella certezza che cercava ormai da anni. Doveva essere certa, Emma, di non provare più nulla per Regina.
Un tempo la guardava, perché guardarla nutriva i suoi sogni, la sua determinazione, il suo odio, la sua luce e la sua oscurità. Un tempo la guardava perché lei era ciò per cui combatteva.
Ora la guardava solo per avere quella certezza, che non sapeva quando, ne come, sarebbe arrivata, ma che senz'altro presto avrebbe avuto. Ma che non avrebbe potuto avere, se non continuando a fissarla.
E Regina forse sapeva, di non essere ascoltata, ma continuò, terminando poi il suo discorso aggraziatamente, nella vile noncuranza
"Insomma, le solite cose"
"mh..." borbottò Emma, tornando presente
Regina la guardò ancora, perplessa, quasi studiandola, avrebbe detto, perché se lei cercava ormai di restare fuori dai suoi misteri, per paura di questi, Regina non faceva altrettanto. Non ne aveva bisogno, pensava Emma, perchè Regina era più forte di lei. Non aveva bisogno di non conoscerla, per superarla, per superare ciò che era stata.
"E tu?"
Tornò a vederla veramente, a disagio come colta in flagrante
"Io cosa?"
La vide trattenersi a stento dal roteare gli occhi
"Come stai?"
Come stava? Bene. Dopotutto, stava bene. Per Regina, doveva stare bene, perché lei non aveva colpe, questa volta poteva dirlo senza dubbio alcuno. Non aveva colpe. E faceva sempre tutto ciò che poteva, per aiutarla.
Si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo abbozzando un debole sorriso, cercando di sembrare il più naturale possibile.
"Va tutto bene"
Ed era vero, lei non mentiva mai a Regina. Si limitava ad omettere. Andava tutto bene, intorno a lei.
"Non mi interessa come va, Emma. Mi interessa come stai tu. Non credere che non la veda, la stanchezza nel tuo sguardo. Quel sorriso non è... non è il tuo"
E le parve quasi arrabbiata Regina, nel modo in cui pronunciò quelle parole, che si sforzò di stroncare tuttavia, prima che si spingessero troppo oltre.
E come faceva poi Regina a sapere quale era il suo sorriso? Lo sapeva e basta, perché nessuno l'aveva conosciuta mai così a fondo come aveva fatto lei. E per quanto la cosa la spaventasse e l'avesse sempre spaventata non poteva fare a meno di ammetterlo. E di negarlo. A lei e a sé stessa.
"Te l'ho detto, va tutto bene, sono solo un po' stanca, ho svolto vari impegni prima delle feste oggi e..."
"Hai svolto vari impegni? Davvero?" e pareva istericamente disperata e divertita, la voce di Regina
"Emma...hai sconfitto mostri, draghi, viaggiato attraverso dimensioni e tempo, dormito in macchina per...non so neanche quanto tempo, sopravvivendo in un mondo che ti metteva a rischio ogni giorno e ora...sei stanca per aver svolto 'vari impegni'?"
Aveva ragione. E no, non erano gli impegni a stancarla, o forse si, nella sua attuale quotidianità.
Ma non poteva lamentarsi con lei, non voleva...
Sentì la sua mano toccarle il braccio e questa volta sobbalzò. Trovò il senso di colpa nei suoi occhi, e strinse i propri.
"Cosa sta succedendo veramente, Emma?"
E si, poteva sembrare egoistico da parte sua, pensò Regina, intromettersi nella sua vita. Era un'accusa che nessuno le aveva rivolto, ma che da sola aveva sviluppato,perché riportare Emma a chi era davvero, chi ora non era più, avrebbe significato per lei riportare la sua Emma, eppure non parlava per quello, non lo faceva per quello,lei voleva solo il meglio per lei. Ed era sicura che il meglio non fosse quello che stava vivendo. La luce nei suoi occhi che non c'era più. Il suo sorriso, di cui era rimasta solo una scia sbiadita.
Ma aveva davvero il diritto, Regina, di intromettersi nella sua vita quando lei diceva di essere felice?
Aveva il diritto, di cercare di allontanarla da una persona che era sicura fosse la causa di ogni suo male, e che pur lei diceva di amare?
Non lo faceva dunque, per puro egoismo? No, ma quell'accusa continuava a battere perpetuamente sulle pareti della sua mente.
E allora fece un passo indietro. E ritirò la mano.
"Se pensi di volermelo dire, ovviamente..."
Emma sorrise a quella preoccupazione, a quell'affetto che le era ben noto, e che al tempo stesso era stato sempre terribilmente ignoto.
Sospirò.
"Ho litigato di nuovo con Killian"
Non la sorprese, la totale impassibilità sul volto di Regina, così diversa dalla sorpresa che solcava quello di sua madre ogni volta che veniva a sapere di un loro litigio.
"E poi?"
Si voltò a guardarla, sorpresa
"E poi cosa?"
Regina si spostò sul divano, quasi a disagio, interrompendo il loro contatto visivo
"Non è una novità che tu litighi con Killian e... non mi intrometterò nella vostra vita di coppia, sebbene tu sappia benissimo come la penso..."
Emma sorrise divertita
"Già, non sei molto brava a nascondere la tua antipatia, non con me"
E anche l'altra si sciolse in un sorriso
"Già... ma ...non può essere solo questo, a turbarti. Almeno immagino che non lo sia"
La bionda sospirò sprofondando nello schienale del divano
"Non posso dire di avere nessun reale problema, non dopo quello che ho passato, non dopo quello che hai passato tu, ma...è come se tutto andasse nella direzione sbagliata. Tranne Hope, ovviamente"
Regina non la guardò, riconoscendosi perfettamente nella sua situazione. E non le rispose davvero, intimorita dall'addentrarsi nell'argomento
"Sono cambiate tante cose..."
"Si ma... a volte sembra quasi che siano cambiate nel verso sbagliato"
Un sorriso ironico solcò le labbra della bruna, brucianti di rabbia, strette per impedire a quell'incendio di divampare.
Perché si, era arrabbiata Regina. E non sapeva esattamente neanche perché.
Forse perché dopo tutto quello che avevano attraversato, dopo tutti gli anni che erano trascorsi, non sarebbe dovuta finire così.
Forse perché per l'ennesima volta nella sua vita si era trovata a ricoprire un ruolo che non era il suo, per l'ennesima volta qualcuno aveva distrutto il suo cuore, lasciandolo frammentato e sanguinante. E , cosa peggiore di tutte, quel qualcuno non lo aveva fatto in nome della propria felicità, ma in nome di una collettiva salvezza che il suo ruolo quasi le imponeva, riservata però stavolta a loro due sole, che le impediva di odiarla, detestarla, o semplicemente allontanarla, quando si rendeva conto di aver bisogno di lei.
Forse perché era una codarda a sua volta, pugnalata dalla paura e bruciata nel suo orgoglio.
"Tu dici?"
E servì qualche secondo ad Emma per analizzare quella risposta e tutti i possibili tormenti che in essa potessero essere celati.
La fissò ancora a lungo, mentre lei finiva di bere il suo caffè, quel sorrisetto ancora sulle labbra, che se non fosse stato così pieno di dolore avrebbe senz'altro risvegliato in lei quelle fiamme che a lungo l'avevano lambita dall'interno, scarlatte come il suo rossetto.
Eppure il tenue profilo di una soluzione si delineò nella sua mente, qualcosa a cui non aveva mai pensato prima.
"Essere regnante non è quello che volevi, vero? Non lo hai mai voluto"
E lei continuò a sorridere in quel modo, fissando il vuoto della stanza innanzi a lei
"Se l'ho voluto? No. Non l'ho mai chiesto ma infondo, è sempre stato il mio destino. Mi ci sono rassegnata. Inoltre... è un onore che mi è stato dato, il mio perdono, il debito che devo riscattare nei confronti di tutti loro, ed è per questo che continuerò ad adempiere al mio ruolo finchè avrò la forza di farlo,  nel migliore dei modi in cui ne sono capace"
Ed era così fiera Regina, nella sua posa eretta e nella sua decisione, che il cuore di Emma saltò un battito.
"Però non è quello che vuoi"
La guardò finalmente, con una leggera stretta di spalle
"Io voglio solo lasciarmi il passato alle spalle Emma. Non ho mai voluto nient'altro."
E quegli occhi scuri la trapassarono, lasciando nella sua anima tracce di uno e cento significati.
"Anche il perdono ha un prezzo. E poi...non mi pare che tu abbia chiesto di essere la salvatrice, prima di nascere, eppure lo sei stata lo stesso, ed hai pagato il tuo prezzo, per esserlo, per avere la magia. Hai sofferto. E ora suppongo che... tu ti ci sia rassegnata"
Deglutì, distogliendo lo sguardo.
"La differenza tra me e te, Emma, è che io sto pagando per gli errori che ho commesso. Tu invece hai dovuto affrontare un destino già scritto sin dalla nascita senza avere nessuna colpa."
"Anch'io ho commesso errori, Regina..."
la vide scuotere lentamente la testa
"Si. E poi io ho affrontato il mio destino, già scritto magari, ma già scritto con un lieto fine. Tu non hai avuto questa possibilità. Tu te lo sei dovuto guadagnare, il tuo lieto fine, combattendo con le unghie e con i denti, da sempre."
Lieto fine... era buffo parlarne con lei.
Improvvisamente Regina sospirò esausta della conversazione.
"Sei felice Emma? Intendo, davvero felice?"
Emma le sorrise, e Regina credette di vedere il tormento di una vita, nell'increspatura delle sue labbra, e tutti i suoi anni
"é possibile per noi essere davvero felici?"
Ripiombarono in un silenzio amaro e vuoto, e vi rimasero finchè Regina non parlò nuovamente, risollevandosi con un altro sospiro
"Abbiamo deciso di festeggiare qui il Natale, con Henry, Jacinda e Lucy. E ovviamente i tuoi, se torneranno in tempo. Verrete?"
Emma sorrise. Per la prima volta il pensiero del Natale la fece stare meglio.
"Certo che si. Non perderei un Natale con voi per nulla al mondo"
Regina ricambiò il suo sorriso con uno luminoso, sincero.
Il pendolo suonò l'ora ed Emma la controllò  alzandosi subito dopo dal divano
"Scusami, ti sto facendo perdere un sacco di tempo. Avrai da lavorare, togliamo subito il disturbo"
Ed una fastidiosa stretta allo stomaco la assalì ripensando al tornare a casa.
Regina si alzò dopo di lei
"Veramente pensavo di non lavorare più per oggi"
Si massaggiò la schiena indolenzita. Il tempo aveva ormai smesso da un po' di anni di essere clemente con lei.
Ma si sentiva bene, dopo aver parlato con Emma. Si sentiva meglio. E pensò che, dopotutto, nonostante tutto il loro dolore, avrebbero potuto continuare ad essere amiche.
Sorrise.
"Vi andrebbe di...fermarvi a cena? Non so se Killian..."
Emma si voltò verso di lei improvvisamente, una luce di sollievo negli occhi.
"Lui non avrà problemi. Se davvero possiamo...sono sicura che Hope ne sarà felice"
Sentendosi chiamata in causa la bambina alzò la testa e le guardò per poi alzarsi e raggiungerle con i suoi passetti ancora instabili
Emma si chinò alla sua altezza e le sorrise dolcemente
"Ti va di restare a cenare qui amore?"
Lei le fece un grande sorriso
"Si!"
E la abbracciò felice prima di correre da Regina ed abbracciarle le gambe guardandola dal basso
"Co zia 'Gina!"
E quelle semplici parole scaldarono un cuore che troppe volte era stato di ghiaccio, mentre lei le sorrise con un affetto sconfinato negli occhi e la prese tra le braccia.
 
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You've  built a love, but that love falls apart
Your little piece of heaven, turns too dark.
 
"Killian, sei pronto? Siamo già in ritardo..."
Entrò di fretta in soggiorno cercando il suo cappotto, tenendo per mano Hope, solo per trovarlo seduto scompostamente sulla sua poltrona, ancora nei vestiti di quella mattina, con una bottiglia vuota di rum in mano e uno sguardo vacuo sotto un cipiglio indisponente e quasi furente.
E sebbene lo odiasse, rabbrividì.
L'uomo che aveva  sposato, il marito che aveva scelto, che aveva creduto essere uno spirito troppo libero per lasciarsi andare, eppure disposto a condividere con lei quella libertà, si era trasformato ora in un altro degli stanchi prigionieri della quotidianità, privi di sogni e di speranze, e cechi di valori.
Non vi era più traccia di quella persona gentile e disponibile, che cercava in tutti i modi di lasciarsi alle spalle il passato, che un tempo vi aveva visto. E forse, aveva iniziato a non esserci già da qualche anno.
Temette, forse non per la prima volta, che come altri che aveva in passato conosciuto, nelle tante famiglie in cui era stata, si sarebbe d'un tratto alzato e avrebbe distrutto con calci e pugni, alimentati da immotivata rabbia e scontento di se stesso, i muri di quella "prigione" che avrebbe dovuto donargli solo felicità.
E si, avrebbe potuto difendere se stessa e sua figlia, su questo non aveva dubbi, ma era giusto pensare quello che lei stava ora pensando, muta davanti a quello spettacolo di decadenza, del proprio marito?
Aveva senso?
"Non ti sei ancora cambiato... faremo tardi. Sai che Regina odia i ritardi e..."
Mossa sbagliata.
"Regina, Regina... non fai altro che parlare di lei, almeno te ne rendi conto?!"
Killiab rise, e forse una parte di lei si sentì in colpa. Non rispose.
Lui sollevò la testa ed aprì gli occhi
"Non mi interessa, della tua ridicola cena di famiglia. Non mi interessa di Regina. Regina è ovunque, c'è sempre, cresce mia figlia, si comporta meglio di me, non è così?"
"Killian io non..."
Lui rise di nuovo
"Avrei dovuto assicurarmi che Greg e Tamara la uccidessero tanti anni fa..." sussurrò divertito, zaffate di alcol a raggiungerla ogni volta che apriva bocca.
E quelle parole accesero qualcosa in Emma. Ogni timore, ogni limitazione, si scostò dinanzi al pericoloso mistero.
"Che diavolo vai farneticando?" rispose nello stesso tono, quasi ringhiò, si accorse, tra i denti, stringendo la mano di sua figlia che li guardava in silenzio, con spavento crescente negli occhi.
Cercò di mantenere la voce bassa solo per lei, pregando che in qualche modo non dovesse sentire quella conversazione, che non dovesse vedere suo padre così, che non dovesse vivere una situazione come quella, dannazione! Eppure si sentì impossibilitata a lasciar andare la sua mano, sentendo il bisogno di averla vicina.
La risposta di Killian tuttavia, non tardò ad arrivare.
"Oh sai...quando l'avevano presa per torturarla..."
Un ghigno deformò le sue fattezze, uno che non vedeva da tempo, forse da quando era ancora un cattivo in piena regola, tronfio di soddisfazione, le iridi annegate nell'alcol.
"Chi credi abbia svolto l'importante ruolo di mettere a rischio la propria incolumità per toglierle i poteri e portarla da loro, dimmi?"
Il viso di Emma invece, riuscì solo a deformarsi in un espressione di disgusto
"Sei stato tu?!"
Lui continuò a sorridere
"Non c'è bisogno che questa città mi ringrazi. Anzi, avrei dovuto assicurarmi che la finissero, invece non ero lì per aiutarli..."
"Come puoi...come puoi...tu..."
Era senza parole Emma, incerta se mettersi a gridare, a piangere o a colpirsi da sola per quanto ottusa era stata, ora che tutto pareva così evidente.
"Oh andiamo!" esclamò lui: " al tempo non importava a nessuno, era la regina cattiva che tutti odiavate, o meglio, lo è ancora, ma pare voi abbiate smesso di ricordarlo. La sua morte avrebbe solo reso tutti più felici."
"Importava a ME!" urlò finalmente
"Mi sono tormentata per giorni, per non essere stata in grado di evitare che le facessero quello, per giorni, ho sofferto vedendola reprimere le emicrania che la torturavano fin quasi a lasciarla senza respiro, PER GIORNI! E tu invece... tu invece ci hai fatto credere di essere all'improvviso il buono che ci forniva la soluzione. Lei ha..." deglutì al pensiero. E la colpì ancora una volta, più forte che mai, la meraviglia di quanto forte fosse, Regina.
Calmò il tono, rendendolo poco più di un sussurro profondo, furente, inamovibile
"Lei ha viaggiato sulla tua nave, passato giorni in tua presenza, senza dire una parola di tutto questo, senza abbassarsi al tuo livello e...tentare di ucciderti"
Scosse la testa incredula. Quanto cieca era stata.
"Oh andiamo! Non venirmi ora a raccontare questa storia, dopo che ha sterminato milioni di innocenti nella foresta incantata. Mi domando ancora come tu faccia a stare dalla sua parte dopo che lei ti ha fatto passare ventotto anni di solitudine per la sua stupida vendetta"
"Tu non capisci... non capirai mai, vero?"
Sentì allora un lieve tirare su col naso e si voltò a guardare sua figlia, che tratteneva a stento lacrime di tristezza e paura. E tutto il resto scomparve.
La prese in braccio e la strinse a se, protettiva.
Come aveva potuto esporla ad un rischio così grande? A qualcuno che aveva fatto quello e chissà cos'altro.
Si, era vero, Regina aveva fatto del male, tanto, imperdonabile, male,  in passato, ed alcune di quelle cose non sarebbero mai potuto essere cancellate, ma altrettanto aveva fatto lui, se anche non aveva ucciso aveva rovinato vite in altro modo, e sapere che aveva fatto del male a lei, tra di tutti proprio a lei, quando già era una persona nuova fu improvvisamente inaccettabile.
La sua presenza nella sua vita, divenne inaccettabile.
"Finisce qui, Killian. Finisce qui." accarezzò nervosamente la testa di sua figlia, scossa dai singhiozzi sulla sua spalla
"Non venire a cercarci"
Lui scoppiò a ridere
"Chi, io? Venire a cercare te e tua figlia? E perché mai? Ne ho abbastanza, di te. Vai pure, a goderti il tuo Natale con la tua cara famigliola, con tutta quella gente che hai sempre amato più di quanto amavi me. Va! Con questa bambina ingrata che corre più volentieri nelle braccia di una pazza criminale che in quelle di suo padre. Va!
Questa città... è maledetta, è il posto più terribile in cui abbia mai messo piede. Tutti così buoni, eppure nell'aria si respira puzza di vecchi rancori e rabbie represse e, più di tutto, puzza di falsi innocenti che si credono vittime perché hanno voluto credere in una vita migliore. "
La guardò, ed in quel fiume di parole senza senso, claudicanti nel loro andamento, eppure sul bordo di un baratro di spaventosa ed oscura verità, i suoi occhi parvero improvvisamente sobri.
"I cattivi non cambiano mai, ricordatelo Swan"
E le sembrò una minaccia, e la scosse così profondamente e la fece infuriare talmente, che avrebbe vomitato all'istante se non si fosse sforzata di mantenere un contegno per sua figlia.
"Va all'inferno, Killian"
Così si avviò a grandi falcate verso la porta, decidendo di ignorare la sua voce che la seguì fin fuori alla porta
"Ci sono già stato! E ti assicuro che era meglio di questo posto!Era meglio di te!"
Emma strinse Hope al petto e corse via, contro il vento freddo che la intirizziva colpendo senza pietà la sua schiena coperta solo dal maglione sottile. Corse via con le palpebre serrate, per  paura di lasciar scappare lacrime di odio, di risentimento e di frustrazione per essere ancora quello che era sempre stata, una bambina indesiderata, che trovarono comunque la loro strada sulle sue guance, come lei trovava la sua verso il luogo a cui sempre era arrivata, anche ad occhi chiusi, lasciandosi guidare dal suo istinto.
Corse via da quell'amore che aveva costruito, che le stava cadendo addosso in pezzi che rischiavano di schiacciarla, da quel piccolo pezzo di paradiso che la sua casa non era mai stata, ma che lei si era sempre sforzata di immaginare che fosse, che era diventato troppo oscuro per metterci ancora piede.
Semplicemente corse via, come aveva sempre fatto.
Ma questa volta, sapeva dove andare.
 
Sometimes you wonder if this fight is worthwhile,
the magic moment are all lost in the tide...
 
Nonostante credesse di essere già in ritardo, quando arrivò a bussare alla porta di Regina Emma non trovò nessuno oltre lei, a causa di un piccolo imprevisto nei preparativi, come poi venne a sapere.
E quando Regina aprì la porta e le trovò in quello stato sbiancò visibilmente facendole entrare senza una parola e chiudendo a chiave la porta dietro di loro. Le fece sedere in salotto, accanto al camino, e diede ad entrambe una coperta per riscaldarsi.
Non parlò tuttavia, non disse niente, limitandosi ad assisterle come poteva e a guardarle senza sapere se avvicinarsi o meno. Poteva solo immaginare, quello che era successo.
E quando immaginava Regina, immaginava sempre gli scenari più tetri e spaventosi. Emma lo aveva sempre attribuito a tutto quello che aveva vissuto in passato.
"Mamma, ho paura..." le giunse flebile, la voce di Hope, ma catturò la sua attenzione in un istante, congelandola sul posto
Trascorse un momento prima che Emma le rispondesse, con voce dolce, nonostante tutto, ricacciando indietro le lacrime
"E di cosa hai paura amore?"
"Di papà" la bambina scoppiò in un altro singhiozzo mentre Emma la stringeva al petto cercando di tranquillizzarla
"Sshh, sta calma. Siamo a casa di zia Regina, ti ricordi cosa ti ho detto? Casa di Regina è il posto sicuro, ok? Non devi aver paura di niente qui" le baciò la fronte, lasciando che quelle rassicurazioni agissero anche su se stessa.
E Regina rimase ancora in silenzio, si, anche la sua mente non fiatò. Perchè se si fosse soffermata su i pensieri che in quel momento vi stavano nascendo, era certa che la parte di sé che aveva con tanta fatica cercato di reprimere sarebbe tornata alla luce in pochi istanti.
Quando si accorse però, che anche le spalle di Emma erano scosse da singhiozzi silenziosi, le si avvicinò con cautela, riservando la rabbia che sentiva crescere nel suo petto al dopo,perché loro venivano prima di tutto,  e prese ad accarezzarle la schiena, disegnandovi ampi cerchi delicatamente. E se Emma sobbalzò all'inizio di quel contatto, prese a rilassarsi lentamente, fin quando i singhiozzi non si furono calmati del tutto.
Si calmò anche Hope, cullata delicatamente dalle sue braccia e riscaldata dalla coperta, ed Emma la posò piano sul divano, nel suo vestitino di tulle rosso che lei stessa aveva scelto per quella serata, cercando di non svegliarla. La vide rannicchiarsi ancora di più e sorrise.
Con un respiro profondo poi si preparò ad affrontare Regina.
C'era infatti un motivo, se ogni volta che aveva bisogno di aiuto si recava da lei invece che da sua madre. Non poteva sopportare Emma, la valanga di domande della donna, che non riusciva a comprenderla in altro modo, in silenzio, come Regina faceva.
Si voltò infine verso di lei, tentando di eliminare con un rapido gesto ogni traccia rimasta delle lacrime che aveva versato dalle guance. Accennò un debole sorriso.
"Grazie" sussurrò
Regina la stava fissando, non poteva fare a meno di fissarla, chiedendosi se sarebbe stato meglio chiederle ciò che era successo e lasciarla sfogare, o ignorare del tutto la faccenda, prendendo i suoi personali provvedimenti perché, dal suo punto di vista, non c'era alcun dubbio, su chi fosse la causa di tutto quello.
D'altronde, Hope era stata chiara.
Ma alla fine, scelse di parlare, perché forse era ciò che Emma avrebbe fatto.
"Gli altri arriveranno tra mezz'ora, hanno avuto un imprevisto. Ti va di... dirmi cosa è successo?"
Emma sospirò. Pochi giorni ed era già la seconda volta che era da Regina a lamentarsi sulla sua vita, sul suo senso di inadeguatezza e sul suo matrimonio in frantumi, mentre lei avrebbe avuto così tanto di cui lamentarsi ma non lo aveva mai fatto.
E poi le tornarono in mente le parole di Killian, ed improvvisamente guardò la donna di fronte a lei in modo del tutto diverso
"Regina io...mi dispiace"
E senza lasciare che la sua mente elaborasse ciò che stava per fare una seconda volta, la abbracciò.
Infranse la sua figura, la sua impassibile stabilità, eretta di forza, che riusciva persino a trasmettere agli altri, come se già non servisse tutta per lei sola, con un'immotivata, imprevista, stretta. Con un calore che lasciò la bruna senza fiato e senza spiegazione.
E che in qualche modo, la ridusse in frantumi.
Regina rimase immobile, avrebbe dovuto in ogni caso, perché quelle braccia non le lasciavano scelta, ad ascoltare il suo respiro affannato ed ancora umido di lacrime.
Cosa aveva da dispiacersi, Emma? Emma, l'unica a non averle mai fatto niente per davvero?
Emma che era arrivata da lei in lacrime, fuggendo da ciò che lei aveva sempre saputo che sarebbe avvenuto, ma che non aveva mai provato a fermare per cieca codardia.
Perché aveva troppe colpe, Regina, per giudicare. E la colpa più grande di tutte era proprio quella che l'avrebbe spinta a farlo. Quella che lacerava in silenzio il suo cuore ogni giorno, quella che tornava a pugnalarla nella sua stretta disperata, perché non era stata in grado di reprimerla, e allo stesso tempo non le aveva fatto onore. L'aveva solo seppellita, nella parte più profonda del suo cuore, dove giacevano Daniel e Robin, affinché loro fossero promemoria del perché era esattamente lì, che sarebbe dovuta restare.
Eppure quella tornava, prepotente, facendosi strada nel suo petto a coltellate roventi, come aveva fatto sempre. E come sempre, lei non riusciva a fermarla: eccessiva la sua intensità.
Perché la colpa più grande di Regina era amare.
Ancora e ancora, senza speranza, senza limite, nuotando in quel mare di sofferenza di cui era vittima e causa.
E nel profumo dei capelli di Emma, nell'odore della sua disperazione di cui si sentiva inevitabile causa, sentì quel mare gonfiarsi a dismisura, inondare il suo petto, e con esso i suoi occhi.
Li chiuse, trattenendo con tutte le sue forze qualunque cosa avrebbe potuto uscirne.
Ma non resse quel contatto, non poteva.
"Emma, ti prego..."
Solo una supplica strozzata lasciò le sue labbra, il gemito di un cuore agonizzante, senza senso eppure pregno di qualsiasi significato.
Ed Emma la lasciò andare ritirandosi di scatto, in una mancanza di coraggio che le impedì di guardarla in viso, lasciando così all'altra il tempo per eliminare dai suoi occhi ogni traccia di liquido dolore.
"Scusami..."
Sussurrò ancora Emma, temendo di essersi spinta troppo oltre. Non aveva altro da dire. Come annullare anni di sofferenza, infiniti momenti di insensibilità di fronte a ciò che l'aveva distrutta?
Regina deglutì
"Va tutto bene... tu...tu stai bene?"
Non le interessava sapere perché Emma si scusava. Avrebbe forse avuto troppo, di cui scusarsi, o forse assolutamente niente. Ma quella stanchezza che sentì invaderla improvvisamente in quella funesta vigilia di Natale, ritrasse ogni sua curiosità. E poi, non era lei il centro del discorso. Era Emma, a soffrire. Era lei, a doversi sfogare.
E anche Emma, privata delle parole, troppo sconvolta, colse l'occasione per cambiare discorso. Perché parlare di sé era più facile che parlare di lei.
Annuì
"Si, grazie. Stiamo bene. Un po' scosse ma..."
E i lievi, terrorizzati sussurri di Hope tornarono nella testa di Regina con la forza di un uragano. Si alzò di scatto dal divano.
"Non muovetevi di qui. Vado a sistemare quel bastardo..." una sfera di fuoco iniziò a formarsi sulla sua mano, facendo alzare istantaneamente Emma, che le mise una mano sul braccio, tentando di fermarla.
"No, Regina. Per favore. Non fa niente..."
"Ha fatto paura a Hope, l'ha fatta piangere, ha fatto piangere te! Merita di morir..."
"Regina, per favore...guardami"
E Regina si voltò, perché il richiamo degli occhi di Emma Swan era più forte di qualsiasi vendetta a cui il suo cuore avesse mai aspirato. Era, ed era sempre stato, il richiamo alla speranza di una vita migliore, nel verde delle sue iridi.
La fissò in silenzio, le fiamme ad agitarsi nei suoi occhi
"Stiamo bene, ok? Non ci ha toccate. Era ubriaco e... ha detto delle cose. Non verrà stasera. Non so neanche se..."
distolse lo sguardo
"...se lo troverò a casa la prossima volta che tornerò, ad ogni modo... noi abbiamo bisogno di te qui"
Guardò Hope dormire e un mezzo sorriso spuntò sulle sue labbra
"Avrà bisogno di te, quando si sveglierà"
E dinanzi a quella richiesta il fuoco, nei suoi occhi e nella sua mano, si spense. Il suo viso si rilassò e prese un respiro profondo passandosi le mani tra i capelli.
"Va bene..."
si riprese e la guardò
"Ti andrebbe qualcosa di caldo? Cioccolata o..."
"Anche in questo caso, qualcosa di più forte sarebbe meglio"
Accompagnò quelle parole con un sorriso a metà tra il divertito e il nostalgico, e d'un tratto nove anni parvero niente. Per un momento, Regina pensò di poter ancora risentire all'improvviso Henry salire le scale di corsa lasciandosi dietro le scarpe. Sorrise a quel ricordo, e sorrise a lei, che ancora la aspettava. Si limitò così a chinare il capo in un cenno d'assenso, invitandola a sedersi, senza pronunciare una parola, per paura di cosa sarebbe potuto uscire dalle sue labbra a sua insaputa. E si avviò verso la cucina con una tempesta nel petto, di ricordi ed emozioni,  che dubitava il tempo sarebbe mai riuscito a placare del tutto.
 
La serata trascorse tranquilla, nonostante tutto. Henry e la sua famiglia le raggiunsero quando Regina aveva previsto, e con loro portarono una allegria nuova ed una ventata di giovinezza che serviva ad entrambe.
Non che non notarono i visi leggermente stravolti e l'insolita timidezza di Hope, nonchè, cosa più sospetta, la mancanza di Uncino, ma conoscevano Emma abbastanza da sapere che, se c'era qualcosa che non andava, era meglio non farne parola. Almeno, non davanti a così tante persone, per quanto fossero tutte di famiglia. Era un tratto del suo carattere che Henry conosceva bene, poichè lo aveva anche la sua altra madre. Cercarono anzi in tutti i modi di distrarle con racconti della loro quotidianità che Henry sapeva amassero sentire e di far divertire la piccola Hope, che presto dimenticò gli avvenimenti di quel pomeriggio giocando con Lucy.
E loro stesse si trovarono a sorridere spesso davanti alla loro allegria, di felicità, per ciò che loro figlio era stato in grado di costruire, e con un pizzico di malinconia, generata da quella linea di dubbio sottile che, fluttuando nelle loro menti in un sincronizzato moto, la portava ancora una volta a chiedersi, ora con più consapevolezza e tristezza che mai, a seguito dei recenti eventi, se anche loro nella loro vita -se non fossero state chi erano e se i loro caratteri ed il loro passato non avessero rappresentato una barriera così invalicabile, se i loro cuori avessero battuto in modo diverso- sarebbero potute essere capaci di giungere a quello. Ad un lieto fine che avesse quella forma.
Ma senza risposta restavano le loro domande, all'origine della loro persona stessa, ed i loro occhi si limitavano ad essere testimoni di quello che, in parte, avevano contribuito a creare, con l'amore incondizionato  che nutrivano nei confronti di loro figlio.
Quando la cena finì, tutti si riunirono in salotto.
Il momento dei regali sarebbe dovuto essere la mattina seguente, ma Regina ritenne opportuno dare il suo regalo speciale per Hope allora, nella speranza di farla sorridere a sua volta, dopo che la vista delle sue lacrime le aveva spezzato il cuore, e di far piacere anche a sua madre, con quel regalo, che come lei meritava di tornare a sorridere.
E quando Hope scartò la scatola rettangolare ricoperta di brillante carta verde e circondata da un nastro a fantasia scozzese, rimase a bocca aperta e, soddisfacendo le sue speranze, il suo viso si illuminò di un sincero ed entusiasta sorriso, pieno di quella innocenza che può essere solo dei bambini.
Regina sorrise a sua volta, seduta accanto a lei, e la aiutò ad estrarre il contenuto dalla scatola. Si rivelò essere una minuscola giacca di pelle rossa, identica a quella di Emma, oggetto che aveva odiato, intensamente,  ma che era diventato con il tempo ciò che i suoi occhi cercavano, costantemente, e quando aveva smesso di utilizzarla, presa dalla sua nuova vita, era rimasto come ciò che la sua mente ricordava, malinconicamente, di un tempo prezioso che non aveva sfruttato come dovuto, e che ora non sarebbe più tornato.
Ma Hope era la loro nuova speranza, l'unica, ormai, ed era giusto che ora fosse lei, a portare qualcosa di così importante.
La bambina la ringraziò felice, avvolgendo le braccia al suo collo e stringendosi al suo petto nel più sincero degli affetti. E nel suo dolce abbracciò gli occhi di Regina non poterono evitare di fermarsi, bloccarsi, incatenarsi, su quella figura rigida di fronte a lei che, di rimando, la fissava.
E si perse, in quell'istante di tenerezza, nel mare dalle sfumature verdacee che erano gli occhi di Emma, spalancati di incredulità e allagati di commozione, e pura emozione dinanzi a ciò che pareva così scontato da essere incredibile. Si perse nel mare di luci che essi riflettevano, e nel modo esclusivo in cui quelle luci brillavano solo per lei.
Presto Hope si allontanò con un bacio, e si lasciò nuovamente coinvolgere dai giochi con Lucy e Jacinda, che, come a Regina non era passato inosservato, in un discreto sussurro aveva preso accordi con Henry per lasciar loro del tempo da soli. Ammirava davvero quella ragazza, e non poteva desiderare per suo figlio partito migliore, non che la scelta le appartenesse, in ogni caso.
Quando rimasero loro tre soli tuttavia, sul divano ad osservare le baluginanti luci dell'albero, e delle fiamme del camino, in un silenzio colmato solo dalle risa delle tre donne nella stanza antistante, nessuno dei tre seppe da dove cominciare. Fu Henry poi, a trovare il coraggio e a chiedere loro cosa fosse successo, sebbene non fosse interamente sicuro che ciò che avrebbe sentito gli avrebbe fatto piacere.
E infatti così non fu, ma, con suo stupore, se ne scoprì per nulla sorpreso. Quasi come se lo avesse sempre saputo ma, con una fede che somigliava a quella che aveva da piccolo, avesse sempre creduto che quel giorno non sarebbe mai arrivato.
Non che impazzisse di gioia all'idea di sua madre sposata con Uncino, non lo aveva mai fatto, ma crescendo aveva capito che sono molti i fattori che possono influenzare le scelte di una persona, e se quella era stata la sua allora lui non aveva diritto di intromettersi. 
Che poi credesse che fosse tutto sbagliato, che soffrisse per la tristezza evidente che scorgeva, a volte, negli occhi di Regina, e per il vuoto ormai frequente negli occhi di Emma, non aveva importanza.
E, come sua madre, si ritrovò pieno di rabbia, ma a differenza sua, anzichè tentare di soddisfarla, pensò di sfruttarla, proponendo ciò a cui da tempo stava pensando.
Infatti, frequentando comunque entrambe almeno due volte a settimana, non gli era certo sfuggito il recente, ma non improvviso, crollo degli eventi che il mese di Dicembre aveva poi peggiorato.
E si, credeva davvero che ad entrambe servisse una vacanza. Più che mai dopo le ultime,spiacevoli, novità.
Così interruppe la serie di adirati improperi sgorganti dalle labbra di sua madre Regina nei confronti di Uncino, vanamente tentati di placare da Emma, che temeva un improvviso ritorno della regina cattiva appositamente per far fuori Uncino, più che plausibile considerata la sua reazione alla notizia di ciò che aveva fatto.
"Stavo pensando...che ne dite di andare via da Storybrooke per un po'? Entrambe"
Si voltarono contemporaneamente a guardarlo
"Cosa?" gli chiesero in coro
"Ma si, prendetevi una vacanza, un po' di tempo per voi. Ne avete bisogno. Tu mamma ormai fai la madre a tempo pieno, e con quello che è successo... beh, mi pare inutile spiegare perché ne avresti bisogno, e tu mamma ormai non fai altro che lavorare dalla mattina alla sera su documenti di oltre venti reami, riesco a stento a vederti mentre invece vedo bene quanto stanca tu sia"
Ammutolirono entrambe di fronte all'eloquenza di loro figlio che, come sempre aveva ragione.
"Allontanatevi per un po' da qui. Vi rilasserà e vi darà l'occasione di affrontare poi le cose a mente più lucida. "
Non incontrando altro se non evidente dubbio sui loro volti continuò
" Non dico di andare lontano... anche Boston va bene, New York... insomma l'importante e che vi allontaniate di qui, respiriate aria diversa" guardò Regina: " tu mamma non sei mai stata a lungo in un'altra città di questo mondo. Certo sei andata a New York e a Boston ma...insomma, non eri davvero in vacanza. Non sai cosa quelle città hanno da offrire. Che ne dite? Potreste persino prendere parte ad una festa alla vigilia di capodanno..."
Attese una loro reazione che ancora non si rendeva manifesta. Solo dopo un po' Emma smise di guardarlo con un sospiro. Si passò una mano tra i lunghi capelli sciolti riflettendoci.
Un viaggio con Regina al momento era tutto quello che poteva desiderare e anche tutto ciò che più temeva. Insomma, quanti discorsi avrebbe dovuto affrontare, quante domande si sarebbe dovuta porre,come avrebbe trovato il coraggio di stare con lei dopo ciò che aveva saputo? Si, forse non avrebbe dovuto, ma si sentiva in colpa per aver introdotto nella loro famiglia un uomo che le aveva fatto quello. Di certo Regina non doveva esserne stata contenta, per quanto potesse essere cambiato lui, e per quanto avesse potuto perdonarlo lei, e non poteva biasimare ora questa sua voglia di "fargli vedere cosa significa tenere alla famiglia", come lei aveva detto. E arrossì leggermente al ricordo di come Regina fosse stata istantaneamente pronta ad eliminare chiunque avesse potuto rappresentare per loro una minaccia, indipendentemente da quello che tutti avrebbero potuto pensare di lei.
 Era unica, Regina. Ma questo, Emma lo sapeva già.
"Non posso lasciare Hope..."sussurrò, quasi come una scusa per giustificare quella sua paura e al tempo stesso quella incapacità di dire no che affliggeva anche la donna seduta accanto a lei.
"Ma non dovrai farlo! Portatela con voi! Di certo vedere un posto nuovo farà bene anche a lei. Siete in due, saprete pur tenere una bambina no?"
Solo allora Regina , scossa da quelle parole, parlò:
"Henry Daniel Mills, ti ricordo che ero una, quando avevi l'età di Hope. E ti assicuro che non eri il più pacifico dei bambini"
Lui rise, colto alla sprovvista da un tono tanto leggero
"ma mi amavi lo stesso, no?"
Lei sospirò e gli sorrise. Amava quella loro complicità che si era sviluppata davvero solo da pochi anni, da quando lei era rimasta sola e lui aveva iniziato a confidarle tutti quei dubbi e quei segreti che affliggevano la sua vita di ogni giorno e che lei, solo lei, magicamente, riusciva a risolvere.
E lo stesso aveva da lei ottenuto. Non che le servisse sentirgliele dire, le cose che la affliggevano, per capirle, ma averle da lei rivelate le rendeva più preziose, in qualche modo.
"Comunque sia, a maggior ragione! Siete due ottime madri, distrarrete Hope e vi distrarrete voi. Non ci vedo nulla di male, in questo"
Regina sospirò di nuovo e deviò lo sguardo che Emma inseguiva cercando disperatamente di incrociarlo per leggervi dentro quelle che erano le sue intenzioni a riguardo.
"Non lo so Henry, è un periodo così complicato, ho ancora i conti di cinque regni da chiudere e controllare e..."
Stupidaggini. Tutte stupidaggini. Sapeva benissimo che non le importava assolutamente niente di dover rimandare il suo lavoro, magari persino ritardarlo, se si trattava di aiutare la sua famiglia. Solo che...non era certa che quella del viaggio fosse una scelta saggia. Certo magari avrebbe dovuto cercare davvero, per una volta, di essere l'amica di cui Emma aveva bisogno, che l'avrebbe fatta distrarre, che avrebbe tenuto sua figlia mentre lei si perdeva in estasi alcoliche di cui, ne era sicura, aveva più che mai bisogno, solo che...solo che ... lei non era quel tipo di amica. Non lo era mai stata, sebbene ci avesse provato, e probabilmente non sarebbe mai riuscita ad esserlo. Probabilmente il suo cuore traditore l'avrebbe solo resa ciò di cui Emma aveva meno bisogno: qualcuno che si approfittasse della situazione per fare un primo passo. E lei non voleva, non voleva essere quello, per Emma, ma non era sicura di riuscire ad evitarlo, quando la sofferenza causata delle lacrime che avrebbe visto scorrere sul suo viso sarebbe stata troppo forte per essere solo deglutita e messa da parte. Non ne era sicura, anzi, ne dubitava fortemente.
Ma d'altra parte Henry aveva ragione, quel viaggio l'avrebbe senza dubbio aiutata.
Così rinunciò persino a terminare la frase, nel timore che anche una sola parola in più l'avrebbe potuta mostrare più o meno favorevole alla proposta.
Proprio in quel momento una Hope entusiasta corse in salotto
"Mamma, vieni a vedere!"
Ed Emma si alzò, istantaneamente, neanche fosse un soldato agli ordini del suo generale, andando da lei con un sorriso sincero ad illuminarle il viso
"Certo amore, arrivo"
Ed anche Henry approfittò del momento per prendere la mano di sua madre, avvicinandosi a lei sul divano, e guardarla negli occhi.
"Mamma..."
"Henry..."
"Mamma."
"Henry."
"Mamma!"
si guardarono negli occhi solo per un momento prima di scoppiare entrambi in una risata a voce bassa, intima, quasi dovesse restare solo per loro. Quando Henry tornò a guardarla negli occhi dovette sorriderle dolcemente, per quello che vide. Quello sguardo preoccupato, dubbioso, vulnerabile, di fronte a quel figlio ormai più alto di lei, in cui tuttavia riponeva ormai ogni confidenza e ogni suo segreto. Sapeva tutto di lei, suo figlio. Ed Henry trovò quello sguardo assolutamente adorabile.
"Mamma, potrebbe essere davvero l'occasione giusta per..."
"No Henry, non può..."
"Ma perchè? Insomma, hai visto come si sono messe le cose. Lei non è più felice, ammesso che lo sia mai stata..."
"Proprio per questo. Non posso entrare nella sua...nella loro vita e pretendere di farne parte"
"Ma mamma, tu fai già parte della loro vita! Ne hai sempre fatto parte, molto più di lui!"
Lei abbozzò un sorriso tristemente ironico vagando con lo sguardo per la stanza
"Cosa ti dice che io potrei...sarei in grado di..."
-Renderla felice-
Era così assurdo da non riuscire neanche a pronunciarlo. Ma ad Henry non servivano le parole, non gli erano mai servite. Non gli aveva mai detto a parole, sua madre, quello che provava per l'altra sua madre, mai aveva sentito quelle parole, chiare e nitide come lui le scriveva nelle sue fiabe, lasciare le sue labbra, eppure lui sapeva, aveva capito tutto in un semplice silenzio ed in uno sguardo vagabondo ormai molto tempo fa.
Poggiò una mano sul suo braccio, per riportare la sua attenzione su di sé
"Mamma, io lo so"
Parve quasi restare sconcertata, Regina, davanti a quelle parole. Forse vi rimaneva sempre, ogni volta che suo figlio, un tempo così diffidente e lontano,  dimostrava ormai di avere una fede in lei che andava oltre quella che chiunque avesse mai dimostrato. E non fece in tempo a dire niente che Emma tornò da loro e restò in piedi a guardarli.
"Wow... beh, dire che l'idea entusiasma Hope è un eufemismo..."
Henry ghignò soddisfatto guardandole alternativamente
"Visto? Che vi avevo detto?"
Emma sospirò, la mano ancora a vagare nervosa tra i capelli
"Henry, non lo so, magari è... un errore. Una mossa troppo avventata. Magari domani Uncino non ricorderà più niente di oggi per quanto era ubriaco e verrà a chiedermi scusa, magari non intendeva davvero quello che ha detto e..."
Ma a quelle parole Regina smise di trattenersi. Si alzò e le si piantò di fronte, trapassandola con sguardo a dir poco minaccioso che istantaneamente la incatenò tra l'impossibilità di sfuggirvi e la voglia immediata di scappare.
"E suppongo che tu lo lascerai fare. E dimmi cosa accadrà la prossima volta, quando, oltre delle sue parole, perderà il controllo delle sue azioni, eh?"
"Regina, stai esagerando, non ci ha mai toccate, non è mai stato violento con noi..."
La voce insicura davanti a quello sguardo fiero e fiammeggiante, nonostante stesse dicendo la verità
"E allora perché hai avuto paura?"
"Io..." Emma distolse lo sguardo a disagio, incontrando per un attimo quello di suo figlio che aveva ben deciso di restare fuori da quella conversazione e da quei dardi infuocati che Regina minacciava di lanciare contro Emma ad ogni secondo con un semplice sguardo .
"Non ha mai fatto nulla, è vero, è solo che degli atteggiamenti che ha delle volte non... mi ricordano quelli di..."
"Emma" Regina la interruppe, insicura di poter reggere altre confessioni di suoi dolori passati, che le trafiggevano la pelle più del ricordo di quelli che aveva subito lei stessa
"Non cambierà mai. Non ha scusanti per quello che ha fatto, o che ha detto. Ha fatto del male a delle persone, per quanto ne so, siete solo state fortunate che quelle persone non siate state voi."
Emma sorrise divertita e lievemente amareggiata
"Lui ha detto le stesse cose di te..."
Pronunciò quelle parole con leggerezza, senza pensare, ma colpirono Regina come una miriade di aghi nel petto. Spensero in un istante il fuoco nei suoi occhi, lasciandovi solo delusione.
Incrociò le braccia al petto, quasi stringendosi in esse, e si voltò
"Va bene Emma, fai quello che vuoi"
Poco più di un sussurro. Non sapeva se essere arrabbiata, per essere stata appena paragonata a lui, ferita, per sentirsi rigettata anche da lei, quando non aveva fatto nulla per meritarlo, o semplicemente delusa, da sè stessa, perché se anche Emma pensava quello sul suo conto significava che in tutti quegli anni non aveva fatto nulla che realmente la riscattasse dal dolore e dalle pene che aveva inflitto in passato, e da Emma stessa, che ancora una volta si stava lasciando andare, nonostante quello, nonostante tutto, ad una vita che credeva appartenerle solo perché era ciò che credeva di meritare e di poter ottenere.
Forse dopotutto quel conflitto non meritava davvero di essere combattuto. Che fine aveva fatto ormai, la sua Emma? La guerriera, l'eroina, la salvatrice ribelle che cercava solo di crearsi una vita?
Forse era ormai persa, nella corrente del tempo e dell'esistenza. Forse era troppo tardi persino per lei. Persino in una città in cui il tempo scorreva a stento.
Ed Emma da parte sua,  realizzò solo un attimo dopo quello che aveva detto e quanto osceno, blasfemo, era dovuto sembrare.
Che razza di idiota era? Tra tutti, doveva andare a dirlo proprio a lei, dopo quello che aveva passato?
Allungò un braccio verso di lei per fermarla
"Regina, mi dispiace! Non intendevo quello..."
Lei si voltò, e la vista del suo sguardo basso e ferito le spezzò il cuore.
-I cattivi non cambiano, ricordatelo Swan-
Non aveva dimenticato quelle parole, ma mai, neanche per un momento, aveva pensato valessero anche per Regina. Era corsa da una cattiva dopotutto, per cercare conforto, una ex-cattiva. E l'idea che potesse farle del male, mentre calmava i singhiozzi suoi e della sua bambina, e le faceva sorridere, non l'aveva neanche sfiorata. Perché lei credeva in Regina e lo avrebbe sempre fatto.
Perché si, magari era vero, magari certi cattivi non cambiano. Ma, ormai Emma ne era sicura, certi altri si.
"Mi dispiace. Non volevo paragonarti a lui, stavo solo pensando a quanto..." chiuse gli occhi per un secondo e vide chiaramente quali erano le uniche parole che avrebbero potuto rimediare al disastro che aveva appena combinato. Deglutì e fissò gli occhi nei suoi, pronunciandole
"...a quanto sia stato codardo, a rigettare su altri colpe che sono solo sue"
Vide le spalle di Regina rilassarsi impercettibilmente a quelle parole, quasi colte da un improvviso sollievo,e non poté fare altro che sorridere, sperando di ricevere indietro il favore.
Ma Regina non le sorrise, continuò a guardarla con serietà ed una sorta di rimprovero nelle iridi prima di annuire
"Va tutto bene"
Emma guardò Henry, ancora quel sorriso speranzoso sul volto, anche se quella volta l'aveva fatta grossa ed era certa che rimediare non sarebbe stato così semplice.
"Magari hai ragione" gli disse:" magari un viaggio farà bene a tutti quanti"
Guardò di nuovo Regina, per un momento in silenzio divorata da improvvisa insicurezza
"Tu...tu che ne pensi? "
E nonostante tutti i dubbi e tutti i buoni propositi che aveva cercato di mantenere fino ad allora, spontanea, e noncurante di tutti quelli, salì la risposta alle sue labbra.
Troppo forte l'istinto di unirsi a loro, inevitabile l'impulso di provare ancora ad essere quella che desiderava, e a renderle felici come poteva, dal basso della sua posizione.
"Penso che se ritarderò di un paio di giorni le ultime pratiche non ci saranno grandi problemi"
E solo allora Henry si sciolse in un sorriso, rilasciando la tensione accumulata nell'ultimo conflitto che temeva avrebbe potuto mandare all'aria ogni suo piano, e saltò in piedi entusiasta
"Allora è deciso!"
Ed entrambe si trovarono, inevitabilmente, a sorridere davanti all'entusiasmo di loro figlio.
"Voi non preoccupatevi, mi occuperò io di tutto. Passerete il capodanno a Boston e vi assicuro che vi divertirete un mondo!"
Annuirono e lo sguardo di Emma si posò su Regina, esaminandola, e assicurandosi che fosse davvero quello ciò che voleva. Ma nei suoi occhi trovò solo tranquillità, dolcezza e speranza, nei residui di quella rabbia che lei stessa aveva provocato, e che pure non percepiva come realmente rivolta contro di sé.
E bellezza. Vi era sempre bellezza, sul viso di Regina, in ogni sua espressione.
Quando fu da lei colta a fissarla distolse lo sguardo cercando una scusa, una qualsiasi.
"A questo proposito...mi chiedevo se stasera potremmo..."
Regina la interruppe, conoscendo troppo bene l'orgoglio, così caratteristico di quella donna, che ostacolava la sua richiesta.
"Stanotte tu ed Hope resterete qui"
E non era una domanda, così Emma si limitò ad abbassare lo sguardo ed annuire.
 
They swept away, nothing is what it seems,
that feeling of belonging to your dreams...
 
E alla fine così fecero, partirono. Senza parlarne più di tanto, nei giorni precedenti, senza porsi più dubbi o problemi.
Regina praticamente scomparve nel suo ufficio tra mari di pratiche e resoconti da leggere, uscendone solo a tarda sera, in tempo per cenare con loro. Si, con loro, perché nonostante non fosse in casa quasi mai aveva categoricamente impedito ad Emma di tornare a casa sua. E non importava che lei fosse una donna adulta e padrona di sé stessa: fino a quando c'era Hope, questa era la scusa, lei non poteva riportarla a casa. Né poteva lasciarla sola da Regina, ovviamente.
Tuttavia Emma era tornata a casa sua, una mattina. Ad ogni modo avrebbe avuto bisogno di vestiti e di tutte le sue cose che, moltiplicatesi esponenzialmente negli anni da quando aveva trovato una casa, non aveva alcuna intenzione di lasciare lì. E poi, aveva la magia. Se anche avesse dovuto affrontarlo allora, non ne avrebbe più avuto paura.
Ma quando era arrivata a quella che era stata casa sua, l'aveva trovata vuota. Nessun biglietto, nessun messaggio, solo vuoto silenzio ed aria fredda che entrava da una finestra spalancata dal vento. Aveva sorriso sprezzante,  trovando lo scheletro di un'altra bottiglia sul pavimento. Ed in qualche modo, si era fatta pena da sola.
Aveva dunque recuperato le sue cose e le aveva lasciate a casa di Regina, di cui ormai da anni aveva le chiavi. Poi, lasciata Hope nelle mani di Jacinda, l'unica oltre a loro a conoscenza di tutti i fatti, aveva deciso di farla finita una volta per tutte. Chiudere il conto in sospeso che aveva con quell'uomo da persona adulta e responsabile, sperando che lui avrebbe fatto altrettanto.
Così si era recata al porto, la fede ormai abbandonata da qualche parte in casa di Regina.
No. Le piaceva pensarlo ma no, non era così. Era conservata al sicuro invece, perché rappresentava comunque una parte della sua vita, e lei aveva smesso di voler dimenticare e ricominciare, come sempre aveva fatto. Avrebbe ricominciato, ma con tutti i suoi ricordi e tutti i suoi errori.
Si era diretta alla banchina dove sapeva essere ormeggiata la Jolly Roger, con la speranza di trovarlo lì e chiarire come le cose sarebbero state da allora in avanti, ma al posto della nave vi aveva trovato solo il suo posto vuoto nella darsena . E la cosa, dopotutto, sebbene l'avesse colmata di disappunto dinnanzi alla puerilità e codardia di quell'uomo, non l'aveva stupita più di tanto.
Si era così arresa, ed era tornata da sua figlia, l'unica che meritasse davvero la sua presenza. Oltre che tutto il resto della sua famiglia, ovviamente.
Non era stato facile trovare le parole per spiegarle tutto, ma in qualche modo ce l'aveva fatta, aiutata da sua nuora, che non credeva di non aver mai apprezzato così tanto come in quel momento.
Hope era stata triste, per un po'. Era ancora piuttosto piccola, ma era sicura che avesse capito tutta la situazione. Perché, nonostante l'influenza paterna, era eccezionalmente brillante sua figlia, ed Emma non poteva evitare di pensare che fosse sopratutto a causa dell'essere stata cresciuta per gran parte da Regina.
Era stata certa però che quella tristezza non sarebbe durata a lungo, e a stento aveva rinunciato a chiamare il sindaco per chiederle di tornare prima a casa, visto che sapeva bene come un solo sorriso della donna ne avrebbe istantaneamente generato uno sul viso di sua figlia. Era sempre stato così, sin da quando era piccola. E fu così anche quel giorno, nell'intesa di uno sguardo silenzioso tra loro, e nel modo in cui Regina, seppure stanca e affamata, si prese cura di lei quella sera, facendola giocare e chiacchierare in quella sua lingua ancora un po' incerta e confusa finchè, con una dolcezza che aveva minacciato di sciogliere il cuore di Emma, Hope si era addormentata, esausta ma sorridente, tra le braccia della donna.
Quando l'aveva messa nel suo lettino poi, Emma, che cercava sempre, per quanto le era possibile, di far trovare all'altra la cena pronta o qualche piccola sorpresa che servisse, se non altro, a ripagare seppure in minima parte tutto quello che Regina stava facendo per loro, aveva cenato con lei e le aveva raccontato come le cose erano finite.
Neanche Regina era stata sorpresa. Tutt'al più l'aveva vista...sollevata. E doveva in fondo ammettere di esserlo a sua volta, perché non era sicura di essere in grado di reggere ancora il timore che sua figlia le fosse portata via. O un'altra, semplice, discussione con lui.
E dunque fino a quando erano partite, l'idea di quel viaggio era ormai diventata naturale e quasi essenziale,ora che non c'era più niente a fermarle e che avevano lavorato così tanto per renderla possibile. Per non parlare di quanto si era impegnato Henry, che pareva aver aperto in casa sua un misto tra uno studio di ricerca ed un'agenzia viaggi.
Aveva pensato ad ogni dettaglio, a suo dire, ma nessuna delle due sapeva dire perché quelle parole più che tranquillizzarle le preoccupassero lievemente. Non che non si fidassero di loro figlio ma... a volte aveva delle idee strane, in quella sua fede cieca per i lieto fine che nessuna di loro due condivideva. Doveva aver preso dai suoi nonni senza dubbio.
 
Andarono in macchina fino a Boston. Guidò Emma, mentre Regina si occupava di Hope che non era troppo paziente nel trascorrere in macchina più di cinque minuti.
Attraversare quel confine, dopo anni, fu strano. Per Emma fu quasi un tornare alla realtà dopo aver vissuto in una bolla per tutto quel tempo. Ed istintivamente si voltò, superata quella linea, per controllare che loro fossero ancora lì, che il confine non desse problemi, come aveva sempre fatto, ma più di tutto che la sua bambina fosse ancora lì, che non fosse stata solo frutto della sua immaginazione, irreale come sembravano quegli ultimi due anni. Ma voltandosi trovò solo Regina che sorrideva con amore infinito ad Hope, giocando con lei, e si trovò a pensare che ne era valsa la pena, mentre un sorriso le accarezzava le labbra. Tutto quello che nella sua vita aveva passato, ne era valsa la pena, per avere loro. Così come erano, e come non sarebbero mai potute essere se la sua vita fosse stata diversa. E forse era per quello, si disse, che non sarebbe mai riuscita in fondo ad odiare Regina nonostante quello che aveva fatto. Perché troppe erano state le cose belle che vi aveva ricavato, alla fine, da quella vita. Così tante da superare in importanza quelle brutte: le ferite e la solitudine. 
E per un solo, fugace, attimo, in fronte alla luce del sole, le parve di appartenere ai suoi sogni. A quelli che aveva da bambina, in cui ancora, nel profondo, credeva.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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