Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: Hoshi_10000    16/04/2020    1 recensioni
Ogni scelta ha un prezzo, questo chiunque lo sa, ma quale può essere il prezzo per vivere nel segreto? Quali saranno le condizioni per continuare a vivere normalmente, quando un imprevisto entra nella tua vita? E Sinbad e Ja’far saranno pronti a pagare il prezzo delle loro decisioni?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Judal, Sinbad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pulizie di buon auspicio

 



-Si può sapere come hai fatto? Coinvolgere tutti i generali e organizzare la cosa senza farmelo sapere, vedi che quando vuoi sei in grado di lavorare?-
All’annuncio pubblico erano seguiti dei grandi festeggiamenti, come da abitudine di Sindria, ed ecco che subito, appena finita la festa, i due omega erano partiti con le domande.
Sorrise, guardando Ja’far mettere a letto Robin mentre Judal al piano di sotto continuava a camminare in cerchio in salotto allattando la figlia: ufficialmente gli aveva dato un'altra chance, però ancora da lì all’aver fatto pace ne passava, era un po’ diffidente, ma riusciva a comprenderlo.
-Ho fatto applicare alla folla una barriera anti-rumore. Gli incantesimi di suono sono abbastanza economici, certo ergere un muro così esteso non è banale, ma nemmeno era troppo impegnativo.-
-Sì, ma com’è possibile che Judal non se ne sia accorto? I maghi sentono l’uso della magia, avrebbe visto una simile quantità di rukh da chilometri.-
Sinbad sorrise, allacciando il pigiama a Robin -Diciamo che ho dovuto pianificare un po’ la cosa. Yamuraiha era accanto a voi, di certo se fosse stata lei a reggere l’incantesimo lo avrebbe notato, per cui ho domandato a Saher di farlo. Sai, è un peccato che non voglia ricoprire incarichi di prestigio, come maga è molto capace, ha pure eretto una sorta d’incantesimo dissimulatorio per non far vedere la barriera ad un mago.-
Ja’far lo guardò truce -Ma allora davvero semplicemente non vuoi lavorare! Se tu ti applicassi anche solo un decimo al tuo dannato lavoro saremmo a cavallo.-
Sinbad scosse il capo, sorridendo divertito -Il lavoro non è divertente, questo sì.-
Ja’far aprì bocca pronto a dar battaglia, ma di fronte al sorriso sornione di Sinbad lasciò perdere, almeno per quel giro.
-Come ve la siete cavata in questo mese?- chiese quando furono usciti dalla camera, bloccando Ja’far sulle scale, prima di raggiungere Judal.
L’omega lo guardò, indicandogli poi una delle camere vuote, sedendosi sul pavimento a gambe incrociate e facendogli segno d’imitarlo.
-Le prime settimane sono state le più dure, Judal non parlava quasi e non mollava mai Hanako, mentre io e Koumei ci occupavamo di Robin e lui, ma poi le cose sono cambiate. Non so dirti se in peggio o in meglio, sono solo cambiate. Hanno litigato, e Judal ha iniziato a non volerlo più vicino: non l’ha esattamente sbattuto fuori, ha lasciato che restasse per dare una mano con Robin, ma l’ha spedito sul divano senza una parola, e quando gli si avvicinava troppo ringhiava. Non metterci becco, ho provato a chiedergli una volta, ma l’ha presa molto male.-
Sinbad annuì, fissando Ja’far in attesa -Sai cos’è successo?-
-Te l’ho detto, non mi ha voluto dire nulla.-
Sinbad sbuffò, in un verso simile ad una risata -Magari Judal non ti avrà detto nulla, ma non tentare di farmi credere che non sai cosa sia successo.-
Ja’far sorrise, massaggiandosi il lobo di un orecchio -Ovviamente lo so, è bastato chiedere a Koumei per sapere tutto.-
-Eh?-
Ja’far lo fissò, valutando se rispondergli o meno, poi appoggiò i gomiti alle ginocchia, il mento nei palmi, guardando Sinbad pronto a bloccare eventuali reazioni eccessive -Ha provato a prendersi la paternità di Hanako, e Judal ha dato di matto. Se tu oggi avessi provato a dire di voler essere il padre della bambina con buona probabilità ti avrebbe strappato un braccio, fortuna l’hai evitato. È molto geloso della piccola, non la molla mai, a nessuno. Preparati, perché in barba al non viziarli lei dorme nel letto, e quell’unica volta che sono riuscito a convincere Judal a metterla in un passeggino ha pianto come se la stessero sgozzando.-
-Ho fatto un bel danno, eh?-
Ja’far annuì, senza tentare d’indorare la pillola.
-Gli passerà, ma ci vorrà tempo. Ora su, a letto.- disse battendogli una mano sulla coscia e alzandosi. -Domani tu lavorerai, e se t’impegnerai meno di quanto mi aspetto ti aspetterà una morte orrenda.-
Sinbad sorrise, alzandosi e scendendo le scale dietro a Ja’far. Dividere di nuovo il letto con due persone (anzi tre), fu strano, ma non quanto l’atteggiamento di Judal. Comprensibile, ma strano.
Rifiutò l’offerta di Ja’far di sistemarsi a lato del letto, occupando il suo solito posto al centro, in mezzo a loro due, dandogli fermamente le spalle. Restò sveglio a lungo, addormentandosi solo verso l’alba, tremando vagamente di freddo a causa di quel suo brutto vizio di dormire mezzo nudo.
Guardò le sue spalle alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro, cercando lo sguardo di Ja’far oltre la sua spalla, trovandolo pacificamente addormentato.
Osservò la bambina, dormire a pancia in su, con il capo poggiato sull’avambraccio di Judal. La piccola stava bene con il pigiamino giallo e il corpo coperto dal leggero lenzuolo, ma lo stesso non si poteva dire della madre, che continuava a tremare debolmente.
Gli allacciò un braccio alla vita, avvicinandosi a lui, facendo attenzione a non svegliarlo, sfiorare Hanako o attaccarsi alla sua schiena, e inaspettatamente dopo un paio di minuti udì delle basse fusa.
Col tempo, quasi di sicuro sarebbe riuscito a passarci sopra, se non a perdonarlo, non occorreva avere fretta.
 
 


-Dove diavolo vuoi portarci?-
-A fare una gita, ve l’ho detto no?-
Judal sbuffò, sistemandosi meglio Hanako su una spalla.
-Vagare per tutte le stradine secondarie di Sindria non è una gita, è uno spreco del mio tempo e per voi due schivare il lavoro. Possiamo tornare indietro ora?- chiese strattonando la mano per cui Sinbad lo trascinava, rifiutandosi di girare l’ennesimo angolo.
Il re sospirò, girandosi a guardare Judal con infinita pazienza, come se fosse un bambino parecchio restio a fidarsi. In una settimana non era arrivato a perdonarlo, ma le cose erano molte migliorate. Pian piano Judal stava iniziando a mollare Hanako, con grande scontento della bambina, mentre le cose con lui progredivano lentamente. Quando provava a baciarlo si scostava, quando gli proponeva di fare qualcosa nicchiava, ma lentamente iniziava a fidarsi, e il campanello di ciò era sempre la figlia. Così come non era troppo confidente nel farsi toccare da Sinbad logicamente non era neppure troppo propenso ad affidargli la bambina, ma se aveva modo di tener d’occhio la scena allora riusciva ad accettare la cosa, lasciando che la prendesse in braccio, che la cambiasse, perfino che la mettesse a letto.
Avere a che fare con due bambini così piccoli non era molto semplice, rubavano tutto il tempo libero, catalizzando tutte le attenzioni degli adulti su di loro.
Hanako migliorava, pian piano le coliche le stavano passando, ma proprio quando si erano convinti che finalmente sarebbero riusciti a dormire sereni tutta la notte ecco che a Robin avevano iniziato a spuntare i primi denti.
Avevano bisogno tutti e tre di una pausa da pannolini, pianti e poppate, per cui aveva deciso di portarli fuori, ma ecco che entrambi si lamentavano.
-Siamo, quasi arrivati, su, fatevi forza.- mollò la mano di Judal, appoggiandola invece alla base della schiena dell’omega e sospingendolo a proseguire, mentre Ja’far attendeva con i gomiti poggiati al passeggino, anche lui parecchio perplesso da quella gita.
“Siamo quasi arrivati” significava che dunque avevano una meta, e se da un lato era curioso, dall’altro non ci teneva poi molto a sapere dove Sinbad volesse portarli e con quale scopo.
-Ci siamo.- disse fermandosi di fronte a un anonimo palazzo, nascosto in fondo ad una via. Era nuovo, come tutti gli edifici di Sindria non aveva nemmeno dieci anni, eppure l’intonaco era qua e là rovinato, da un edificio all’altro correvano dei fili per stendere i panni, e una banda di ragazzini sedeva in un angolo giocando a dadi passandosi un consunto sigaro.
-Sin, si può sapere che vuoi fare qui?- chiese Ja’far guardando quei ragazzi vagamene allarmato, mentre Sinbad fissava quegli sporadici sprazzi di cielo non celati da quell’intricato intreccio di fili.
-Sinbad!- lo richiamò e Sinbad scosse il capo tornando a guardare prima lui e poi Judal con un espressione pensierosa, rendendo chiaro a entrambi che nemmeno lui era mai stato in quel quartiere.
-Perché ci hai portati qui?- chiese di nuovo, tirando il passeggino più vicino a sé: Sindria era un bel paese, certo, e il tasso di criminalità era molto basso, ma come qualsiasi posto aveva le sue scaramucce, e quello così ad occhio pareva proprio uno dei quartieri poveri.
-Vi devo presentare una persona.- disse semplicemente, avvolgendo al contempo il braccio libero attorno alla vita di Ja’far, iniziando a trascinare anche lui, indifferente alla recalcitranza di entrambi gli omega.
-Avanti, le scale mica si salgono da sole.- li incitò entrando in uno dei palazzi, privo di porta con solo delle tende di perline, altra cosa che fece loro storcere il naso, molto poco convinti.
Judal lo guardò scettico -Ti dirò francamente che non ho mai frequentato un luogo così squallido, prega che ne valga le pena o mi sentirai.- lo ammonì mettendo piede sui primi gradini, guardando quei ragazzi seduti fuori dalla porta, ancora intenti a giocare fra loro, del tutto disinteressati al loro arrivo.
-Come dovrei portare questo su per le scale, Sin?- domandò Ja’far con fare retorico, indicando il passeggino e ottenendo di mettere il compagno in difficoltà.
-Potete lasciarlo qui.- disse un ragazzino di all’incirca 15 anni, affacciandosi all’interno del palazzo con un espressione saputa, un avambraccio poggiato sullo stipite, il resto del gruppo fuori dalla loro visuale che rideva tonante, ad indicare che quel ragazzino era probabilmente il loro leader.
Ja’far osservò con fare scettico quel ragazzino dai capelli verdi, a sinistra lasciati lunghi, legati in una coda e a destra rasati, lo sgargiante orecchino e vari tatuaggi, sia sul torace che sul viso, ma soprattutto osservò il braccio destro poggiato allo stipite della porta, privo di mano. Tutto il quel ragazzino urlava “teppista”.
Prima che avesse modo di dire o fare qualcosa Sinbad annuì, prelevando Robin dal passeggino e spingendo lo stesso in un angolo di modo che non bloccasse le scale, subendo indifferente lo sguardo sconvolto.
-Abbiamo problemi di fiducia o sbaglio?- chiese il ragazzino, rivolgendosi apertamente a Ja’far e ridendo divertito, staccandosi dal muro.
-Puoi stare tranquillo- disse avvicinandosi beffardo -abbiamo tutti un lavoro, nessuno di noi ha bisogno di chiedervi la carità, e di sicuro se volessimo rubare qualcosa a qualcuno non saremmo così scemi da rubare al tanto amato re di Sindria, e di certo non ruberemmo un banale passeggino.-
Era basso, almeno una trentina di centimetri in meno di Ja’far, e non aveva neppure un aspetto particolarmente terrificante, pareva più un magro ragazzino abbastanza anonimo, con grande probabilità un beta, eppure in qualche modo aveva un alone di pericolo attorno a sé.
Ad ogni modo, quando Sinbad lo prese per un gomito e lo trascinò su per le scale lasciò perdere, escludendo dai suoi pensieri quella risata sprezzante, facendosi ripassare Robin da Sinbad.
-Questo giro ha ragione Judal, sarà meglio che ne sia valsa la pena, Sinbad.-
Salirono le prime due rampe in silenzio, guardando le porte di ogni appartamento, le scarpe e gli ombrelli posti fuori in completo disordine, le finestre sporche, i corrimano scheggiati e un paio di scarafaggi rincorrersi in un angolino.
Arrivati al terzo piano Sinbad li fermò, bussando ad una delle quattro porte presenti su quel piano, l’unica di fronte alla quale non erano buttate le più varie cianfrusaglie.
Dovettero attendere solo alcuni secondi prima che una donna andasse ad aprirgli, con una pratica maglietta bianca con una notevole scollatura e uno striminzito paio di pantaloncini.
L’espressione allegra con la quale aprì la porto mutò non appena li vide, trasformandosi in una scettica.
-Oh, il re di Sindria e i suoi omega, cosa posso fare per voi?-
Non mollò nemmeno la maniglia, guardandoli con fare dichiaratamente ostile.
-Cercavo Sahsa, è in casa?-
Chiese bloccando Ja’far che la guardò truce alla parola “omega”. In effetti non era una cosa molto educata tirare in ballo il genere secondario della gente a quel modo, ma gli riusciva difficile credere che l’intento della ragazza fosse in qualche modo discriminatorio o offensivo, più che altro pareva avercela con lui per qualche motivo sconosciuto.
La ragazza staccò la mano dalla maniglia, intrecciando le braccia sotto al seno e facendosi da parte per farli passare, continuando a guardarlo con chiara ostilità.
-Sahsa, ci sono ospiti per te.- disse rivolta verso una stanza attigua, chiudendo la porta alle spalle di Judal e lasciandoli soli.
Incuriosito Sinbad si mise a valutare la stanza in cui erano stati “gentilmente accolti”: era veramente piccola, in effetti l’intero appartamento doveva essere più piccolo delle stanze per gli ospiti che avevano a palazzo, arredato con un gusto decisamente superato per due ragazze così giovani. In quella stanza che fungeva da salotto e anche la cucina, i muri erano tappezzati di quadretti di varie dimensioni, il tavolo aveva una grossa tovaglia ricamata e tutte le superfici dei mobili erano coperte di centrini in pizzo. Decisamente fuori moda.
-Signor Sinbad, non credevo l’avrei più rivista.- disse una voce alla sua destra, e Sinbad distolse lo sguardo dalla porta che dava su un minuscolo balcone per portarlo su una delle due padrone di casa.
-Ti trovo bene Sahsa.- commentò guardando la larga casacca bianca che portava e la lunga gonna verdognola: non importava cosa indossasse, quella ragazza trasmetteva sempre un’idea di dolcezza.
-Prego, sedetevi.- disse indicando con dolcezza un divano che pareva avere almeno 40 anni: possibile che in quella via tutto paresse decrepito? Sindria non era un paese nuovo?
-Ti trovo bene.- valutò Sinbad, sorridendole incoraggiante e la ragazza rise.
-Posso offrirvi qualcosa? Magari un tè, una tisana o forse del caffè?-
Judal passò, mentre lui e Ja’far accettarono due tazze di caffè.
-Lascia, ci penso io.- intervenne Leila, passando alle spalle di Sasha, sfiorandole un fianco e iniziando ad armeggiare con la credenza.
-Eravate usciti a fare una passeggiata?-
-Una specie, sì. Visto che nessuno di loro esce molto di casa ho pensato di fare una gita.- disse sorridendo, poggiando una mano su un ginocchio a Ja’far, che per buona educazione evitò di fulminarlo, rimandando la cosa a dopo, concentrandosi su Robin che continuava a protestare, non molto propenso a stare in braccio.
-Ho pensato di passarti a trovare per fare due chiacchere, visto che non ce n’è mai stato modo. Spero di non aver disturbato.-
Lo annoiavano quelle formalità, se avesse potuto le avrebbe saltate a piè pari, ma non gli pareva il caso, Ja’far lo avrebbe ammazzato se ci avesse provato.
-Affatto, non si preoccupi- rispose la ragazza, ignorando la compagna che alle spalle degli ospiti la guardava con espressione che diceva chiaramente “non li voglio qua, mandali via” -Attualmente non ho alcun impiego, mi fa piacere ricevere ospiti, ma come vedete lo spazio è poco.-
Si fermò, interrotta da un mezzo urlo seccato di Robin, desideroso di libertà, e guardò il bambino con simpatia.
-La prego di scusarmi, non è molto collaborativo in questi giorni.- si scusò Ja’far, e lei sorrise, tenendo i gomiti poggiati al tavolo di fronte a loro.
Avrebbe avuto tutti i diritti di cacciarli, non c’era veramente spazio per cinque persone in quella casa, il divano su cui erano seduti poteva andar bene per due persone, in tre già erano un po’ stretti e lei alla fine aveva finito con lo stare in piedi.
-Nient’affatto, si figuri, anzi mi perdoni per non averci pensato.- si avvicinò a loro, prendendo il basso tavolino di fronte al divano e addossandolo al muro.
-Non abbiamo giocattoli adatti ad un bambino o simili, ma se vuole può lasciarlo lì.-
Ja’far osservò un momento il figlio, non molto persuaso, poi all’ennesimo calcio contro la sua gamba sbuffò esasperato, appoggiandolo su quel basso tappetino per la gioia del piccolo, che prese ad avanzare spedito verso il lato opposto, veloce come una lepre.
-Se sarà un piacere non lo so, ma come puoi vedere ho trovato il modo di presentarti i miei compagni e mio figlio.- disse rivolto a Sahsa, inginocchiata sul pavimento per impedire al piccolo di superare i limiti del tappeto.
Di fronte allo spettacolo di quella giovane ragazza e del proprio figlio che indomito si scontrava contro i suoi palmi, cercando di sgattaiolare via alla scoperta del mondo non riuscì a non sorridere, sbirciando Ja’far fare altrettanto, rilassando le spalle.
Finalmente almeno uno dei due iniziava a rilassarsi, ottimo.
-Il caffè.- proferì una voce abbastanza secca alle sue spalle, facendo sbucare accanto alle loro teste due tazze fumanti.
Proprio non riusciva ad immaginare il motivo di tanta ostilità: Sahsa gli aveva sempre descritto la ragazza come una persona diffidente, quello era vero, ma fra la lecita diffidenza e l’ostilità c’era una bella differenza…
Cercò a lungo di sondare il terreno, ma la ragazza eluse le sue domande, lasciando sempre che fosse la mora compagna a rispondere, in un atteggiamento schivo e riservato molto simile a quello di Saher volendo. Alla fine vi rinunciò.
-Sahsa, vorrei farti una proposta.- esordì, e d’improvviso sia Ja’far che Leila si fecero ben attenti, sospettosi, mentre Judal restò indifferente, come da che erano arrivati.
-Se le cose si sono sistemate è merito tuo, mi sei stata davvero di grande aiuto. Il tuo discorso è stato fenomenale, una capacità d’analisi notevole, a palazzo non c’è posto per una cameriera come te, sei troppo portata per fare solo questo.-
Sahsa era confusa, lo guardava in attesa mentre Robin sedeva con la schiena poggiata alle sue ginocchia, succhiando e mordicchiando un cucchiaio di legno, unico gioco a prova di bambino piccolo che erano riuscite a fornirgli.
-La perfezione non esiste, ma esiste sempre la possibilità di migliorare, sebbene non sia semplice, e servono persone in grado di pensare a mente lucida. Vorrei istituire il ruolo pubblico di ministro dell’integrazione dei generi, ed ho pensato a te. Mi serve una persona che abbia toccato con mano le ingiustizie, ma che sia capace di pietà anche verso coloro che hanno commesso degli errori-
-Non credo di-
-Invece sei perfetta. Hai ascoltato il mio racconto senza mai dare un tuo giudizio, hai solo ascoltato e cercato di trovare una soluzione, sebbene la cosa andasse a tuo svantaggio. Quindi non dire di non essere adatta, la modestia è una gran dote, ma ho sempre preferito l’autoconsapevolezza.-
La ragazza tacque, spostando lo sguardo spaesata fra Sinbad e Leila.
-Il solo problema che esiste per ora è che tu non sappia leggere. Ci saranno delle procedure da seguire e nel tempo ti troverai probabilmente ad avere a che fare con importanti cariche politiche, ma per quel che ho potuto constatare sei molto portata in quello, basterà solo che tu tolga i “Sire” e gli altri vari appellativi.- disse sorridendole.
-In concreto, ti propongo di iniziare da domani delle lezioni per imparare anzitutto a leggere e scrivere, e poi le varie etichette politiche, una base di economia e altre cose del genere. Sei una ragazza molto intelligente, in sei mesi so che imparerai.-
Non fece a tempo a finire di parlare che Leila si alzò, facendo stridere la sedia sul pavimento provocando un orrido tonfo quando questa cadde, svegliando Hanako.
-E come crede che dovremmo vivere, sentiamo? Siete tutti uguali voi regnanti, fate le cose per capriccio e appena vi annoiano le buttate. Ha voluto una cameriera, ma appena non le è più servita l’ha licenziata senza alcun motivo. Adesso vuole un nuovo ministro, ma come crede che possiamo mantenerci per sei mesi con un solo stipendio? Sindria sarà un paese ricco e i prezzi sono abbastanza buoni, ma non possiamo vivere solo con uno stipendio da cameriera.-
Sinbad guardò la ragazza bionda fulminarlo con odio, i palmi ben piantati sul tavolo e la sedia crollata alle sue spalle. Finalmente capiva perché lo odiasse tanto, ma non era stato lui a licenziare Sahsa, bensì la ragazza a lasciare il lavoro.
Si rivolse direttamente a Leila, esponendo le sue ragioni e modificando la proposta offrendo loro da subito un appartamento a corte, ma ecco che di nuovo la ragazza scoppio a ridere prim’ancora che finisse di parlare.
Non voleva pietà, voleva lavorare e guadagnarsi le cose: conosceva il tipo, sapeva quanto fosse difficile da accontentare, ma terribilmente tipico di quei ragazzini di nemmeno 18 anni.
-Quante palle per nulla.- sbuffò Judal spazientito -Non vuoi la carità altrui, ma vuoi una vita agevole. Si tratta di soli sei mesi, io ci ho messi ben di più prima di approdare a Kou. Nessuno ha chiesto a te, per iniziare, si parlava con lei,- quando Judal stava zitto troppo a lungo poi di solito esplodeva, come in quel momento -comunque, facciamola semplice. Sin, vuoi un ministro? Bene, da domani queste due abitano a corte, ti istruisci il tuo futuro ministro e quando avrà finito l’apprendistato le tratterrai due mesi di stipendio per l’affitto e via, ci stai?- chiese rivolgendo lo sguardo su Sahsa azzittendo Leila senza l’uso della magia, con una semplice occhiataccia.
La mora guardò sconvolta prima Judal, poi Ja’far e infine Sinbad. Ci fu un attimo di perfetta immobilità, poi annuì, e Sinbad rilasciò il fiato sollevato, incurante delle unghie che Ja’far gli piantò nella carne.
Quando fossero tornati a palazzo gli avrebbe urlato addosso per ore per aver preso una decisione simile senza di lui, ma era certo della sua scelta.
Nulla può essere perfetto, quello era impossibile, ma tutto poteva migliorare, e lui voleva che Sindria migliorasse. Come Sahsa gli aveva confermato vedeva in Sindria una grande apertura e un’incredibile libertà, ma l’atteggiamento che Sinbad aveva tenuto per anni dimostrava un difetto radicale: il pregiudizio.
Ancora la gente vedeva gli omega come esseri deboli, bisognosi di un alpha per essere felici, e la cosa aveva purtroppo un suo fondamento naturale, ma la gente continuava a ricamarci sopra. Non si può sradicare un pregiudizio solo con qualche legge, sarebbe stupido crederlo, non è con le parole che si cambiano le cose ma con i fatti.
L’esempio che lui offriva ora al popolo era già un passo avanti notevole, ma non sarebbe bastato da solo. Per le masse loro erano un mondo esotico, distante, una sorta di sogno: serviva un ponte di collegamento.
-Momento molto bello, carino il sentimentalismo, ma, dove sarebbe il bagno in questo buco?-
Scosse il capo sconsolato, in fondo anche Judal alle volte diventava solo il 19enne stronzo che aveva a lungo finto di essere. Attese che fosse uscito dalla stanza, scaricando Hanako in braccio a Ja’far, per rivolgersi nuovamente a Sahsa.
-Ho anche un altro incarico per te.-
Leila sbuffò, raccogliendo le tazze di caffè poggiate ai piedi del divano e andando a riporle nel lavello -Neanche cinque minuti da che hai acconsentito e già parte a dare ordini.-
-Avrei una richiesta per te.- riformulò, e prima che la compagna potesse ribattere nuovamente Sahsa annuì, accettando l’incarico a busta chiusa.
 
 


-Non sono d’accordo.-
-E ti pareva, su cosa lo sei?-
Come si fosse fatto incastrare era un mistero.
Quando dal nulla Sinbad aveva deciso di fargli fare da maggiordomo si era abbastanza arrabbiato, partendo a sbraitargli contro che non si sarebbe mai abbassato a tanto, e invece Sinbad, a parte rinfacciargli che faceva ben di peggio, tipo cambiare quotidianamente pannolini, aveva vinto. Ma per quanto quelle pesche offertegli come ricompensa fossero sensazionali non era certo che ne fosse valsa la pena. Insomma, mostrare a Sahsa e Madame-Rompicoglioni il loro nuovo loft non era una cosa poi tanto gravosa, ma com’era finito a discutere dei massimi sistemi con un’ex-cameriera?
-Non potresti dargli una chance?-
Sicuro come l’oro c’era in mezzo lo zampino di Sin, anzi come minimo tutto il torace: una perfetta estranea che si metteva a dirgli di lasciarsi andare con Hanako, chiedendogli di dare una chance niente meno che a Koumei?
-Sicuro, e magari gli do anche un paio di mazze da baseball, oppure la appendo ad un paglione e gli do arco e frecce, perché no?-
-In concreto ha mai cercato di farle qualcosa di male?-
Rise, guardando Hanako stritolare il proprio peluche, mordendo un orecchio a quel povero orso.
-A parte tergere il sudore dalla fronte di Kouen quand’era stanco di prendermi a calci in pancia? No, nulla di che.- disse con ironia, guardando con sufficienza.
Quando il giorno prima Sinbad l’aveva trascinato a forza a casa sua non gli era dispiaciuta troppo, ma in quel momento desiderava solo andarsene.
-Da quando è nata ha mai fatto qualcosa per nuocerle?- insistette imperterrita, e Judal sospirò.
-No, non le ha fatto niente, ma ehi, aspetta, non si è neanche mai avvicinato abbastanza per riuscire a fargliene!-
Diavolo, quanto odiava il cieco ottimismo di quella ragazza!
-Tu non hai avuto una sola delusione dalla vita o sbaglio? Sembri una di quelle a cui mamma e papà non hanno mai fatto mancare nulla, che è nata e cresciuta come cameriera, ma che brama solo di staccarsi da un lavoro del genere. Non so quanto Sinbad ti abbia pagato per farmi la paternale, ma risparmiatela, non cambierò idea.-
Fece per alzarsi dal divano e recuperare Hanako, ma qualcosa lo fermò, forse la sola domanda che nessuno gli aveva mai posto.
-Perché continui a nasconderti a questo modo?-
Si girò lentamente a guardarla, celando velocemente dubbi e incertezze dietro la solita maschera e scoppiando a ridere.
-Nascondermi, e quando mai lo farei? Fino a prova contraria sono piombato qui sbattendo in faccia ad un ex-assassino di essere incinto del suo alpha, se questo tu lo chiami nascondersi non dovevi essere un granché a nascondino.-
Sahsa scosse il capo.
-Stai mentendo a tutti. Hai gli occhi di una persona a cui manca casa, le vecchie abitudini, perfino i litigi. I miei genitori sono così da che sono riusciti ad aprire un loro negozio, gli manca viaggiare. Nel tuo caso non hai la faccia di uno a cui manca un posto, quanto piuttosto delle persone.-
-Dì un po’, sei una psicologa o un futuro ministro?-
Si risedette, appoggiando le braccia sulla spalliera del divano, aprendo le gambe sfacciatamente, deciso a metterla a disagio per farle chiudere la conversazione, ma lei non demorse.
-Sinbad mi ha chiesto solo di parlarti, non mi ha pagato per farlo né me l’ha ordinato, me l’ha solo domandato. Non ti voglio dire cosa fare o non fare con tua figlia, non è mai stata mia intenzione, scusa se ti è parso le cose stessero così.- chinò il capo in un lieve inchino, il primo dall’inizio della loro conversazione. Non era scortese, la scortesia era tutt’altra cosa, ma non era nemmeno il servilismo incarnato come con Sinbad.
-è solo che se posso mi piace aiutare. Capisco le tue ragioni, ritengo che tu stia agendo in maniera molto ragionata, e ti ammiro per questo, vorrei avere la tua stessa determinazione, ma ne sono sprovvista. Non conosco il principe, non ho mai-
-Se provi a dirmi “non ho mai avuto il piacere” o “la fortuna” giuro che finirai appesa a quel muro. A testa in giù.- la interruppe con gli occhi rossi oscurati dalla rabbia, e Sahsa si fermò un attimo, presa in contropiede.
-Pensi che la perfezione esista?- gli chiese alla fine, tagliando il discorso, e Judal scrollò il capo in un moto di diniego.
-Credi nella bontà dell’animo umano?- scoppiò a ridere sonoramente.
-Credi nella malvagità, quella cieca ed assoluta?-
La guardò, sospettoso, e di nuovo negò: bianco e nero non erano mai assoluti, lui ne era una prova abbastanza lampante.
La ragazza si alzò, guardandolo con quell’espressione da “e con questa ho vinto io” -Credi nella redenzione?-
La fissò, senza che per una volta lei abbassasse lo sguardo, rosso sangue nel nero.
Se ne andò senza risponderle.
 
 


Seduto sul letto, con le spalle appoggiate al muro, continuava a fissare quella stupida definizione.
19 verticale: mancanza di casa.
Nostalgia.
Era una parola così semplice, così innocente, aveva pure un bel suono, ma comportava cose terrificanti.
Poggiò il cruciverba sul comodino, scivolando lungo il muro: è stupido come a volte non si riesca a comprendere nemmeno i propri pensieri finché qualcuno non ce li mostra. Lui, facendo un semplice gioco da una rivista, in attesa di prendere sonno, aveva scoperto di provare nostalgia di casa, nostalgia della sua famiglia,  nostalgia della sua vecchia vita.
Gli mancava la pressione di avere un compito, l’aspettativa, i subdoli ministri convinti di poterlo aggirare. Gli mancava Hakuei, sempre con quel sorriso dolce, Kouha con i suoi raptus omicidi, Kougyoku con il suo desiderio di rivalsa e Kouen con il suo fare ruvido. A Kou aveva una vita, dei legami, delle attività, a Sindria ora “godeva” della compagnia dei generali e del disprezzo più assoluto da parte di Judal.
Se fossi rimasto a Kou sarebbe stato meglio.
Non avrebbe mai visto, non sarebbe mai venuto a sapere, avrebbe vissuto in una serena ignoranza. Un principe come lui, amante della conoscenza, che desiderava l’ignoranza…
Sussultò, sentendo qualcuno bussare alla porta con insistenza: erano le due di notte, chi poteva volere qualcosa da lui?
Aprì la porta, basito di trovarsi di fronte Judal.
-Che cosa-
Non fece a tempo a completare la frase che Judal gli mise in braccio Hanako senza troppe cerimonie.
-Vuoi fare il padre? Eccoti accontentato. Qui- disse sollevando un grosso borsone che poi gli buttò in camera -hai biberon, pannolini e pupazzetti, non dormirà se non ti sarà attaccata e se troverà un lembo di pelle scoperta ti riempirà di succhiotti. La rivoglio per domani a mezzogiorno, tarda di un solo minuto e ti farò buttare a mare. Buona notte Mei.-
   
 
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