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Autore: ChiiCat92    29/04/2020    0 recensioni
"A quell’ora, nel silenzio della notte, era facile sentire i singhiozzi scomposti delle reclute.
Tra chi si leccava le ferite e chi soffriva la nostalgia di casa non c’era alcuna differenza: nell’ombra smaltata di blu del cielo le loro voci erano tutte uguali, piccoli punti di flebile lucore come palpitanti stelle.
Mentre camminava per i corridoi gli stivali con la suola rinforzata smorzavano, senza però riuscire a farli sparire, i gemiti dei soldati nelle camerate.[...]"
Genere: Erotico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Sephiroth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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29/04/2020

 

Military 


A quell’ora, nel silenzio della notte, era facile sentire i singhiozzi scomposti delle reclute. 

Tra chi si leccava le ferite e chi soffriva la nostalgia di casa non c’era alcuna differenza: nell’ombra smaltata di blu del cielo le loro voci erano tutte uguali, piccoli punti di flebile lucore come palpitanti stelle.

Mentre camminava per i corridoi gli stivali con la suola rinforzata smorzavano, senza però riuscire a farli sparire, i gemiti dei soldati nelle camerate.

Ragazzini, carne fresca, arrivati da due settimane, poco più che diciottenni. Per lo più reclutati per indigenza, per fuggire ad una vita che sarebbe stata dieci volte peggiore di quella. Come si sbagliavano. 

 

Terminato il giro per controllare le nuove truppe, fece dietrofront scivolando sui tacchi e si avviò alla sua stanza. Il distintivo sulle controspalline, due stellette dorate e una di bronzo bordata di bianco, a quell’ora cominciava a pesargli. 

Era troppo e insieme troppo poco. 

L’insofferenza gli appesantiva le gambe ad ogni passo, le spalle tremavano per lo sforzo di rimanere dritte. 

Allontanandosi dai dormitori delle reclute i pianti si diluirono in un silenzio tombale, adatto ad una chiesa, un tempio, un cimitero. 

Aveva una pistola alla fondina, con la sicura inserita, la mano scivolò sul calcio per accertarsi della sua presenza e trarne conforto.

Quanto strano poteva diventare un bisogno quando metallo, acciaio e morte si confondono.

Salì una rampa di scale sentendo il distacco fisico dell’allontanamento. Gli ignari, i semplici, così lontani dalla catena di comando da farne parte a malapena. 

I sensi in allerta scattarono quando sentirono il suo profumo. La mano si strinse intorno alla pistola mentre occhi blu oltremare scrutavano il pallido corridoio male illuminato.

La sua sagoma, ritagliata da un’ombra densa, occupava elegante e immobile l’ingresso alla stanza; scintillanti, le quattro stellette, di cui una bordata di rosso, e la greca del suo distintivo sembravano rifulgere. Poi volse la testa e le stelle e luna e l’universo intero si fermarono ad ammirare i suoi occhi. 

« Generale. » si lasciò sfuggire dalle labbra Genesis, sottovoce più di quanto fosse necessario farlo. 

Il Generale lasciò scivolare su di lui quello sguardo che rapiva la luce, verde chartreuse, penetrante come un colpo di pistola e altrettanto doloroso. 

Si scostò dalla porta con fare gentile, aspettando che Genesis l’aprisse per lui. 

Un ordine indiretto sussurrato con un battito di ciglia a cui il Tenente non si sarebbe mai sottratto. 

Varcata la soglia percepì l’errore commesso nell’aver voltato le spalle al Generale, e niente poté fare quando lui lo spinse con forza costringendolo contro la parete.

La porta si chiuse dietro di loro, l’oscurità era piena delle sue mani sul proprio corpo.

« Generale. » sussurrò di nuovo, mentre le mani di lui cercavano i bottoni della divisa per farli saltare, uno ad uno.

Durante il giorno il silenzio assordante tra loro si riempiva facilmente di colpi di fucile e inutili parole, ma di notte, quando stagnavano pianto e rimorsi, i loro sospiri si condensavano nell’aria. 

I capelli dell’uomo legati in una coda alta erano come una pioggia d’argento, Genesis avvertì lo sprezzante desiderio di aggrapparvisi e attingere a piene mani a quel flusso vivo come acqua sorgiva. 

Quando lui lo morse alla gola, cercando affamato la giugulare come un animale, Genesis riuscì finalmente a dire il suo nome.

« Sephiroth! » 

Come un incantesimo spezzato, gli occhi chartreuse di Sephiroth si fermarono sui suoi, le mani smisero di frugare, le labbra di cercare assetate il suo sangue.

Genesis gli prese il viso tra le mani, percorse il profilo duro del suo viso con i pollici, lasciò che le labbra si inarcassero in un sorriso.

« Ti sono mancato? » azzardò, capendo perfettamente il suo bisogno perché era lo stesso che faceva bruciare il proprio petto.  

Lui non rispose, austero come sempre, freddo fuori quanto caldo dentro. 

Genesis si lasciò andare ad una risata, trattenuta per tutto il giorno con tutte le forze.

Vederlo muoversi tra le reclute, le spalle dritte e lo sguardo fiero, impartire loro ordini con calma fermezza, punirli. Com’era umanamente possibile resistergli? Come poteva fingere di non desiderare di essere tra le sue mani, di rompere le righe e disobbedire agli ordini?

Se li avessero scoperti sarebbe stato uno scandalo, gli avrebbero tolto i distintivi, congedati con disonore, e nonostante tutto continuavano a languire in quel peccato.

Sephiroth lo strinse, tanto forte da fargli male, Genesis avvertì la fragilità dello spirito andare incontro a quella della carne. 

Avvertiva la sua erezione premere e non poté non ridere di lui. 

« Generale, siete già sull’attenti. » 

Appannato di lacrime per il morso che seguì quelle parole, il suo sguardo si perse quando Sephiroth lo sollevò per gettarlo di malagrazia sul letto. 

Genesis era sicuro che l’avesse morso tanto forte da farlo sanguinare, ma sempre in un punto che la divisa avrebbe di certo coperto.

Lo osservò mentre si spogliava, ad occhi aperti come di fronte ad un fiore che sboccia, ricordandosi solo all’ultimo che Sephiroth era tra i fiori il più velenoso.

Si spogliò anche lui, giusto in tempo per essere travolto dalla foga del Generale.

Le sue labbra avevano il sapore della neve fresca e rimanere a contatto per troppo tempo bruciava come fuoco.

Insinuò la lingua tra le sue labbra in un tentativo di prendere il controllo, ma le mani di Sephiroth sapevano fin troppo bene come punirlo. 

Gemette, stretto in quella morsa, un gemito così diverso da quelli che riempivano i dormitori. 

Sephiroth lasciò le sue impronte ovunque, per marcare un territorio che era già dolorosamente suo, tumefatto dai suoi passaggi precedenti, e Genesis non poté fare altro che inarcarsi al contatto come un gatto bisognoso. 

Le dita di lui si strinsero intorno alle cosce, gli fu sopra in un attimo, nel posto che gli spettava di diritto.

L’erezione pulsava a tal punto che faceva male solo al pensiero, e Genesis supplicava con lo sguardo. 

Sephiroth si piegò, gentile, i capelli che contornavano le sue spalle robuste. Le labbra si fermarono a pochi millimetri dalle sue, così vicini da sentire il suo respiro. 

« Sì, mi sei mancato. » sussurrò, ammettendo la sua debolezza.

Genesis avrebbe voluto gioirne, ma il dolore per un attimo gli mozzò il fiato. Quando lo penetrava lo faceva senza pietà, un affondo di spada che arrivava fino all’anima. 

Mani tremanti si artigliarono intorno alle sue braccia, graffiando, trattenendo un singulto.

E dopo tutto quel dolore arrivò il piacere. 

In un gesto che aveva fatto troppe volte al buio e troppe volte di nascosto Genesis avvolse le braccia al suo collo e le gambe alla sua vita, tutto suo, solo suo, parte del suo corpo come un unico essere, i respiri sincronizzati e i battiti del cuore su unico piano di esistenza.

Sulle labbra di Genesis il nome di Sephiroth divenne un languido, soffice richiamo, mentre le spinte affondavano in lui toccando il suo punto più sensibile. 

Il piacere lo colse a tradimento, troppo improvviso e troppo veloce, e Genesis si maledisse di non essere in grado di trattenersi oltre mentre si lasciava andare gettando la testa all’indietro.

Avvertì con le palpebre socchiuse il tremore del corpo del compagno quando il piacere colse di sorpresa anche lui e riuscì a sorridere.

Rimasero avvinghiati l’uno all’altro per un tempo infinito, finché Sephiroth non si lasciò andare in un lento sospiro. 

« Devi proprio andare? » gli chiese Genesis, come se non conoscesse la risposta a quella domanda: glielo aveva chiesto così tante volte. 

I suoi occhi chartreuse indugiarono per un attimo nel dubbio. Doveva proprio andare? Davvero? Questa notte non poteva essere diversa da tutte le altri notti? 

« Sì. » rispose però, tirandosi in piedi.

Quando i loro corpi si separarono Genesis avvertì come uno strappo nel profondo. Era così tutte le volte, e avrebbe fatto male come tutte le volte. 

Lo guardò mentre si rivestiva, ogni bottone metteva distanza tra loro, e quando indossò la giacca della divisa Genesis ebbe la consapevolezza che aveva smesso di appartenergli. Era stato suo per pochi istanti, doveva bastargli, almeno per stanotte. 

Prima di andare alla porta, però, Sephiroth tornò sui suoi passi per regalargli un bacio. Valeva di più, perché era il bacio di un Generale. 

Genesis avrebbe voluto aggrapparvisi, forte, come all’ultima speranza, invece lo lasciò andare.

« Buonanotte, Generale. » gli disse, tremando per il vuoto che Sephiroth lasciava in lui ogni volta che se ne andava. 

« Buonanotte, Tenente. » 

Sephiroth scivolò fuori dalla stanza, divenne un’ombra tra le tante. 

Concentrandosi, Genesis poté sentire i passi svanire nel nulla, e i singhiozzi scomposti delle reclute. Era così umiliante che somigliassero ai suoi. 

 
   
 
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