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Autore: Ella Rogers    18/04/2020    1 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Countdown
 
 
 
Asgard
 
L’aria fredda del mattino ebbe su di lei lo stesso effetto di una delicata carezza e un sospiro di sollievo abbandonò le sue labbra secche.
Le dita stropicciarono violentemente il tessuto grigio della maglia all’altezza dello stomaco e i denti strinsero il labbro inferiore tanto da farlo sanguinare.
Fu costretta ad aggrapparsi con una mano al parapetto che delimitava la balconata e serrò gli occhi con forza. Il respiro accelerò in sincronia con il battito cardiaco e fu certa di sentire i vasi sanguigni pulsare sotto la pelle bianca come la neve.
Alcuni ciuffi, sfuggiti alla morbida treccia, le erano ricaduti sul viso esangue e si erano appiccicati alla fronte sudata.
 
“Dannazione” soffiò fuori a fatica.
 
Si lasciò scivolare a terra, in ginocchio, mentre cercava di riprendere il controllo del suo corpo che ardeva quasi come se la stessero bruciando viva.
Non seppe quanto tempo passò prima che quella crisi terminasse, lasciandola stremata e tremante.
“Puoi farcela” si disse, come blando autoconvincimento.
Si rimise in piedi e risistemò la maglia grigia all’interno dei morbidi pantaloni bianchi, rassestando la fascia azzurra poco sopra l’ombelico e sottolineando in tal modo l’esilità poco sana della vita.
Silenziosa, rientrò all’interno della camera e si chiuse le ante in vetro della grande finestra alle spalle. Fu quando sollevò lo sguardo, che si accorse di una figura appoggiata allo stipite dell’ingresso della stanza e non riuscì ad evitare di sussultare appena.
Alla luce chiara del Sole che traspariva dalla finestra, gli occhi di Andras erano tanto trasparenti da sembrare privi delle iridi. Le fece un cenno con il capo e lei rimase immobile per un po’, finché non fu in grado di venire fuori dallo stato di sorpresa dovuto a quella visita inattesa.
Andras non era mai entrato nelle sue stanze prima di allora, soprattutto non senza chiederle il permesso. Nonostante l’aria boriosa e intransigente, l’oneiriano le aveva sempre portato rispetto, un rispetto dovuto all’ammirazione nei confronti di quella che ai suoi occhi era una creatura tanto potente quanto unica nel suo genere.
Anthea lanciò uno sguardo al biondo che dormiva ancora tra le lenzuola sfatte e, quando riportò l’attenzione sull’oneiriano, si accorse che adesso era lui ad essere concentrato sull’inconsapevole terza presenza nella stanza fattasi improvvisamente troppo stretta e soffocante.
La giovane, senza pensarci due volte, avanzò verso Andras, dosando la forza con cui i suoi piedi nudi impattavano contro il pavimento in marmo, così da non emettere alcun rumore. Lo prese per un polso e lo trascinò per il breve corridoio che conduceva alla porta d’uscita della stanza.
Una volta fuori, chiusa la porta dietro di lei, esordì con un “Potresti anche bussare” un po’ piccato, ma sorprendentemente privo di rancore.
Andras piegò le labbra in un sorrisetto enigmatico.
“Ho interrotto qualcosa?”
Anthea sbuffò infastidita e lo fulminò con lo sguardo.
Era strano da parte di entrambi mostrare così tanto le emozioni, ma era anche un sollievo poter finalmente evitare di mantenere sul volto una maschera inespressiva e perennemente seriosa.
Per la prima volta la giovane sovrana fu in grado di leggere ciò che colui che era stato disegnato come suo pretendente stava provando. E, in quegli occhi trasparenti, lesse fastidio, lesse rabbia, lesse tristezza e lesse rassegnazione.
Le parole taglienti che erano pronte a scivolarle via dalla punta della lingua si dissolsero e Anthea rimase in silenzio, le pupille fisse sul viso dell’oneiriano.
 
“Avrei giurato che fossi pronta a lanciarmi contro parole indelicate.”
Andras sollevò un sopracciglio con fare interrogativo, in attesa di una conferma che non arrivò.
 
“Pensi sia possibile sistemare le cose?” chiese invece la giovane con tono incerto.
Anthea non seppe da dove le fosse venuta fuori quella domanda, ma adesso non poteva di certo tornare indietro. C’era qualcosa che costantemente si teneva aggrappata alla sua anima e probabilmente non l’avrebbe mai lasciata in pace, qualsiasi cosa lei avesse fatto per liberarsene sarebbe risultata vana.
Senso di colpa.
 
“Sono riuscito a strappare al Consiglio un via libera per te, ma dovrai stare attenta a mantenere la promessa di tornare. Damastis ci ha messo al corrente della tua situazione interiore e credo che questo abbia influito parecchio sulla decisione del Consiglio.”
 
Anthea sorrise mesta.
“Temono le conseguenze se per disgrazia dovessi perdere il controllo.”
 
“Alcuni racconti su tuo padre giustificano il fatto che loro ti temano.”
 
“Peccato che non abbiano mai capito che io non sono mio padre. Non avete fatto altro che paragonarmi a lui da quando ho accettato la corona.”
 
Andras rimase spiazzato da quell’ultima confessione e non osò replicare, perché lei aveva ragione. L’ombra di Azael gravava su Anthea come un macigno di notevoli dimensioni e la faceva sentire continuamente in difetto.
Fu lei a rompere il silenzio venutosi a creare e parlò con una calma glaciale.
“Desidererei avere la possibilità di incontrare mio padre.”
Il sorriso apparentemente nostalgico che le piegava le labbra scomparve e il blu profondo delle iridi si incupì tanto da apparire abissale.
“Così da poterlo prendere a calci e dirgli che come padre è stato un fallimento.”
 
Andras rabbrividì nell’ascoltare il tono tagliente della ragazza.
“Si è trovato dinanzi ad una situazione…” tentò di giustificare il precedente re senza successo.
Disperata? Non per questo aveva il diritto trasformare quella situazione disperata nel mio dannato destino. La mia esistenza è una condanna, Andras. Mi sembra di camminare in punta di piedi su un filo sottilissimo. Sono sempre in attesa del momento in cui finirò in pezzi, cadendo al primo passo falso che commetterò. E quando andrò in pezzi, non ho idea di cosa potrebbe accadere. E seppure non cadessi, finirei comunque per esplodere nel momento in cui sarò troppo stanca per tenere tutto sotto controllo.”
 
L’oneiriano fece per replicare, ma il suono cadenzato di passi mandò in frantumi la pressante atmosfera di tensione.
Entrambi si voltarono per capire chi li avesse interrotti e rimasero palesemente sorpresi nello scoprire che si trattava niente meno che del figlio di Odino.
Andras sospirò e passò una mano tra i capelli nerissimi, riportandoli indietro con maniacale precisione.
“Non so cosa stia succedendo su Midgard, non so niente riguardo il tuo passato su quel pianeta e non mi importa. So anche che non vuoi che mi immischi e non lo farò.”
Fece una pausa, perforando Anthea con uno sguardo mortalmente intenso.
Ma veda di tornare, altezza.”
La giovane annuì e ricambiò lo sguardo penetrante, decisa a mantenere la parola data.
Non avrebbe mai potuto abbandonare tutto quello che aveva costruito, non dopo averci lavorato duramente per quasi tre anni. Sperava vivamente che le sue ultime azioni non intaccassero l’equilibrio raggiunto dal popolo e che i problemi e i diverbi rimanessero racchiusi tra le mura del palazzo.
Guardò Andras andare via ed incrociare Thor. I due si scambiarono una veloce occhiata e un cenno di saluto con il capo.
L’asgardiano la raggiunse poco dopo. Sembrava essere in ottima forma, se non si contava la leggera linea rosea che gli solcava la fronte, unico segno rimasto del profondo taglio che il Capitano gli aveva provocato colpendolo con lo scudo, nel tentativo di farlo rinsavire.
 
“Thor, mi dispiace. Mi dispiace infinitamente” fu la prima cosa che le venne spontaneo dire, consapevole che comunque non sarebbe mai stato abbastanza.
“Non hai preso la mia vita come avevi preannunciato” replicò Thor, pacatamente.
Ed eccolo riaccendersi con spaventosa prepotenza, il senso di colpa.
 
“Mi farebbe stare meglio se dicessi di odiarmi o almeno di essere arrabbiato con me.”
 
“Se devo essere sincero, i miei sentimenti sono alquanto confusi adesso.”
Thor non le disse che affrontarla aveva fatto riaffiorare in lui i ricordi dello scontro con Loki sul ponte del Bifrost. E questo perché si era sentito tradito ancora una volta.
Decise che non era il momento di discutere di colpe e sentimenti. Erano i suoi compagni e la Terra ad avere la priorità assoluta.
“Clint mi ha informato della situazione su Midgard e su come intendete contrattaccare.”
“Bene” asserì la giovane con blanda convinzione, ma le stava passando altro per la testa e non sarebbe riuscita a liberarsene se non dandogli voce.
“Thor, devo sapere cosa è successo. Per favore” spiattellò fuori, tutto d’un fiato, dopo aver preso coraggio.
Il dio del tuono rimase inizialmente sconcertato. Sfiorò d’istinto il manico di Mjolnir fissato alla cintola con le dita.
“Ti ho incontrata sul ponte, non appena giunto su Asgard” cominciò, spostando lo sguardo prima fisso sul vuoto su di lei.
“Hai fatto sì che ti seguissi, affermando di sapere cosa fosse successo al Tesseract. Sono stato ingenuo. Avrei dovuto accorgermi che non eri tu. Dopotutto, se ci ripenso, era evidente.”
 
L’urgenza della situazione aveva contribuito a far abbassare la guardia a Thor di fronte una persona che godeva della sua fiducia.
Il dio aveva seguito Anthea senza chiedersi come facesse a sapere del suo arrivo in anticipo, senza domandarle come fosse a conoscenza della scomparsa del Tesseract e perché non avesse avvisato immediatamente gli asgardiani.
L’aveva seguita e basta.
Si era accorto troppo tardi di essere stato raggirato.
 
“Lei sa come confondere le sue vittime” fu la labile giustificazione che Anthea sentì il dovere di esporgli, ma ci credeva poco anche lei.
Thor, invece, non poteva che darle ragione, dato come erano andate le cose. Ma avrebbe potuto evitarlo, se solo fosse stato meno ingenuo.
Si erano scontrati. Si erano scontrati duramente, tanto che le loro stesse armi avevano riportato danni superficiali.
Niente, prima di quello scontro, era riuscito a scalfire l’Uru del Mjolnir. La spada dell’oneiriana, invece, era stata in grado di graffiare il martello e quei segni sarebbero rimasti sulla sua superficie argentea alla stregua di cicatrici.
Ma, allo stesso modo, anche la spada dall’elsa bianca avrebbe portato per sempre con sé il ricordo della lotta, poiché la potenza del Mjolnir ne aveva increspato la lama.
Se all’inizio Thor aveva cercato di farla rinsavire con le parole, tentando in ogni modo di non combatterla, alla fine era stato costretto a contrattaccare seriamente per evitare di soccombere. Però non era mai davvero riuscito a liberarsi dell’esitazione, un’esitazione che lo aveva portato alla sconfitta.
L’ultima cosa che ricordava era il sibilo della lama che sferzava l’aria e calava sopra di lui, con tutta l’intenzione di recidergli la vita.
Eppure era ancora vivo. L’oneiriana non l’aveva ucciso, nonostante gli avesse ripetuto più volte che il suo scopo era proprio quello di eliminarlo.
Se si fosse trovato dinanzi l’entità oscura che l’oneiriana stessa aveva proclamato di essere, presentandosi a lui con il nome di Heith, il dio del tuono non avrebbe esitato tanto nello scontro. Peccato che avesse continuato a vedere nelle sue movenze e nei suoi occhi la giovane che tre anni prima l’aveva seguito ad Asgard. La stessa giovane che diverse volte aveva incontrato nell’Osservatorio, avvolta nella medesima nostalgia che lo aveva condotto lì quasi ogni sera, da quando era tornato ad Asgard fino alla venuta degli Elfi Neri.
 
Se le prime volte in cui si erano incontrati all’Osservatorio, lei si era sforzata di intavolare una conversazione, spingendo Thor a fare lo stesso, con il passare del tempo avevano entrambi capito che le parole sarebbero state superflue e scomode in quei momenti e si erano quindi limitati a godere della reciproca compagnia, fatta di fugaci sguardi e silenzi condivisi.
Heimdall, che alla fine si era abituato alla loro presenza, aveva permesso loro di toccare Midgard con gli occhi e, al contempo, di alleviare la nostalgia che opprimeva entrambi.
Non erano mancate le volte in cui il silenzio stesso era divenuto tanto pesante da sentire l’urgenza di romperlo. Spesso era stata Anthea la prima a cedere, soprattutto se visibilmente assillata da un qualche grattacapo.
A Thor non aveva mai dato fastidio ascoltare gli sfoghi della giovane riguardo alla ricostruzione di Oneiro e al modo in cui stava cercando di appacificare le divergenze sorte tra gli oneiriani, così come Anthea gli aveva prestato la massima attenzione quando lui aveva sentito la necessità di parlarle dei disordini nei Nove Regni e dei suoi dubbi gravitanti attorno al titolo di re di Asgard.
 
“Non vuoi accettare la corona?” gli aveva domandato lei una volta, sorpresa.
“Comincio a pensare che non sia quella la mia strada.”
Dopo aver tirato fuori quel fardello, Thor aveva visto comprensione negli occhi della giovane.
“Siamo in due allora. Solo che io ne sono certa” aveva confessato lei.
 
L’ultima volta che si erano incontrati all’Osservatorio, lui stava partendo per Vanaheim, dove lo attendevano i suoi compagni, mentre lei si stava dirigendo ad Alfheim.
Ripensando a quell’incontro, Thor dovette ammettere che mai l’aveva vista tanto abbattuta, stanca e spenta come allora.
“Stai bene?” le aveva chiesto con fare quasi fraterno e lei aveva snudato un sorriso che però non aveva raggiunto gli occhi scuri, ma le aveva semplicemente arricciato le labbra.
“Solo stanca. A presto, Thor” lo aveva salutato.
Thor ricordava come il corpetto nero avesse in quell’occasione enfatizzato ancora di più la sua costituzionale esilità e si era ritrovato a chiedersi come quelle gracili braccia riuscissero a maneggiare una spada tanto grande. L’arma in questione, che la ragazza aveva sistemato in una fodera dietro la schiena, era alta quasi quanto lei e larga almeno un palmo, quindi doveva possedere una pesantezza non indifferente. Era evidente che non fosse stata costruita per lei, ma per qualcuno di ben più alto e robusto.
“A presto” era stata l’unica cosa che il principe di Asgard era riuscito a dirle, prima che lei sparisse nella luce accecante del Bifrost.
 
Non si erano rivisti presto, dato che l’attacco degli Elfi Oscuri aveva creato il caos nei Nove Regni. L’aveva rivista durante la Commemorazione per la morte della Regina Frigga, avvolta in una mantellina nera, i capelli raccolti in una coda scomposta e aloni scuri sotto gli occhi arrossati.
“Mi dispiace, Thor. Per qualunque cosa, sappi che io ci sono” gli aveva detto, con voce affranta, e lui l’aveva ringraziata.
Dopo la caduta degli Elfi Oscuri, Thor era tornato ad Asgard per annunciare la sua rinuncia alla corona. Prima di ripartire in direzione della Terra, era passato a trovare Anthea, divenuta sovrana da qualche mese, nonostante gli avesse detto tempo addietro che non avrebbe mai voluto intraprendere quella strada. La ragazza, invece, si era ritrovata ad impegnare anima e corpo nella ricostruzione e nella riorganizzazione di un regno che aveva miracolosamente ripreso vita nel giro di due anni.
Le aveva chiesto come stava, ma era riuscito a scucirgli solo un altro “Stanca” alquanto inconsistente.
“Quindi hai rinunciato alla corona e hai deciso di rimanere su Midgard... con Jane” aveva poi asserito l’oneiriana, mostrandosi felice per lui.
Thor si era limitato ad annuire, certo che lei la possibilità di scegliere non l’aveva avuta.
“Se lo vedi, ricordagli di stare fuori dai guai e che...”
Si era interrotta e aveva scosso il capo.
“Ci vediamo, Thor. Se avrai bisogno, io ci sarò.”
“La cosa è reciproca” le aveva risposto il dio del tuono.
Si erano scambiati un abbraccio, durante il quale l’asgardiano aveva avuto l’impressione di poterla rompere, se solo l’avesse stretta un poco più forte.
 
La successiva volta che Thor l’aveva vista, si erano ritrovati a lottare all’ultimo sangue.
E adesso erano di nuovo faccia a faccia, ognuno con le proprie colpe e con i propri rimpianti.
 
“Come sta il Capitano?”
 
Anthea abbassò il capo e portò la mano destra a stringere l’altro braccio.
“Sta bene, anche se gli servirebbero settimane per guarire completamente dalle ferite che il suo corpo ha ricevuto negli ultimi giorni. I nemici che stiamo andando ad affrontare hanno una forza impressionante.”
 
“Hai già avuto modo di testarne la forza?”
 
“Sì. Sarà dura.”
 
Thor cercò di mantenere un’espressione ferma, anche se aveva appena avuto una sicura conferma della pericolosità degli esseri generati dalla mente malata di un uomo che si divertiva a stravolgere ogni legge naturale.
“Hai preso tu il Tesseract dunque?”
 
“A questo punto, non ci sono più dubbi.”
 
“Ma perché portarlo sulla Terra?”
 
“Credo che Heith sia collegata a Teschio Rosso. Non so come e non so perché. Mi dispiace.”
 
“Non è continuando a scusarti che risolverai le cose, lo sai bene.”
 
“Hai ragione. Lo farò lottando. È l’unica cosa che so fare bene, in fondo.”
 
“Se tu dovessi…”
 
Anthea non lo lasciò finire.
“Lo so. Non esiterai a fermarmi questa volta.”
 
Thor annuì e, dopo averle posato per un attimo una mano sulla spalla, decise che era arrivato il momento di andare.
 
“Thor” lo chiamò lei, prima che si allontanasse troppo.
Il dio bloccò i propri passi e si voltò a guardarla, in attesa che parlasse.
“Farò in modo di riavere la tua fiducia. Ti dimostrerò di esserne degna.”
Un fugace sorriso comparve sul viso dell’asgardiano, che annuì appena per poi tornare a muoversi.
“Partiremo non appena Steve sarà in piedi” la sentì ricordargli e sollevò una mano in segno di consenso.
 
*
 
“Sei già in piedi?”
 
Steve sussultò visibilmente, prima di voltarsi per poterla guardare in viso.
“Non voglio perdere altro tempo” rispose asciutto, mentre finiva di indossare la parte superiore dell’uniforme targata Stark. Ma il suo sguardo perse immediatamente l’iniziale serietà.
“Sei ancora sicura di voler venire?” chiese, mancando di eclissare del tutto quella nota incerta che gli incrinò la voce.
 
“Quante altre volte hai intenzione di chiedermelo?” fu la semplice replica della ragazza, a cui scappò un lieve sorriso.
 
“Diciamo finché non potrai più tornare indietro.”
 
Steve le dedicò uno sguardo fermo e risoluto. Anthea gli si avvicinò con passo deciso, sollevò le braccia e gli sistemò il colletto dell’uniforme rimasto arrotolato.
“Tornare indietro? È irrimediabilmente escluso” proferì con una serietà che non ammetteva alcun tipo di incertezza o ripensamento.
“Ma l’energia della Convergenza ti-”
“Non importa” lo interruppe e portò le mani sulle sue spalle, fissando le iridi buie in quelle limpide di lui.
“Sei morto a causa mia una volta. Non permetterò che accada di nuovo e ti seguirò finché non ti saprò al sicuro, che tu lo voglia o meno.”
 
Rogers rimase in silenzio. Sollevò una mano e la poggiò delicatamente sulla testa dell’oneiriana, in un gesto che sapeva di puro e profondo affetto.
Le sorrise.
“Qualsiasi cosa accada, promettimi che smetterai di sentirti responsabile.”
 
Passarono alcuni attimi di silenzio, durante i quali Anthea sembrò cercare la parole giuste in un mare di pensieri in tempesta.
 
“È una richiesta complicata, ma se è per farti stare più tranquillo, lo prometto.”
 
 
 
֎
 
 
 
Terra
 
Natasha si lasciò scappare uno sbuffo. Cominciava a sentire una certa pressione premere sulle esili spalle e qualcosa di forse lontanamente definibile come una sorta di ansia le stava rendendo giusto un po’ difficile tenere sotto controllo il battito cardiaco.
Stavano rischiando tanto. Avvicinarsi tanto al nemico era un azzardo gigantesco, pur considerando la rapida via a doppio senso che avrebbe permesso loro di dare senso ad un piano, che altrimenti avrebbe potuto definirsi suicidio.
Bisognava ammettere, però, che quella si era presentata come l’unica scelta possibile e, inoltre, Tony aveva rischiato la pelle per rientrare in possesso del frammento di Tesseract recuperato dalla Tower, da cui era stato momentaneamente spodestato.
 
La Vedova percepì James Barnes muoversi poco dietro di lei e voltandosi incontrò il suo sguardo tanto concentrato quanto freddo, spaventosamente simile a quello della macchina assassina che aveva incontrato a Odessa anni prima.
Collaborare con il Soldato d’Inverno… ma in che casino si era infilata?
Non che prendere parte alla distruzione dello SHIELD, solo poco tempo prima, fosse stato un qualcosa di meno incasinato. Ora che ci pensava era da un po’ che si trovava costantemente immersa in grossi - e grossi era l’eufemismo del secolo - casini, impossibilitata a tirarsene fuori - non che volesse farlo.
In fondo, non è che avesse piani di vita così rosei. Aveva sempre pensato a sopravvivere e questo le era bastato, almeno fino ad allora.
Respirò profondamente un paio di volte, Natasha. Gli occhi smeraldini erano fissi sulla luce azzurrina proveniente dal marchingegno che Tony aveva costruito sacrificando la motocicletta di Barton. Di lì a poco si sarebbe aperto un portale che li avrebbe catapultati all’interno del Pentagono, esattamente nel bunker sotterraneo dove si sperava fosse rimasto il Tesseract.
Ci sarebbe stato un margine di errore incalcolabile oltre quel portale. Non avevano idea di chi o cosa avrebbero trovato dall’altra parte, ma era l’unico modo che avevano di riprendersi Bruce, sempre che Bruce si trovasse dove Natasha l’aveva visto l’ultima volta.
 
“Sarà come gettarsi nel buio. Siate pronti a tutto. La cosa importante è che nessuno a parte noi attraversi il portale nel momento in cui lo aprirò una seconda volta per tornare indietro.”
Tony si coprì il volto con il casco dell’armatura, che era riuscito a risistemare facendo definitivamente a pezzi la povera moto dell’arciere (un sacrificio necessario, lo aveva definito lui).
“Tra dieci secondi disattiverò i sistemi di sicurezza. Abbiamo massimo tre minuti prima che i nemici ci saltino alla gola come i cani bastardi che sono e questa è un’offesa per i cani bastardi” fu l’ulteriore avviso di Stark, che però si corresse subito dopo con un placido “In realtà potremmo trovarci già faccia a faccia con loro una volta passato il portale, ma confido nella fortuna.”
 
Il conto alla rovescia terminò in un attimo e Tony fece aprire il portale.
Nessuno sarebbe stato in grado di entrare o uscire dal bunker (che speravano fosse la destinazione) per almeno tre minuti, a meno di usare armi dall’alto potere distruttivo.
Sarebbe stata una toccata e fuga. Avrebbero preso Bruce e sarebbero tornato indietro, niente di più semplice a dirsi.
James, Tony e Natasha si scambiarono un ultimo sguardo, mentre Pepper li osservava dall’uscio della porta della casa sicura.
Attraversarono il portale, pronti a tutto, e ad accoglierli trovarono un paio di occhi spalancati dal terrore, appartenenti ad una donna dai capelli nerissimi e la pelle olivastra. Ma quel terrore scomparve presto, sostituito da un misto di ansia e sgomento.
 
“Voi” sussurrò la mora, mentre luci rosse lampeggiavano all’interno dell’anelato bunker ad attestare uno stato di allerta.
 
La Romanoff tese ogni muscolo del corpo, pronta ad agire, lo sguardo indecifrabile e fermo sull’inaspettata ed unica presenza.
James era rimasto immobile, un passo dinanzi a lei.
Era calata improvvisamente una tensione tanto consistente da risultare quasi soffocante.
 
“Non è qui.”
Fu Tony a dar voce alla scottante verità che nullificò la ragione della loro presenza lì.
 
Bruce non c’era.
Al suo posto c’erano cinquanta corpi dall’aspetto umano rinchiusi in vitrei gusci ovali e sparsi per l’intero bunker. All’appello mancava anche lo scettro di Loki.
Fuori la porta del bunker iniziavano a udirsi voci e rumori parecchio preoccupanti, segno che presto avrebbero avuto una poco gradita compagnia.
 
“Dobbiamo tonare indietro” sentenziò la Vedova.
 
“Aspettate” fu il flebile e tremante sussurro di Kristen Myers.
Era evidente che fosse fortemente combattuta e che la paura la stesse divorando dall’interno, ma sembrava anche decisa a non tirarsi indietro.
“Abbiamo meno di due minuti” le fece presente Stark, che aveva già avuto l’opportunità di fare la conoscenza della donna e sapeva che lei avrebbe potuto aiutarli se l’avesse voluto e, a quanto pareva, lo voleva.
Kristen posò per un istante gli occhi smeraldini sul Soldato d’Inverno e poi tornò a concentrarsi su ciò che riteneva importante dire in quel ristretto e prezioso lasso di tempo.
Sospirò.
“Posso aiutarvi.”
 
 
 
֎
 
 
 
Terra
Casa Sicura.
 
“Terra dolce Terra.”
 
Sam non nascose il sollievo che provò nell’esatto momento in cui i suoi piedi affondarono nella neve, a nemmeno cinquanta metri dalla casa segreta di Clint Barton.
 
“La casa è ancora in piedi. È un buon inizio.”
Clint cominciò a dirigersi verso l’abitazione, seguito a ruota dal resto del gruppo.
“E il Quinjet è qui.”
 
Thor si guardò intorno con aria assente, troppo occupato a riflettere su ciò che si era perso dal momento in cui aveva lasciato Midgard.
 
“Io non lo so. Ma quando l’Hydra si muove, non lo fa mai senza senso, fidatevi. Per favore Thor, aspetta.”
“Mi dispiace, Capitano. Sento il dovere di tornare. Ho preso la mia decisione e sono disposto a subirne le conseguenze.”
 
Avrebbe dovuto ascoltarlo e aspettare. Avrebbe dovuto riflettere e non farsi prendere dall’agitazione.
Tornare ad Asgard era stato un errore e a pagare le conseguenze di quella cieca decisione erano stati i suoi compagni, conseguenze che aveva affermato di poter accettare, mentre ora, a conti fatti, sarebbe tornato indietro nel tempo e sarebbe rimasto con loro senza esitare.
Barton gli aveva raccontato di come erano stati accusati e braccati alla stregua di criminali, di come erano stati costretti a dividersi, di come Steve era finito nelle mani del nemico e di come, dopo una rocambolesca fuga, erano riusciti a ritornare insieme. Tranne Bruce, ancora prigioniero del nemico.
Thor non si era accorto di aver stretto tanto i pugni da far sbiancare le nocche. La sua mandibola si era indurita e lo sguardo si era riempito di rabbia.
Se solo fosse rimasto. Se solo avesse ceduto dinanzi la richiesta di Steve.
 
“C’è qualcosa che non va, Thor?”
 
La mano del super soldato era ora ferma sulla spalla dell’asgardiano.
 
“Mi avevi detto di non andare. Di aspettare. Avrei dovuto...”
Rogers scosse il capo e cercò di sorridere nel modo più rassicurante possibile.
“Avrei agito allo stesso modo, te lo assicuro. Farei di tutto per le persone a me care. E poi non pensare in alcun modo che qualcuno di noi ti biasimi.”
 
Thor soffermò per un lungo attimo lo sguardo sul super soldato.
Era visibilmente provato. Gli aloni scuri sotto gli occhi gli davano un aspetto fatiscente, così come il pallore eccessivo.
In più, il dio aveva notato la permanenza di ferite superficiali che solitamente il siero avrebbe guarito velocemente. Quando gli oneiriani lo avevano stabilizzato, fermando gli effetti del potere di Andras, aveva potuto avere una panoramica dettagliata delle abrasioni e dei lividi cianotici che gli ricoprivano busto e schiena.
Lo stato del ragazzo era una conferma sicura della pericolosità dei nemici che stavano andando ad affrontare.
 
“Sistemeremo le cose.”
L’asgardiano sorrise a sua volta e ricambiò la stretta sulla spalla ricevuta dal Capitano, sicuro delle sue stesse parole.
 
Stavano per muoversi, intenzionati ad entrare nella casa sicura, ma i tre che già erano dentro li raggiunsero prima che potessero fare anche un solo altro passo.
 
“Non ci sono. Ma hanno lasciato questo.”
Clint porse a Rogers un biglietto di carta stropicciato.
“Sono coordinate” asserì convinto l’arciere.
“Significa che hanno trovato Fury. Non ci resta che raggiungerli.”
 
In quel luogo così lontano da problemi e pericoli, da pazzi assetati di potere e mostri invincibili, da uno scontro imminente ed inevitabile, sembrava che il tempo avesse subito un improvviso arresto.
La leggera brezza che cullava la vegetazione era l’unica testimonianza che le lancette dell’orologio continuassero nel loro meccanico ruotare, senza risparmiare nemmeno un singolo secondo. Quelli sarebbero stati gli ultimi brevi momenti di quiete, gli ultimi momenti in cui sarebbe stato possibile pensare a qualcosa che non fossero la loro sopravvivenza e quella dell’umanità.
Ognuno dei presenti prese per sé qualche attimo per assaporare quell’apparente tranquillità, per fare un po’ di ordine nella mente e nel cuore.
Dovevano abbandonare ogni incertezza, così da essere concentrati per ciò che li attendeva.
Dovevano sotterrare i loro personali conflitti e sperare che ci sarebbe stato un dopo per venirne a capo.
 
“Andiamo allora.”
Quelle due singole parole che Steve Rogers pronunciò risuonarono nella testa di tutti, con più intensità di quanto avrebbero dovuto.
 
Era tempo di andare.
 
 
 
֎
 
 
 
Terra
Helicarrier (da qualche parte nel cielo)
 
Steve uscì fuori dal Quinjet a passo deciso, forse un po’ troppo deciso, dato che non si accorse della persona che invece era intenzionata ad entrarci.
Il super soldato sentì sensibilmente la botta, mentre lo sfortunato che gli era andato a sbattere contro finì con il sedere per terra e non si trattenne dall’imprecare sonoramente.
 
“E io che ero venuto ad accogliervi” si lagnò Stark, mentre si massaggiava il naso dolorante.
“Adesso mi spiego perché mi è sembrato di sbattere contro un dannato muro!”
 
“Avreste dovuto rimanere nella casa sicura. Cosa è successo?”
Steve ignorò il fatto di aver appena investito Tony e venne al nocciolo della questione, prima che l’inventore potesse anche solo tentare di rialzarsi.
Stark, da parte sua, capì che non era il momento opportuno per testare ancora lo stato dei nervi del super soldato, perciò decise di perdonargli, per ora, l’oltraggio subito senza troppe cerimonie.
“Calmati, Rogie. Ci sono stati risvolti alquanto imprevisti.”
 
“Questa non è una buona notizia” si intromise Barton, raggiungendo il dinamico duo e pentendosene subito dopo, conscio di cosa significasse venir tirato dentro il campo elettrostatico che spesso e volentieri veniva a crearsi fra quei due testardi patentati.
Per sua fortuna, sia Iron Man che Capitan America non sembravano affatto dell’umore di intavolare un botta e risposta degno di questo nome e, oltretutto, non ce n’era nemmeno il tempo.
Sapevano tutti quali erano le priorità.
 
“Dannazione. Quelli dell’Hydra sono peggio dei roditori che infestano le case.”
Nessuno osò chiedere a Sam che diavolo c’entrassero i roditori e cosa gli avesse ispirato quell’associazione, che comunque non sfigurava poi più di tanto.
 
Fu Tony a riprendere in mano le redini del discorso, mentre continuava ad accertarsi che la linea del setto nasale non fosse stata deviata, perché va bene che bisognava prima pensare a come evitare un attacco colossale all’incolumità della vita sulla Terra, ma quella era la sua dannata faccia perfetta e doveva averne cura, per tutti gli dei di Asgard!
“Bruce non era al Pentagono. Quindi il nostro piano di soccorso è fallito miseramente… a differenza del vostro a quanto vedo.”
Tony fece un cenno di saluto in direzione di Thor, prima di continuare.
“Ricordi Kristen Myers, Rogers? È ufficialmente un nostro infiltrato e tutto grazie al tuo visino da angioletto ferito.”
Steve alzò gli occhi al cielo, nonostante quella notizia gli fece più effetto di quanto si aspettasse. Ogni tanto vedere del buono negli altri non era una pura e semplice illusione dovuta ad un ottimismo poco motivato ma ancora abbastanza integro in lui.
“Sa dove hanno portato Bruce?” chiese il super soldato, evitando di ribattere a tono sul discorso angioletto ferito (Tony Stark gli serviva intero, momentaneamente).
 
“Sfortunatamente ancora no. E teme che sospettino di lei.”
 
“Se sospettassero di lei sarebbe già morta. Semplicemente l’Hydra preferisce muovere le proprie pedine senza far trapelare più di ciò che è necessario.”
Steve conosceva bene l’Hydra ormai e sperò che la Myers si tenesse lontano da colui che al momento era al vertice di quella scellerata organizzazione.
 
“Però siamo comunque riusciti ad ottenere informazioni che non hanno vanificato il fatto di esserci spinti a tanto. Riguardano gli Ultra Soldati” continuò Stark, assumendo un’espressione più analitica, tipica dei momenti in cui c’era di mezzo un qualche marchingegno complesso da dover far passare dal mondo dell’astratto a quello del concreto.
Al solo sentir nominare gli esseri immondi che avrebbero dovuto essere una evoluzione di ciò che lui stesso era diventato dopo il siero, Steve sentì lo stomaco contrarsi. Non aveva la più pallida idea di come avrebbero potuto abbattere quei mostri. Magari non erano alla pari di Hulk, ma se lo avessero attaccato in gruppo non era certo su chi l’avrebbe spuntata alla fine.
“E inoltre, c’è un’altra cosa. Bruce non è più loro prigioniero. È loro alleato” concluse Tony e le gambe di Steve quasi cedettero di fronte al peso di quest’ultima rivelazione, perché probabilmente a non spuntarla sarebbero stati loro.
 
“Lo scettro?” chiese di punto in bianco Thor, facendosi avanti con passo pesante e viso contratto in una smorfia difficile da decifrare.
Che anche il dio del tuono stesse cominciando a dubitare delle possibilità che avevano di risistemare le cose? Sicuramente non era tranquillo e il baluginio sinistro che gli aveva acceso gli occhi azzurri aveva un qualcosa di intimorente.
 
“La Myers ci contatterà appena scoprirà qualcosa. A quel punto noi...”
 
“Vedo che il vizio di fare tutto di testa vostra permane con insistenza.”
 
Stark venne seccamente interrotto dal palesarsi dell’austera figura di Nick Fury.
“Non mi avevi parlato di un ampliamento della squadra, Stark” continuò tranquillo l’ex direttore dello SHIELD, come se non stesse entrando in un campo minato dovuto all’alta possibilità di crisi isteriche - ovviamente non nell’umana accezione - poco controllate da parte dei presenti.
Se ci fosse stata la possibilità di allestire lo spazio in cui si trovavano Vendicatori e nuovi acquisti con luci di Natale, queste avrebbero preso a scintillare senza dover essere collegate ad alcuna presa di corrente. Era già tanto che non ci fossero scariche a valanga dovute a elettroni imbottiti di energia che schizzano come palline di un flipper, rendendo l’aria elettrica e capace di produrre fulmini e saette.
 
“Per mancanza di personale, abbiamo assunto volontari.”
Tony, con il suo talento di non far sembrare le cose troppe serie, fece in modo di allentare un tantino la tensione instauratasi da un po’ e arrivata alle stelle con l’arrivo di Fury.
 
Steve si spiattellò una mano in faccia, mentre lo stesso Fury sospirò con rassegnazione.
“Venite. Abbiamo molto di cui parlare” fu il pacato invito dell’ex direttore, il cui occhio sano saettò in direzione delle note stonanti del gruppo.

Sottoposti a quello sguardo penetrante e guardingo, Anthea e James si irrigidirono ed esitarono a seguire gli altri.
Steve, a cui la cosa non era sfuggita, aspettò a muoversi anche lui, alternando lo sguardo tra Nick e i suoi due compagni.
Fu Fury a smorzare il peso della scomoda situazione.
“È passato parecchio dall’ultima volta che ci siamo visti, ragazza. Mentre non ne è passato molto dall’ultima volta che ho visto te.”
 
Sul viso dell’oneiriana nacque un sorrisetto di circostanza e, ora che ce lo aveva davanti dopo tre anni, il direttore dello SHIELD non sembrava più così terrificante.
 
“Sto perdendo colpi. Nell’ultimo incarico ho mancato tre obiettivi su tre” fu invece l’atona constatazione di James, la cui espressione rimase imperscrutabile.
 
Fury si esibì in uno dei suoi soliti sorrisi storti e, con un gesto della mano, esortò le note stonanti a seguirlo, incontrando al contempo gli occhi chiari del Capitano, cui rivolse un cenno del capo conciliatorio.
 
 
*
 
 
“Con i dati che ci ha fornito la Myers posso provare a sintetizzare un composto che annichilisca la capacità rigenerativa dei super soldati.”
 
“Puoi sul serio fare una cosa del genere?”
 
“Ovvio. Sai con chi stai parlando, no? Inoltre ho già avuto a che fare con l’Extremis e sono riuscito a farne scomparire gli effetti, o Pepper sarebbe ancora una fiaccola incandescente adesso. Certo, Lewis ha notevolmente potenziato l’Extremis, ma non ho dubbi di poter riuscire ad annichilire anche questo.”
 
“E quanto tempo ti serve? Hai detto che secondo la Myers abbiamo meno di un giorno prima che gli Ultra Soldati vengano attivati.”
 
La conversazione fra Natasha e Tony giunse ad uno stop che Clint ebbe il buon senso di piantare, prima che fossero mandati in barca piani un po’ scadenti dal punto di vista dell’arciere almeno.
“Fermi un momento. Se saremo costretti ad usare il composto, significherà che questi Ultra Soldati saranno già attivi. Perché non fermare Lewis prima che li porti alla vita? Cioè, ragazzi, stiamo davvero avvalorando l’ipotesi dello scontro diretto? Non è da pazzi?”
 
Calò un silenzio abbastanza inquietante, ma fu dissolto in un attimo dalla risolutezza della Vedova Nera, i cui pensieri stavano viaggiando sulla stessa lunghezza d’onda di quelli di Iron Man.
“La Myers ci ha spiegato che attivarli significa programmare il loro cervello in modo che rispondano solo a Teschio Rosso. Se impedissimo l’attivazione, rischieremmo che un’orda di mostri senza controllo invada Washington e dimezzi la popolazione in poche ore.”
 
“Ma quindi sono già vivi?” insistette Barton.
 
“Lo sono. Possiamo considerarli dormienti, ora come ora” fu l’immediata risposta della Romanoff.
 
“E sganciare una bomba prima che si sveglino sul luogo dove li hanno portati? O ucciderli prima che si sveglino?”
Adesso era Sam quello che iniziava a dubitare fortemente delle intenzioni di Tony e Natasha.
Perché permettere a quei mostri di svegliarsi? Perché non farli fuori prima?
 
“Basterebbe un piccolo errore e quegli esseri diverrebbero incontrollabili. Non è detto che una bomba possa ammazzarli data la loro capacità rigenerativa. Potrebbe semplicemente svegliargli e a quel punto saremmo nei guai. Ma se invece il loro cervello fosse tarato, basterebbe contenerli il tempo necessario per arrivare al singolo che li controlla. Fermato uno, fermati tutti.”
Stavolta Stark non lasciò spazio ad alcuna replica. La decisione era stata presa.
 
“Quindi aspetteremo che facciano loro la prima mossa” chiarì Steve, anche lui certo che quello fosse l’unico modo per ridurre i danni e soprattutto le vittime innocenti.
 
“Non abbiamo altra scelta. Siamo noi gli obiettivi di Teschio e compagnia. Finché sarà così, riusciremo ad evitare che ci vadano di mezzo i civili” confermò Stark, come se avesse letto ciò che passava nella testa del super soldato.
 
“Neutralizzare cinquanta mostri che hanno messo in seria difficoltà anche Steve non sarò affatto una passeggiata. E poi ricordiamo che ci sono anche Bruce e l’eventualità che Hulk combatta con le file nemiche.”
Clint non era minimamente convinto che quella strategia sarebbe andata a buon fine.
 
“Sappiamo come neutralizzare gli effetti dello scettro però. Basta una ricalibratura cognitiva e abbiamo l’uomo, o meglio, il dio giusto per questo lavoro” fu la rapida rassicurazione di Stark.
“E inoltre abbiamo un’altra arma pesante dalla nostra parte, dico bene ragazzina?”
 
Anthea, chiamata in causa, rivolse la sua attenzione ad un Tony che la stava guardando con una certa luce speranzosa negli occhi. Ad uno sguardo più attento, si rese conto che quel barlume di speranza si era acceso in tutti i presenti.
Stavano davvero facendo affidamento su di lei?
A quel pensiero, i dolori che le affliggevano il corpo e la confusione che imperversava nella sua testa si placarono improvvisamente. La giovane riacquistò lucidità e piegò la bocca in quello che era l’accenno di sorriso.
“Darò il massimo” disse solamente e lo promise a sé stessa.
Finché avrebbe avuto anche il più flebile barlume di energia in corpo, non si sarebbe di certo fermata.
Avrebbe protetto i suoi amici e gli avrebbe aiutati a rispristinare la pace sulla Terra.
 
“Bene. Allora consiglio a tutti di recuperare le forze per quanto sia possibile. Qui troverete tutto il necessario. Non ci resta che attendere.”
Era stato Fury a prendere parola questa volta e tutti acconsentirono. L’uomo era consapevole che l’unica soluzione percorribile in una tale disperata situazione era lasciare il campo agli Avengers.
 
Tony, Natasha e Clint si accordarono per andare ai laboratori. I due assassini provetti avrebbero aiutato l’inventore nella parte pratica del lavoro, in modo da guadagnare più tempo possibile.
Il resto del gruppo invece si preoccupò di preparare tutto ciò che occorreva per la battaglia, comprese diverse strategie per non farsi cogliere del tutto impreparati.
Fury ordinò ai suoi agenti di mettersi a totale disposizione degli Avengers, di portare loro cibo e bevande e di occuparsi delle loro ferite e di qualsiasi loro bisogno.
 
Il countdown era ufficialmente iniziato.
Coloro che avrebbero messo in gioco le proprie vite per fermare i folli piani di mostri privi di umanità soppressero definitivamente ogni intimo sentimento personale e si prepararono a fare ciò per cui erano stati uniti anni prima.
 
Avrebbero salvato la Terra ancora una volta.
 
 
 
 
 
 
Note
 
Non so bene quanto tempo sia passato dall’ultima volta che mi sono fatta viva e non ho avuto il coraggio di controllare.
Cosa dire? Ci tenevo e ci tengo a finire questo piccolo progettino iniziato una vita fa.
Per un lunghissimo periodo non sono stata in grado di trovare né il tempo né la giusta condizione mentale per dare vita ai capitoli conclusivi. Poi, inaspettatamente e tragicamente, mi sono ritrovata in una situazione che mi spinge a voler riempire il tempo in surplus a disposizione, per sentire meno l’ansia e per pensare meno ad un futuro ora più incerto che mai. E così eccomi qui, intenzionata a portare a termine qualcosa che ho lasciato in sospeso. Scrivere è un ottimo metodo per estraniarsi un po’ dalla realtà.
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito e tenuto questa storia nelle liste speciali, nonostante la mia assenza.
Ringrazio poi con tutto il cuore la mia carissima Ragdoll_Cat, che mi ha dato una bella spinta per la ripresa e la conclusione di questa storia ❤️
Pubblicherò gli ultimi capitoli nei finesettimana, o entro lunedì, ogni una, massimo due settimane.
Ancora non ci credo, ma sarò felice di vedere finalmente completa questa storia.
 
Un abbraccio a tutti voi, sperando in tempi più felici.
   
 
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