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Autore: Katie88    13/04/2020    2 recensioni
Ecco a voi l'ennesima storia su una ipotetica sesta serie, dopo la tristissima 5x13. So che ci sono già moltissime fanfiction sullo stesso argomento, ma ho voluto comunque dare la mia versione. Spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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37. This Is Home
 
 
 
 
Blake prese un bel respiro per farsi coraggio e afferrò la maniglia del suo trolley, lo stesso trolley in cui negli ultimi giorni aveva racchiuso tutta la sua vita a Pittsburgh. “Non puoi chiudere un’intera esistenza in settanta centimetri.” Gli aveva fatto notare Ted quando lo aveva visto dare di matto per l’ennesima volta. “E ricorda che metà della tua vita rimane qui.”
Terminò il suo caffè con un ultimo sorso e puntò lo sguardo verso il suo inevitabile traguardo: i controlli di sicurezza.
“Tutto okay?” Due mani si posarono sulle sue spalle, massaggiandole piano.
“No.” Rispose Blake sincero. Si voltò a guardare Ted che lo osservava con un sorriso triste. “Non voglio andare.”
Ted posò la fronte contro la sua. “Quante volte abbiamo affrontato il discorso?”
“Troppe. Che differenza vuoi che faccia una in più?”
Ted si staccò da lui fissandolo con espressione seria. “Non so davvero come abbiano fatto Brian e Justin a fare questa cosa mille volte nel corso degli anni.”
Blake scosse il capo. “Non insulterò mai più il tuo capo quando si comporta da idiota.”
“Idem.” Ted si sporse a baciarlo. “Forza, vai.”
“Altrimenti?”
“Altrimenti non ti lascerò più andare e tutto questo sarà stato inutile.”
“E sarebbe una cosa negativa?”
Ted lo fulminò con lo sguardo. “Blake.”
Il suo fidanzato sospirò di nuovo e annuì. “Ti amo, lo sai?”
“Sempre.”
“E io sarò solo a cinque ore di distanza.”
“Duemilacinquecentosettantrè miglia.”
“Esatto.”
“Verrai a trovarmi?”
“Appena ti sarai sistemato. Ho già preso i biglietti.” Blake sorrise della perfetta organizzazione di Ted: era una cosa che lo aveva sempre irritato, il fatto che il suo compagno sentisse la necessità di organizzare, pianificare, studiare itinerari, date, hotel con un vergognoso anticipo, ma quel giorno nella zona partenze del Pittsburgh International Airport fu grato di quel lato di Ted. Si sporse a baciarlo. “Devo solo confermare le date.”
Blake sorrise contro le sue labbra. “Ti scrivo appena atterro.”
“Ci conto.”
“Devo andare.”
Ted lo baciò di nuovo. “Devi andare.”
Si abbracciarono un’ultima volta, stringendosi come se non dovessero vedersi mai più. “Starai bene, signor Schmidt?”
“Emmett si è già proposto come mio personale babysitter. E ci scommetto che anche Michael si unirà al gruppo.”
Blake sorrise e annuì, staccandosi da lui. “Non lavorare troppo.”
“Per favore. Brian ha già scaricato così tanto lavoro sulla mia scrivania che uscirò dall’ufficio tra un mese.” Ted alzò gli occhi al cielo. “Dice che adesso che la mia vita sociale è finita, invece di rintanarmi a casa farei bene a rendermi utile e aiutare la Kinnetic a prosperare.”
Blake rise. “Lo fa per distrarti.”
“Lo so. Lo stronzo.”
Dagli altoparlanti annunciarono il volo di Blake che abbassò gli occhi a terra e si schiarì la gola. “Adesso devo andare.”
“Andrà bene.”
“Dimmelo di nuovo.” Blake alzò gli occhi e li puntò in quelli pieni di amore di Ted.
Ted gli prese il volto tra le mani e la baciò a fior di labbra. “Non puoi chiudere un’intera esistenza in settanta centimetri. E di sicuro non puoi chiuderci me.”
Con le lacrime, Blake annuì. “Ti amo.” Disse come se non glielo avesse già ripetuto mille e mille volte negli ultimi tre giorni.
“Ti amo.” Ripeté Ted, bisognoso tanto quanto lui di dirlo e di sentirselo dire. “E quando tornerai, parleremo di cose serie.”
Blake aggrottò le sopracciglia. “Cose serie?”
Ted gli sorrise, staccandosi da lui e affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. “Ho tutte le intenzioni di fare di te un uomo onesto, Blake Wyzecki.”
Blake gli rivolse un sorriso a trentadue denti. “Ne parleremo presto, allora.”
Ted annuì, ricambiando il ghigno. “Buon viaggio, amore.”
Blake lo baciò un’ultima volta – che diamine, aveva quasi ricevuto una proposta di matrimonio! – prima di afferrare la sua valigia e avviarsi finalmente verso i controlli di sicurezza.
Staremo benissimo…continuò a ripetersi mentre voltava le spalle alla sua vecchia vita e si apprestava ad iniziarne una nuova.
 
 
 
 
Debbie baciò e strinse Ted più del necessario quando lui ed Emmett si presentarono a cena quella sera. Tutti gli altri erano già arrivati e a turno sfilarono davanti a lui per consolarlo.
“Cristo Santo, non è mica morto nessuno!” Sbraitò l’unico rimasto comodamente sbracato su una delle poltrone.
Michael fulminò il suo migliore amico con un’occhiataccia. “Solo perché tu sei incapace di provare empatia, non vuol dire che siamo tutti come te.”
Justin ridacchiò, appollaiandosi sul bracciolo della poltrona di Brian. “Brian non saprebbe neanche trovarla sul dizionario la parola empatia.” Lo prese in giro, accarezzandogli i capelli e chinandosi a baciarlo.
“Smettetela immediatamente.” Li ammonì Emmett all’istante.
Brian si staccò appena dalle labbra di Justin e lo guardò di sottecchi. “Di fare cosa?” Domandò prima di tornare a baciarlo.
Emmett sbuffò irritato. “Siete molto insensibile a farlo davanti a Teddy ora che è solo e abbandonato.”
Ted alzò gli occhi al cielo, crollando a sedere sul divano. “Grazie, Em.” Mormorò sarcastico.
Emmett gli picchiettò una mano con fare rassicurante. “Di niente, baby. Anche se sei l’unico senza un compagno, non vuol dire che tu debba essere…bullizzato da Brian.”
Brian scoppiò a ridere, subito imitato da Ben e Justin. Michael scosse il capo. “Em, non ti sembra di esagerare?”
Emmett spalancò la bocca, offeso. “Certo che no!”
“Em, io sto bene.” Lo rassicurò Ted.
“Non devi mentire, baby.”
“Non sto mentendo.”
“Sappiamo quanto Brian sia insensibile.”
“Ehi!”
Ted soppresse un sorrisino. “Non stanno facendo nulla.”
“Certo. Nulla che non facciano di continuo.”
Justin si sedette tra le gambe di Brian appoggiandosi a lui con la schiena. “E sarebbe?” Chiese curioso.
Emmett scosse il capo e lo fissò come se avesse fatto la domanda più stupida del mondo. “Amoreggiare, sbaciucchiarvi, flirtare…”
“… saltarvi addosso, nascondervi negli angoli bui…” Aggiunse Michael con tono critico.
“Camera tua compresa.” Precisò Brian con tono fiero.
Michael fece una smorfia. “Non voglio neanche sapere.”
Justin abbozzò un sorriso riportando lo sguardo su Emmett. “E che ci sarebbe di male? Tu non lo fai con Richard?”
Emmett incrociò le gambe in maniera plateale e circondò le spalle di Ted. “Non di fronte al povero Teddy!”
“Povero Teddy…” Borbottò Brian all’orecchio del suo fidanzato.
Ted sospirò pazientemente. Era solo il primo giorno senza Blake. Se Emmett avesse continuato così, lui sarebbe andato al manicomio, o in galera. “Emmett, te l’ho già detto. Sto bene.” Ripeté sillabando lentamente le parole. “Mi manca Blake? Ovvio. Vorrei che fosse qui? Certo. Mi infastidisce vedere questi due che amoreggiano come due adolescenti? No! Lo fanno di continuo! Ormai siamo abituati.”
Justin incrociò le braccia al petto con fare risentito. “Ci fate apparire come due adolescenti allupati.”
“E non lo siete?” Domandò Michael inarcando un sopracciglio. “Non avete mai smesso di esserlo in realtà.”
“È la lontananza!” Si difese il ragazzo. “Siamo stati distanti per così tanto tempo che ora dobbiamo… recuperare.” Come a corroborare la sua tesi, Brian si attaccò al suo collo, mordendolo piano.
Emmett e Michael s scambiarono un’occhiata esasperata che fece sorridere Ted e Ben. “Tutte scuse.”
“Allora? Venite a tavola o no?” La voce tuonante di Debbie li fece sobbalzare. “Tuo figlio dov’è?” Chiese poi a Michael.
Ben le sorrise benevolo. “È uscito con Callie.”
“La crisi con Lane come procede?” Domandò Justin sinceramente curioso.
Le era sempre piaciuta Lane e gli sarebbe dispiaciuto se la loro amicizia si fosse interrotta per delle sciocche gelosie tra Hunter e Paul.
Michael si strinse nelle spalle. “Guerra Fredda.”
“Addirittura?”
Ben sospirò annuendo. “Lane non passa da noi da settimane.”
“Credi dipenda da Callie?” Domandò Emmett immediatamente attirato dai drammi amorosi – specialmente se non riguardavano lui. “Che sia gelosa di Lane?”
“Assolutamente no. Per quanto ne so, Lane e Callie si piacciono molto.”
“Quindi il problema è il vostro trovatello?” Justin alzò gli occhi al cielo prima di schiaffeggiare la coscia di Brian che lo guardò come se fosse impazzito. “Che ho detto? Mi sto persino interessando ai problemi sentimentali del moccioso!”
“Credo che il problema della gelosia riguardi più Hunter.” Spiegò Ben. “Non gli va genio questo nuovo rapporto tra i suoi amici.”
Debbie comparve di nuovo in salotto, le mani sui fianchi e l’immancabile chewing gum in bocca. “Beh, ben gli sta. Così impara a non vedere ciò che ha proprio davanti agli occhi.” Lanciò un’occhiata eloquente a Brian che la ignorò. “Speriamo solo che impieghi meno di un decennio per capirlo e risolvere la situazione.”
“Ma non è il campanello?” Brian scattò in piedi, per nulla incline a sorbirsi l’ennesima ramanzina di Debbie.
“È inutile che cerchi di scappare, signorino! È proprio con te che ce l’ho!”
A sorpresa, l’uomo tornò davvero con degli ospiti. Ospiti decisamente a sorpresa.
Ness?” Justin si alzò in piedi e corse ad abbracciare la sua decisamente inattesa amica. “Che ci fai qui?”
Vanessa ricambiò la stretta, ridacchiando. “Spero che con questo tu intenda dire che sei felice di vedermi e che mi sei debitore per la vita visto che sono appena riuscita in un’impresa più unica che rara.”
Justin si staccò immediatamente da lei e la guardò ad occhi sgranati. “Non ci credo. Ce l’hai fatta.”
La ragazza annuì. “Anche mio padre è a bordo.”
“Non ci credo!” Ripeté incredulo Justin, gettandole le braccia al collo. “Sei la migliore, Ness!”
“Ehi!” Steve comparve al loro fianco. “Sono io che l’ho convinta!”
“Ma quando mai?”
“Stai negando l’importanza del mio contributo?”
“Certo che lo nego! Sono stata io a parlare con mio padre!”
“Ma è stata la mia fantastica presentazione a sbalordirlo.”
“A sbalordirlo è stata la tua capacità di parlare per dieci minuti consecutivi senza dire cazzate. Era più impressionato da quello.”
Steve le sorrise con fare seducente. “Tuo padre mi adora. E anche tu. Sospetto anzi ci sia addirittura un’attrazione latente nascosta sotto tutto quell’Yves Saint Laurent.”
Emmett trattenne il respiro con fare melodrammatico. “Quel vestito è Dior, profano che non sei altro!
Vanessa sospirò mettendosi una mano sul petto. “Per fortuna qualcuno ha ancora buon gusto in questa città dimenticata da Dio.”
Alle loro spalle, Brian si schiarì rumorosamente la gola. “Volete spiegare anche a noi o dobbiamo continuare a sorbirci questo scadente episodio di Gossip Girl?” Indicò alle sue spalle senza neppure voltarsi. “E perché loro sono qui?”
Justin si staccò finalmente da Vanessa e corse alla porta. “Mel! Linz!”
La confusione e il delirio che seguirono l’arrivo delle ragazze fu interrotta senza alcun tatto da Debbie che rimise tutti in riga, cacciando uno dei suoi urli da perfetta mamma all’italiana.
Venti minuti dopo, la cena era in caldo nel forno e tutti sedevano in salotto ad ascoltare Vanessa, Linz e Justin.
“Quindi non ho capito bene…” Brian si massaggiò stancamente le tempie “… per riuscire a sfuggire alle grinfie di Vanessa, tu hai organizzato tutto questo?”
Justin gli sorrise orgoglioso. “Sono un genio, eh?”
Brian alzò gli occhi al cielo, sopprimendo a fatica un ghigno. Sì, lo era davvero. E tutto per stare con lui. “Non so davvero che dire.”
Lindsay lo guardò male. “Dovresti essere felice, Peter.”
“Del machiavellico piano di questo qui?” Chiese l’uomo indicando il compagno. “Tremo al solo pensiero di cosa possa fare con più tempo a sua disposizione.”
Michael assunse un’espressione confusa. “Questo non spiega però cosa ci facciano le ragazze qui.”
“Ah già.” Vanessa si sfregò le mani elettrizzata. “Quando Justin è venuto da me con l’idea di una filiale della Austen Gallery a Pittsburgh ero intrigata, ma decisamente dubbiosa sulla riuscita.” Guardò il suo amico e scosse il capo proprio come quando Justin aveva fatto irruzione del suo ufficio e le aveva detto che c’era solo un modo per fare in modo che lei non perdesse il suo artista di punta. “I costi, la gestione amministrativa, le spedizioni… Justin, per quanto talentuoso e testardo, non sa un accidenti di tutto questo.”
“E quindi?” Domandò Debbie con la fronte corrugata.
Vanessa si voltò verso Lindsay che sorrise alla sua famiglia. “Justin non sa nulla di tutto questo, ma Linz sì. Lei ha già gestito una galleria.”
Quell’ultima affermazione fece scattare sull’attenti Michael e Brian che si scambiarono una lunga occhiata silenziosa: sapevano entrambi cosa la possibilità di un lavoro a Pittsburgh per Linz volesse dire per loro.
“Quindi ho fatto le mie ricerche, contattato Sydney Bloom, per cui Lindsay ha già lavorato, e qualche altro amico nel settore che mi hanno assicurato che per essere una neofita lei è una che se la cavava alla grande.”
Mel strinse la mano di sua moglie e le due donne si guardarono con un sorriso felice. “Justin ci ha chiamate e ci ha chiesto cosa ne pensavamo, se eravamo disposte a fare un altro tentativo. Se eravamo disposte a tornare… a tornare a casa.”
La mano di Brian si posò alla base della schiena di Justin e il ragazzo gli posò una mano sul ginocchio, strizzandolo piano in una silenziosa forma di sostegno, di implicito incoraggiamento.
Solidale al subbuglio del suo migliore amico, Michael si aggrappò al braccio di Ben. “Tornerete qui? Coi bambini?”
Mel scoppiò a ridere. “Beh noi di certo e ho il sospetto che i bambini verranno con noi.” Michael si gettò su di loro per abbracciarle.
Brian, ancora incredulo, prese un bel respiro e si alzò dirigendosi verso le ragazze. Contro ogni previsione abbracciò Mel – che non si ritrasse neppure, strano ma vero – prima di stringere Lindsay.
“Torniamo a casa, Peter.”
Brian annuì contro i suoi capelli. “Non posso crederci.”
Lindsay lo strinse più forte in vita. “Non riesce a sopportare che tu sia infelice.” Gli sussurrò così piano che lui fece fatica a sentirla. “E senza Gus lo sei. O lo eri.” Si corresse.
“Ragazzino testardo.” Brian si staccò da lei e le sorrise. “Sempre pronto ad impicciarsi.”
Lindsay gli pizzicò un braccio con un mezzo sorriso. “Il giorno che l’hai incontrato hai vinto alla lotteria, Peter.”
Brian annuì. “Lo so, Wendy. Ma tu non dirglielo o si monterà la testa.”


 
 
 
“Ah, ecco dov’eri.”
Brian fece un tiro alla sigaretta e lanciò un’occhiata fugace all’ombra sulle scalette del portico. “C’era fino troppo amore in salotto. Stavo per vomitare.”
Justin ridacchiò, scendendo i gradini e raggiungendolo. Lo abbracciò da dietro. “Non mi hai ancora detto che ne pensi della mia idea geniale.”
Brian sorrise nella penombra del giardino. “Mi avevi detto che era un piano ingegnoso, ma non credevo così ingegnoso.”
Justin gli baciò una spalla da sopra la stoffa della camicia scura. “Non potevo parlartene prima.”
Brian si rigirò nel suo abbraccio e lo circondò per le spalle. “Perché no?” Chiese sinceramente curioso. Non doveva fingere che la cosa non lo toccasse nel profondo del cuore o che lo lasciasse indifferente, quello era Justin, con lui non ce n’era bisogno. “Avrei potuto aiutarti.”
Justin scosse il capo, alzandosi poi a baciargli la mandibola. “Non volevo che lo sapessi così non saresti rimasto deluso nel caso il mio piano fosse andato a farsi fottere insieme alla mia carriera.”
“La tua carriera sarà lunga e piena di successi.” Lo contraddisse l’uomo, stringendolo a sé.
“Ma qui è di Gus che si parla. Non volevo darti false speranze. E poi non sapevo se le ragazze, sai…”
“Linz è entusiasta dell’idea.”
Justin sorrise contro il suo petto. “Mi fa piacere.” Chiuse gli occhi e tirò un lungo respiro di sollievo. “Potrò continuare a dipingere.” Mormorò con tono quasi incredulo.
“Non essere così sorpreso. Era una tua idea, dopotutto.”
“Sì, ma…” Justin chiuse gli occhi e si strinse di più al suo fidanzato che ricambiò la stretta di riflesso “… non ero sicuro che avrebbe davvero funzionato. Da quando sono tornato qui, Vanessa era sparita.”
“Stava facendo i compiti.”
“E li ha fatti dannatamente bene, cazzo.”
Brian mugolò appena. “Sa il fatto suo, devo ammetterlo.”
“È la migliore. E tu lo sai.”
Brian sorrise contro i suoi capelli chiari. “Questo non vuol dire che mi piaccia.”
“Dovresti ringraziarla invece. Ti ha ridato tuo figlio e me in un colpo solo.”
“È strano che tu lo dica, perché è esattamente quello che ho fatto.”
Justin si staccò da lui con occhi sgranati. “Non ci credo.”
“Perché ti stupisce? Sono andata da Ursula la strega del mare e l’ho ringraziata. Più o meno.”
Justin scosse il capo ancora incredulo mentre un sorriso iniziava a fare capolino sulle sue labbra. “E lei che ha detto?”
“Che non lo faceva di certo per me e che avrebbe fatto di tutto per non perdere il Picasso del nuovo millennio.”
“Tipico di Ness. Mettere tutto sul piano professionale.” Justin lanciò un’occhiata storta al suo fidanzato. “Mi ricorda qualcuno.” Gli prese la mano e ne baciò le nocche una ad una prima di posarsela sul cuore.
Brian sollevò le sopracciglia, sgranando gli occhi. “Stai per avere un infarto?” Commentò solo, sentendo i battiti del cuore impazzito di Justin.
Justin si alzò sulle punte, avventandosi a baciarlo con trasporto. “È la tua vicinanza.”
“La mia vicinanza ti manderà in ospedale prima o poi.”
“Basta che ci sia tu a rianimarmi.” Rispose Justin scoppiando a ridere di fronte all’espressione di Brian.
Brian gli circondò di nuovo il collo con le braccia e posò la fronte contro la sua. “Ti amo.” Sussurrò pianissimo ad un centimetro dalle sue labbra. “E forse un giorno o l’altro smetterò di stupirmi ogni volta che fai qualcosa per me.”
Justin annullò la distanza tra loro e lo baciò di nuovo. “Mi toccherà continuare finché non succederà allora.”
Brian scosse il capo con un sorriso incredulo e lo abbracciò.
Lo strinse per fargli capire quanto era importante.
Lo strinse per trasmettergli tutto l’amore di cui era capace, ma che non sapeva come esprimere a parole.
Lo strinse per ringraziarlo perché ancora una volta aveva reso la sua vita più bella, più felice.
Lo strinse perché era la persona più importante della sua patetica e sciocca vita.
L’amore della sua vita.
 
 
 
 
Justin sorrise scuotendo il capo quando vide Brian e Michael battibeccare al tavolo da biliardo.
“Perché cazzo insisti nel voler giocare se poi non conosci le regole?” Sentì il suo fidanzato borbottare.
Emmett guardò l’orologio per la quinta volta negli ultimi cinque minuti. “Arriverà.” Lo rassicurò Ted al suo fianco.
“Forse l’idea di presentargli i miei amici lo ha spaventato! Forse sto correndo troppo!”
Mel gli accarezzò un braccio. “Sono certa di no.”
“Tu hai già conosciuto la sua famiglia.” Gli ricordò Lindsay.
Emmett scosse il capo. “Solo John. E lo conoscevo già. Con i suoi non ha rapporti da anni.”
“Fantastico! Un’altra cosa cha avete in comune!” Cercò di rallegrarlo Ted.
Mel e Linz lo zittirono con un’occhiata. “Blake come sta? Come si trova a San Francisco?”
Ted fece un mezzo sorriso e sorseggiò il suo cocktail analcolico. “Si lamenta del tempo, dei colleghi e degli automobilisti. La adora.”
Mel gli circondò le spalle, baciandogli una guancia. “Starete bene, Teddy. Ne uscirete più forti di prima.”
“Fossi in te mi toccherei, Theodore.” Sibilò la voce di Brian venuto a rubare la birra al suo fidanzato. “Le lesbiche sanno essere peggio dei gatti neri.”
“Brian!” Lo rimproverò Justin scoppiando a ridere e guardandolo tornare da uno sbraitante Michael che veniva placato da Ben.
“Ma chi ce lo fa fare a tornare…” Borbottò Mel strappando un sorriso ai presenti.
Emmett scattò improvvisamente in piedi facendoli sobbalzare. “Yuuu-huuuuu! Richie, tesoro, siamo quiiiii!” E sparì nella folla di Woody.
“Vedo che ci sta andando coi piedi di piombo.” Scherzò Ted lanciando un’occhiata nella direzione da cui era sparito il suo amico. “Non è per niente preso da questo Richard.”
“È Emmett.” Gli ricordò Justin. “Che ti aspetti? Il giorno che il cassiere del supermercato all’angolo si è offerto di imbustargli la spesa, lui aveva già pronti i nomi dei loro figli.”
Le ragazze e Ted scoppiarono a ridere proprio mentre Emmett faceva il suo ritorno mano nella mano con un aitante uomo dai capelli chiari. “E questi sono i miei amici. Alcuni di loro. Mel e Linz.”
“Le amiche canadesi.” Richard porse loro la mano. “Molto lieto.”
“Justin.”
“L’artista. È un onore. I tuoi lavori sono spettacolari.” L’uomo rivolse ad Emmett un sorriso affettuoso. “Em mi ha portato ad un mostra in cui c’era un tuo quadro.”
Justin sorrise riconoscente. “Sei molto gentile.”
“E infine Teddy.”
“Ah, il famoso Ted, il miglior amico del mondo. Emmett non fa che parlare di te.”
Ted sorrise al nuovo arrivato. “Beh, la cosa è reciproca. Eravamo molto curiosi di fare la tua conoscenza.”
Richard si voltò verso Emmett con un sorriso affettuoso. “Davvero?”
“Certo, tesoro!”
L’uomo gli baciò teneramente una guancia, facendo sospirare i presenti – Mel compresa. “Ne sono lieto.”
Richard prese posto tra Emmett e Lindsay e si unì senza difficoltà alla conversazione del gruppo.
Ted sorseggiò la sua acqua tonica e scrutò con attenzione il nuovo arrivato per alcuni minuti. “Sono io…” Sussurrò piano in modo che solo Justin lo sentisse “… o Richard somiglia vagamente a--”
“Drew Boyd?” Terminò per lui il ragazzo. “No, non sei tu.”
I due amici si scambiarono una lunga occhiata. “Credi sia una buona cosa?” Domandò il più giovane, sgranocchiando un nachos.
Ted si strinse nelle spalle. “Chi sono io per dirlo? Ho appena mandato il mio uomo a vivere dall’altra parte del paese. Chiaramente non ho capito un accidente della vita.”
“Mi fa piacere che te ne sia accorto, Theodore.” Lo punzecchiò Brian tornando al tavolo, seguito da Ben e Michael.
“Già finito?” Justin gli posò un bacio rapido sulle labbra, prima di accoccolarsi contro di lui.
“Michael non sa perdere.”
“Io non saprei perdere? Tu ti inventi le regole!”
“Non ho inventato nessuna regola!
“Oh, davvero? E quella storia che se la pallina rimbalza due volte--”
Emmett si schiarì rumorosamente la gola per attirare la loro attenzione e interrompere l’infantile battibecco. “Posso presentarvi il mio Richard?”
“Chi?” Domandò Brian annoiato prima che Justin gli stritolasse la coscia facendolo sussultare per il dolore. “Piacere!” Esclamò poi con voce stridula.
Ben e Michael si unirono ai convenevoli, presentandosi educatamente al nuovo arrivato.
Brian scrutò con attenzione l’uomo e si voltò verso il suo compagno, sfregando il naso contro la tempia di Justin. “Sono io o il nuovo amichetto di EmmyLou somiglia incredibilmente a--”
“Lo so.” Ribatté il ragazzo con espressione seria.
“E non dovremmo far presente la cosa al diretto interessato perché…?”
“Perché se ci provi, stasera dormi in giardino.”
Brian si staccò da lui guardandolo con espressione oltraggiata. “Non oseresti.”
“Vuoi scommettere?”
Dopo un minuto di riflessione, Brian grugnì, afferrando la birra di Justin. “Sei terribilmente prepotente, te l’hanno mai detto?”
“Solo tu.” Rispose il ragazzo, schioccandogli un rumoroso bacio sulla guancia.
 
 
 
 
“Ah, ecco dove sei.”
Justin sorrise con gli occhi ancora chiusi; reclinò il capo contro il bordo della vasca – “È un idromassaggio ultimo modello, Sunshine. La vasca è per i poveri.” – e sospirò soddisfatto. “Penso che non uscirò mai più da qui.”
Brian lo raggiunse, inginocchiandosi sul marmo scuro del loro imponente bagno a Britin. “Quindi dovrò venire a recuperarti qui per scoparti?” Affondò la mano nei capelli umidi del ragazzo che sospirò beatamente. Poi le dita scivolarono sulla spalla e sul petto, sfiorandolo appena.
“L’idea sarebbe quella, sì. Non avresti mai dovuto comprarla.”
“Ma ho comprato anche un comodissimo letto che guarda casa si trova giusto a qualche metro distanza, in camera nostra. Proprio dietro quella porta.”
Justin scosse il capo, gli occhi ancora chiusi. “Nulla sarà più comodo di quest… Brian!”
Brian cercò di trattenere un sorriso di fronte alla reazione del suo fidanzato. “Dicevi, Sunshine?” La stretta sull’erezione di Justin si fece più decisa e il ragazzo rimase senza fiato.
“Brian…”
“Posso andare avanti o preferisci goderti il tuo bagno?”
Justin gemette più forte, mentre la mano di Brian si muoveva lenta e determinata sotto il pelo dell’acqua. “Dov’è…” Si schiarì la gola, lanciando un’occhiata nervosa verso la porta socchiusa. “Dov’è Gus?”
Brian sorrise, sporgendosi verso di lui e baciandogli la fronte. “Sta tramando qualcosa e quindi mi ha mandato a cercarti perché aveva bisogno di solitudine.” Di nuovo mosse la mano, stringendo l’eccitazione di Justin che sospirò, abbandonando il capo all’indietro e assecondando col bacino i movimenti lenti di Brian.
La mano di Justin, ancora gocciolante, affondò nei capelli scuri di Brian e lo attirò a sé per un bacio profondo mentre il suo fidanzato continuava ad accarezzarlo sempre più deciso, sempre più velocemente, sempre più…
“Bri… Bri, sto per…”
Brian si avventò di nuovo sulle sue labbra e spinse la lingua nella bocca di Justin, interrompendo qualunque tentativo di conversazione; Justin si aggrappò alle sue spalle, sollevandosi verso di lui proprio mentre la mano del suo fidanzato si stringeva attorno a lui e lo portava all’orgasmo.
Con un gemito a metà tra la frustrazione e l’assoluta beatitudine, Justin allentò la presa e si accasciò contro il bordo della vasca, respirando con affanno; Brian si avvicinò a lui per dedicarsi al suo collo. “Meglio?” Sussurrò mordicchiando la pelle candida della spalla.
Justin annuì, gli occhi chiusi e la bocca ancora semiaperta nel vano tentativo di ritrovare il respiro. Grugnì contrariato quando avvertì Brian ridacchiare contro la sua scapola. “Sto per morire…” Mormorò con voce roca.
“Addirittura?”
“Non me l’aspettavo.”
“Che sarei venuto a disturbarti?”
Justin immerse di nuovo le dita tra i capelli di Brian mentre l’uomo continuava a dedicarsi al suo collo. “Non riesco ad abituarmi all’idea che potremmo fare questo tutti i giorni.”
“Spero non solo questo, Sunshine.”
“Lo spero anche io.”
Brian sorrise contro la sua pelle prima mordicchiargli piano la spalla. Ridacchiò quando sentì Justin sussultare tra le sue braccia. “Ricomponiti, ragazzino. Voglio mostrarti una cosa.”
Justin si lagnò evidentemente contrariato, stringendogli le braccia attorno al collo. “No, non andare.”
Brian alzò gli occhi al cielo, divincolandosi dalla sua presa. “Sciacquati, asciugati e vestiti.” Gli baciò la fronte, corrugata in un broncio che qualcuno avrebbe definito adorabile.
Non lui. Certo che no.
Brian non avrebbe mai definito qualcosa adorabile.
Dopo un altro bacio, più profondo e decisamente più lungo, si alzò ed uscì dal bagno.
Silenziosamente salì la scala che portava alla soffitta. “Tutto pronto?” Sussurrò guardandosi alla spalle con aria furtiva per assicurarsi che Justin non l’avesse seguito.
Gus sobbalzò spaventato. “Papà!” Guardò male suo padre prima di corrergli incontro e buttarsi tra le sue braccia. Brian lo afferrò al volo, stringendolo forte a sé. “Justin dov’è?”
Brian gli baciò i capelli scuri. “Si sta vestendo. Stava per diventare un prugna secca.”
Gus annuì con aria seria. “Anche le mamme mi fanno fare il bagno tutte le sere. Una vera rottura.”
Brian sorrise a suo figlio, accarezzandogli con delicatezza una guancia. “Hai fatto un bel lavoro qui.”
Il bambino si illuminò. “Davvero ti piace?”
Brian annuì e posò Gus a terra. “Fammi vedere.”
“Ma dove siete tutti? Ehi, miei Kinney!”
Gus trattenne il fiato, correndo verso la porta proprio mentre Justin si affacciava sulla soglia. “Justin!” Come aveva fatto con suo padre, il bambino si gettò tra le sue braccia e Justin lo abbracciò. “Abbiamo una sorpresa!”
“Davvero?” Justin si scambiò uno sguardo complice con Brian che scosse le spalle.
“Ha fatto tutto lui.”
“E tu non c’entri nulla?”
Gus sorrise radioso. “Papà mi ha aiutato un pochino.” Affermò avvicinando indice e pollice. “Solo un pochino.”
Justin si chinò a baciargli i capelli scuri. “Allora fammi vedere, Kinney. Che hai qui?”
Il bambino lo trascinò al centro della stanza. “Tu stai qui. E non ti muovere.”
Justin annuì con aria seria e prese posizione, allungando una mano verso Brian che lo raggiunse all’istante; l’uomo lo abbracciò da dietro, stringendolo per le spalle. “Guarda e stupisciti, Sunshine.”
“Io e papà abbiamo pensato che qui potresti fare i tuoi quadri!” Esclamò con fervore il bambino. “C’è un sacco di luce…” Si avvicinò alle grandi finestre e spostò con fatica le pesanti tende. Poi si voltò verso i teli bianchi che coprivano alcuni pezzi di mobilio che Justin era sicuro non fossero lì l’ultima volta che era salito in solaio.
Con non poche difficoltà, il bambino trascinò via uno dei lenzuoli rivelando un enorme divano a L, poi proseguì con il resto: uno scaffale di noce, un lungo ripiano tirato a lucido, tele immacolate poggiate ordinatamente contro il muro, un cavalletto al centro della stanza – troppo alto per Gus, Brian accorse immediatamente in aiuto di suo figlio - e tutto l’occorrente che potesse servire a Justin nella creazione delle sue opere.
Justin respirò a fondo e chiuse gli occhi, cercando di non scoppiare a piangere come un poppante. “Pare che tu abbia pensato a tutto.”
Gus annuì con aria seria. “Ti piace?” Studiò la stanza con occhio critico, assomigliando così tanto a suo padre che Justin ebbe quasi l’impressione di vederci doppio. “Abbiamo dimenticato qualcosa?”
Justin si piegò su un ginocchio, aprendo le braccia e il bambino corse da lui. “Siete stati bravissimi.”
“Quindi ti piace?”
Justin affondò in viso nei capelli del bambino e tirò su col naso. “Tantissimo.”
Gus si staccò da lui e lo guardò confuso. “Perché piangi?” Alzò gli occhi verso suo padre. “Mi sa che non gli piace, papà.”
Justin lo strinse di più a sé e scosse il capo. “Lo adoro, Gus.” Gli sorrise tra le lacrime. “Davvero.”
“Sicuro?” Chiese Gus ancora poco convinto, passandogli un dito su una guancia bagnata.
Justin annuì, “Sicuro. Mi hai fatto commuovere.”
“Ed è una cosa bella?”
“È una cosa molto bella, campione.”
“Anche se piangi?”
“Anche se piango.”
Gus lo studiò per un altro istante e annuì. “Okay.”
“Sei convinto che mi piaccia?” Il bambino assentì. “Sei stato bravissimo.”
Gus lo abbracciò di slancio. “Papà mi ha aiutato.” Gli ricordò.
Justin, ancora in ginocchio, sollevò lo sguardo verso il suo compagno e gli strizzò affettuosamente una gamba. “È un bravo papà, eh?”
“Il più bravo del mondo.”
Justin annuì concorde, prendendolo in braccio e alzandosi in piedi. “E lo sai che adesso noi vivremo qui? E anche tu?”
Gus annuì. “Le mamme me l’hanno detto. Che non vivremo più a Toronto.”
Brian gli accarezzò i capelli, circondando le spalle di Justin col braccio libero. “E la cosa ti sta bene?”
Il bambino parve pensarci su un momento. “Mi dispiace non vedere più Lewis e Holly.”
“Possiamo farli venire qui a farti visita, se vuoi.”
Gus parve illuminarsi a quella notizia. “Davvero?” Domandò, guardando poi suo padre per conferma. Brian annuì. “Fico!”
“Dovremo organizzarci con i loro genitori, però credo di possa fare.”
“E io abiterò qui?”
Justin guardò Brian e inarcò un sopracciglio. Questa gatta da pelare è tutta tua, papà.
Brian si sporse a baciare suo figlio sulla fronte. “Gus, tu vivrai con le mamme e Jenny Rebecca come quando eravate a Toronto. Io e Justin vivremo qui.”
Il bambino aggrottò le sopracciglia, confuso. “E io non potrò venire qui? Con te e Justin?”
“Gus, questa è casa tua e tu puoi venirci quando vuoi. Per i giorni normali avrai scuola quindi starai con le mamme. I weekend, le feste, i giorni di vacanza potrai stare qui e fare ciò che vuoi.” Justin si schiarì rumorosamente la gola. “Quasi tutto ciò che vuoi.”
Gus parve pensarci su un attimo. “Okay.” Cedette alla fine della riflessione.
Brian soppresse un sorriso. “Hai altri dubbi?”
“Sì.”
“Dimmi.”
“Mamma e mami vivono insieme perché si amano?”
Brian e Justin si scambiarono un’occhiata confusa. “Così pare.”
“Quindi anche tu e Justin vi amate se adesso vivete insieme?”
“Esatto.” Justin posò un bacio sulla camicia di Brian a quella piccola confessione che anni prima non sarebbe mai uscita dalla bocca del suo fidanzato.
“Ma per vivere insieme bisogna sposarsi? Come le mamme?”
“Ahia.” Justin sorrise contro il petto del suo compagno. “Credo di iniziare a capire dove voglia andare a parare.”
Brian gli pizzicò il sedere facendolo sussultare con un urletto. “Non necessariamente.”
Gus annuì con espressione concentrata. “Ma voi non vi sposate, vero? Perché quella è una cosa da femmine.”
Ammutolito, Brian spostò lo sguardo carico d’ammirazione da suo figlio a Justin per poi tornare a Gus. “Signori e signore, mio figlio. Il mio erede.”
Justin soffocò una risata contro la sua camicia. “Ti sei salvato in corner, testone.” Mormorò facendo solletico a Gus che, con un risolino, si divincolò dalla sua presa e corse verso la porta e poi giù per le scale. “Muovetevi, lumache! Ho fame!” Gridò poi dal piano inferiore.
Brian scosse il capo, lo sguardo fisso sulla porta e un sorriso beato ben piantato sul viso.
“Ancora incredulo?”
L’uomo annuì. “Un po’. Credo che ci vorrà qualche giorno ad abituarmi.”
“All’idea di vivere qui?”
“All’idea di vivere qui con te. E con lui.” Brian accennò col capo alla porta.
Justin lo strinse per la vita, allungandosi a baciargli il pomo d’Adamo. “Benvenuto a casa, Kinney.”
“E a te, bentornato.”
Justin gli prese il volto tra le mani. “Non importa se sono a Pittsburgh o New York, se in un loft elegante, un pulcioso appartamento o in una reggia come questa. Casa mia è dove ci sei tu. Tu rendi migliore il mio mondo.”
Brian scosse il capo, ancora incredulo che tutto ciò stesse accadendo davvero. Un groppo alla gola gli impedì di rispondere adeguatamente, ma Justin capì lo stesso. In silenzio, si limitò a chinarsi a baciare il suo giovane compagno e a stringerlo a sé più che poteva.
La voce di Gus che richiedeva la merenda li fece sobbalzare.
“Andiamo.” Justin lo baciò un’ultima volta prima di staccarsi da lui. “Tuo figlio ci chiama.” Aveva già mosso un passo verso la porta della soffitta – del studio, il suo studio – quando la mano di Brian lo tirò di nuovo a sé. “Nostro figlio.” Mormorò piano, ma deciso.
Justin si morse un labbro e annuì con gli occhi lucidi. “Nostro figlio.” Ripeté con tono determinato.
Brian assentì con altrettanta convinzione.
Un attimo dopo, entrambi si avviavano verso il piano inferiore dove li attendeva la loro nuova vita.
Stavolta insieme.
Cazzo, se era ora.

 

 
 
 
 
Ed eccoci qui, finalmente! Dopo dieci (seriamente? Sono dieci?) anni, la storia è finita! Solo un piccolo, minuscolo epilogo (completamente Britin, perché sì, ci voleva!) manca per completare il tutto, ma la storia è arrivata al capolinea.
Che posso dire? Ho letto e riletto questa storia mille e mille volte e per altrettante volte ho pensato che non sarei stata in grado di terminarla, per mancanza di ispirazione, di voglia, di tempo, eppure eccomi qui a mettere la parola FINE a quest’avventura che mai avrei immaginato di intraprendere.
Volevo ringraziare dal profondo del mio cuore tutte voi, mie lettrici, meravigliose e pazienti, che dopo tutto questo tempo siete ancora qui a leggere la conclusione di questa, per me, EPICA impresa.
Senza di voi, non avrei mai, MAI, trovato la volontà di tornare a scrivere.
Ho mille altre progetti, ma per il momento vi lascio così, sperando che questo mio ultimo capitolo vi aiuti ad affrontare la benedetta quarantena che ormai da settimane ci tiene a casa. Spero stiate bene, spero che i vostri cari, i vostri amici e le vostre famiglie stiano bene e vi auguro il meglio.
Un bacio grande e un abbraccio fortissimo a voi, mie solide rocce.
 
Alessandra
  
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