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Autore: PathosforaBeast    16/04/2020    2 recensioni
Raccolta di storie (oneshot, flashfiction e drabble) incentrate sulla vita di Mycroft Holmes e la presenza costante del numero quattro.
Genere: Introspettivo, Poesia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Mycroft Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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404.
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A mia madre,
tanto preziosa quanto fragile.
 



Sei riuscito addirittura a prenderlo in braccio. Tu, tu che hai sempre detestato l’attività fisica, quello debole che mai si è azzardato all’idea di dover sollevare qualcosa che non fosse stata la legna per il camino della casa dei vostri genitori, con più cervello che muscoli; ti sei ritrovato a sollevare tuo fratello in preda agli spasmi.
Tremante e impaurito come le notti in cui lo andavi a riprendere dalla culla per farlo smettere di piangere. Ma ora è un giovane uomo e i suoi occhi sono tinti da molto più dolore. Più di quanto ne possa sopportare. Più di quanto tu ne possa prendere e gestire.
Il suo viso esangue, le lacrime agli angoli degli occhi e le siringhe ai piedi del materasso. Ti ha stretto l’avambraccio perdendo anche l’ultimo spiraglio di lucidità. La testa si è rivolta all’indietro sul materasso facendo alzare una quantità immane di polvere. L’arancio del tramonto ha cozzato contro i suoi lividi scuri, così scuri che i suoi capelli al confronto sembravano pallidi e la stanchezza, improvvisa e minacciosa nelle sue palpebre ormai abbassate, gli ha pervaso il corpo come il più vittorioso dei nemici.
Mentre tu, lì, dovevi fare i conti con la tua coscienza e i tuoi errori.
Non sai nemmeno come siete arrivati in ospedale. Hai corso, hai corso con tutta l’anima che ti vibrava dentro. Tuo fratello con gli occhi rivolti all’indietro e tu con la voce ridotta a un’increspatura di suoni quando ti hanno chiesto di dare tutte le sue generalità. Come se fosse carne da macello, da etichettare e spedire nel settore adatto.
Sono stati rapidi, gli infermieri. Ti hanno fatto domande, si sono scambiati qualche occhiata allarmata, necessariamente distaccati dalla tua disperazione. Hanno portato Sherlock via da te, lasciandoti sedere su una sedia di plastica chiedendoti di aspettare.
Hai sentito sbattere qualcuno contro la tua spalla ma eri troppo saturo per voltarti e dire qualcosa. Sentivi solo gli occhi pesanti, le mani leggere e i piedi che ti trascinavano dritto all’inferno.
 
Ormai è notte fonda. Resti qui ad aspettare senza nessuna risposta.
Tutto è così stonato, così inesatto, così… ingiusto. Perché doveva succedere proprio a Sherlock? Perché doveva essere lui quello che ora doveva trovarsi su un letto d’ospedale a combattere contro la morte?
Un paio d’ore fa una donna è passata stringendo tra le mani un rosario. Sei stato così tentato dal fermarla e chiederle se proprio questa fosse la ‘giustizia divina’. Se fosse proprio il desiderio di un qualsivoglia dio a volere che un ragazzo così giovane debba star lì, in una sala operatoria. O la giustizia divina è tale finché non colpisce chi ami?
Ma lei non ti ha nemmeno notato perché è andata ad abbracciare suo marito su una sedia a rotelle.
Invece tu sei rimasto qui a osservare il cielo incupirsi minuto dopo minuto.
Vorresti non sapere come siete arrivati a tutto questo. Vorresti alzate le mani e dire al resto del mondo che non ne hai colpa, che sei innocente e non avresti mai pensato a un’azione del genere. Che era impossibile che Sherlock finisse in un circolo vizioso del genere.
Ma è come se gliel’avessi ficcato tu quell’ago sottopelle. Come se avessi dosato sadicamente ogni goccia per ottenere la sofferenza più atroce possibile e aver prontamente scelto già il velluto migliore per la sua tomba.
Fai schifo, ecco cosa.
Un misero, orrido e deformato errore.
Te ne stai qui a stringere il suo cappotto tra le mani, anche se non lo meriti. Qui, in una sala d’attesa dove nessuno profana il silenzio. In una comunione di dolore, dove nessuno osa porsi un passo in avanti e ci si limita a percorrere mille volte un corridoio nell’attesa di un dottore che si asciughi il sudore dalle tempie e possa dire che “è andato tutto bene”.
Te ne sta qui, come un bravo soldato, aspettando che quel bene possa arrivare davvero.
 Te ne stai qui, ripetendo a te stesso che, sì, deve andare tutto bene. È un ragazzo impulsivo ma troppo sveglio e intelligente per superare il limite dell’azzardo.
Andrà tutto bene, ti ripeti. Ma non puoi far altro che nascondere il viso nel suo cappotto e pregare che non sia l’ultima volta che tu senta il suo profumo.
 
Andrà tutto bene.
 
 
 
“Figliolo, sei sicuro di star bene?” Sobbalzi, quando una mano si posa sulla tua spalla. Una donna si siede accanto a te, con il viso paffuto affondato nella sua sciarpa gialla.
Ti guardi intorno a fatica, sperando che si sia semplicemente confusa.
Ma ci siete solo voi due.
“Mi scusi, penso che lei mi abbia semplicemente confuso con un’altra persona” le mormori, allontanando il resto del cappotto dal tuo viso. “Temo di non conoscerla”.
Ti sorride, spostando una ciocca bionda dietro l’orecchio. “E io temo che tu abbia tremendamente ragione ma restando qui ci facciamo tutto compagnia. Giovani e meno giovani ”.
 Aggrotti la fronte. Proprio a te doveva capitare un soggetto del genere? Proprio ora? “Mi scusi ma non capisco perché lei voglia parlare con me. Non voglio essere scortese ma sto aspettando che una persona esca da lì”. Le dici, indicando la sala operatoria, nel vano tentativo di sentirti libero da parole e discorsi. Hai solo bisogno di restare qui con il tuo dolore.
Chi potrebbe mai capirti?
“Oh, mi dispiace”. Lei continua a guardarti, pacifica e sorridente, come se ti avesse incontrato in un teatro e si stesse intrattenendo durante un intervallo. Non come se foste entrambi in un ospedale a disagio in un ambiente troppo sterile. Guarda verso la finestra che hai osservato per tutta la notte, per nulla disturbata dalla tua perplessità. Fa un respiro profondo prima di continuare. “Sai, stanno facendo un check up a mio… a un… oh, non sono la sua madre naturale ma l’ho cresciuto per così tanto tempo che mi ci sono tanto affezionata”. Abbassa lo sguardo, giocherellando con un bottone del cappotto avorio.  “Proprio ora, non molto distante da qui. I dottori mi hanno guardata e mi hanno detto letteralmente  di ‘andarmi a fare un giro’. Così eccomi qui, a farmi un tour per tutti i reparti. Sarà questo l’effetto che fanno gli ospedali. Ti dicono di far qualcosa e sei lì, pronta a fare di tutto pensando di compiere il gesto che salverà la situazione. Anche se, ripensandoci, la mia non è stata la più saggia delle mosse”.  Ti sorride, alzando di poco il mento. “ Ha più o meno la tua età, sai? Sono anni che cavalca e all’improvviso è bastato così poco che tutto si è capovolto. Ancora non ci credo che siamo stati così fortunati. É stato davvero un miracolo”. Arricci le labbra, pur di non dirle qualcosa di spiacevole. È stata solo fortuna mista a coincidenza ma perché farle credere altro? “Invece tuo padre come sta?” dice, abbassando lo sguardo sul cappotto che stai stringendo.
Di riflesso, lo guardi anche tu.“Oh.. no, no è mio fratello minore. Sette anni più piccolo. N-non si è sentito bene e ora è in rianimazione…” Non sai quanto sia giusto da dover dire e quanto sia meglio da celare. Eppure lei è qui che ti guarda, una donna che non conosce nemmeno il tuo nome e vuole solo stare qui ad ascoltarti. Una madre che c’è e a suo modo vuole solo trovare un po’ di empatia in qualcuno. Qualcosa da condividere, una lacrima da rendere più leggera.“Sa, sicuramente sarà sorpreso di riuscire a sopravvivere a tutti questi giorni in ospedale. In fondo lui…” ti mordi un labbro, masticando le parole che vogliono subito uscire mentre senti gli occhi lucidi e la lingua attorcigliarsi. “ha sempre avuto paura degli aghi, non so proprio come ci crederà a tutta questa storia”.
 “Oh caro, credimi che andrà tutto bene”. Senti la sua mano, tiepida, poggiarsi nuovamente sulla tua spalla. Non sai che cosa ti stia accadendo, se è tutto dettato dalla stanchezza o dalla paura che ormai ti ha stordito tanto da non darti più spazi per pensare, ma all’improvviso una sensazione di pienezza e tranquillità ti pervade insieme a una strana sensazione di caldo improvviso. Ma non come quello di un fuoco che arde, anzi. Molto più simile a una candela. Un calore timido ma costante. “ Abbi fede in quello che sta accadendo in quella stanza perché tu fratello ne uscirà sano e salvo. Ci sono piani per ognuno di noi. Sono le Sue mani a decidere. A proposito, come vi chiamate entrambi?”
Ti volti verso di lei, porgendole la mano, imbarazzato per non essere stato nemmeno il primo a presentarti.“Io sono Mycroft e mio fratello è Sherlock”.
Le palpebre si sollevano, facendo sembrare i suoi occhi azzurri enormi. “Pish posh ma che nomi singolari! Immagino che i vostri genitori siano persone davvero dedite alla creatività! A proposito, il mio nome è…”
“ Aziraphale, 'Zira, mi vuoi dire dove sei finita?” Un uomo alto, snello e con i capelli ramati appena vi nota si avvicina a voi quasi correndo. “Per una volta, una, mi vorresti dire dove vuoi andare? Almeno in quale reparto! Sarà più di un’ora che ti sto cercando!” Mette una mano tra i capelli, spaventosamente simile a “Il Genio del Male” di Guillaume Geefs. Arrossisci violentemente quando senti gli occhi della coppia su di te.
E il sorriso sornione che ti rivolge l’uomo.
“Mycroft, ti presento Anthony, il mio…” guarda il suo ragazzo immediatamente, posando poi lo sguardo sul pavimento. Anthony si irrigidisce di rimando. “un mio carissimo amico. Anthony, lui è Mycroft”.
“Va bene, va bene. Piacere di conoscerti Myc, ora dobbiamo andar…”
La donna si acciglia, alzando la voce. “ Ah no, Crowl- Anthony, caro. Ora tu gli porgi la mano, gliela stringi per bene, con le dovute raccomandazioni che mi avevi promesso. Un atto di gentilezza per un altro”.
Anthony ferma per un momento di passarsi le mani sulla giacca. “Ora la chiamiamo addirittura ‘gentilezza’?” Lei annuisce senza muoversi di un centimetro. Posa poi lo sguardo su di te e ti senti messo così a nudo nonostante la giacca, il panciotto e la camicia che ti coprono che, a disagio, ti volti verso la porta sperando che ora arrivi qualcuno pronto a salvarti.
Magari tuo fratello che urla vittorioso per quella nuova battaglia vinta.
“… e sia. Vieni qua, giovanotto”.
Apri la bocca, contrariato dai suoi toni poco cordiali ma gli porgi ugualmente la mano. “I modi di fare educati e standard ti porteranno solo in avanti e con molti meno nemici dietro l’angolo” continui a ripeterti  tronfio. Appena le vostre mani s’incontrano, però, rabbrividisci. Ti senti travolto da un senso di nausea e i tremiti sono così forti che pensi davvero di svenire. Ma le mani di entrambi ti sorreggono e ti portano diligenti contro la sedia. Mentre ‘Zira continua ad assicurarsi che tu stia meglio, Anthony schiocca le dita e si risistema gli occhiali sul naso. Sbagli o i suoi occhi sono… gialli?
 “ Oh caro, caro, caro. Mi sa che questa notte non hai affatto mangiato, vero? “ 'Zira rovista tra la borsa, lasciandola poi accanto a sé. “Prendi, ecco qui: questo è cioccolato belga, aiuta a riprendere anche le anime più in pena. Nulla che possa far risanare di  più quanto una sana carica di zuccheri”. Te lo mette direttamente tra le mani, scartandotelo. “ Mangialo e ti prometto che ti sentirai meglio”.
“L-la ringrazio. Non doveva, davvero”.
“ É davvero un piacere, non ti preoccupare”. Si volta improvvisamente e, seguendo la direzione del suo sorriso, noti un medico che, stremato, si sta avvicinando a voi.
Senti il cuore morderti il petto, violento e speranzoso di buone notizie.
“ Mycroft Holmes?” Senti la gola stringerti, è davvero arrivato il momento di saperlo?
“É lui”. Ripete in unisono la coppia accanto a te.
“É andato tutto bene, suo fratello è fuori pericolo”. Ti sorride, felice quanto te. Felice di sapere che una vita oggi è sopravvissuta. “Ora mi permetta ma devo ritornare in sala”.
Inizi a tremare così tanto che ti stringi nelle spalle e inizi a piangere per la gioia.
È tutto finito. È tutto andato.
È andato tutto bene.
‘Zira ti accarezza la testa. Sei in pace, sei felice. “…e , tesoro, ricordati che non sei un errore. Sei perfetto ai Suoi occhi”.
Trattieni il respiro ma appena rialzi la testa non c’è più nessuno accanto a te.
Solo una sciarpa gialla.


 
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Ed eccomi, così, alla mia prima fan fiction crossover tra Good Omens e Sherlock BBC. È sicuramente uno degli esperimenti più azzardati (e, forse, molto meno comprensibili) che abbia mai prodotto ma questa storia nasce come tante alte: ho idee, piani e obiettivi molto definiti per poi cambiare tutto di punto e in bianco perché il cuore mi dirige altrove. La verità è che sono molto più impulsiva e sentimentale di quanto vorrò mai ammettere.
Vi riassumerò “in breve” la trama: Mycroft porta Sherlock in ospedale a seguito di un overdose. Aziraphale, che si trova in ospedale, si reca da quest’anima sola e in pena e assunto l’aspetto di una donna (ricordiamo che angeli e demoni vanno oltre i concetti inerenti alla carne) si finge una madre in pena per il figlio ottenendo l’empatia del ragazzo e alleviandogli l’animo. Ed ecco che si presenta Crowley (che si scopre compagno in questo piccolo ‘tour’ ospedaliero da parte dell’angelo) che a seguito della richiesta di ‘Zira – abbreviazione del nome- permette di compiere “quell’atto di gentilezza”, ovvero una ‘grazia’, che gli viene richiesta dall’angelo.
Fu così che Mycroft scoprì che suo fratello era sano e salvo e che, sì, qualcuno per la prima volta lo guardava e gli diceva di non essere un errore a questo mondo.
Ed eccoci al titolo “404” . ‘404’ è il numero che viene mostrato nelle pagine che non troviamo su internet (“error not found/ page not found”).
 
 
L’immagine di questa storia si rimanda alla pratica del Kintsukuroi: ovvero l’arte del riparare le ceramiche frantumate. Kintsukuroi significa “riparare con l’oro”: è ciò che possiamo fare quando qualcosa si rompe nella vita. Impariamo a curare le nostre ferite per farne la nostra bellezza.
Perché siamo meravigliosi.
Non lasciate mai che il mondo vi faccia credere di essere sbagliati.
Ricordatevelo.
404.
   
 
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