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Autore: Frieda B    19/04/2020    0 recensioni
Un matrimonio combinato costringerà i due sposi ad interrogarsi su cosa sia davvero il vero amore.
Genere: Angst, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Storico
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Da qualche parte in Germania, 1925.



Il pizzo bianco del corsetto le copriva i seni. La vestaglia leggera, le nascondeva le spalle esili. Edgar ne studiò il tessuto ed avvicinò le labbra alle sue, lasciandosi scappare un sospiro. Maren arrossì imbarazzata abbandonandosi sui cuscini di quel letto estraneo.

«Io...» sussurrò timida.

Lui accennò un sorriso. «Non avere paura,» mormorò, e con una mano le scostò una ciocca bionda dal viso. «Sarò delicato.»

La ragazza annuì. I suoi fianchi erano stretti, forse era troppo giovane; Edgar le baciò delicatamente il petto e inspirò il suo profumo. Le carezzò i fianchi e slacciò il nastro candido del corsetto. Adesso erano pari: entrambi nudi, pronti a consumare la loro prima notte di nozze.



Si susseguirono molte notti del genere.

Maren di giorno suonava il pianoforte, cantava e ricamava. Edgar sbrigava certe faccende da soldati che lei proprio non riusciva a capire. S'annoiava, lei; la villa in cui erano andati a vivere dopo il matrimonio combinato dai loro genitori era troppo, decisamente troppo grande. Grandi arazzi arricchivano le pareti e certi quadri con cornici spesse d'oro ravvivano l'ambiente in modo un po' pacchiano. Non le piacevano quei tentativi di imbellettare il salotto e i corridoio, ma Edgar diceva che era importante accogliere gli ospiti in un luogo raffinato e ricco d'arte e lei, essendo una donna, non poteva che ubbidirgli e annuire alle sue parole.

Ogni mattina deliziava le domestiche con qualche melodia classica, sempre col sorriso sulle labbra carnose, e non lesinava sui ringraziamenti quando la vecchia signora Gerlinde le portava il tè di metà mattina. Le domestiche erano sempre in ordine ed i maggiordomi impeccabili – ma lei s'annoiava. Passeggiava nel giardino della tenuta, a volte visitava i cavalli nella stalla, senza entrare, perché ne aveva paura. Osava avvicinarsi soltanto quando Edgar le teneva la mano, tuttavia per la maggior parte del tempo, lui era assente.

I suoi gradi da ufficiale lo portavano fuori città molto spesso, e lei pigramente lo aspettava a casa, pronta a corrergli tra le braccia quando fosse tornato. Come quel sabato mattina, quando un'automobile nera, lucidissima, parcheggiò nel vialetto della villa.

Maren scese di gran corsa i sette gradoni bianchi, sormontanti da due grosse colonne doriche con ventiquattro scalanature, e si fermò, un po' pentita di tutto quell'entusiasmo dimostrato, davanti alla portiera.

Edgar s'affrettò a scendere quando l'autista aprì la portiera del passeggero. Sistemò la divisa, portava il cappello sotto braccio. Sorrise alla sua sposa, le prese la mano e la baciò.

«Mia cara,» mormorò avviandosi verso il portone principale, di legno pregiato. «Quali novità porta la nostra casa?» chiese guardandola.

«Nessuna,» rispose lei, «è sempre una gran monotonia, qui, senza di te...» Si fermò al centro del salone e lo guardò negli occhi. Sistemò il suo cappotto sulla divisa, con cura.
Edgar sorrise affabile, guardando con la coda dell'occhio uno dei suoi domestici reggere una valigia per mano.

«Signor von Hinten, col vostro permesso...»

«Procedi pure, Reinhold,» rispose distratto, «e bada di non disturbarmi per tutto il pomeriggio. Questo giorno è interamente dedicato alla mia sposa, perché non diventi gelosa dei miei doveri da tenente.»

Gli occhi verdi di Maren si illuminarono. Fece un salto sul posto e intrecciò le dita di entrambe le mani alle sue. «Ti hanno dato la promozione! Oh, Edgar, sono così fiera di te.»

Lui si sciolse in un sorriso più sincero e baciò il suo labbro inferiore, poi entrambe le labbra, poi la guancia, poi il collo. Maren arrossì e sussurrò: «cosa fai, siamo ancora sull'ingresso... c'è la servitù che ci guarda...»

«Devo chiedere il permesso ad un paio di domestiche per baciare le labbra di mia moglie?» domandò Edgar con un sorriso. «Suvvia, Maren... è la nostra casa.»

«Ho molto pudore, lo sai...»

«Lo so bene,» rispose e le baciò il dorso della mano destra. «Ho qualcosa per te. Waldemar, il cofanetto, per piacere.»

«Subito, signore.»

Waldemar era un ragazzetto coi capelli castani e qualche neo sul viso, era vestito molto elegante e tra tutti i servi, era il preferito del signore. Portò un cofanetto di velluto rosso con le gambe e la chiusura dorata e lo porse alla signora della casa su un vassoio d'argento. Maren sembrava imbarazzata, ma le brillavano gli occhi. Aprì il cofanetto e le si inumidirono gli occhi quando prese tra le mani la collana di zaffiri che era nascosta nel tulle sanguigno.

«Edgar, è così bella...»

«Ero certo avrebbe riscontrato i tuoi gusti. Lasciati aiutare dalle domestiche ad indossarla.»

«Vorrei che lo facessi tu...» abbozzò timida lei.

«Sai che non sono pratico, non sono cose da uomini. Adesso mi serve un bagno caldo. Ti raggiungo nella sala da pranzo tra poco. Pranzeremo insieme.» Così detto, lasciò l'ingresso.





Nel pomeriggio, si alzò un terribile vento freddo. Le persiane non smettevano di sbattere e gli alberi di fischiare col fruscio delle loro foglie. Maren guardava inquieta fuori dalla finestra.

«Questo vento fa paura,» disse sottovoce, quasi a vergognarsene.

Edgar bevve un sorso del suo whisky e girò pagina al quotidiano che stava leggendo. «E' solo in arrivo un temporale. Stai tranquilla, non può succederti niente.»

Un forte tuono, quasi a contraddire le sue parole, fece sobbalzare la moglie. Si vide dunque costretto a chiudere il giornale e metterlo da parte insieme al bicchiere mezzo pieno. Si levò in piedi e si avvicinò a lei, allargando le braccia per stringerla a sé.

«Il tuo compleanno è da poco passato. Hai compiuto diciotto anni, e tuttavia tremi ancora come una bambina quando fuori c'è un po' di vento...»

«Non rimproverarmi come faceva mio padre, te ne prego. Da te non lo sopporterei...»

Cenarono nella sala da pranzo della tenuta, con posate d'argento e piatti raffinati, chiacchierando del tempo, della gente, e molto poco di politica. Dopo cena, si ritirarono nella camera da letto. Edgar le si avvicinò e l'aiutò a spogliarsi. La strinse a sé e lei sbottonò la sua camicia, gli tolse la divisa. Pochi momenti più tardi, giacevano sulle coperte già sgualcite. Il respiro di lui era irregolare, lei non riusciva a guardarlo negli occhi.

«Perché ti vergogni? Sono tuo marito. Abbiamo condiviso altre notti...» sussurrò baciandole il collo. Lei arrossì.

Edgar rise sottovoce. La prese per i fianchi e le accarezzò le cosce nude. Sfiorò le sue natiche e mentre la guardava negli occhi, insinuò le dita nel suo corpo. Maren si irrigidì e tentò di divincolarsi, mentre lui la fece voltare e si accinse a salirle sopra; lei sentì il fiato colto, riuscì a voltarsi di nuovo, afferrò un lembo del lenzuolo e coprì le nudità, guardandolo terrorizzata.

«...Edgar, cosa...»

Lui ricambiò lo sguardo, e le prese i polsi, costringendola a lasciare andare la coperta e rimanere nuda. Fece scivolare il suo corpo sul letto e di nuovo le fu di sopra; Maren iniziò a dimenarsi mentre suo marito cercava ancora di farla voltare e di schiacciarle il viso sul cuscino. La resistenza del soldato era debole, nonostante tutto, e lei riuscì a scostarsi ed appoggiarsi all'altro cuscino, ancora fresco. Al terzo tentativo, alzò la mano e gli diede uno schiaffo in pieno viso, indietreggiando così tanto da finire sul bordo del letto e rischiare di cadere. Le guance erano bagnate dalle lacrime.

Edgar guardava a sinistra, ora, colla guancia destra arrossata. Allungò la mano per afferrare la camicia e frettolosamente se la mise. Indossò la biancheria intima e sedette ai piedi del letto. Dalla tasca prese una sigaretta ed un accendino e cominciò a fumare, mentre lei guardava la sua schiena e terrorizzata non riusciva a muoversi, forse tremava.

«Voglio che tu mi faccia una promessa,» disse lui. Buttò via una nuvola di fumo grigiastro. «Non parlerai con nessuna delle tue amiche, né con le domestiche, né con nessun altro di ciò che avviene in questa camera da letto. Da oggi, e per sempre. Sono stato chiaro?» si voltò solo leggermente per guardarla.

Maren esitò, ma l'educazione che aveva ricevuto dal padre pigiava come un martello il pulsante dell'obbedienza nella sua testa. Annuì. «Te lo prometto...» sussurrò appena.

A quel punto, Edgar finì la sua sigaretta e si mise a dormire.





Domenica fu un giorno diverso: fu come se la sera non fosse accaduto niente.

Edgar tardò a svegliarsi e passò qualche ora pigra a letto, mentre lei si vestì per andare a messa e confessarsi. Nonostante questo, la giornata trascorse appunto come ogni giorno del Signore, e tranquillamente passarono altri giorni. Le notti che seguirono non si macchiarono di vergogna né di lacrime. Edgar e Maren sembravano felici, forse l'arrivo della bella stagione influenzava in modo positivo le loro anime. Lei aveva preso l'abitudine di svegliarsi presto per fare colazione con lui e questo sembrò unirli ancora di più. Stavano costruendo la loro quotidianità: svegliarsi insieme, un bacio di corsa, tutto il giorno distanti per poi ritrovarsi a cena a parlare della vecchia prozia Josephine o del vecchio colonnello Bauman, con una complicità crescente, risate soffuse, i sorrisi dolci di lei; e le coperte che quasi ogni sera si agitavano e sgualcivano. Maren ne era stanca, qualche volta; ma era felice che lui non avesse più cercato di farla voltare, mentre facevano l'amore.

Arrivò aprile, poi anche maggio, ed un sabato mattina arrivarono nelle cucine, con le dita intrecciate ed un gran sorriso ciascuno. Edgar stava ridendo, con la fossetta che gli si formava accanto le labbra ogni volta che lo faceva; lei si era attaccata al suo braccio, ancora in camicia da notte.

«Frau Breuer, io e mia moglie desideriamo consumare qui la nostra colazione questa mattina,» disse alla governante, e prese posto al tavolo di legno sul quale due domestiche stavano preparando qualcosa da mangiare.

Maren teneva ancora la mano del suo sposo quando gli si sedette sulle gambe, con un eccezionale sorriso che la illuminava. «E per piacere, Frau, fate in modo che le ragazze preparino dei panini al latte, della cioccolata ed un po' di frutta. Oggi andremo al lago. Pranzeremo lì.»

La governante aveva una spessa ruga vicino all'occhio destro, che quasi sembrava una cicatrice, che si ispessiva quando era contrariata, come adesso.

«Non avete sentito, Frau? Intendiamo partire di buon'ora per raggiungere il lago. Spenderemo lì tutto il giorno. A meno che non piova.»

«Oh, no, caro, non dirlo nemmeno, sarei così dispiaciuta!» mormorò Maren appoggiando la testa alla sua spalla.

Edgar la strinse debolmente a sé; prese il giornale che il giovane Waldemar gli porse e lo ringraziò con un cenno del capo, senza neppure guardarlo. Bevve un sorso di latte, addentò una fetta di pane e marmellata, leggendo le notizie del mattino, di tanto in tanto storcendo il naso.

Maren non smetteva di guardarlo, mentre beveva la sua cioccolata calda. «Dici che potremo fare il bagno, tesoro?»

«Temo l'acqua sia troppo fredda, per quello,» mormorò lui leggendo una notizia con particolare interesse. Richiuse il giornale e sospirò. «Waldemar, porta questo nel mio studio, lo finirò di leggere più tardi. E fa preparare l'automobile.»

«Non vorrai di nuovo trascurarmi,» disse contrariata la moglie, mettendo su un piccolo broncio. «Avevi promesso che ti saresti dedicato a me, oggi.»

«Andremo al lago, ti ho dato la mia parola; ma questa sera non potrò cenare con te. Ho una cena importante con alcuni ufficiali.»

«Portami con te.»

«E' una cena tra gentiluomini.»

«Prestami una divisa, non si accorgeranno della differenza.»

Edgar rise appena. «Basterebbero un paio di partite a poker e di bicchieri, per quello.» Si alzò e le baciò la fronte. «Accontentati della giornata che passeremo insieme. Va' a prepararti, e non fammi aspettare delle ore, come al solito, o partirò da solo.»

Maren non mancò la promessa, fu pronta in un tempo ragionevole. Lui l'aspettò appoggiato alla macchina, fumando qualche sigaretta ed intrattenendosi con l'autista, col quale condivideva l'interesse per lo sport e per le auto.

Maren venne preceduta di una manciata di minuti dalla governante, la quale sistemò nel cofano dell'auto il cesto di vimini e la coperta, e sorrise al marito quando aprì lo sportello per lasciarla passare. Spiegò la gonna dell'abito nuovo che aveva deciso di indossare per l'occasione e per tutto il tragitto pregò che lui lo notasse. Edgar non si curò del dettaglio e, a dire la verità, per tutto il giorno, sembrò un po' distratto.

Qualche volta, lei si trovava a pensare che non l'amasse; si rispondeva però che forse lavorava troppo. Vederlo così turbato e pensoso la fece un po' preoccupare, così, una volta seduti sulla coperta, provò a farlo rilassare massaggiandogli le spalle.

«Le nuvole volano via veloci, vedi?»

«Sta per piovere. Dovremmo rientrare.»

«Aspetta, Edgar... prendiamoci ancora del tempo. Questa settimana hai lavorato molto,» mormorò sedendosi sulle sue gambe. Gli carezzò il viso e lo baciò dolcemente. Lui ricambiò a stento, appoggiando le mano sul suo fianco.

Mangiarono qualcosa ed il soldato sembrò ravvivarsi; la lasciò giocare con le gocce d'uva che gli sistemava tra le labbra, mentre lui era steso sulla tovaglia, appoggiato su un gomito. Masticava piano, mentre Maren apriva goffamente la bottiglia di vino. Edgar rise di lei e l'aiutò. Bevve un sorso direttamente dalla bottiglia e assaggiò uno di quei panini al latte. Poi cominciò a piovere. Il sorriso di lei, se possibile, si ravvivò ancora di più quando indossò la giacca di lui per coprirsi. Era follemente innamorata.





Qualche settimana dopo, Edgar andò da lei con un piccolo libro nella mano destra, l'altra era nascosta dietro la schiena. Al suo sguardo interrogativo, glielo consegnò. «E' per te.»

Maren prese il libricino tra le dita sottili e sorrise. «E' il mio autore preferito...»

«Lo so. Aprilo.»

Lei ubbidì e sulla prima pagina trovò l'autografo dello scrittore. Lo sfiorò con le dita e saltò tra le braccia del suo sposo. «Grazie, grazie... come sei riuscito ad ottenerlo?»

Edgar la strinse a sé con un braccio e scrollò le spalle. «Questioni da uomini,» minimizzò.

Il libro fu solo il primo di una serie di sorprese. Biglietti dell'opera, gite fuori porta, gioielli, persino una coppia di graziosi pappagallini. Maren era ricolma di felicità. Ringraziava ogni giorno la Madonna per il dono di un marito così buono e devoto. Quando suo padre le aveva annunciato che avrebbe sposato un von Hinten, la paura l'aveva assalita: sapeva bene che la famiglia dimorava in una città lontana dalla sua, che il suo futuro sposo sarebbe stato un ufficiale dell'esercito, più grande di lei di ben nove anni, e non avendolo mai visto né avendo sentito parlare di lui, era terrorizzata all'idea di diventare la moglie di un uomo malvagio e crudele. Molte notti aveva speso a piangere, e adesso molti giorni trascorreva a piangere di felicità.







L'inverno porto con sé cattive notizie e malumori. Il giornale recava la data del 1938 e la guerra sembrava dovesse scoppiare da un momento all'altro. Edgar era in tensione, e non riusciva a dissimulare. Perché farlo, nella sua stessa casa? Sua moglie leggeva i giornali e si interessava di politica, qualche volta; quando non era troppo impegnata a civettare con le cugine o vantarsi con loro dei regali che il marito le faceva. Maren era una ragazza semplice e talvolta superficiale. La sua famiglia era di vecchio stampo, una di quelle ricche con un capofamiglia autoritario, a capo di una azienda di pellicce, niente a che fare con l'industria del carbone alla quale si dedicava da ormai due decenni il padre di Edgar. Lui aveva due fratelli maschi, i quali avevano seguito le orme del padre, ma tutti si erano detti entusiasti quando lui aveva scelto di indossare una divisa. Erano ancora molto giovani, ma anche loro, dopo l'ascesa al potere del Führer, ne portavano una.

Edgar si era arruolato all'età di diciassette anni ed aveva fatto in fretta carriera; una buona dose di fortuna e l'appoggio del suocero lo avevano aiutato a raggiungere i gradi da ufficiale. Il suo matrimonio fu uno di quelli all'antica: combinato dai padri, due grandi industriali, per tutelare le proprietà di famiglia e aumentare vicendevolmente il patrimonio. Edgar non si era mai opposto. Aveva ubbidito alla volontà del padre senza aprire bocca nemmeno una volta; non chiese mai come fosse la donna che sarebbe diventata sua sposa, semplicemente si stupì della sua giovane età, quando ne venne a conoscenza, ma non obiettò mai e non ebbe da ridire nemmeno su nessuna delle scelte che suo padre fece circa la sua futura abitazione. Comperò una casa per loro, una villa neoclassica a due piano, con un gran salone ed un paio di camere da letto per gli ospiti (per i genitori della sposa, disse un giorno davanti ad un bicchierino di liquore per ingraziarsi il suocero) ed un discreto giardino con una piccola stalla con due cavalli, uno dal manto nero e uno dal manto marrone. Edgar pensava già da qualche mese di vendere i cavalli, non gli erano mai piaciuti gli animali, in più sua moglie ne aveva paura. Non gli sembrava giusto lasciare Fenrir e Mugin rinchiusi in un'angusta cella, come la chiamava lui, perciò un giorno si decise a venderli. Maren non intervenne, perché lei aveva sempre odiato quelle bestie che nitrivano nel cuore nella notte e le facevano accapponare la pelle.

La voce si sparse rapidamente e un camerata, ufficiale d'alto rango, il maggiore Kessler, propose una buona somma per acquistarli entrambi. Edgar era entusiasta, perché il maggior sembrò prenderlo in simpatica, in più si era disfatto del peso di due animali che non aveva mai voluto. Fece in modo che la stalla venisse chiusa e licenziò lo stalliere, suggerendone comunque la professionalità al maggiore, che alla fine lo assunse.

Il suo ufficio era la parte di casa che preferiva. Non molto grande, ma accogliente, con un mappamondo sferico in legno che nascondeva lo spazio per una piccola bottiglia e due bicchieri, un oggetto che aveva sempre desiderato; aveva un paio di quadri incorniciati d'oro e ben sette librerie in legno massiccio, da terra fino al soffitto. La sua scrivania aveva una poltrona comodissima ed era lì che accoglieva gli ospiti di un certo livello, quando ne aveva. Non accadeva spesso, ma voleva essere pronto per certe occasioni che potevano presentarsi. Sempre nel suo ufficio, Waldemar portava personalmente le lettere che arrivavano al tenente von Hinden.

Ma non quel giorno. Quel giorno ricevette la lettera da una mano guantata e da una paio d'occhi azzurri che lo lasciarono interdetto qualche istante. Non disse niente.

Le mostrine su quella divisa indicavano il grado di sergente maggiore. Chi la portava, si leccò le labbra asciutte. «Herr Oberleutant von Hinden. La lettera che vi porto, è del maggiore Kessler. Mi ha chiesto... mi è stato ordinato di consegnarvela urgentemente.»

Edgar rimase in silenzio un altro lunghissimo istante. «Ti ringrazio,» mormorò. Abbassò a fatica lo sguardo sulla lettera e l'aprì. Estrasse due fogli e lesse il contenuto. Ripiegò la carta e infilò la busta nella giacca della divisa. «Potete dire al maggiore che domani stesso provvederò ad eseguire quanto richiesto.» Assentì col capo.

Erano nell'ingresso, il corridoio imbiancato dava luce all'ambiente. Le finestre erano chiuse, tirava un forte vento.

«Signorsì, tenente.»

«Riposo.» Edgar lo guardò negli occhi un'altra volta. Non riusciva a distogliere i suoi, che invece erano scuri, color del cioccolato. «Non ti ho mai visto,» mormorò.

«Mi presento,» rispose l'altro battendo i tacchi. «Sergente maggiore Helmut Vogel.»

«Helmut Vogel...» ripeté lui, quasi tra sé.

Maren gli si avvicinò dal corridoio alle sue palle e lo prese sotto braccio. «Mio caro, mi piacerebbe che tu mi aiutassi a scegliere la tovaglia per la cena di giovedì prossimo.»

«La cena?»

«Quella con mio fratello e mia cognata. Non dirmi che te ne sei dimenticato,» pregò col broncio.

Edgar scosse piano la testa ed appoggiò la mano sulla sua. «Certo che no. Aspettami di là. Ti raggiungo tra un momento.»

«Ti aspetto in sala da pranzo. Arrivederci,» mormorò la ragazza guardando quel soldato che non conosceva. Il sergente maggiore chinò la testa e sorrise impercettibilmente.

Poi rivolse il suo sguardo al superiore. «Col vostro permesso, mi ritiro, signore.»

Lui assentì col capo. «Vai pure, Vogel.»

Edgar scelse la tovaglia con molta cura e ordinò a Waldemar di comprare una bottiglia di liquore della migliore qualità per accogliere il cognato. Durante la cena, conversò con la moglie circa il contenuto dell'ultima lettera ricevuta da lei dalle cugine e ascoltò attento i pettegolezzi sulla famiglia di Maren; lei parlava e parlava e qualche volta rideva tra sé, dolcissima.





Waldemar gli piaceva. Era attento, spigliato, sveglio, brillante. Il maggiordomo perfetto. Seppur molto giovane, recepiva al volo e faceva quello che il signore della casa chiedeva – sempre. Quella volta, Edgar prese la lettera dalle sue mani (gli aveva già detto da tempo che non era necessario porgerla sul vassoio: lui non faceva caso a quelle formalità) ma si premurò di guardarlo negli occhi e chiedergli chi l'avesse portata.

«Un militare, signore. Un certo Vogel...»

«Vorrei che tu imparassi a riconoscere i gradi sulla divisa. Avresti già dovuto farlo.»

«Sì, signore.»

«Un'ultima cosa.»

«Dite pure.»

Edgar esitò. Lisciò con le mani il foglio di carta che aveva appena appoggiato sulla scrivania. Fissando la stilografica, disse: «la prossima volta che il sergente maggiore Vogel entra in casa con una lettera, voglio che sia lui stesso a portarla qui, nel mio studio. Non tu.»

«Sarà fatto, signore.»

Waldemar era ubbidiente e dunque la volta dopo che Helmut Vogel si presentò con una lettera del maggiore Kessler, dovette bussare alla sua porta. Il tenente von Hinden era immerso tra le scartoffie e portava la sua divisa perfettamente stirata, ma aveva abbandonato in una poltrona bordeaux il suo cappello da ufficiale. «Avanti,» disse distratto, rileggendo l'ultimo rigo della seconda pagina di un rapporto circa un fatto successo in caserma una settimana prima.

Non riconobbe la voce del soldato, ma quando rialzò lo sguardo, riconobbe bene i suoi occhi azzurri chiari. «...Sergente maggiore. Il maggiore Kessler torna a scrivermi? Dovremmo essere diventati buoni amici, ai tuoi occhi.»

«Non mi faccio opinioni in merito, signore,» rispose Helmut porgendogli la lettera.

«Tu menti; noi uomini abbiamo opinioni su tutto, oggigiorno.»

Presa la lettera, Edgar arricciò le labbra. «E' un bel problema...» mormorò tra sé. «Rimani qui. Ho bisogno di qualche minuto per scrivere una risposta adeguata.»

«Come volete, signore...»

Preso un foglio pulito, cominciò a scrivere qualche parola. «La pazienza non è un tuo pregio...» mormorò con gli occhi sulle parole che si componevano pian piano.

Helmut aprì la bocca per dire, ma non disse; non subito. «Cosa ve lo fa pensare?»

«Non rimani fermo sui tuoi piedi. Pochi minuti e hai già cominciato a oscillare come un birillo.»

«Non è impazienza,» disse lui indispettito. «La mia gamba destra poco mi regge. Altrimenti non consegnerei lettere,» finì in un sussurro.

«E' un lavoro così disdicevole? Consegnare lettere nel mio ufficio, intendo.»

«Non è quello che mi sarei aspettato, questo è sicuro.»

Egar gli indicò la poltrona. «Puoi sederti lì, se la tua gamba non ti assiste. Lascia pure il mio cappello su questa scrivania e prendi posto.»

«Preferirei di no.»

«E' un male guaribile?»

«Oh, sì. Qualche mese e tornerà tutto come prima.»

«Le cose non tornano mai come prima, Vogel... tieni la lettera. Vai pure. Salutami il maggiore.»

Helmut andò ma tornò molto spesso. La corrispondenza tra Edgar e il maggiore Kessler diventava sempre più frequente, le lettere sempre più lunghe, e mentre scriveva, il tenente ed il sergente maggiore si intrattenevano in piacevoli conversazioni e a svariate confidenza. Al terzo incontro nel suo ufficio, Edgar gli offrì una sigaretta, e al settimo la lettera da scrivere era diventata così lunga (cinque pagine e mezzo) che Helmut si prese la briga di leggere uno stralcio di un quotidiano che aveva trovato su un tavolinetto rotondo. Edgar lo trovava sfacciato e rise di gusto e beccarlo sul fatto. Gli consegnò la lettera con particolare cura, quel giorno.

Qualche martedì più tardi, Edgar disse chiaramente che non aveva voglia di rispondere al maggiore, un uomo paranoico ed ossessivo, perciò si accese una sigaretta ed appoggiò i piedi sulla scrivania, cominciando a fumare.

«Vostra moglie è molto giovane,» commentò Helmut.

«Lo è. E' poco più di una bambina. Docile, ubbidiente e tremendamente appiccicosa,» rispose lui, lasciando cadere la cenere sul posacenere dorato che teneva su una pila di documenti, perlopiù scartoffie inutili.

Helmut rise appena. «Non sembrate innamorato di lei.»

«Da cosa lo deduci? Dammi del tu. In te vedo un amico più sincero di tanti altri. Dammi del tu,» ripeté.

Lui alzò le spalle. «Non parli di lei. Mai, se non per pura formalità. Parli come un uomo che conduce una vita solitaria.»

«Hai ragione. Io non la amo. E mai l'amerò, se vuoi saperlo; Maren è dolce, gentile, genuina, ma anche terribilmente immatura, frivola, civettuola. Davanti alle poche amiche e ai parenti mi stringe, mi tira, pretende i miei baci. Usa grandi parole, di cui non conosce nemmeno il significato. Per esempio: ti amo.»

«Perché l'hai sposata, allora?»

«E' stato un matrimonio combinato dai nostri genitori. Si conoscono da molti anni. Mio padre compra le pellicce di mio suocero per mia madre; il fratello di Maren è un buon amico dei miei due fratelli minori. Non mio; a me non è mai piaciuto.»

«Non credevo esistessero ancora i matrimoni combinati. Perché hai accettato?»

«Perché era opportuno e conveniente; Maren è una brava ragazza e davvero una compagna ideale, sotto vari punti di vista; le piace viaggiare e a me piace avere compagnia durante i viaggi; è golosa e a me piace provare sapori nuovi. E' curiosa e mi diverte vederla fare le cose di nascosto, per non frasi scoprire, anche se poi le si legge in faccia, che ha combinato qualcosa.» Edgar sorrise al pensiero della moglie e tirò un alito di fumo. Lo soffiò via.

«Non riesco a capirvi... forse pensate, anzi, forse pensi, che lei...»

«Quel che penso, in tutta franchezza,» interruppe lui, «che lei è la moglie migliore che potessi trovarmi.»

Helmut lo guardò negli occhi ed attese di ricevere la lettera di risposta del maggiore Kessler in silenzio, meditando su quell'ultima frase.

Anche Maren meditò, perché aveva sentito tutto. Coprendo la mano con la bocca per nascondere i singhiozzi, aveva sentito ogni parola e non aveva capito. Imbarazzata, quella sera non riuscì a parlare e si ritirò prima dalla cena dicendo di essere indisposta. Tutto passò in secondo piano, poche settimane più tardi, arrivarono a trovarla le cugine. Elogiò così tanto suo marito, che alla fine dimenticò tutto. Si aggrappò saldamente ai bei gesti che Edgar le regalava, alle notti d'amore, ai fiori freschi che qualche volta le faceva trovare, ai regali e alle passeggiate romantiche. Mentre le settimane passavano, si convinse inizialmente che fossero discorsi da uomini, mutati rispetto alla realtà, perché lui uomini non potevano mostrarsi romantici come potevano invece fare le donne; poi si convinse di non aver capito, di aver sentito male, ed infine dimenticò totalmente l'accaduto.

Helmut continuava a frequentare quella casa periodicamente e smettendo di portare lettere. Una sera Edgar lo invitò a bere un bicchiere di liquore e trascorsero ore a parlare di politica e della loro visione del mondo. Nessuno dei due amava la filosofia, non erano grandi lettori e non avevano fatto l'università; ma per ore parlavano delle dottrine che serpeggiavano per l'Europa di quegl'anni, della condizione in cui versavano le donne ed i bambini delle zone più povere; qualche volta degli ebrei, dei neri, degli omosessuali... Edgar si dimostrava sempre molto aperto di vedute e riusciva sempre a portare l'altro dalla sua parte.

Helmut divenne quindi un'habituée della casa, ma mai si intrattenne in discussioni con Maren, semplicemente rispondeva garbato quando la vedeva.

Neppure con la pioggia di novembre, Helmut scelse di non venire. Maren iniziava a diventare gelosa, ma Edgar era sempre molto gentile nei suoi confronti e nel tempo che passavano insieme, seppure ridotto, si sentiva speciale. Si sentiva viva, felice, come non lo era mai stata. Suo padre era un uomo autoritari, non le aveva mai mostrato affetto; raramente le parlava con dolcezza, anzi, a dire il vero, raramente le parlava. Edgar invece era un uomo completamente diverso. Le mostrava il mondo.

Ad esempio, non le negava nulla. Suo padre non voleva lei leggesse giornali o ascoltasse il notiziario alla radio, poiché riteneva entrambe le cose faccende da uomini; Maren rubava i quotidiani del fratello e cercava di capire qualcosa. Capiva poco: aveva studiato a casa, il minimo indispensabile. Questo vizio non l'abbandonò nemmeno da sposata. Rubava i giornali di Edgar dal suo ufficio e li leggeva quando lui non era in casa. Un giorno, però, il marito rincasò prima e la notò nascondere qualcosa dietro la schiena. Insistette per tre volte, prima di infastirsi.

«Per favore, Maren: voglio vedere cosa nascondi.»

Lei gli porse i giornali ed abbassò gli occhi, colpevole.

«Perché li nascondi? Li leggi di nascosto?» Edgar a volte non riusciva a capirla. Teneva i quotidiani tra le mani e la guardava. Non era più arrabbiato, adesso.

«Mi dispiace...»

«Per cosa sei dispiaciuta, esattamente?»

«Non avrei dovuto prenderli...»

«No. Potevi prenderli. Ma non dovresti entrare nel mio ufficio di nascosto.»

«...Davvero potevo prenderli?»

«Naturale, Maren: sono soltanto dei giornali. Puoi leggerli quando vuoi.»

Gli occhi azzurri della giovane moglie si illuminarono. «Mi dai il permesso?»

«Non ti serve il mio permesso per una cosa del genere. Tu sei libera. Questa è casa tua. Non mi va che tu entri nel mio ufficio senza di me, ma non arriverei mai a vietartelo; tu qui sei la padrona.»

«Ma tu sei mio marito... e credevo non volessi che io...»

«Cosa? Credi che vorrei una moglie ignorante?»

Maren arrossì appena e si sentì una stupida. «No...»

«Puoi leggere quello che vuoi, quando vuoi. Qualsiasi libro della mia libreria. Qualsiasi quotidiano o rivista entri in questa casa. E se tu volessi, ti potrei spiegare ciò che non capisci degli articoli che ti interessano.» Edgar si avvicinò a lei e le sistemò una ciocca dietro l'orecchio. «Non privarti della conoscenza. Essere una donna non deve fare di te una stupida. Devi lottare per quello che vuoi e non devi lasciarti sottomettere da nessuno. Neanche da me.»

Maren lo abbracciò e si accoccolò a lui. «Grazie...»





Maren non aveva mai viaggiato da sola e ne era terrorizzata. Edgar l'assicurò alle cure della signorina Heidemarie, la governante, e mandò la moglie a trovare i genitori. Lui aveva troppo lavoro per seguirla, ma ugualmente si concesse una serata col suo buon amico Helmut. I domestici erano stati tutti congedati e mandati nelle loro case (non erano molti e la casa non era abbastanza grande da avere camere per la servitù: soltanto una camera per gli ospiti ed un paio per i padroni di casa ed i futuri nascituri), persino Waldemar non era presente. Il ragazzo si era preso un malanno e il padrone di casa gli aveva concesso senza esitazioni qualche giorno di riposo. Era un buon padrone, Edgar: non era mai particolarmente severo e non pretendeva molto: una casa abbastanza pulita e piatti sufficientemente buoni.

Versò lui stesso un bicchiere di cognac all'amico.

«Siamo soli in casa?»

«Non mi è mai piaciuta l'idea di avere i domestici in casa per tutta la notte. M'inquieta l'idea di svegliarmi per andare a bere e trovarne un paio a formicare sul tavolo della cucina come quando ero bambino.»

Helmut rise di gusto. «Accadde davvero? O è un'altra delle tue storie?»

«Storie? Io non racconto storie, ma verità. Sempre,» alzò il bicchiere e sfiorò il suo. «A cosa brindiamo?»

«A noi,» fece lui. «A cosa vuoi brindare, in questa casa vuota?»

Brindarono e bevvero guardandosi negli occhi.

Edgar sorrise leggermente.

«A che pensi?»

«Sono preoccupato per Maren. Non è mai partita da sola, era spaventata.»

«E' con la vostra governante, no?»

«Quella vecchia zitella. Quanto tempo per convincerle ad andare. Si sente indispensabile per questa casa, ma non fa poi molto. Due domestiche, una cuoca, un maggiordomo ed un autista. Spiegami tu che utilità ha un governante...»

«Accompagnare la padrona di casa in viaggio,» scherzò Helmut.

«Maren dovrebbe imparare ad essere più indipendente, meno pavida.»

«Hai detto che è molto cambiata da quando siete sposati.»

Edgar lasciò cadere la cenere nel posacenere. «Sì. Ha iniziato a vivere. Suo padre la teneva sempre a casa e non le permetteva di fare nulla. Io la lascio libera. Non ho controllo sulla sua vita e non lo voglio: devo già pensare alla mia e non è poca cosa...»

Helmut rise. «Sei così strano... sembra che la ami, poi non la ami. Cosa manca in lei perché tu possa innamorarti? Dici che è la miglior donna che potessi avere al tuo fianco, ma dici anche che non la ami.»

«Non sempre la cosa giusta per noi è quella che ci fa stare meglio...»

Il viso di Edgar venne nascosto dal fondo del bicchiere. Helmut mise da parte il suo cognac e abbandonò la cicca della sigaretta. Si alzò e si avvicinò a lui. Gli tolse bicchiere e sigaretta a sua volta. «Alzati.»

«Cosa fai?» domandò curioso lui, e si levò in piedi. Era lì, ad un passo da lui.

Helmut abbassò gli occhi sui suoi gradi e li sfiorò con le dita. Edgar appoggiò la mano alla sua.

«Che mano fredda,» sussurrò Helmut.

Lui annuì piano. Portò la mano sul suo collo e col pollice gli sfiorò dolcemente la mandibola.

«Mi vengono i brividi...»

«Di freddo?»

«Di piacere,» mormorò.

Edgar guardò i suoi occhi azzurri per un istante soltanto. Gli prese il volto tra le mani ed appoggiò le labbra alle sue. Helmut lo strinse a sé dalla vita ed affondò la mano tra i suoi capelli castani. Ricambiò il bacio e lo prolungò. Indietreggiò fino ad appoggiarsi al bracciolo della poltrona e preso da un'inarrestabile frenesia, gli slacciò la cintura, sbottonò la sua giubba, accarezzando la sua pelle nuda, stringendolo a sé. Furono nudi, in un attimo, ed entrambi col fiato corto ed il membro eretto, si concessero vicendevolmente piacere. Rimasero stretti per qualche ora, fin quando Helmut non si disse infreddolito. Edgar si rivestì in fretta e si rese conto solo in quel momento, che erano finiti nella camera da letto che divideva con la moglie. Si guardò intorno un momento e poi guardò lui.

«...Helmut...»

«Non farlo. So già che è stata solo una notte e che non accadrà di nuovo.»

«Lasciami parlare.»

«Me ne vado. Non mi farò più vedere.»

Edgar appoggiò la mano al suo braccio, mentre lui si rivestiva. «Voglio vederti ancora. Non lasciare che accada solo stanotte»

Helmut lo guardò negli occhi. «Ti riferivi a questo quando dicevi che non potrai amare Maren, non è vero?» Lo vide annuire. Si sporse verso di lui e gli baciò le labbra. «Tornerò domani.»

Helmut tornò ogni sera fino al rientro di Maren. Si scambiarono baci, parole, discutevano fino a togliersi i vestiti, e quando si rivestivano ricominciavano a parlare. Edgar avrebbe voluto licenziare tutti i domestici e tenersi stretto a lui fino a mezzogiorno, ma alle prime luci dell'alba, dovevano separarsi, perché nessuno si accorse di ciò che era durante la notte.





Una freddissima sera di aprile, Maren attendeva il rientro di suo marito con le mani in grembo ed una coperta pesante sulle spalle. La stufa si era rotta e si gelava. Fuori la neve copriva il giardino. Edgar tornò intorno alle undici, quando lei si era già addormentata su una poltrona. La prese tra le braccia e la portò in camera da letto. Le baciò la fronte e le rimboccò le coperte. Il mattino seguente, lui non si fece trovare a letto. Si rividero nel primo pomeriggio.

«Buongiorno.»

«Buongiorno, cara...»

«Ieri hai fatto molto tardi... ti ho aspettato tutto il giorno.»

«Sì... era fuori con alcuni amici, ti avevo avvisato.» Le bugie di Edgar somigliavano sempre alla verità. Maren notò una un graffio sul collo e lo interrogò con lo sguardo. «Un graffio,» rispose lui, distratto.

Lei era troppo felice per notare le continue bugie e le disattenzioni del marito. Sorrise e prese la sua mano. La baciò e se l'appoggiò al ventre. Aveva gli occhi lucidi. «Edgar...»

Edgar sentì la morsa dei sensi di colpa stringergli lo stomaco in una terribile morsa. «Maren, tu...»

La sua giovane moglie annuì. «Aspettiamo un bambino... diventerai padre.» Gli saltò tra le braccia e lui la strinse. Aveva gli occhi lucidi, e non per la gioia; certo era rallegrato all'idea di avere un figlio e pensò subito che lei sarebbe stata una madre perfetta, migliore della propria. Tuttavia, lo turbava l'idea di crescere un bambino con una donna che non amava, soprattutto perché amava un uomo.

Di Helmut si era innamorato dalla prima volta che aveva visto i suoi occhi. O se non proprio da quel momento, forse da quella volta in cui lo aveva preso in giro per il suo tick di muovere il naso, impercettibilmente; o forse da quando aveva notato che non faceva mai più di sei tiri dalla stessa sigaretta? Adesso, la sua parte razionale, suggeriva di lasciarlo andare e di dedicarsi alla famiglia. Sarebbe stata la cosa migliore per tutti: Maren non avrebbe sofferto e il loro bambino sarebbe cresciuto in una famiglia stabile, tradizionale. Senza amanti e fughe amorose. Ma dopotutto, quanti suoi camerati gli avevano confidato di lasciarsi andare con donne che non erano le loro spose, una volta ogni tanto, e avevano un matrimonio felice? Faceva poi tanta differenza se queste scappatelle coinvolgevano un uomo, anziché un'altra donna? Lui era innamorato. Lui amava Helmut Vogel. Non avrebbe rinunciato a lui perché era la cosa giusta da fare. Giusta sì, ma per gli altri. Lui aveva assaggiato un amore che pensava non sarebbe stato mai suo. E mentre si perdeva in questi pensieri, Maren parlava di quanto era felice al suo fianco.





Helmut non la prese bene. Picchiò la mano sul tavolo della sua scrivania.

«Sta' calmo! Cosa vuoi, che ci sentano tutti!?» lo sgridò lui.

Così l'altro prese a bisbigliare. «Un figlio, Edgar? Davvero? Hai dato un figlio a quella donna?»

«Quella donna è mia moglie. Non posso dimenticare i miei doveri nei suoi confronti.»

«Hai fatto sesso con lei!»

«E con te! Non posso improvvisamente smettere di giacere con lei, non credi? E' ingenua, ma non è stupida. Avrebbe capito che c'era qualcosa sotto. E non volevo comunque che si sentisse trascurata.»

«Trascurata!? Tu volevi soltanto scopare, questo è quanto! Mi fai schifo.»

«Non ti permetto di parlarmi così. Io ho delle responsabilità nei suoi confronti. Ha diritto ad avere una vita matrimoniale piena e felice, perché se lo merita. Io mi devo prendere cura di lei e diventare madre è il suo sogno più grande.»

«Che si trovi un amante!»

«E' troppo fragile per farlo! Io avrò un figlio da lei, Helmut, e forse ne avremo altri. Per nove mesi non la sfiorerò, ma dopo tornerò a farlo, perché lei si aspetta questo da me ed è giusto che io soddisfi anche lei. L'ho sposata ed è questo che ho scelto.»

Helmut aveva gli occhi gonfi di lacrime. «Sì... è quello che hai scelto tu. Ma non io.»

Così uscì di casa e per un po' non si fece vedere. Edgar cercò di lasciarsi alle spalle quella storia e di dedicarsi totalmente alla sua famiglia. Disse alla servitù di non lasciare mai sola la signora e di vegliare su di lei costantemente. Pagò i migliori medici e si assicurò che avesse la migliore levatrice. La gravidanza procedeva bene, Maren non aveva molo spesso le nausee e prendeva il giusto peso ogni mese. Certo ogni tanto aveva delle voglie: la scusa per farsi coccolare. Edgar si prendeva cura di lei.





Non aveva scordato Helmut e quando lo rivide, due mesi più tardi, il suo cuore perse un battito. Passeggiava con Maren al suo braccio, mentre l'altro era da solo, scuro in viso. Maren insistette per andarlo a salutare, perché pensava fosse ancora un buon amico del marito, visto che lui non le aveva detto niente circa la rottura del loro rapporto, perché lei non indagasse oltre. Helmut fu gentile, ma distaccato ed Edgar si sentì morire. Rivederlo aveva risvegliato in lui ogni genere di sentimento. Gli scrisse una lettera e gli chiese di andare a trovarlo, una sera soltanto. Helmut rispose che non voleva rientrare in quella casa, ma che lo avrebbe aspettato nella propria. Edgar andò da lui, conosceva già quella casa, altre volte vi erano stati insieme; e come quelle volte, fecero l'amore. Edgar si sentiva in colpa, ma anche molto appagato: sia fisicamente, che mentalmente. Questa situazione andò avanti per settimane ed Helmut ricominciò a frequentare la loro casa.

Un giorno, nello studio di Edgar, lo baciò sulla guancia e gli carezzò le labbra e poi il viso, i capelli, e gli prese il viso per baciarlo ancora. L'altro resisteva, ma debolmente, e quando notò Maren sulla porta che li osservava inorridita, corse da lei. «Maren!» urlò. Le prese il polso e la tirò dentro, richiudendo la porta.

«Come hai potuto!» gridò lei.

Edgar appoggiò una mano sulla sua bocca. «Sta' zitta,» disse, e quella parola gli uscì dalle labbra molto più crudele di quanto volesse. «Maren, adesso ascoltami,» continuò dolcemente, tenendola per un polso e tappandole la bocca. «Ne parleremo, ma non adesso. Aspettami in camera nostra. Non farne parola con nessuno. Sono stato chiaro?» le liberò le labbra.

Maren piangeva. «Perché... perché mi fai questo?...»

Lui si sentì annientare da quella lacrime. Riuscì solamente a dire: «in camera nostra. Aspettami lì.» Lei, nonostante tutto, ubbidì. Helmut strinse le labbra e sospirò una parolaccia.

«Per favore, vai via. Devo calmarla.» Così Edgar andò da sua moglie. La trovò in lacrime rannicchiata sul loro letto, ad accarezzarsi il ventre. Sedette accanto a lei e le asciugò una lacrima. «Mi dispiace... mi dispiace per davvero. Non avrei voluto farti questo. Alcuni uomini si trovano delle amanti, per puro diletto. Per rompere la monotonia, per fare con loro quello che le loro mogli non oserebbero fare. Ma io non sono così, Maren. Io non lo sono mai stato. Non ho mai voluto farti del male.» Le parlava dolcemente, sottovoce, carezzandole la guancia. «Mi dispiace così tanto...»

«Da quanto tempo?» chiese lei chiudendo gli occhi.

«Qualche mese...»

«Quanto?»

«Poco prima di Natale...»

Maren scoppiò in un pianto disperato. «Non sei riuscito ad essermi fedele neppure per un anno.»

«Con nessuna parola riuscirei a scusarmi. Maren... non è diletto né vizio. E' amore,» disse sincero. «Sono innamorato di lui. Non avrei mai potuto amare te, né nessuna altra donna. Ho cercato di esserti fedele, ma la più grande lealtà, io l'ho con me stesso. Non volevo che tu soffrissi e ho cercato di renderti felice come ho potuto. Presto avremo un bambino.»

«No, no, no...» lei era disperata.

Edgar si chinò per prenderle il volto tra le mani. «Non vi lascerò soli mai. Mi occuperò di voi, sempre. Continuerò a viziarti, renderti felice, e mi prenderò cura di lui o di lei.»

«Promettimi che non lo rivedrai.»

«Non posso. Ci ho provato, ma non ci riesco. Posso prometterti che ti sarò vicino, ma nient'altro.»





Nei giorni seguenti, lei si mostrò apatica e spenta. Edgar le rimase accanto per tutto il tempo e rinunciò ad Helmut, finché non la vide riprendersi. Ma dopo due settimane, accadde che Maren si svegliò di soprassalto e cominciò a vomitare, a tossire, e diventò scura in volto. Edgar chiamò la signorina Heidemarie per avere aiuto e neppure quando sua moglie si riprese la lasciò da sola. Per tutto il giorno, rimase a prendersi cura di lei, a tenerle la mano, reggere la tazza della tisana calda. Le cose cominciarono a migliorare dopo qualche mese. Edgar non aveva più permesso ad Helmut di venire a trovarlo e si vedevano fuori. Il loro rapporto era peggiorato, Helmut si sentiva messo da parte ed era geloso. Maren, vedendo i sacrifici del marito e leggendo nei suoi occhi pene d'amore, organizzò una cena per lui e per Helmut, nella loro casa, mandando via tutti i domestici. Edgar le disse che non avrebbe mai saputo come ringraziarla adeguatamente. A ridosso del parto, però, ebbe la sua occasione di dimostrarle il suo affetto. Lui vedeva in lei una migliore amica, una complice, nonostante tutto, e quando il suo ventre cominciò a gonfiarsi, iniziò ad accompagnarla ovunque, liberandosi dal lavoro per farlo. Quando Maren era incinta ormai di otto mesi, presero l'auto e si fecero accompagnare in centro città. Lei si sentì male e così corsero a casa della levatrice, perché non era lontana. Maren partorì un maschietto in buona salute, che chiamarono Bernhard. Edgar era molto fiero di lei, perché nel difficile momento del parto aveva tirato fuori un gran forza e non aveva avuto paura; ed era fiero del bambino perché nonostante fosse nato prematuro, strillò a pieni polmoni quando venne al mondo e sentirlo così vivace lo fece un po' commuovere.





Maren era una donna eccezionale. Faceva eccezione.

Quando seppe che Helmut era venuto a trovare Edgar, ben conscia che non si vedessero da due mesi, bussò alla porta con il bambino tra le braccia. Sembrava una bambina, con i capelli sciolti ed il volto stanco. Bernhard non la lasciava dormire da ormai due mesi.

«Scusatemi,» si annunciò debolmente. «Helmut. Volevo che tu lo conoscessi...»

Edgar la guardò commosso e si avvicinò a loro. Helmut non sembrava dello stesso avviso. Guardò solo di sfuggita il bambino e disse qualcosa circa il buono stato di salute che sembrava avere. Edgar ci rimase molto male e quando furono soli, litigarono violentemente.

Le cose non migliorarono affatto. Tutte le volte che Edgar parlava con gioia di suo figlio, Helmut brontolava o diceva qualcosa di sarcastico e fastidioso. Litigavano sempre più spesso.

Una sera, infuriava la tempesta, là fuori, e Maren che sembrava aver preso dieci anni in un paio di settimane, disse che Helmut poteva rimanere lì.

Edgar aggiunse subito che avrebbe dormito nella camera degli ospiti, perché la riteneva la scelta più rispettosa ed Helmut se ne lamentò. Il tenente fece comunque in modo che si sistemasse dall'altra parte del corridoio rispetto la loro stanca e si allontanò solo un momento per andare in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, promettendo alla moglie che sarebbe tornato subito. Prese davvero il suo bicchiere d'acqua e quando tornò in camera, vide Helmut sopra sua moglie che tentava di soffocarla con un cuscino. Lo afferrò per le spalle e lo scaraventò per terra. «Che cazzo fai!?» sbraitò. Circondò protettivo le spalle di Maren e la strinse a sé. «Non preoccuparti, ti proteggerò io,» sussurrò dolce. Maren piangeva terrorizzata e quando Edgar intercettò lo guardo di Helmut su suo figlio, sembrò non ragionare più. Si lanciò come una furia contro di lui e lo sbatté fuori casa, mentre lo sentiva borbottare qualcosa sulla sua gelosia e sul fatto che vedeva Maren come un ostacolo alla loro felicità.



Helmut non si fece più vedere.

Edgar non lo cercò mai più e trascorse i mesi che seguirono a dedicarsi completamente a Maren e a Bernhard. Aveva trovato un suo equilibrio e una certa sua felicità, in quella vita, nonostante tutto. Amava follemente il suo bambino e pensò che alla fine, il vero amore, era solo quello di un padre nei confronti del figlio.
   
 
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