Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    21/04/2020    16 recensioni
Era stato l’ultimo ad essere accolto all’agenzia di ricerca di nuovi talenti nel mondo della musica, l’ultimo di conseguenza ad essersi unito al gruppo.
Park Jimin, questo il suo nome: un nome che Jeon Jungkook, neppure con tutta la forza di volontà del mondo avrebbe potuto dimenticare. Un nome che già conosceva, e che aveva imparato a detestare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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No time for Regrets

Busan? Why that place?



Taehyung stava gongolando poggiandosi totalmente di peso sulla spalla di Jimin, mentre quest’ultimo lo stava portando sulla schiena con non poca fatica. Erano più o meno della stessa altezza e dalla stazza simile, ma lui era stremato dall’allenamento; faticava ad avanzare, complice una fitta alla schiena che puntellava sulle costole ad ogni falcata. Sbuffava.
«Mi dispiace.» Non era propriamente vero, Tae stava godendo del contatto caldo con quel corpo sconosciuto ma confortevole. «Se vuoi posso scendere. Ce la faccio, davvero, posso arrivare alle docce in un attimo.»
Naturalmente sentendosi male prima, invece di raggiungere gli spogliatoi, aveva corso in direzione opposta. Il passaggio al post allenamento quindi doveva svolgersi per forza in un altro servizio.
«Fa nulla, scherzi? Hai detto che facevi fatica a rialzarti. Avrei dovuto lasciarti lì?» Jimin indicò il bagno dietro di sé con un cenno del capo ed incontrò di sfuggita lo sguardo di Namjoon che attendeva – incuriosito, più che preoccupato – di sapere cosa fosse accaduto, stringendo tra le mani una seconda tazza di plastica con all’interno un caffè solubile rovente. Sorseggiò sollevando un sopracciglio e tossì convulsamente, la lingua ustionata. Gli altri due lo guardarono divertiti per poi ripercorrere lo stretto corridoio che portava alla sala prove, senza far caso alla figura di Jin che si stava avvicinando al collega con un’espressione seria in volto.
Per qualche recondito motivo Jimin sentiva contrarsi lo stomaco all’idea di passare davanti alla stanza con un’enorme zavorra caricata su di lui; non era propriamente vergogna, forse la parola “imbarazzo” avrebbe descritto meglio quella morsa all’esofago. Sentiva il respiro accelerato del giovane solleticargli l’orecchio ed i capelli arruffati dall’allenamento interrotto da poco, e la cosa creava non poco disagio. “Vicino, troppo vicino…” si ripeteva in testa ricordando quanto fosse difficile per lui gestire un contatto fisico tanto impattante come in quel caso. “Troppo.” Percepì un brivido di disagio scuotergli le braccia, un gesto che Taehyung non aveva mancato di notare; quest’ultimo si sporse in avanti sfiorandogli il collo con il viso.
«Tutto a posto?»
Certo che no, come poteva esserlo? Mantenne l’equilibrio per miracolo dimenandosi sotto al tocco casuale di quel ragazzo che non poteva reputare in altra maniera se non un mezzo sconosciuto ingombrante. Si stabilizzò sospirando per la mancata caduta quando si scontrò con la persona che meno desiderava vedere in quel preciso istante.
Jungkook.
Quest’ultimo non lo stava guardando, si era semplicemente sporto dall’uscio della sala per controllare cosa stesse accadendo ed in qualche modo non si stupì di vedere l’amico avvinghiato al torso dell’altro.
«Sei davvero pessimo.»
Sparì all’interno senza dire altro.
Il gelo diffuso dal petto alle punte delle dita si ritirò così com’era apparso.
Taehyung sussurrò con fare conciliante: «Ehi, Jimin, andiamo dai.»
La sensazione di freddo distacco si sciolse leggermente quando lo vide fare la linguaccia in direzione del gruppo. Quando il più giovane scorse il gesto di stizza dirigendosi nuovamente verso l’esterno della sala prove, lui spronò Jimin a correre veloce, più veloce che poteva, ridendo col braccio rivolto verso il cielo.


«Buonanotte allora.»
Tutti i presenti risposero in coro al saluto di Taehyung, stipati in camera, la solita luce fioca del lampione esterno a tenere compagnia alla mancanza di sonno di Yoongi. Era stata una giornata snervante la sua. Era stato sfiancante dividersi tra gli allenamenti, la stesura dei testi delle canzoni e il malumore di Jungkook. Finalmente poteva dedicarsi ad una delle sue attività preferite, riposare.
Se solo ci fosse riuscito, naturalmente.
Non comprendeva perché Namjoon e Jin mancassero all’appello; detestava avere a che fare con persone incostanti e senza alcuna abitudine continuativa. Per lui la routine era fondamentale, e se a quell’ora precisa non tutti fossero stati presenti in camera completamente immersi nel mondo dei sogni, allora l’equilibrio si sarebbe spezzato.
Detestava il disequilibrio.
Tanto quanto allenarsi assiduamente a livello fisico.
Conscio di non riuscire a prendere sonno in alcun modo decise di scoprire il motivo di quell’anomalia; ci provò, cercò i ragazzi tra le stanze adiacenti ma senza successo. Si incamminò in direzione della sala relax sperando di schiarirsi le idee con un caffè amaro ma si fermò accanto alla porta quando udì due voci familiari sussurrare nel buio della stanzetta.
Non avevano neppure acceso la luce, si affidavano al neon d’emergenza posto in corridoio a qualche metro da loro. Avrebbe origliato, non era certo la prima volta in cui l’aveva fatto. Anzi, proprio grazie alla sua bramosa fame inopportuna di informazioni, era venuto a conoscenza qualche tempo prima di un particolare legato all’eccessiva ed inconsueta sensibilità di Jungkook mostrata nell’ultimo periodo.


Strano come potesse esserci qualcuno ancora in giro a quell’ora. Era tardi eppure così presto, giusto poco prima dell’alba. Yoongi era stato svegliato dal caldo eccessivo in camera e dal russare indisturbato di Hoseok; dopo avergli scaraventato addosso uno dei cuscini con cui era solito addormentarsi, senza ottener alcun risultato si alzò sbuffando muovendosi per il dormitorio alla ricerca di un po’ di refrigerio, scalzo ed indossando un semplice paio di boxer: non s’era vestito, non avrebbe incontrato nessuno a quell’ora. Proseguiva per i corridoi, il nervosismo sempre maggiore, le dita a sfregarsi tra loro tentando inutilmente di smaltire le sensazioni negative e le imprecazioni che stava mormorando.
Non fu una luce accesa ad attirare la sua attenzione all’interno di un ufficio, precisamente quello dei piani alti, se così poteva definirsi una stanza come le altre, stessa porta in legno, stesso tipo di targhetta ad identificarla. Anonima, esattamente come tutto il resto.
Era aperta.
Quello sì che era decisamente strano: ogni dipendente a fine turno avrebbe dovuto chiudere e consegnare le chiavi in portineria.
Yoongi inghiottì trattenendo il respiro più del dovuto; sentì lo stomaco contorcersi su se stesso, rimescolando i succhi gastrici e riversandoglieli in bocca bruciando l’esofago. “Cazzo.”
Si avvicinò in punta di piedi, sembrava ogni passo si facesse più pesante.
Più rumoroso.
Dannatamente udibile da chiunque.
Respirava a bocca aperta, il battito cardiaco pulsava nei timpani. Accelerato. Se avesse continuato così, gli sarebbe venuto un infarto.
C’era qualcuno, ne era certo ormai.
C’era perché ne distingueva l’ombra attraverso la luce della città che passava dalla finestra della stanza.
“Cazzo… Brutto stronzo.”
Era Jungkook.
Si stava facendo divorare dall’ansia per il più giovane, e quando se ne rese davvero conto imprecò sorridendo sarcastico per poi scostare la porta socchiusa. Lo avrebbe insultato sicuramente, gliene avrebbe dette di tutti i colori, l’avrebbe pagata quel piccoletto.
Questo pensò, finché non lo vide girarsi di scatto, le lacrime agli occhi.
Lacrime di rabbia, le sopracciglia aggrottare, una cartelletta con dei fogli appuntati tra le dita. Tremavano, ne era sicuro. La stanza era sufficientemente illuminata per mostrare nella penombra l’amico che stava collassando su se stesso per la prima volta. Quest’ultimo lo fissò per un attimo; un solo attimo che bastò a mostrarne tutte le debolezze attraverso quelle iridi lucide rivelate nella tarda notte.
Scappò Jungkook, scappò dalla stanza dopo aver scaraventato sulla scrivania i documenti. Il colpo secco rimbombò fino alle orecchie di Yoongi, disabituato al rumore nell’edificio vuoto. Scappò urtando la spalla del ragazzo e correndo in corridoio in direzione della camera.
Lui non poté fare a meno di controllare cosa ci fosse scritto. Non lo aveva mai visto in quelle condizioni, doveva essere qualcosa di orribile, sconvolgente, tanto da portare un ragazzino a frugare di nascosto in uno degli uffici amministrativi dopo aver rubato le chiavi per accedervi; tanto da farlo correre via senza dire una parola ad uno degli amici più fidati che aveva.
Tanto da farlo incazzare enormemente fino alle lacrime.

                 Park Jimin, 1995/10/13, Busan – Selected

Non si erano ancora esposti quelli dell’azienda: non avrebbero rivelato il nome avevano detto. Non era necessario conoscerlo anticipatamente.
I ragazzi avrebbero incontrato l’ultimo candidato a tempo debito, così era stato riferito.
Strano come la coincidenza saltò all’occhio di Yoongi solo dopo.
Busan non solo era la tra le più grandi città portuali dello stato:

                Jeon Jungkook, 1997/09/01, Busan – Selected

Era anche il luogo dove aveva vissuto l’amico prima di trasferirsi nella capitale per intraprendere la carriera da idol come apprendista appena quindicenne.




La voce di Jin riportò Yoongi al presente, scuotendolo dai propri ricordi; si poggiò alla superficie ruvida del muro accostandosi all’uscio, tanto da poter ascoltare senza farsi vedere. Non avrebbe ripetuto lo stesso errore, non si sarebbe fatto beccare di nuovo.
«Sei riuscito a capirci qualcosa parlando con quel Park?»
Stavano parlando del nuovo arrivato.
«No, purtroppo la corsa di Taehyung mi ha interrotto mentre stavo chiedendo di Jungkook.» Namjoon stava dunque tentando di spronare Jimin ad aprirsi e rivelare il motivo dell’astio mostrato in sua presenza.
«Cazzo, possibile sia sempre in mezzo? Non è mai capace di stare al suo posto.»
«Jin, sai che è fatto così, non puoi certo giudicarlo per questo.»
L’altro sbatté il pugno contro qualcosa di duro, tanto da far sobbalzare chi li stava spiando. «Non ha tredici anni, non può vivere sempre in piena crisi ormonale. Gli sta appiccicato, non gli leva gli occhi di dosso neanche a pagarlo oro.»
Namjoon ravvivò i capelli biondi scuotendoli con lunghe dita impazienti.
«Ti infastidisce perché non sei al centro dell’attenzione?» Lo aveva zittito con una semplicità tale… «Dobbiamo trovare una soluzione al più presto. Metti da parte il tuo orgoglio, lascia che Taehyung continui a stargli dietro, non puoi farci niente. Benedetta sindrome da cucciolo abbandonato.»
«Te la sei appena inventata per giustificarlo?»
«Potrebbe essere.» Rise Nam di rimando.
Yoongi tentava di comprendere dove volessero andare a parare esattamente, ma il loro discorso non diceva nulla di nuovo. Non aveva né capo né coda.
«Quei due dovranno appianare i loro problemi a costo di chiuderli in una stanza e buttare la chiave.»
«Sai, non sarebbe una brutta idea.»
Dall’esterno lui sperava d’aver capito male. Non potevano essere davvero così stupidi da pensare di inscenare un qualche piano per portar pace tra i due litiganti. Era assurdo, immaturo e assurdo.
Il moro si mise a ridere. Non prometteva nulla di buono.
Yoongi si staccò piano dalla parete divisoria allontanandosi in punta di piedi; l’addome teso, i denti stretti, il malumore a scuoterlo fastidiosamente. Dentro di sé avvertiva una strana sensazione, sarebbe successo qualcosa di lì a breve ne era sicuro. Che i due stessero complottando per riuscire a sistemare la cosa a modo loro? Di Namjoon poteva fidarsi ciecamente, era una persona troppo genuina per poter tramare qualcosa. Jin? Di Jin sapeva tante cose, ed una in particolare gli ronzava per la testa: lui aveva abbandonato una carriera diversa e una volta gli aveva confidato che avrebbe fatto di tutto per ottenere il successo cui anelava. Quel “di tutto” non smetteva di torturarlo. Avrebbe dovuto parlare con Jungkook e sistemare tutto prima che la situazione potesse sfuggire di mano.
   
 
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