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Autore: marila96    25/04/2020    1 recensioni
Premetto che la storia deriva da un mio pazzo sogno fatto qualche anno fa con protagoniste due gemelle, è una storia scritta a quattro mani, speriamo vi piaccia, ho iniziato a pubblicarla anche su Wattpad con il nick name di marina20996.
Tratto dal testo:
La vita delle due gemelle viene sconvolta improvvisamente. All'età di sedici anni, sono costrette ad abbandonare la bellissima Italia e i luoghi in cui sono cresciute per trasferirsi in America, a causa del lavoro dei genitori.
Nello stesso quartiere, nella casa a fianco e di fronte, vivono due ragazzi, amici fra loro fin da piccoli. Si chiamano Zac e Ian, hanno due anni più delle gemelle, e nessuno dei quattro sa che fra loro sarebbe nata una grande amicizia o forse qualcosa di più.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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«Sara Danielle Bova se non ti sbrighi a scendere perderemo l’aereo» urla la mamma dal piano di sotto.
Mia mamma non è una persona che si arrabbia spesso; di solito preferisce parlare dei problemi e trovare una soluzione intelligente e pacifica, ma so che quando alza la voce vuol dire che c’è qualcosa che davvero non va. Sono le 5 del mattino e il nostro aereo per Los Angeles parte fra due ore quindi se non mi sbrigo rischiamo davvero di perderlo, ma ad essere sinceri non mi importa molto. 
La questione è semplice: io non voglio trasferirmi. Metà delle persone, come mia sorella Marina, non vedono l’ora di partire per l’America e l’altra metà, come le mie amiche, vorrebbero essere al mio posto, ma io amo la mia vita in Italia: la campagna Toscana, il mare della Sardegna, i negozi di Milano e la mia amata Roma; i monumenti, i musei e il mio posto preferito in assoluto il Colosseo. Mi mancherà tutto di Roma; il traffico, la metro affollata, le mie amiche, le mie cugine Martina e Silvia, perfino la scuola americana. Poi ovviamente mi mancheranno i nonni, loro vivono a Firenze, ma andiamo e vengono spesso a trovarci. È a Firenze che la mamma e il papà si sono conosciuti e subito innamorati ed è lì che io e Marina siamo nate.
La mamma nonostante fosse americana ha deciso di rimanere in Italia con noi, ma ovviamente essendo entrambi attori hanno capito che Roma sarebbe stata più adatta per la loro carriera così quando eravamo piccole ci siamo traferiti qui. Questo è un altro motivo per cui non voglio trasferirmi di nuovo, anche se non ricordo quasi nulla della vita a Firenze, non voglio essere una di quelle famiglie che cambiano casa continuamente, poi ormai ho quindici anni, sono a metà delle superiori e so, guardando un sacco di film, che quando una ragazza arriva in una nuova scuola le cose non vanno mai bene. 
«Ei, tutto apposto? Se non scendi subito alla mamma verrà una crisi».
La voce di Marina mi riscuote dai miei pensieri. «Si lo so ora scendo devo solo finire di preparare questi scatoloni» le dico un po' scocciata.
«Vuoi una mano?» si limita a chiedermi. 
Marina non è solo mia sorella gemella è anche la mia migliore amica quindi sa che quando rispondo in quel modo la cosa migliore è lasciarmi perdere, ma ovviamente non manca di farmi sentire la sua presenza. 
«Grazie».
Con il suo aiuto in poco tempo finisco di mettere le cose che non uso più negli scatolini e dopo aver chiuso l’ultimo e averci scritto sopra “BENEFICIENZA” scendiamo entrambe di sotto. 
«Finalmente, forza andiamo!» dice la mamma uscendo di corsa di casa, alzo gli occhi al cielo, do un ultimo sguardo alla mia ormai “vecchia” casa e seguo Marina, papà e mamma al taxi.
Il tragitto da casa all’aeroporto non è molto lungo soprattutto perché è davvero presto e non ci sono molte macchine in giro, mentre guardo Roma scorrere veloce dal finestrino prendo il telefono e scrivo un messaggio ad Ale, il mio migliore amico oltre a Marina, per dirgli che sto partendo e che mi mancherà un sacco. Ovviamente non risponde così mi metto le cuffie alle orecchie, faccio partire la playlist di Einaudi e appoggio la testa al finestrino chiudendo gli occhi. Quando arriviamo all’aeroporto scarichiamo le valigie dal taxi e ci avviamo ai controlli e al gate con su scritto “Los Angeles”. Dopo quella che mi sembra un’eternità finalmente chiamano il nostro volo e dopo nuovi controlli dei passaporti e dei biglietti saliamo sull’aereo più grande che abbia mai visto. 
Abbiamo fatto molti viaggi con mamma e papà, ma mai così lunghi e, anche se sembra strano dirlo, non siamo mai state in America; i genitori della mamma sono morti quando eravamo piccole quindi prima d’ora non c’era mai stata occasione di andare lì. Saliti sull’aereo le hostess di volo ci mostrano i nostri posti in prima classe e, dopo aver fatto “sasso, carta, forbici” con Marina e aver vinto, mi siedo comodamente vicino al finestrino “pronta” a partire. 
Finalmente, dopo un cambio e più di sedici ore di volo, alle 15:30 locali atterriamo a LA. Recuperate le nostre valigie usciamo dall’aeroporto dove una macchina noleggiata da papà ci sta aspettando per portarci a casa. La mamma non ha mai voluto mostrarci una sola foto della nuova casa, voleva che fosse una sorpresa ed è per questo che qualche settimana prima era venuta fin qua per sistemare tutto e farci sentire fin da subito a casa. Ho sempre amato la sua premura e il suo essere sempre disponibile, ma so anche che ha fatto tutto questo per cercare di farsi perdonare dato che è per colpa del suo lavoro che ci siamo dovuti trasferire. 
«Terra chiama Saraaa»
«Che c’è?» rispondo seccata a mia sorella.
«Siamo arrivate. Wow guarda che roba!! Smettila di avere quel muso, è bellissima» dice lei rivolta alla villetta davanti alla quale ci siamo fermati. 
Guardandola per bene vedo che è in tipico stile americano, bianca, a due piani, con la veranda sul davanti e con dietro, probabilmente, un enorme giardino.
«Amore vuoi scendere dalla macchina e venire a prendere la tua valigia?» mi dice papà. “Cavolo mi sono di nuovo incantata”. Sbuffando esco dalla macchina e raggiungo papà al bagagliaio «E’ rimasta solo la tua, pensi di farcela da sola?» mi dice lui con le mani già piene.
«Sì certo vai pure arrivo subito.»
«Ok forse non è così facile come pensavo» dico tra me e me, mentre cerco in ogni modo di far uscire la valigia. 
«Lascia faccio io» dice una voce alle mie spalle facendomi sobbalzare.
«Scusa non volevo spaventarti. Io sono Zac vivo nella casa qui davanti, ti ho visto in difficoltà e volevo aiutarti.» 
Vorrei ringraziarlo, ma le parole non mi escono dalla bocca, così resto ferma a guardarlo mentre con estrema facilità prende la mia valigia e l’appoggia davanti a me. 
«Tu non parli molto eh?» mi dice notando la mia espressione vuota.
«Sembri Ian» aggiunge indicando un ragazzo che fino a quel momento non avevo notato. 
Prima era fermo davanti casa con un sorrisetto stampato in faccia quasi fosse divertito dal comportamento mio e di Zac, poi si incammina verso di noi con lo sguardo serio e il solito sorrisetto che sono sicura faccia cadere ai suoi piedi molte ragazze. Ma non è quello a colpirmi di più, sono i suoi occhi, incredibili occhi color ghiaccio che catturano i miei impedendomi di ragionare. Dopo quella che mi sembra un’eternità, ma che in realtà sono solo pochi secondi si ferma davanti a me, mi squadra da capo a piedi e quello che leggo nel suo sguardo è un misto tra sorpresa e disgusto.
Non mi sono mai reputata una brutta ragazza, non sono certo una di quelle cheerleader alle quali lui forse è abituato, ma non penso di essere male. Non sono troppo magra, ho le curve al posto giusto, un po' di fianchi e il seno prosperoso, ma a detta di mia nonna è il viso ad essere la parte migliore di me; ho il naso a patatina, labbra carnose e occhi azzurro-dorati. Dopo avermi fatto quasi una radiografia Ian si volta verso Zac e gli dice «Ei fratello andiamo? Non voglio perdere altro tempo» dice guardandomi per poi aggiungere «Dobbiamo allenarci.» 
Solo in quel momento mi rendo conto che entrambi portano pantaloncini sportivi e una t-shirt, Zac aveva i cappelli biondo-castano all’aria, mentre Ian portava i suoi dentro un cappellino, anche se qualche ciuffo nero ribelle gli sfuggiva, entrambi erano molto belli, ma a parer mio Ian lo era molto di più. 
«Sì certo andiamo stavo solo aiutando...?» comincia a dire Zac prima di rendersi conto di non conoscere il mio nome.
«Sara» rispondo semplicemente. 
«Piacere Sara, io come ti ho già detto sono Zac e lo sbruffone qui accanto a me è Ian. Ti sei appena trasferita?»  chiede curioso prima di essere interrotto da Ian.
«Senti fratello lascia perdere andiamo» dice prendendo Zac per un braccio e allontanandolo un po' da me. 
Quel ragazzo, per quanto fosse incredibilmente bello, stava già cominciando a stancarmi così sbottai «Senti ma chi ti credi di essere, tuo fratello è stato molto gentile con me al contrario tuo che ti sei limitato ad osservare sghignazzando, quindi se vuole è libero di chiedermi qualsiasi cosa».
«Cavolo Ian hai trovato pane per i tuoi denti eh?» afferma Zac ridendo mentre Ian mi guarda dapprima confuso, ma tornando subito sicuro di sé.
«Scusa tesoro non volevo farti innervosire, allora dicci ti sei appena trasferita?»
«Sì esatto» rispondo sostenendo il suo sguardo «Ora se non vi dispiace devo andare a sistemare le mie cose, grazie Zac» dico rivolta a quest’ultimo e senza rivolgere uno sguardo a Ian mi incammino verso casa tirandomi la valigia dietro senza prestare attenzione alle risatine alle mie spalle.
  
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