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Autore: Fanny Jumping Sparrow    21/04/2020    8 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Salve a tutte/i ^_^

Torno dopo un mesetto di pausa con una nuova lunga shot, la cui scrittura vi confido che è stata molto travagliata, più che altro perché me ne sono uscita fuori con un argomento che ad un certo punto mi è parso più adatto ad una breve long e che temevo di trattare in modo troppo superficiale. Fatto sta che, nonostante qualche taglio, ho sforato le dieci pagine e spero che la lettura non risulti né troppo lunga né inconcludente.
Come al solito, commenti, opinioni e critiche sono sempre cosa gradita ;)

Ringraziando immensamente tutti i lettori, chi ha inserito questa raccolta tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha speso qualche minuto in più del suo tempo lasciandomi anche un parere, vi do appuntamento alla prossima incursione!)


VII – Insieme … per finta

Aveva ancora il fiato grosso e il battito leggermente accelerato da quella convulsa corsa non preventivata, ma adesso l’odorosa brezza estiva che spirava tra i verdi viali dello Shinjuku Gyoen alleviò quel lieve affanno che gli aveva stretto il petto. Arrampicandosi agilmente sul ramo di un ciliegio che pareva fatto apposta per ospitarlo, gettò una lunga occhiata perlustratrice, scandagliando ogni persona che si trovasse a passare nei dintorni.

Fortunatamente conosceva quella città quanto le sue tasche, ogni strada, vicolo, scorciatoia, angolo, ogni locale, da quelli alla moda frequentati da pochi avventori danarosi, a quelli più modesti che accoglievano un’umanità variegata, a quelli malfamati in cui non mancavano risse e personaggi di dubbia moralità, così riusciva sempre a nascondersi e a tendere imboscate a chi credeva di poterlo fregare.

Il parco solitamente sembrava essere una piccola oasi incorrotta dal male che imperversava quasi ovunque si voltasse, ed era abbastanza esteso da assicurare una buona copertura. Perciò ci si era imbucato confidando di poter essere al sicuro, sebbene i suoi sensi fossero costantemente all’erta.
Rimase per qualche minuto abbarbicato in quel nascondiglio precario, poi, non riconoscendo alcuna figura vagamente familiare in quell’andirivieni di famigliole, coppiette, podisti e ciclisti, ridiscese con un balzo da gatto, tornando allo scoperto e ricominciando a respirare e a muoversi con disinvoltura, compiacendosi di essere riuscito grazie alla sua velocità e astuzia a seminare quella scocciatura che rischiava di rovinargli la continuazione di una giornata altrimenti promettente per la sua consueta battuta di caccia alla femmina che era iniziata già da un paio d’ore, partendo, come sempre, dal suo adorato Kabukicho.

Inoltrandosi tra i viottoli fioriti e ombreggiati poté appurare che anche la fauna femminile di quel posto era parecchio meritevole, tra ragazze che correvano o facevano esercizi di yoga in succinti completini ginnici e altre che semplicemente passeggiavano facendo ondeggiare capelli e vestitini leggeri. La bella stagione era arrivata e con essa un’esplosione estasiante di pantaloncini e minigonne, bretelline e sandali, che lasciavano scoperte ampie porzioni di pelle non ancora abbronzata, inondando l’atmosfera di un inebriante profumo di grazia e freschezza.
La sublime visione di tanti corpi femminili ancheggianti e poco vestiti minacciava di fargli abbassare la guardia e di farlo finire invischiato in qualche sgradevole trappola, come gli era quasi disgraziatamente accaduto poco prima. Ma il richiamo dei sensi era più forte di qualunque preoccupazione, rincorrere dolci e morbide forme era la sua principale spinta vitale, un insopprimibile istinto primordiale da cui non sapeva esimersi.

Si gettò sulle spalle la giacca a jeans, agganciandola ad un dito. Con quel caldo e quella fuga concitata, la maglietta che indossava era talmente sudata da essersi appiccicata al torace, mettendo ben in risalto i suoi larghi pettorali scolpiti, e con lo sfoggio del suo fisicaccio e di quel suo piglio da implacabile conquistatore, si sentiva particolarmente ottimista nel poter abbordare qualche sventola, non troppo esigente.
E così, gettando alle ortiche ogni buon intento di restare distaccato e vigile, Ryo Saeba cominciò a galoppare a briglia sciolta in mezzo a quella nutrita rassegna di bellezze a passeggio, affannandosi nella ricerca di qualche anima benevola che accettasse il suo invito per uno stuzzicante aperitivo e magari anche per un infuocato dopocena.

Si stava districando allegramente tra una palpata e una borsettata, un bacio mancato e un manrovescio, quando con la coda dell’occhio intercettò l’immagine importuna di quella tipa subdola e assillante che si guardava attorno, con tutta l’evidenza di cercarlo. Erano due giorni che quella svitata gli dava il tormento. Non voleva proprio rinunciare e, nonostante tutti i suoi sforzi per depistarla, era riuscita a ritrovarlo!
Le sue suole si staccarono dal suolo con uno scatto degno di un velocista alle Olimpiadi e, dissimulandosi con i passanti, si affrettò a raggiungere l’uscita di quello spazio verdeggiante per rimescolarsi nel convulso tran tran cittadino, in cui, sperò, sarebbe stato più facile passare inosservato a quell’asfissiante persecutrice.

Proprio mentre sgusciava tra i pedoni di un incrocio particolarmente trafficato, marcando stretto quei pochi uomini più o meno alti quanto lui per mimetizzarsi, controllando sempre di non essere seguito, individuò sbucare tra la fiumana di gente una testa dalla capigliatura così peculiare da renderla inconfondibile, con quelle rare striature mogano, un ciuffo ribelle e quella codina che scendeva sulla nuca. Il suo portamento era come sempre impacciato e nervoso, ma in qualche modo riusciva ad apparire quasi quasi aggraziata, perfino avvolta in quella svilente e anonima tuta da meccanico con cui le piaceva conciarsi, come se lavorasse in un’officina.

Un motorino tutto d’un tratto le falciò bruscamente la strada e quello stridere di gomme e di freni poco oliati gli mandò per qualche secondo in black out il cervello, facendolo schizzare in avanti, le dita sul grilletto. Ma la sua socia si era ritratta subito con una buona prontezza di riflessi, mettendosi a imprecare a gran voce contro l’incivile.
Un’idea strampalata gli s’insinuò nelle contorte meningi. Con un po’ di scorrettezza avrebbe potuto funzionare. La questione più ardua sarebbe stata trovare il modo di persuaderla ad appoggiarlo ...


Si passò una mano dietro il collo e sulla fronte, scostando le ciocche madide che si erano appiccicate per l’intensa calura, sbuffando demoralizzata: non era stata una scelta felice andare a farsi dare la solita spuntatina proprio quella mattina! La messa in piega era già poco più di un ricordo e le sembrava di aver buttato via soldi invano.
La temperatura si era innalzata così in fretta che inoltre era finita per uscire con un abbigliamento poco azzeccato, non avendo avuto il tempo di cercare qualcosa di più adatto nell’armadio. Kaori sbottonò la giacchetta legandosela in vita, mentre si ritrovò a sostare davanti ad alcune vetrine in allestimento in cui le commesse si affaccendavano a sistemare sui manichini degli abiti pensati per l’imminente periodo estivo.

Solo qualche giorno prima era entrata in uno di quei negozi in compagnia di Keiki Kashiwagi, l’uomo più bello che avesse mai incontrato: garbato, elegante, perbene, riservato, gentile. Al suo fianco si era sentita leggera, come se camminasse sulle nuvole. Anche se lei era stata scambiata per un lui e lui per una lei ... D’altronde quel ragazzo aveva dei lineamenti così delicati e un fisico così armonioso da risultare perfetto anche travestito da donna.
Non era una novità che la gente, per lo più superficiale e distratta, equivocasse la sua identità. Le capitava spesso, sin dai tempi del liceo, ma se il più delle volte preferiva ignorare certe chiacchiere e certi commenti impertinenti, sentirsi meno donna di una finta donna l’aveva un po’ rattristata e umiliata.

Prima di decidersi di recarsi dal parrucchiere aveva valutato se farsi allungare i capelli o magari cambiare acconciatura, ma poi, quando si era ritrovata seduta davanti allo specchio, alla fatidica domanda aveva optato per il solito taglio, più corto davanti e con qualche ciuffo appena più lungo dietro, quello in cui più si riconosceva e in cui riusciva a piacersi almeno un po’.

Alla fine tra lei e quel fascinoso attore non era successo nulla e dopo la conclusione dell’incarico di protezione non lo aveva più rivisto, né aveva avuto l’intenzione di ricontattarlo. In verità non aveva più provato alcun interesse per lui. Tutti i suoi pregi scomparivano se messi a confronto con l’uomo dai mille difetti che le scompigliava i pensieri e le mandava il cuore in subbuglio.

Sospirò indispettita, sentendosi un’illusa per continuare a sperare in qualcosa di più. Erano già trascorsi tre anni da che collaboravano e convivevano e non c’era mai stato uno sprazzo di manifesto interesse da parte sua. Perlomeno non di tipo romantico.
Di donne gliene aveva viste sedurre a bizzeffe e tutte, indistintamente, si erano innamorate almeno un po’ di quel giustiziere intrepido e implacabile, dotato di un animo nobile e generoso: dalle ragazzine poco più che adolescenti a quelle più mature, dalle irriducibili sognatrici alle più esperte e assennate, dalle più timide e innocenti alle più esuberanti e sfrontate, incluse serie professioniste, vedove inconsolabili e addirittura principesse in incognito!

Detestava ammetterlo, ora più che mai, ma di quell’uomo indomito, che in più occasioni sapeva anche essere un debosciato di prima categoria, si era sventuratamente invaghita anche lei. Pur avendo conosciuto da vicino la sua depravazione e le sue tante ombre che lo rendevano spesso enigmatico e sfuggente, aveva imparato pian piano, oltre che a stimarlo per la sua propensione a rischiare deliberatamente la sua incolumità, il più delle volte in maniera disinteressata, a decifrare anche le sue maldestre attenzioni nei suoi confronti. L’ultima delle quali, aveva scoperto da poco, era quella di intrufolarsi nella sua camera per occultare delle microspie sui suoi vestiti.

Durante quelle incursioni clandestine le rubacchiava pure qualche capo intimo, ma ormai per lei quei furti erano quasi rassicuranti e le martellate con cui lo puniva erano diventate più che altro un’abitudine, la cui frequenza e violenza variavano a seconda dell’umore e della quantità di grane con cui aveva dovuto barcamenarsi nel corso della giornata.

Soffocando un altro sospiro di frustrazione, riprese a camminare di buon passo, accingendosi a completare il suo giro di commissioni. Comprò un po’ di spesa per assicurarsi di avere a disposizione l’essenziale in caso di una bocca in più da sfamare, se mai avessero dovuto ospitare qualche cliente, e quindi andò nuovamente a controllare il tabellone alla stazione metropolitana, trovandolo ancora vuoto. Nei suoi spostamenti, però, aveva avuto la sottile sensazione di essere spiata e seguita da qualcuno e, benché quando di tanto in tanto si era soffermata a sbirciare dietro di sé non avesse avvistato nessun tipo sospetto, aveva i nervi a fior di pelle.

Riattraversò alla svelta la lunga galleria sotterranea imboccando l’uscita ovest, anziché quella est che riportava a Shinjuku, per poi perdersi nelle stradine piene di ristoranti, caffè ed izakaya, a quell’ora antipomeridiana più affollati che mai. Si stava allontanando più di quanto non volesse dal suo percorso abituale e avrebbe impiegato il doppio del tempo per tornare indietro. E tutto questo solo per un’impressione che forse non aveva fondamento.

Kaori si fermò, appoggiandosi per qualche secondo contro una saracinesca, socchiudendo le palpebre e cercando di tranquillizzarsi, ma un fugace sfioramento la fece sobbalzare ed estrasse in un attimo dalla borsetta la bomboletta di spray urticante che teneva pronta.
Quando la nebulizzazione si dissolse, poté finalmente distinguere il volto infiammato del malcapitato che, con gli occhi arrossati e le labbra gonfie, si stava prodigando in una serie di maledizioni: «Ryo?! Ma allora eri tu!», esclamò sbalordita e con un pizzico di colpevolezza.
Quello si asciugò i lacrimoni, mugugnando un tramortito: «Buongiorno».
«Si può sapere perché diavolo mi stai pedinando?», gli domandò seccata, continuando ad agitare la bottiglietta e scrutandosi attorno un po’ ansiosa.

Il socio, ripresosi dall’aggressione al peperoncino, si grattò la collottola con fare indifferente: «Volevo mettere alla prova le tue abilità investigative. Sei stata brava a scoprirmi!», si complimentò con un accento da amicone che suonava alquanto ipocrita.

La ragazza inarcò un sopracciglio, dipingendosi un’espressione perplessa. A quell’ora era solito sguazzare per le vie del centro tentando di approcciare qualunque essere dotato di due belle gambe. Doveva aver ricevuto una consistente sfilza d’imbarazzanti due di picche per ridursi a cercare la sua compagnia, ragionò, notando l’evidente segno di una cinquina sulla sua faccia, oltre ad impronte di pedate che gli tappezzavano i pantaloni bianchi. Sospettò che ci fosse qualche secondo fine dietro tutta quella strana ruffianeria, ma decise di sfruttare ugualmente la sua prestanza: «Allora, già che ci sei, reggimi queste», borbottò con bruschezza, appioppandogli le sacche della spesa.
«Volentieri, cara», acconsentì un insolitamente docile e solerte Ryo, caricandosi quel peso sulle braccia con un gran sorriso scintillante.
«Sicuro di sentirti bene?», si preoccupò lei, tastandogli la fronte e studiandolo con malcelata diffidenza.

Quello assunse un’espressione stizzita: «Come? Mi accusi sempre di essere un menefreghista e un lavativo, e adesso che mi presto ad aiutarti, mi offendi pure?».
Kaori abbassò il mento, rimproverandosi l’eccessiva malafede che nutriva nei suoi riguardi, non riuscendo ad impedirsi di trattarlo male anche quando il suo agire era apparentemente innocente.

«Sei veramente incontentabile», tornò però ad inveirle contro lui, «Per forza non riesci mai a trovarti uno straccio di fidanzato!».
La sua imperterrita mancanza di rispetto le fece fumare le orecchie. Con un cazzotto ben assestato frantumò il suo risolino beffardo: «Andiamo!», sbuffò tutta rossa, stringendo i pugni lungo i fianchi, calcando i piedi per terra.

Il suo compagno protestò meno del solito, cominciando a parlottare del più e del meno, restando a camminarle tanto vicino da sfiorarla sbadatamente con il gomito, nudo per via delle maniche arrotolate della giacca. Quel contatto intermittente, insieme alle sue chiacchiere e ai suoi sorrisi, sembrava celare l’intento di distrarla, per cui lei continuò a guardarlo in tralice, mentre mille domande le vorticavano in mente e una miriade di sensazioni discordanti le rimescolava il petto.
Nel frattempo erano giunti di nuovo in prossimità del lato est della stazione.

Ryo si era zittito e avanzava speditamente tra la folla con lo sguardo dritto davanti a sé, anche se le sue pupille si muovevano a destra e a sinistra, come a setacciare costantemente qualche eventuale minaccia. Quel suo atteggiamento da predatore in avanscoperta non poteva che trasmetterle una certa agitazione, le venne istintivo imitarlo, impegnandosi a scrutare anche lei i volti che le sfilavano accanto, cercando di individuare qualche losco figuro all’orizzonte. Sapeva che lui non avrebbe mai rischiato di far cominciare una sparatoria in mezzo a tante persone. Sembrava che avesse piuttosto una certa fretta di trovare una buona copertura per far perdere le loro tracce a qualcuno.

Quasi avesse percepito il suo stato di nervosismo, il socio fece scivolare un braccio a cingerle mollemente le spalle, ma poi la sua mano le circondò la vita, addossandola a sé, in maniera quasi possessiva. La ragazza si allarmò ulteriormente, divisa tra l’offesa e l’angoscia, che in entrambi i casi scompensavano le sue palpitazioni: «Ryo, oramai posso affermare di conoscerti abbastanza bene …», lo redarguì frastornata, tentando di staccarsi a forza dalla sua presa. «Ti vuoi decidere a spiegarmi che cavolo sta succedendo?!», alzò automaticamente la voce, attirando su di loro il cipiglio sbigottito di alcuni ignari passanti.

Lui sciolse quel mezzo abbraccio, articolando dei balbettii di senso incompiuto, sopraffatto da quel suo piantargli due occhioni schietti e scrupolosi e sentendosene addosso un altro paio che, colmi di ostilità e ripicca, lo stavano inseguendo senza tregua.

«Dì un po’, non si tratterà, per caso, di quell’adorabile fanciulla lì di fronte che ci sta fissando con uno sguardo omicida?», dedusse difatti la sua perspicace socia, alludendo ad una deliziosa brunetta che, verde di collera, lo inceneriva dal marciapiede opposto.
Ryo serrò la mascella, ben conscio che quell’asserzione avrebbe messo alla berlina la sua reputazione: «Sì, sto scappando da lei», confessò in un basso singulto.

Una risatina sarcastica travolse la sua assistente, che non si curò minimamente di nascondere quanto la divertisse quella bizzarra circostanza: «Lo sciupafemmine Ryo Saeba che scappa da una donna! Aspetta che prendo l’agenda: è una data da ricordare. Il mondo deve aver cominciato a girare al contrario!», sghignazzò impunemente.

Lui la folgorò, punto sul vivo da quel suo irriverente ridicolizzarlo: «Smettila di fare la spiritosa! Io sono serio!», affermò esasperato, restituendole con malagrazia le sacche della spesa e filando verso l’Honda che aveva avvistato parcheggiata a qualche metro da loro, prima che al semaforo scattasse il verde e la molestatrice potesse raggiungerli.

Kaori lo tallonò di corsa, per evitare che la lasciasse a piedi, urlandogli dietro: «Se fossi stato serio, non ti troveresti in questa situazione! Te l’ho detto tante volte che non si scherza con i sentimenti di una ragazza!», gli fece la predica coi toni saccenti e pazienti di una maestrina, infilandosi rapidamente nell’abitacolo, lanciandogli le chiavi e prendendo posto accanto a lui, mantenendo un sorrisetto ironico sulle labbra.

Controllando lo specchietto retrovisore, Ryo premette il pedale della frizione e inserì la marcia per partire, sgommando come un fuggitivo braccato. La sua partner non smetteva di interrogarlo mutamente, trattenendo a stento la curiosità di apprendere i retroscena di quella bislacca vicenda.
«Si chiama Usagi Mashimoto. L’ho rincontrata due sere fa. Era una tredicenne vittima di alcuni bulli quando ci siamo conosciuti. Le avevo promesso di sposarla quando sarebbe diventata maggiorenne e avrebbe concluso gli studi. Ed ecco, adesso si è appena laureata alla facoltà di legge, è ritornata da Osaka e pretende che mantenga quella stupida promessa. Oppure mi denuncerà per circonvenzione di minore. La sua famiglia ha fitti legami con la Yakuza, è molto probabile che riesca a farmi incriminare per davvero, anche per altri reati», si risolse a raccontarle con quanta più gravità potesse infondere alle sue parole, come se stessero discutendo di normale routine di lavoro.

Kaori sospirò secca: «Possibile che usi sempre la stessa scusa? Non impari mai», commentò scuotendo la testa. Quel suo essere talvolta così naif nel rapportarsi con il gentil sesso, quasi inconsapevole di quanta attrattiva esercitassero il suo ardore e il suo mistero, non sapeva se le faceva più tenerezza o pena. O forse meglio dire rabbia. Ancora non lo aveva ben capito.

«Allora, mi aiuterai a liberarmene?», la riscosse con tono fermo da quelle divagazioni.
«Io? E in che modo?», balbettò perplessa da quell’insolita richiesta.
Ryo distolse la faccia sulla strada e si aggrappò al volante, preparandosi ad incassare un colpo: «Fingendo di essere la mia fidanzata … » farfugliò con la voce che si assottigliava ad ogni sillaba.
Se Kaori fosse stata alla guida, la macchina avrebbe sbandato investendo o tamponando qualcuno: «Cosa? Sei impazzito? Ma … Perché proprio io!?», si accalorò, scalpitando sul sedile, sentendosi preda di un attacco di claustrofobia.

«Non saprei a chi altra chiederlo!», si giustificò lui in tutta sincerità, augurandosi non le frullassero strane idee. Gli sembrava quasi di sentire il guazzabuglio di farneticazioni che si affollavano nel suo fantasioso cervelletto.
«Beh, potresti rivolgerti a Saeko. O a Reika. Non si farebbe certo pregare, quella …», mugugnò imbronciata dopo qualche minuto di riflessivo silenzio, adombrandosi al solo immaginarli insieme.

«Reika? Ma neanche per sogno! Quella furbastra vorrebbe di sicuro qualcosa in cambio. E non è una che si accontenta facilmente», dissentì lui all’istante e con un certo rancore, imboccando la discesa per il garage sotto il loro palazzo.

Kaori ebbe un travaso di bile: «E certo, io invece sarei la povera scema che ti ubbidisce, ti serve e ti riverisce senza mai chiederti nulla!», si dannò più con se stessa che con lui, saltando giù prima ancora che l’auto si fermasse e sbattendo violentemente la portiera.
Ryo finì di posteggiare e la raggiunse in un paio di falcate, sbarrandole l’accesso alle scale: «Non è così. Tu … sei nevrotica e rompiballe … ma non ho mai conosciuto una persona più leale, generosa e altruista di te», la inchiodò rivolgendole due occhi languidi e speranzosi, sentendosi per un attimo meno bugiardo e meschino di quanto non s’imponeva il più delle volte di essere con lei.

Quell’inattesa, sgangherata dichiarazione di stima fece trepidare per un attimo la ragazza, stemperandone il risentimento: «Oh Ryo, anche tu sei una bella persona, quando ti ci metti», mormorò mordicchiandosi il labbro emozionata, ma poi lui le sorrise appena, indecifrabile, e in lei prese il sopravvento lo scetticismo: «Aspetta! Razza d’imbroglione! Stai cercando di abbindolarmi?!», lo spintonò, armandosi di un martello nuovo di zecca con su scritto “Fanfarone n. 1 del Giappone” che gli piantò in cranio prima che lui potesse replicare qualcosa.

«Ascolta! Se riuscissi a farle credere che stiamo insieme, forse si convincerebbe che ho cambiato gusti, che mi piacciono le tipe androgine e manesche come te! E finalmente mi lascerebbe in pace. Che ti costa?», non demorse a sproloquiare lui, appendendosi alle sue gambe e facendosi trascinare così su per i gradini, fino a che non varcarono la porta dell’appartamento.

«Scordatelo!», lei se lo scrollò dai piedi come fosse una gomma da masticare, scaraventandolo contro una parete.

Ryo sputacchiò qualche pezzo di cemento e si scrocchiò le ossa, rizzandosi e ritentando di farla ragionare, anche se finora non ci era riuscito né con le buone né con le cattive. Le si riavvicinò mentre sistemava la spesa in cucina e si prostrò servilmente, i palmi per terra e la fronte china: «Dai, ti prego! Neanche a me va di farlo, ma dovremmo fingere solo per qualche ora! E poi ti prometto che farò tutto quello che mi chiederai».

La socia si abbassò sulle ginocchia, poggiandogli una mano sulla spalla, un tocco gentile che gli infuse un immediato senso di conforto: «Sei adulto e vaccinato, Ryo. Sbrigatela da solo!», fu la sua fredda e acida risposta che lo lasciò con un palmo di naso, dissuadendolo dal perseverare e umiliarsi ancora.


Dopo una cena frugale e solitaria, Kaori si buttò a letto, spossata da quell’assurda discussione, più emotivamente che fisicamente. Vivere accanto a quell’uomo dal temperamento scriteriato e burrascoso le riservava ogni giorno sempre nuove sfide, a volte meno stimolanti di altre, ma a cui la sua indole curiosa e combattiva non sapeva sottrarsi. Quando si trattava di risolvere dei casi con qualche retroscena giallo o di smascherare delle ingiustizie, partiva in quinta ed era sinceramente contenta di poter contribuire ad alleggerire o estinguere le pene di qualcun altro.

La storia che le aveva riferito Ryo però … le sembrava fare acqua da tutte le parti! Non era da lui angosciarsi tanto per una bella corteggiatrice sin troppo insistente, anzi, tutto l’opposto. L’aveva vista di sfuggita, eppure le era già bastato a cogliere quanto fosse intrigante e decisa. Indubbiamente per un libertino fatto e finito come lui, la prospettiva di un matrimonio equivaleva ad una minaccia di ergastolo, per quanto amabile potesse essere il suo carceriere. Ma era un’intimidazione che aveva già ricevuto e declinato in passato, senza farsi affliggere da tante paranoie e non capiva perché volesse il suo appoggio.

Mentre si rigirava insonne tra le lenzuola, un pensiero ardito la stuzzicò: che magari lui volesse coinvolgerla di proposito in quella messinscena, per trascorrere un po’ di tempo insieme. Escludendo l’ipotesi che potesse averlo picchiato più forte del solito o che avesse contratto qualche malattia venerea che stesse cominciando a farlo delirare, si sentì di scartare categoricamente quella probabilità.

Rivedendolo tanto fiacco, taciturno e introverso a colazione, finì però per cedere. Dopotutto gli voleva bene, più di quanto forse non fosse giusto e non si meritasse. Con quel pretesto avrebbe comunque potuto magari vendicarsi un po’ e prenderlo in giro.


Ryo sonnecchiava sul divano della sua camera, le gambe accavallate e una rivista osé mezza aperta posata sulla faccia, per ripararsi dai raggi del sole che cominciavano ad entrare invadenti, sollecitandolo a dare inizio alla sua giornata. Ma il suo umore non era per niente collaborativo.

La sua professione gli imponeva di tenersi sempre ben informato su quanto accadeva e la sua fidata socia, al suo ritorno dalla sua quotidiana uscita mattutina, non gli faceva mai mancare alcuni quotidiani freschi di stampa. Le notizie di cronaca nera erano quelle su cui prestava sempre la maggiore attenzione e che gli lasciavano un senso d’impotenza e disgusto, per cui subito dopo quella lettura, uggiosa ma doverosa, provava il bisogno di rifarsi con la contemplazione di qualche bella foto spinta di prosperose pin-up.
La sua mente comunque continuava ad essere altrove e non aveva avuto neanche un misero mokkori, nonostante la visione di tutti quei corpi meravigliosi.

Pensava e ripensava che forse stavolta aveva esagerato ed era stato vigliacco a proporre alla sua collega di fingersi la sua innamorata, aspettandosi che non si rifiutasse né si offendesse. Dentro di sé, sebbene volesse evitare di prenderlo in considerazione, ormai sapeva sin troppo bene che lei era sul serio infatuata di lui, più di qualunque altra donna avesse mai tentato di conquistare. Sarebbe stato un gioco troppo rischioso fingersi ciò che non erano e non sarebbero mai potuti essere, e non si raccapezzava del perché se ne fosse uscito proprio con quella trovata assurda, ritenendola perfino valida e fattibile!

Avvertì uno scalpiccio leggero, un rapido fruscio e l’odore della carta stampata allontanarsi dal suo naso, mentre il giornaletto volava via e un’intensa luce gli feriva le palpebre. Se le stropicciò, focalizzando l’immagine della giovane donna che occupava le sue disquisizioni interiori, con le mani piantate sui fianchi e un’espressione sibillina.

«Ho deciso. Accetto», fiatò determinata, «Se mi prometti che tornerai al più presto a concentrarti sul lavoro come si deve, allora accetterò questo rivoltante compromesso e ti aiuterò», acconsentì facendosi meno accigliata.

Lui lasciò sedimentare la sorpresa per quell’inaspettata inversione di circostanze, impreparato su come reagire, ma intimamente risollevato dal suo abbassare gli scudi e soprattutto tornare a parlargli, dopo quasi dodici ore di ostinato silenzio. Si drizzò in piedi come una molla, indossando un gran sorriso scherzoso: «Kaori! Mi rendi un uomo felice!», la adulò festante, prendendole le mani e salterellando, riuscendo ad attenuare un po’ il reciproco nervosismo, «Ma … un momento. Sei sicura che non vuoi davvero niente in cambio da me?», troncò quell’irriflessivo intreccio di dita, tornando ad affinare lo sguardo, malizioso e inquieto.

«Tsk. Io non sono come le altre donne che frequenti», sbottò orgogliosamente lei, incrociando le braccia e battendo in ritirata, ancora scombussolata per l’esplosione di gioia con cui lui aveva accolto il suo ripensamento.

Ryo si lasciò cadere sul materasso, ma percepì che lei non si era allontanata di molto, anzi era rimasta proprio fuori dalla porta e fu quasi certo di indovinare su cosa si stessero ingarbugliando le sue riflessioni. Come avrebbero dovuto comportarsi adesso per portare avanti quella pantomima in maniera verosimile e convincente? Da parte sua, gli veniva in mente una sola cosa che due innamorati avrebbero potuto fare insieme … E non era qualcosa da poter simulare come niente fosse, tantomeno da ostentare in pubblico. E poi sporcare la fedina penale immacolata di lei con un’accusa così infamante era fuori discussione. Ma magari Kaori aveva avuto qualche fidanzatino a scuola e poteva suggerire qualcosa di meno indecente ...

Kaori difatti rifletteva sul come proseguire, adesso che si era esposta e aveva acconsentito a quella strana proposta. Lui non le aveva mai confidato di aver avuto relazione passate, ed era praticamente certa che non si fosse mai inoltrato oltre gli incontri amorosi di qualche notte. Dal canto suo, lei era completamente inesperta in quell’ambito. Poteva solo fare affidamento su quanto aveva visto in qualche film o letto in qualche libro.
Rientrò spedita, rallentando via via che gli si avvicinava e intravedeva la stessa incertezza volteggiare nelle sue iridi scure: «Come potremmo ingannarla?», mormorò esitante, tormentandosi le dita. 

Lui se ne stette qualche secondo a gambe incrociate e con l’indice poggiato sul mento: «Potremmo farci vedere in giro insieme», buttò lì dopo un breve ragionamento.
«Ma Ryo … i tuoi nemici … », titubò lei, impensierendosi già, com’era nella sua indole assennata e premurosa.

«Non ci pensare. Sono un mio problema», la rassicurò subitamente e spavaldamente lui, al che lei gli inviò un cenno assertivo e fiducioso. «Più che altro mi rovinerai la piazza!»


Era da almeno una trentina di minuti che percorrevano su e giù le gremite strade dello shopping e del divertimento di Shinjuku nei pressi dello Studio Alta, là dove le persone si muovevano come biglie impazzite e il frastuono era assordante. Giravano in tondo, sbirciandosi, sfiorandosi, bisticciando e soprattutto fremendo nell’attesa di avvistare l’unica ragione per cui stavano costringendosi a quella recita, che si stava rivelando più complicata del previsto.

Kaori stava oramai perdendo la pazienza e si biasimava amaramente di aver dato retta a quello squinternato del suo socio, che non le aveva spiegato per filo e per segno tutta la faccenda, tantomeno dato istruzioni su come avrebbe valutato di procedere, una volta che si fossero ritrovati davanti l’agguerrita spasimante. Troppo inibita dalla sua innata timidezza per ritornare su quello scabroso argomento, si arrovellava a interrogarsi se potesse risultare credibile che una ragazza dall’aspetto così banale come lei avesse conquistato il cuore di un uomo così attraente e sicuro di sé come lui, e soprattutto come avrebbero potuto improvvisare senza essersi nemmeno messi d’accordo di fronte ad eventuali domande scomode.

Ryo d’altra parte stava compiendo uno sforzo abnorme per non catapultarsi all’inseguimento di qualsiasi essere femminile, fingendo di essere completamente a suo agio nell’accompagnarsi a lei.  Di tanto in tanto aveva fatto dondolare una mano verso la sua, provando ad afferrarla, per poi frenarsi, considerandola una cosa da bambini. Un braccio attorno al fianco invece avrebbe potuto sembrarle troppo intimo e audace. Nell’indecisione aveva rimesso le mani in tasca.

«Posso prenderti a braccetto?», gli domandò lei con semplicità, dopo averlo già fatto.
«Va bene», le accordò di rimando, rilassandosi e vedendola sorridere di sottecchi.

Le aveva chiesto di non comportarsi o vestirsi in maniera troppo diversa dal solito, ma quando l’aveva vista aspettarlo sull’uscio con quella stretta minigonna che risaltava la sua vita sottile e metteva in mostra le sue gambe slanciate anche senza tacco, per qualche secondo aveva inevitabilmente pensato che non fosse affatto malaccio e che quella sua aria così sobria e sbarazzina avesse il suo perché. Anche qualche altro maschio se ne accorgeva e torceva il collo al suo passaggio, invece la diretta interessata era così sbadata che sembrava proprio non notarlo.

«Non c’è bisogno che mi stringi così tanto», la punzecchiò fingendosi inorridito, quando arrivò a percepire contro il suo gomito la morbida curva del suo seno.
Kaori arrossì sensibilmente, scostandosi appena: «Non lo sto facendo», mentì sapendo di mentire.
«Sì invece», perseverò irritato lui, raddrizzandosi con uno strattone, ma non riuscendo e non volendo spezzare completamente quel piacevole contatto.
«Quindi lavoravi per la Yakuza?», azzardò a chiedergli di punto in bianco lei, senza alcun intento critico, solo per cercare di non badare a quanto fossero insolitamente vicini.
Lui divenne un po’ teso, scrollando le spalle: «Errori di gioventù», glissò lapidario, tra il serio e il faceto. Si bloccò e lei lo copiò, seguendo la traiettoria del suo sguardo.

«Oh eccoti», si frappose una voce flautata ma intrisa di livore.
Se da lontano e in quei pochi secondi in cui aveva potuto osservarla le era parsa graziosa, adesso che poteva apprezzare la gradazione verde cangiante delle sue iridi che illuminavano un viso dai lineamenti levigati e risaltati da un trucco curato, incorniciato da un caschetto di liscissimi capelli d’ebano che si abbinavano ad un corpo elegante e formoso, racchiuso in provocanti abiti griffati, Kaori pensò di trovarsi di fronte ad un’autentica maliarda in grado di far perdere irrimediabilmente la testa a quell’invasato del suo partner in uno schiocco.

Contrariamente a quanto aveva temuto, Ryo la tenne a distanza, salutandola con cortesia ma rimanendo quasi gelido nei suoi riguardi: «Usagi. Te l’avevo detto che sono impegnato».

«Credevo lo fossi con una cliente», ribatté malignamente quella, sezionandola con un misto di sufficienza e astiosità, che le suscitò tanto disagio quanto malanimo, seccandole le corde vocali. Ma il suo partner al momento sembrava non necessitare del suo aiuto per respingere quelle antipatiche frecciatine.
«Beh, Kaori lo era all’inizio, ma poi … fra noi è nato qualcosa di più», sostenne persuasivo ammiccando a lei, che, benché consapevole della finzione, si sentì sciogliere da quelle semplici parole e fissò la punta delle sue consunte ballerine.

Un luccichio torvo baluginò tra i denti e le pupille della bella pretendente: «Se la ami così tanto, come mai l’altra sera eri fuori, tutto solo, a fare il pappagallo con altre donne? Questa qui non ti soddisfa?», insinuò sferzante, instillando stavolta un profondo rincrescimento nell’animo della finta coppia. I due si scambiarono un’occhiata colma d’imbarazzo, con la differenza che quella di Kaori era in più anche parecchio inasprita.

In un attimo abbandonò la sua apparenza di acqua cheta e quella sua latente tempra passionale deflagrò senza più freni: «Smorfiosetta, sentimi bene. Tu non hai nessun diritto di sputare sentenze sulla nostra vita privata! Io e te dobbiamo parlare! Aspettami lì!», le ordinò con l’animosità di chi fosse sull’orlo di un esaurimento nervoso.

Ryo, intuendo l’antifona e confidando sul fatto che quelle due teste calde si sarebbero scornate per bene, si era un po’ defilato e stava per svignarsela, quando la sua socia lo agguantò per il bavero della giacca: «Dimmi la verità … Tu e lei vi siete già  divertiti?», sibilò cominciando a stingergli la gola, scuotendolo come una maracas.
«Intendi se me la sono fatta? Ti pare il momento di essere gelosa?», tossicchiò lui, tentando di appiattirsi contro un muro per essere meno visibile dalla gente che passava di lì restando sconcertata per quell’insolita scena. Non si vedeva tutti i giorni una donna picchiare il proprio compagno.
«Mi serve saperlo per la balla con cui intendo raggirarla. E non prendermi in giro!», precisò incontrovertibile Kaori, piantandogli un ginocchio nello stomaco.
«Appena ha menzionato i vocaboli “matrimonio”, “responsabilità” e “figli” il mio potentissimo mokkori si è ammosciato. Un po’ come quando vedo te», asserì in un rantolo pietoso e dolorante lui.

Lei inspirò allentando quella terribile morsa, quasi neanche prestando attenzione all’ennesima irrisione lanciatagli dal socio: «Benissimo!», stabilì con piglio meditabondo e intimidatorio, lasciandolo in mezzo a quel caotico via vai a riprendersi dalle percosse.

Cosa che, come sempre, avvenne in un lampo. Friggendo dalla curiosità di origliare quella conversazione, lo sweeper compì qualche passo furtivo, acquattandosi tra i vasi e i tavolini del bar in cui le due ragazze si erano accomodate, ignorandolo, pur se era al centro della loro animata chiacchierata. E rimase impressionato dalla spigliatezza con cui la sua socia riuscì ad inventarsi su due piedi una storia fasulla così ricca di particolari. Un po’ si sentì anche colpevole per averla corrotta a tal punto da renderla tanto capace di dire il falso, anche se per una buona causa, ma appena giunse alle battute finali di quel racconto immaginario, in lui prevalse un certo affronto, misto ad irritazione.

Le due ipotetiche rivali comunque si separarono con un rispettoso abbraccio. Kaori era capace di farsi ben volere da tutti. Ryo decise di abbandonare il campo, facendosi inghiottire dalle caotiche vie che sfociavano nei bassifondi della città. Con lei avrebbe fatto i conti al suo ritorno.

Stava oramai calando la sera quando salì in terrazza, trovandola, come aveva intuito non sentendola in nessuna stanza, a stendere la biancheria. Rientrata nei suoi inoffensivi panni casalinghi, si adoperava a svolgere le solite faccende con apparente serenità, nonostante la piccola turbolenza appena affrontata.

«Hai infranto il suo sogno», attaccò con tono neutro ma sottilmente avverso, sorpassandola per andare ad affacciarsi sul panorama, gli avambracci poggiati sulla ringhiera e il venticello mite a smuovergli un po’ i capelli.

Kaori fermò una pinza al lenzuolo: «Ah perché sposarsi con te lo definiresti un sogno?», ribatté sardonica, non stupendosi troppo del fatto che lui potesse aver ascoltato tutto.

Il socio si voltò di scatto, investendola con un’espressione che pareva sprizzare fuoco e fiamme: «Io impotente in seguito ad un incidente sul lavoro?! Me ne vado per locali solo perché ho nostalgia del passato e devo essere compatito!» proruppe furente, essendosi trattenuto con grande fatica durante il momento in cui si era sentito infangare da quella vergognosa calunnia. «Perché ti sei inventata una bugia così terrificante?! Sei stata cattiva! Mi hai rovinato la reputazione! Non potrò più andare ad Osaka!», continuò a gesticolare e frignare, buttandosi per terra.

La ragazza non si lasciò turbare eccessivamente da quel teatrale piagnisteo: «Volevi che ti lasciasse in pace. E adesso non dovrai più preoccuparti. Gli Yakuza ci tengono ad avere degli eredi e tu non vai bene», affermò con inappuntabile senso pratico. «E comunque penso che quell’Usagi sarà troppo traumatizzata per parlarne con qualcuno».

«Come ti è potuta venire in mente una storia così insensata!», insistette incaponito, non volendo sentire ragioni per quello che reputava quasi un tradimento nei suoi riguardi. Lei però ostentava una flemma innaturale, seguitando ad appendere magliette e mutande.

Le si piazzò davanti, bloccandola tra lui e il muro: «E così le hai fatto credere che il nostro amore sarebbe platonico? Che grande stronzata …».

Nella sua intonazione a Kaori parve di cogliere dell’amara ironia che per qualche attimo la destabilizzò, facendole correre un brivido lungo la schiena e tremolare le caviglie. Deglutì un grumo di saliva, cercando di sostenere il suo sguardo penetrante senza tradirsi: «Mi sono ispirata ad un fatto vero … Di cui ho letto su una rivista dal parrucchiere».

Il volto di Ryo si distese, schiarendosi da quell’indefinita torbidezza di cui si era offuscato: «Forse in fondo sei una buona amica», approvò dandole una leggera pacca sulla spalla, inarcando gli angoli della bocca. «Comunque resti un’insopportabile peste!» la accusò impertinente, volgendole una linguaccia, chinandosi e raccogliendo dei calzini bagnati dalla cesta del bucato per poi tirarglieli addosso.

La reazione della sua socia non si fece attendere: appallottolò un asciugamano di spugna e glielo scagliò contro, dando inizio ad una battaglia senza esclusione di colpi.
   
 
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