Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Angelica Cicatrice    27/04/2020    1 recensioni
Roxanne è sempre vissuta nella sua valle in miniatura, lontana da ogni pericolo e minaccia del mondo esterno. Il suo sogno è quello di poter conoscere ciò che si cela oltre la siepe di arbusti. Una vicenda terribile la porterà ad affrontare una grande impresa, ma da sola è così difficile e pericoloso. Per fortuna, o quasi, si ritroverà in una tribù di fauni selvaggi, e il loro capo Clopin Trouillefou, la aiuterà nella missione; trovare e fermare una mostruosa creatura che sta seminando il caos in tutto il territorio. Se amate la mitologia greca allora adorerete questo crossover tra i personaggi del gobbo di Notre Dame e le trame di intriganti leggende, con tanto di creature fantastiche.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clopin, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                  Nella tenda del fauno

 
Un gufo solitario se ne stava tranquillo sul ramo di un albero, ed era concentrato sulla scena che si presentava sotto ai suoi occhi. Il gruppo di aggressori dalle corna ondulate era stato disturbato, nel momento più eccitante della caccia, da un nuovo arrivato. Mentre tutti erano in ginocchio, con la faccia rivolta in basso, la sventurata Roxanne era rimasta con le gambe nude premute sul terreno. Il suo animo era scosso e un attimo prima si era sentita perduta. Colui che si era presentato all’ultimo momento doveva trattarsi del capo della banda. Un essere metà uomo e metà bestia. Il capo dei fauni, Klopin.

Pv Roxanne

- Brava, Djali. Hai fatto bene ad avvisarmi – sentì dire da quel tizio, nella penombra. La bestiola accanto a lui belò soddisfatta, mentre una mano le coccolava il mento. Dopo di ché avvertì il suono degli zoccoli che si muovevano sul suolo, e compresi che quella “persona” si stava avvicinando. La luce giallastra delle torce si espanse su di lui e finalmente potei vederlo in tutta la sua forma. Proprio come i suoi simili, aveva il busto superiore da umano mentre la parte inferiore di animale. Ciò che, per un comune mortale, dovevano essere fianchi e gambe, tutto era ricoperto da una folta pelliccia color castagna. Gli zoccoli, che sporgevano dai ciuffi marroni del mantello, erano color carbone. Ovviamente non mancavano le corna ondulate che rilucevano come monete alla luce delle torce. A differenza degli altri, che bene o male portavano addosso qualche logoro straccio, egli indossava una mantella di colore viola scuro, che gli copriva le spalle e parte dei pettorali. I polsi erano fasciati da un paio di bende scure, e a parte la pelliccia non portava brache. Bastava tutto quel pelo vaporoso per coprirgli il resto al di sotto dell’ombelico.
- Klopin, sei arrivato giusto in tempo – disse con tono basso e mansueto uno della banda – abbiamo scoperto questa ninfa dei boschi caduta in una delle nostre trappole -.
- Lo vedo benissimo, Tadeus. Sono un fauno, mica cieco – disse con voce severa il capo, mentre faceva ruotare tra le dita il bastone. Sentendomi chiamata in causa, avvertì nuovamente l’ansia e un brivido mi percorse tutta la spina dorsale. Il fauno, come si era definito lui stesso, la creatura che non sapevo ancora se considerarlo il mio salvatore, si mosse lentamente verso la mia direzione. Tutti rimasero in silenzio, in uno stato di attesa nervosa. In pochi secondi quel Klopin si inginocchiò e mi trovai faccia a faccia con lui. Spaventata mi ritrassi di un po’.
- Tranquilla, non devi aver paura di me – mi rassicurò lui. In quel momento la sua voce mi arrivò calda e gentile. Questo mi diede il coraggio di guardarlo per bene. I suoi occhi erano neri come la notte, così come i capelli che gli toccavano appena le spalle. La pelle era ambrata e sotto il mento spigoloso spuntava un ciuffetto nero, che ricordava quello della strana pecorella.
- Come ti chiami? – mi chiese, dopo avermi studiato a sua volta. Con un po’ di titubanza, risposi:
- Roxanne.. -.
Il volto di Klopin si addolcì con un mezzo sorriso, come per cercare di rincuorarmi.
- Va tutto bene, Roxanne, qui nessuno ti farà del male – mi disse poi, con quella voce vellutata. Non ero per niente sicura di potermi fidare, dopo il brutto trattamento che mi avevano servato i suoi compagni. Lui, in qualche modo, si accorse della mia diffidenza. Mi guardò con più attenzione e il suo sguardò arrivò fino alle mie cosce scoperte. Con delicatezza, come se volesse rispettare il mio stesso pudore, Klopin sfiorò con le dita i lembi sbrindellati della mia veste.
- Cosa ti è successo? – mi chiese, guardandomi un po’ turbato. Sinceramente non mi aspettavo quella domanda, ma non risposi. Mi limitai ad abbassare lo sguardo. Sentivo che tutti gli occhi dei presenti erano fissi su di me.  Nessuno si espresse. Ma quel silenzio valeva più di mille parole, poiché il fauno disse ad alta voce:
- Chi è stato? -.
Ebbi quasi l’impressione di avvertire la paura e la tensione in mezzo a quella cerchia di cacciatori. Ma nessuno di loro si fece avanti. A quel punto, vidi il viso di Klopin deformarsi in una smorfia contrariata. I lineamenti e i contorni degli occhi si indurirono, mentre li faceva vagare da una direzione all’altra. Poi, si alzò in piedi e passeggiò intorno al gruppo, mentre maneggiava il bastone con aria torva. Sembrava un pastore amareggiato che stava decidendo come punire il suo gregge indisciplinato.
- A quanto pare ho fallito come maestro – fece lui, guardando con rimprovero ognuno di loro che incrociava man mano nel suo cammino. Rimasi perplessa, ma anche incuriosita mentre lo seguivo con lo sguardo. Perfino la sua andatura, così distinta sulle zampe posteriori, si distingueva da quella degli altri.
- Sei stato tu, vero Zarias? – disse infine, voltandosi di scatto e alzando il bastone verso il tipo che mi aveva importunata fin dall’inizio. Quest’ultimo tremò leggermente, ma ebbe l’audacia di rispondere:
- Klopin, non ho fatto nulla di cui mi debba rimproverare -.
Il fauno lo fulminò con lo sguardo e sbatté il bastone sul terreno, sollevando una nuvola di polvere.
- Ma certo! Mettere le mani addosso su una fanciulla senza consenso per soddisfare i tuoi bassi impulsi è cosa buona e giusta?! – lo rimproverò con una nota di sarcasmo.
- Ma capo, non è colpa nostra. E’ una ninfetta così graziosa. Volevamo solo essere cordiali con lei – affermò qualcun’altro, mantenendo quella posa di sottomissione. Il fauno sbuffò, stanco di quelle ridicole giustificazioni.
- Che razza di caproni! – tuonò Klopin, facendo tacere tutti, con la sua bella voce tonante – Solo perché avete la pelliccia lì sotto non significa che non possiate usare il cervello. O un minimo di buon senso umano. Siamo fauni, ma non bestie -.
Quella sfuriata era servita a mantenere l’ordine e notai le orecchie di quelle creature abbassarsi per il dispiacere. Sembravano tutti dei cuccioli rimproverati dal proprio padrone.
- Che vi serva di lezione. Imparate ad usare di più quella testaccia cornuta e a comportarvi come si deve -.
Il fauno lanciò un ultimo sguardo severo intorno alla cerchia di sottoposti, mentre questi fecero qualche accenno d’assenso. Poi, dopo aver recuperato il mio mantello che mi era stato strappato di dosso, Klopin mi raggiunse e me lo mise sulle spalle. Quel gesto così semplice, unito al calore della stoffa, mi fece sentire meglio.
- Ti prego di perdonarci. A volte possiamo essere un po’ selvaggi, ma non siamo cattivi, credimi – mi spiegò lui, mentre cercava di coprirmi come poteva con il mantello, ormai lacerato.
- Comunque, se posso sapere, come mai ti trovi in giro nella selva a quest’ora così tarda? – mi chiese il fauno, scrutandomi con i suoi occhi color carbone. Dopo tutto quello che era successo, avevo dimenticato lo scopo della mia impresa. Prima che potessi dire qualcosa, uno della banda intervenne:
- E’ quello che le abbiamo chiesto anche noi, Capo -.
Era uno dei fauni che si era mostrato con gli altri per interrogarmi, dopo avermi liberata dalla rete.
- Grazie, Olmo, adesso ci penso io – gli rispose Klopin rivolgendogli una rapida occhiata.
Quando il fauno tornò a darmi attenzione, e dopo qualche secondo per raccogliere le parole giuste, risposi:
- Sono in viaggio…Io e il mio cerbiatto stavamo cercando legna per il fuoco…e siamo finiti per sbaglio in quella buca -.
Proprio in quel momento, i miei occhi si posarono su Morò, che era a qualche metro di distanza, ancora prigioniero dalle mani dei cacciatori. Seguendo il mio sguardo, Klopin vide il cerbiatto e allora diede l’ordine di lascialo libero. Zoppicando in mal modo, Morò mi raggiunse. Aveva una brutta ferita sulla zampa posteriore destra. Subito lo accolsi tra le mie braccia e lo sentì fremere sia per lo spavento, sia per il dolore.
- Morò, non temere, ci sono io adesso – gli dissi, tenendolo stretto al mio petto. Avevo quasi voglia di piangere per sfogare tutte le mie emozioni.
- Povera bestiola – proferì il capo fauno, mentre studiava la zampa del cerbiatto – Siete stati sfortunati. Quella trappola non era certo per voi. Comunque sia, non è saggio rimanere così allo scoperto in questo posto. Il bosco stesso può diventare una trappola mortale, di notte. Quindi sarebbe meglio se voi due ci seguiste. Vi porteremo al nostro accampamento, un luogo sicuro -.
Appena udii quelle parole, ebbi un attimo di smarrimento. Stava dicendo sul serio? Io dovevo seguire quella tribù di creature selvatiche fino alla loro “tana”? In quell’istante mi tornò in mente l’immagine di mio padre. Di certo, se fosse stato la mia stessa coscienza, mi avrebbe suggerito di rifiutare quell’offerta, anche a costo di rimanere in mezzo alla selva, esposta al freddo e agli eventuali pericoli. Cosa dovevo fare?
- Non temere – aggiunse, avvicinandosi di un altro po’ - ti prometto che nessuno ti tormenterà. Ti affiderò alle mie ancelle personali. Avrai cibo e acqua, e se vuoi una tenda tutta tua. Inoltre, cureremo il tuo animaletto: con una ferita simile non potrà continuare il cammino. Non credi? -.
I miei occhi si abbassarono su Morò, e mille pensieri si contorsero nella testa. La ferita del mio cucciolo non era un semplice graffio. Aveva bisogno di cure mediche, di cibo e di un posto caldo dove poter riposare. Dovevo pensare a lui. Inoltre, quel fauno sembrava più gentile degli altri suoi simili. E se nel caso qualcosa sarebbe andato storto…avevo pur sempre un’arma nascosta nella veste.  A quel punto, alzai lo sguardo per incontrare quello del fauno e accettai il suo invito, senza prolungarmi in altre chiacchiere.
Il tragitto verso l’accampamento della tribù fu più breve di quanto mi aspettassi. Il capo fauno Klopin mi aveva fatto strada e io, mentre portavo Morò in braccio, lo avevo seguito nel più totale silenzio. Quando arrivammo a destinazione, mi accorsi che ci trovavamo in uno spazio stracolmo di tende di ogni tipo, con vari falò dalle fiamme che danzavano nel buio, e tutto era completamente circondato da una fitta barriera di cespugli e alberi. Sembrava un vero e proprio rifugio, ma senza mura. Proprio come aveva promesso, Klopin chiamò le sue ancelle, due donne robuste (anch’esse metà umane e metà animali), e subito si presero cura di me e di Morò. Ci portarono in una tenda color arancio, dove ci attendevano le cure necessarie per riprenderci. Una delle faune mi fece un bel bagno caldo, dentro una tinozza di legno, massaggiandomi spalle e schiena. Fu un momento alquanto imbarazzante, perché non mi aspettavo un trattamento del genere, pari solo a una vera ospite d’onore. Forse perché, nonostante quelle gentilezze, mi sentivo ancora una sorta di prigioniera, più che una fanciulla soccorsa nel momento del bisogno. Proprio per tale motivo, nell’istante in cui mi avevano spogliata delle mie vesti, ero stata molto cauta nel nascondere il coltello che portavo con me. Temevo che le ancelle vedendolo, me lo avrebbero sottratto senza alcun indugio.  Nel frattempo, Morò era stato assistito: gli avevano pulito la ferita, medicata con erbe medicinali, e infine fasciata la zampa. Poi, una volta asciutta, mi fecero indossare una veste nuova (la mia ormai era da buttare, tanto che era ridotta a brandelli), fui ornata da monili e pettinata in modo semplice ma elegante. Guardandomi allo specchio, vidi quella veste del colore dei fiori selvatici, un lilla pastello, la cui stoffa scendeva morbida sulle gambe, mentre mi scolpiva il seno e la vita. Forse un po’ troppo aderente…ma mi piaceva come mi stava. Attorno ai fianchi scorreva una cinta formata da medaglioni dorati, la cui cinturina scendeva su un lato della veste. Mentre i capelli erano intrecciati verso l’alto, e alcune ciocche scendevano lungo una spalla. Non sembravo nemmeno più io, mi vedevo quasi come una donna adulta. Dopo di ché, le due ancelle, che erano state tanto disponibili, mi lasciarono in privato nella tenda. Finalmente io e Morò rimanemmo soli. Mi accostai a lui, che era fermo su un mucchio di cuscini, a poca distanza da un piccolo focolare acceso.
- Come ti senti? – gli chiesi, per poi dare un’occhiata alla sua zampa da poco fasciata. Dovevo ammettere che quelle donne fauno avevano fatto un bel lavoro con la medicazione.
- Sto meglio. Sento ancora un po’ di dolore, ma non come prima – mi rispose Morò, mentre teneva la zampa ben ferma per non farla affaticare. Fui sollevata da quella notizia. Ma non potevo negare che ero un po’preoccupata per la situazione in cui ci eravamo cacciati. Mi chiedevo se potevamo fidarci senza alcun timore di quelle creature. Il modo in cui mi avevano guardata e strappata la veste era una visione che non me la sarei scordata facilmente. Tuttavia, i modi gentili di quel capo fauno, le difese nei miei confronti, e la sua ospitalità mi davano un minimo di speranza. Forse, almeno lui, non era così terribile come i suoi sottoposti…o come le creature delle leggende di cui mi raccontava mio padre. Riflettendoci, cominciai a fare un po’ di teorie: che fossero in realtà quelle le creature orribili da cui da sempre aveva cercato di proteggermi. Padre…
- Sorellona, per quanto tempo dovremmo restare qui? – chiese il cerbiatto, facendomi ridestare da quei pensieri. Lo guardai per pochi secondi e accarezzandogli la testa gli donai un sorriso per rassicurarlo. Già, anche Morò non era così convinto di quella faccenda.
- Tranquillo, ce ne andremo il prima possibile – gli risposi amorevolmente – Appena guarirai e riuscirai a muoverti, riprenderemo il nostro viaggio. Nessuno ce lo impedirà, te lo prometto -.
Il cerbiatto strofinò la testa sulla mi spalla, per cercare quel contatto affettuoso che da sempre ci aveva legati. Molto probabilmente anche lui aveva paura e si sentiva confuso. All'improvviso, la nostra quiete fu interrotta da un suono che proveniva da fuori la tenda. Con mia grande sorpresa vidi la strana pecorella dalle corna ondulate entrare e si avvicinò per presentarsi. Dalla sua piccola bocca uscirono alcuni belati e quando cessarono Morò disse:
- Ha detto “Sono Djali, la capretta di questa tribù. Volevo scusarmi per prima. Per colpa mia siete finiti in quella trappola, ma giuro che non era mia intenzione. Mi sono così spaventata che non ho potuto fare a meno di scappare via” -.
Quella dolce bestiola, di cui, finalmente, conobbi il nome della specie, mi fece sciogliere dall’emozione. Era così adorabile. Allora bisbigliai qualcosa all’orecchio di Morò, e subito dopo egli tradusse tutto attraverso i suoi versi da cerbiatto
“Roxanne, la mia padroncina dice: Sono io che mi devo scusare con te. Sono stata troppo invadente. Ti avevo scambiato per un’altra capretta, una mia vecchia conoscenza. Siamo felici di conoscerti, Djali “.
Poco dopo, vidi la capretta belare contenta e la sua coda si mosse freneticamente. Che dolcezza! Ben presto Djali e Morò si scambiarono varie chiacchiere, sempre tradotte accuratamente da lui. Avevo ormai capito che potevo comunicare facilmente con Morò, ma non potevo fare lo stesso con gli altri animali. Eppure, lo stesso cerbiatto aveva supposto che in me ci fosse qualcosa di speciale, e che quel cambiamento non fosse dovuto solo alla magia del bosco. A un certo punto, i veli della tenda si aprirono di nuovo e si presentò nuovamente una delle ancelle.
- Chiedo venia, mi manda il capo Klopin. Desidera vedervi nella su tenda per un incontro – mi avvisò lei, facendo poi un cenno col capo per poi ritirarsi. Quella notizia non mi sorprese più di tanto. Era prevedibile che prima o poi mi sarei dovuta confrontare con il capo di quella tribù. Mi trovavo pur sempre in “casa” sua. Con un profondo respiro, mi alzai dal cuscino dove mi ero seduta, e mi caricai di coraggio e forza di volontà. Ma poi, guardando Morò, mi posi il seguente problema: non potevo portarlo con me per via della ferita. Il cerbiatto mi aveva sempre seguita, dovunque andassi, fin da quando lo avevo adottato. Come se la capretta mi avesse letto nel pensiero, cominciò a belare, rivolta a me. Morò ovviamente tradusse.
- Ha detto: non preoccuparti, resterò io con lui a fargli compagnia -.
Piacevolmente meravigliata, diedi una carezza a quella bestiola, così amichevole e premurosa.
- Grazie, Djali. Morò, per te va bene? – chiesi poi al cerbiatto. Lui posò lo sguardo sulla sua nuova amica. Osservandola a mia volta, ebbi l’impressione che la capretta fosse molto felice e ansiosa di passare dell’altro tempo con Morò.
- Sì, mi sta bene. Vai pure, sorellona – mi rispose lui, lasciandomi di stucco. Ma tu guarda!
- Va bene. Tornerò presto, sarà questione di un breve colloquio – promisi al mio amico, che era tornato velocemente a rivolgere l’attenzione alla capretta. Sembrava quasi che quei due fossero già divenuti buoni amici. Con il sorriso uscì fuori dalla tenda e le ancelle, che mi avevano aspettato, mi guidarono fino alla tenda del capo fauno. Per tutto il tempo, mentre mi incamminavo, gli sguardi di tutto il resto della tribù furono incollati su di me. Che disagio! Quando mi trovai all’interno della tenda, di colore rosso porpora, mi accorsi che era molto spaziosa e fornita di ogni oggetto di uso quotidiano. A parte i cuscini sul tappeto, vi erano cestini di vimini, coperte, e quattro lanterne che illuminavano lo spazio circostante. Ma notai che non vi era traccia di Klopin.
- C’è nessuno? – dissi con voce chiara, per farmi sentire. Non mi ero ancora accorta che dietro a un separé si stava muovendo un’ombra. Sbucando fuori da lì, il fauno mi accolse con un sorriso e disse:
- Benvenuta nella mia umile dimora -.
Quel sorriso, così spontaneo mi diede un tuffo al cuore. Ma subito tornai con i piedi per terra.
- Grazie…ehm, per tutto – cominciai a dire, cercando le parole adatte – Per averci accolto nel tuo accampamento -.
Sul volto del fauno prese forma un’espressione compiaciuta e fece qualche passo in avanti. I suoi piedi, cioè, volevo dire i suoi zoccoli sembravano più grossi e massicci. 
- Figurati, è un piacere. Prego accomodati – mi invitò a prendere posto su uno dei cuscini, proprio al centro dello spazio. Mi sentì nuovamente nervosa, e mi tormentai le dita per il disagio.
- Non vorrei disturbare… - dissi ed ero già pronta per congedarmi. In fondo, avevo fatto la mia parte, dimostrandogli la mia riconoscenza. Non so, forse mi sentivo troppo intimorita al suo cospetto.
- Nessun disturbo, mia cara. Inoltre…- e in quel preciso istante, il fauno fece apparire da dietro la sua schiena un vassoio colmo di frutta fresca - …sono certo che sarai affamata. Su, non c’è bisogno di tante cerimonie, sentiti come a casa tua -.
Alla vista del cibo, il mio stomaco brontolò rumorosamente, e non potei più resistere. Presto mi trovai seduta accanto a Klopin, su quei cuscini dai toni cupi, e non persi tempo nel divorare tre mele rosse. Il fauno non si era sbagliato: avevo una fame da lupi. Mentre mi ristoravo, lui mi osservava quasi divertito, mentre sorseggiava del vino rosso. Sentì il peso di quei occhi, neri come il buio, e mi fermai per guardarlo. Subito sentì il mio viso andare in fiamme. Era la prima volta che mi trovavo così vicino ad un “uomo”. A parte mio padre, non avevo mai avuto contatti così diretti con altre persone.
- Che c’è? Qualcosa non va? – mi chiese lui, notando il mio stato di disagio. Deglutii e infine risposi.
- No, è solo che…è la prima volta che vedo così da vicino un fauno…-.
- Ah, davvero? – rispose Klopin, visibilmente sorpreso – Che strana cosa -.
- Perché? – gli chiesi, mentre finivo di mangiare la terza mela. Non mi ero ancora accorta che stavo ripulendo tutto il vassoio, tanto era il mio appetito.
- Come perché? – mi rispose con un’altra domanda – Insomma, sei una ninfa dei boschi, dovresti aver visto decine e decine di tipi come me -.
Ancora quella storia! Perché tutti, compreso il capo fauno, erano convinti che fossi una ninfa?
- Beh, mi dispiace deludervi, ma non ho mai visto dal vivo un fauno, in tutta la mia vita – specificai con tono serio. Klopin spalancò gli occhi, e per un attimo gli andò il vino di traverso, facendo una faccia buffa. Per la prima volta mi venne spontaneo ridere. Che tipo singolare!
-  Mai?! – ripete, incredulo – Per la barba di Plutone, ma da dove sei sbucata fuori, ninfetta? -.
- Beh…è una storia molto lunga – risposi, mentre prendevo dell’uva nera che mi faceva gola a sol guardarla.
- Adoro le storie. Comincia pure, sono tutto orecchie -.
Allora iniziai a raccontare al buffo capo dei fauni la mia storia, della mia casa sulla collina, della siepe, e dell’orribile epidemia che aveva colpito mio padre. Mentre gli raccontavo del mio viaggio con Morò, lui mi ascoltava attentamente, soffermandosi varie volte per gustare il suo nettare rosso. Non so come spiegarlo, ma man mano che la mia storia andava avanti, mi sentivo risollevata. Era bello e confortante potermi sfogare con qualcun’ altro che non fosse solo il mio cerbiatto. Quando terminai, il fauno aveva finito tutta la caraffa di vino. Caspita! Mi chiedevo come facesse a rimanere ancora così lucido.
- Capisco…è tutta colpa del “Mostro di pietra”. Sai, è per questa creatura che abbiamo dovuto scavare le trappole, per poterla catturare – mi informò il fauno con una fermezza nella voce. In quel momento, compresi che non ero l’unica che stava combattendo contro quella maledizione. Era un problema per tutti noi, chi dentro e chi al di fuori della siepe.
- Per questa ragione mi sono addentrata nella selva. Devo assolutamente percorrerla e andare oltre i confini, per raggiungere il tempio delle ninfe – aggiunsi infine, mentre un senso di determinazione marcava le ultime parole. Il fauno lo notò, e con un mezzo sorriso, mi si avvicinò di più.
- Il tempio delle ninfe…giusto – fece lui, mentre sentivo già il calore del suo corpo, così vicino – in fondo è il luogo d’incontro per tutte le ninfe, come te…-.
Avrei voluto obiettare di nuovo per quel dettaglio che stava diventando snervante, ma il fauno mi era così vicino che non mi uscì neanche una sillaba dalle labbra. Così, lui continuò, usando quella sua voce così profonda e vellutata.
- Non preoccuparti, Roxanne, fino a quando non raggiungerai il tempio, ti proteggeremo noi…io -.
A quel punto, una strana sensazione mi scosse da capo a piedi, ma non riuscivo a capire cosa fosse. Mi ritrassi di un po’, giusto per mantenere qualche centimetro di distanza da lui.
- Che hai? C’è qualcosa che non va in me? – cominciò a chiedermi, con aria scoraggiata. Diversamente da come avevo temuto (ripensando alla brutta esperienza avuta con gli altri fauni) Klopin si allontanò da me, senza provare a toccarmi. Ne fui sbalordita, e le mie certezze crollarono di botto.
- Oh…capisco – aggiunse poi, abbassando lo sguardo – dato che non hai mai avuto un contatto con un fauno…mi trovi strano, vero? E’ per la mia pelliccia, le mie corna…e anche i miei zoccoli, ti fanno impressione? -.
In quel momento mi sembrò che quella creatura, fatta a metà, si stesse nascondendo per una vergogna che non volesse ammettere. Quelle parole mi colpirono come un pugnale in pieno petto.
- No, non è così…- mi affrettai a dire, e mi fermai per cercare di spiegare la ragione del mio distacco.
- Perdonami se sono stato invadente…ma, sei così bella -.
Il fauno si voltò giusto per guardarmi. I suoi occhi, che rimanevano neri, brillarono di una luce mai vista prima. Non so come mai, ma in quel frangente pensai che, tralasciando corna, pelliccia e zoccoli che ricordavano il corpo di un capra, in fondo Klopin fosse un essere attraente. Mentre i miei occhi indugiavano nei suoi, sentì che quel pensiero silenzioso mi stesse influenzando, e cominciai ad arrossire. Che imbarazzo!
- Oh…sbaglio, o sei diventata tutta rossa? – fece lui, con un tono ammaliante e contento. Oh no, se ne era accorto! Cercai di tornare alla normalità, assumendo un’aria disinvolta, ma questo lo incoraggiò solo a riavvicinarsi. Ormai, avevo il viso del fauno molto vicino al mio.
- Sei ancora più carina…- disse, e avvertì il suo alito ebbro di vino sulle labbra – sono sincero…sarei onorato, se tu…insomma… -.
 
Senza accorgersene, il fauno, la cui sobrietà era stata compromessa dalle note del vino, perse l’equilibrio e si ritrovò addosso alla sua bella ospite. L’imbarazzo e il disagio del momento fu grande perfino per lui, perché di certo quello non era l’epilogo che aveva sperato. Sollevandosi, si portò una mano alle tempie, smorzò un sorriso e aprì gli occhi. Ma il suo stato d’animo mutò in un secondo, quando avvertì una punta fredda e dura contro la sua gola…la lama di un coltello!
 
Angolo dell’autrice
Bonsoir, gente.  Tempo record ecco il 5 capitolo. Avendo già tutto in testa ho pensato di scriverlo molto in anticipo, anche perché la storia sta cominciando ad intensificarsi. Beh, finalmente il nostro giullare in versione greca si è mostrato in tutto e per tutto <3 E le cose tra lui e Roxanne si stanno già facendo interessanti <3 Inoltre, sarà vero che Roxanne è una ninfa dei boschi? Lo scopriremo nei prossimi capitoli. Detto ciò, grazie mille per aver seguito fino qui <3  A bientòt  
   
 
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