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Autore: Rukia__Fortess    30/04/2020    0 recensioni
Questa One-Shot di Asc Odyssey è nata (e si è sviluppata) come sfogo personale, dopo aver giocato sperando per il meglio, ma aver ottenuto il peggior finale possibile del gioco. L'ho scritta perché così voglio immaginare l'epilogo di Alexios: un epilogo dolceamaro, dopo un finale da spezzare il cuore. Alexios, che da sempre ha promesso a Myrinne di salvare Kassandra, ha fallito. Kassandra ha sgozzato la loro madre davanti ai loro occhi, lui è stato costretto ad ucciderla. Il dolore e il lutto sono tali da sembrare impossibile poter rivedere la felicità anche solo una volta. Ma forse, con il passare degli anni, non sarà per sempre così.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Myrinne colse un ultimo fiore, questo con un’espressione contrita stampata in viso. Ne portò l’apice vicinissimo al volto, tanto da poterne sfiorarne la corolla con la punta del naso. Annusò. I suoi occhi scuri s’illuminarono di gioia e un sorriso dolce si dipinse sulle labbra rosee e sottili. Non smise di sorridere mai, neanche quando si voltò, e scoprì Alexios osservarla con un sorriso di ben altra entità.

“È questo, vero?” esclamò Myrinne, vittoriosa. Ancora nessuna risposta. Alexios si limitò a sorriderle di rimando, senza parlare.
“Si, è questo, è questo!” insistette Myrinne, giocosa. Balzò a un lato, poi piroettò su stessa ridendo e guardando in alto. Il cielo era intenso, caldo di sole, con poche nuvole bianche ad impomatare l’azzurro che con tanta maestosità dominava Mykonos. “Ho vinto! Ho vinto anche stavolta!”
Una piccola sagoma apparve alle spalle di Alexios. Qualcuno si stava avvicinando di soppiatto al suo lato sinistro. Riflessi infallibili e radicati dentro l’uomo da ormai una ventinta d’anni gli imponevano di girarsi di scatto… ma negli ultimi 8, Alexios aveva anche sviluppato un buonsenso che gli permise di fare finta di niente. Due secondi dopo, qualcuno gli era letteralmente saltato al collo da dietro.
“Ti ho preso!” gridò una vocina divertita.
“Ohh no!” esclamò Alexios, fingendo di barcollare. “Un letale assassino mi ha preso alla sprovvista!”
La vocina rise vittoriosa, mentre un paio di piccole braccia cingevano il collo di Alexios da dietro.
“Febe!” la richiamò Myrinne, severa.

“Ti sconfiggo!” continuò la bambina assalitrice, ignorando Myrinne.
Alexios cadde in avanti, fingendo una morte improvvisa. Febe balzò indietro con un gridolino prima di cadere insieme a lui sul suolo polveroso della strada sterrata. Myrinne corse in avanti verso i due, ridendo e agitando il fiore ancora in mano.
“Allora, era questo?” domandò ancora una volta.
Alexios aprì un occhio. I volti di Febe e Myrinne che si sporgevano contro la sua figura distesa, controluce nel pieno del giorno, gli strapparono un altro sorriso. Myrinne lo osservava con insistenza, in attesa.
Era bellissima, con quel lunghi capelli scuri avvolti in una treccia dietro le spalle, quegli occhi scuri e pieni di profondità.
“Era proprio quello. Hai vinto anche stavolta” disse Alexios, dopo un apposito silenzio di suspance.
“Sii! Lo sapevo!” esultò Myrinne, e quel piccolo viso s’illuminò di trionfo. “Ancora, giochiamo ancora papà!”

Alexios sorrise, ed era uno di quei sorrisi che sono un padre può fare, infusi di un affetto autentico, antico come il mondo.
“Stavolta tocca a me!” protestò Febe, mettendosi in mezzo.
“Ma se devi ancora trovare tutte le conchiglie” fece Myrinne in risposta, con tanto di linguaccia.

“È che è un gioco noioso! Si assomigliano tutte!”
Alexios si issò su. Seduto a terra, era comunque più alto di tutte e due le bambine.
“Dovete sviluppare tutti i vostri sensi se volete imparare ad essere delle grandi combattenti” spiegò, conciliante. “Prima di imparare a usare spada, arco e frecce dovete imparare l’arte della percezione. Ed è un’arte difficile, ardua da apprendere. Ma una volta che riuscirete a distinguere l’odore di un animale selvatico da un miglio, a scovare tracce fresche sul fango, a scovare indizi da-”
“Ma io voglio combattere!” protestò Febe, incrociando le braccia. “C’è pur sempre Icaro per scovare le tracce, giusto? Un giorno avrò anche io un’aquila come lui, vero papà?”
A quelle parole, un fondo di tenera amarezza si svegliò con torpore dentro il petto di Alexios. Una vita fa, un’altra bambina, con lo stesso nome di sua figlia, gli aveva posto la stessa domanda.

“E’ un dono importante” replicò Alexios, con dolcezza. “Dovresti chiederne una a Zeus. Oppure a tua madre. È più probabile che sia Zeus a dirti di si”
“Ti sento, sai!”
Alexios si voltò, ridendo e accigliandosi contro la potente luce del sole. Di fronte a lui, proprio appoggiata alla staccionata del viale, c’era una donna.

Era sulla quarantina, con lunghi capelli castani legati in un’alta coda di cavallo. Era alta, slanciata, muscolosa, con la pelle bronzea e liscia interrotta da sporadiche cicatrici. Solo l’occhio destro era visibile, di un verde chiaro, mentre il sinistro era coperto da una benda di cuoio leggero. Sulla spalla reggeva la carcassa di un cinghiale grigio scuro.

“Mamma!” gridarono all’unisono le bambine, correndo verso di lei.

“Che animali hai cacciato?” domandò Myrinne, guardando il cinghiale ammirata.
“Sei orsi, quindici lupi, tre gatti selvatici. Questo? Oh no questo l’ho preso in bottega” scherzò la madre, arruffando i capelli della figlia maggiore.

Alexios si avvicinò, a lei, issando su la preda della caccia.
“Sarà dura scuoiarlo e cucinarlo prima che faccia tramonto. Scusa se ho tardato” aggiunse, con un tono leggermente più dolce.

“Sentito la mamma? Andate a preparare il fuoco e i coltelli, per quando entriamo in cucina voglio vedere tutto pronto!”
Le bambine non se lo fecero ripetere due volte. Corsero in casa, ridacchiando e facendo a gara per chi arrivava per prima.

“Non posso credere che siano seriamente così felici di aiutare in casa. Mia madre mi doveva rincorrere per tutte le valli di Lalaia. Per fortuna c’era Peri” commentò la donna, alzando leggermente le sopracciglia.

Alexios, che aveva preso su il cinghiale, replicò con un verso divertito.
“Perché vedono una lama solamente quando si tratta di scuoiare la cena, Tia”
“E questo succede perché…”
“Perché non siamo a Sparta” precisò Alexios, e il suo tono si era fatto deciso ed eloquente, sebbene un sorriso affabile non fosse sparito dalle sue labbra.

“Bene” convenne Tia. “Ma sai che non vale per il tiro con l’arco. Su questo sono io a dare lezioni a loro, non si discute”
“Mi sta bene”
Alexios si avvicinò a Tia e i due si scambiarono un lungo bacio. Marito e moglie si strinsero a lungo, fino a quando i baci non divennero sempre più incandescenti. Tia si staccò da lui e reagì con un risolino alla sua espressione di protesta.
“Mi piacerebbe continuare questa conversazione, ma hai un cinghiale che sta letteralmente colando sangue su di me” spiegò Tia.
“Non mi dispiaci nemmeno ricoperta di sangue”
“Questo lo so”
Si scambiarono un altro bacio ancora, questa volta più lentamente, anche se di nuovo Tia staccò il viso da lui, guardandolo negli occhi con amore.

Prese la sua mano destra, quella non occupata dal cinghiale, e la strinse tra le sue. Infine la fece scivolare sul suo petto, tra i suoi seni, fino al suo ventre.
“Sta crescendo” sussurrò Alexios, e la sua voce tradì un’emozione che non provava ormai dalla nascita di Febe.

“Che dici, è sempre uguale!” rise Tia, ma anche lei aveva la voce infusa della stessa emozione. “Però… ormai non ho dubbi. Sono tre lune ormai che non sanguino. E la sensazione… è indescrivibile. Si, ne sono certa”
Alexios le accarezzò il viso con le nocche.
“Te l’avevo detto. Me lo sentivo” avvicinò un dito alla tempia, scherzoso. “Percezione dell’ombra dell’aquila”
“Falla finita” rise di nuovo Tia.
“Lo diciamo alle bambine? Sono grandi ormai, vorrebbero saperlo”
“Forse. Forse potremmo accennare qualcosa” alzò le spalle Tia, poi entrambi si avviarono verso casa.

 

 

 

*******


“Febe smettila!” protestò Myrinne, che stava bisticciando con la sorella minore da ormai una decina di minuti buoni. Erano davvero due forze della natura, questo era certo.
“Bambine, se una di voi due vuole vedere anche solo da lontano le pere col miele stasera, smettetela subito” le rimise in riga Tia. Poi lanciò uno sguardo ad Alexios.
“Figlie tue” gli bisbigliò.
“Figlie di Lalaia” puntualizzò in risposta Alexios.

Myrinne, che al nominare di quel villaggio s’illuminava, si rizzò sulla sedia.
“Quando verrà a trovarci la zia Peri?” domandò, speranzosa.
“Se non la smettete, il prossimo che verrà a trovarci sarà nonno Nicolao”
“Siii nonno Nicolao!” alzò le mani al cielo Febe. Gli spartani erano il suo idolo da quando aveva quattro anni e per la prima volta, Nicolao e Stentore l’avevano portata a vedere Sparta che vinceva le olimpiadi.
“Non era questa la reazione che speravo” sospirò Alexios, ma rise.
Avevano finito di mangiare il cinghiale arrosto con le erbe cotte. Tia sparì per qualche momento per ritornare con un vassoio di bronzo tra le mani.

“Myrinne, Febe” le chiamò con dolcezza.
Le due, con le mani già protese verso il cibo, si fermarono interrogative guardando la madre. Tia lanciò un’occhiata complice ad Alexios, poi di nuovo guardò le figlie.
“Voi due non ve lo potete ricordare, perché avete solo quattro anni di differenza… ma quando una donna aspetta un bambino è un momento molto speciale. Una famiglia che si allarga… è un grande evento, un vero dono degli dei”
“Avremo un fratello?” fece Myrinne, con la voce in un misto tra emozione e timore.

“Forse” replicò Tia, conciliante. “Potrebbe arrivare”
“Avrò una sorellina!” esclamò Febe, decisamente più esuberante della sorella.
“Ehi, ehi, chi ti dice che sarà una sorella?” fece Alexios, toccando giocosamente la punta del naso di Febe e facendola ridere.

“I maschi sono noiosi, papà! Sono sicura che sarà una lei!”
“Se così fosse sarà dura decidere, abbiamo finito tutti i nomi femminili con voi due pesti”

“Non pensare di cavartela così facilmente con il maschio” fece Tia, puntandogli contro un dito come una velata minaccia. “E sappi che vale la stessa regola che avevamo applicato con loro due. Niente nomi di persone che ti hanno dato attenzioni… di un certo tipo. Nemmeno uomini”
“Ma così mi escludi metà degli ateniesi di rilievo della storia greca!”

Tia gli diede uno scappellotto e Alexios non lo schivò solo perché sapeva di meritarselo. Sogghignò, prendendo una pera e addentandola.
“Brasida è un nome fantastico per un maschio!” fece, a bocca piena. “Un nome forte, da guerriero”
“Chiamiamolo Ermes!” intervenne Febe, che si era distratta facilmente dalla sua avversione per i maschi nel momento in cui il pensiero aveva preso concretezza.
“Non puoi chiamarlo Ermes, stupida. È il nome di un dio!” la rimproverò Myrinne.

“Non chiamare stupida tua sorella, Myrinne” la rimproverò Tia.
“E se è femmina? Come la chiamiamo se è femmina?” continuò Myrinne.
“A me piace Dafne!” disse Febe.
Alexios ridacchiò, e quasi si strozzò quando Tia assottigliò l’unico occhio scoperto in sua direzione.
“No, Dafne non va bene. Che ne dite di Diana?”
“Non mi piace” replicò Alexios.
“Questa non è una negazione costruttiva!”
“Cosa dovrei dirti di più? È un nome, o ti piace oppure non ti piace” alzò le spalle Alexios, che aveva finito il dolce e si stava appoggiando di peso allo schienale della sedia. Poi, l’illuminazione.
“Sylvia! Sylvia è un bel nome per una femmina!”
“E’ carino” convenne Tia, con scarsa convinzione. Abbassò lo sguardo su Myrinne. La loro figlia maggiore era più introversa di Febe, ne condivideva l’irrequietezza, ma in un modo tutto suo. Tia si premurava sempre di coinvolgerla nelle conversazioni.

“A te che nome piace?” le domandò.
Myrinne sorrise timidamente.
“A me piace il nome della figlia del fabbro, giù in città”
“Anisia?” domandò Febe.
“No, no, quella è la figlia del fornaio. La ragazza grande, quella che batte il ferro. Si chiama…”
“Kassandra, giusto?” fece Tia.
“Kassandra!” ripeté Febe, entusiasta. “È bellissimo!”
“È forte, ma anche elegante” rifletté Tia.
“Non mi piace” disse solamente Alexios. Tia era troppo meditabonda per rendersi conto di quanto le sue parole fossero infuse di oscurità. L’uomo si era rabbuiato di colpo.
“Beh, fa niente, dopotutto hai scelto i nomi di entrambe le bambine” proseguì Tia, sempre riflettendo. “Kassandra… Kassandra. Mi piace. Me la immagino”
“Me la immagino anche io!” batté le mani Febe.
“No” disse ancora una volta Alexios. Sentiva una morsa allo stomaco, come se l’intera cena gli si fosse fermata dentro il petto.

“Allora è deciso, se è femmina sarà Kassandra!”
“Kassandra!”
“HO DETTO NO!” gridò Alexios, battendo entrambi i pugni contro il tavolo.

Cadde il silenzio improvvisamente. Tia si ammutolì, guardando il marito attonita, l’occhio chiaro spalancato e le labbra leggermente schiuse. Le due bambine si erano fatte piccole nella loro sedia. Fissavano il padre domandandosi intensamente cos’avessero detto di male.
Le mani di Alexios tremavano, strette in due pugni sigillati sulla superficie del tavolo di legno.

Le ritirò velocemente. Poi si alzò in piedi.
“Vado a prendere un po’ di aria. Chaire” disse solo, e chiuse la porta dietro di sé senza aggiungere altro.


***
 


Era una notte tiepida, con un’aria fresca che spirava dall’ovest. Alexios era seduto sulla spiaggia, a cullare i suoi pensieri con il rumore melodico delle onde che si infrangevano sulle rocce e sulla sabbia. Aveva esagerato, a cena. E quel che è peggio, come accadeva ogni volta che la rabbia aveva la meglio, era fuggito. In quei momenti lui… non si riconosceva. Non poteva sopportare che la sua famiglia vedesse quel lato di sé.

Stava pensando a Tia. Cosa le avrebbe detto, di ritorno in casa? Come le avrebbe chiesto scusa?
Fu proprio nel culmine di quei pensieri che, non con poca sorpresa, Alexios si rese conto di passi familiari che si avvicinavano a lui. Si voltò per vedere il profilo di Tia, scalza sulla sabbia, avvicinarsi ancora un poco e poi mettersi seduta accanto a lui.

Rimasero così ancora per un po’. Vicini, in silenzio, a guardare il mare di fronte a loro e apprezzare la bellezza della notte e della brezza marina sulla loro pelle.

“Ti ricordi come ci siamo conosciuti?” domandò alla fine Tia, sistemandosi la benda sull’occhio.
“Non sarà mica una di quelle domande trabocchetto” scherzò Alexios, sbirciando nella sua direzione. Voleva farla ridere ma al contempo, aveva paura che fosse ferita. Malàka, era ancora innamorato come quando, undici anni prima, le aveva chiesto di sposarla.
“Ci hai aiutato a difendere il nostro villaggio dai figli di Serse” rispose Tia. Era seria, ma non sembrava turbata. “E poi mi hai salvato la vita”
“In battaglia, tutti i soldati salvano la vita ai propri compagni. Ogni fendente è una decisione” fece Alexios. Quella battaglia gli sembrava essersi svolta secoli prima.

“Non parlo di quello” rispose Tia, scrutando il cielo. Si lasciò sfuggire un sospiro, poi si stese all’indietro sulla sabbia. Alexios la imitò, rimanendo vicino a lei.
“Mi hai portata con te” sussurrò Tia, e non riuscì a non sorridere nel dirlo. “Sulla tua Andresia. In mille avventure. Con… Barnaba ed Erodoto. Odessa e Gelona, la coppia più male assortita e al contempo complice di sempre. È al tuo fianco che la mia vita è realmente cominciata. Con quelle avventure”
Tia si voltò verso di lui. Gli sorrise con tenerezza, ma poi un’ombra di dolore calò sul suo viso.

“Io c’ero da prima che quello succedesse” sussurrò.
Anche il sorriso di Alexios si spense. Lui… non ne parlava mai.

“Tu mi hai salvata. In tutti i modi in cui un essere umano può essere salvato. Hai salvato me, la mia gente, mia sorella Pari. E poi hai salvato la mia vita. E l’hai resa… molto più che un’odissea leggendaria. L’hai resa divina”

Alexios cercò la mano di Tia sulla sabbia. La strinse, e Tia strinse la sua ancora più forte.
“Quello che è successo quindici anni fa...” sussurrò la donna, mordendosi il labbro. “Non è stata colpa tua, Alexios. Tu volevi solo riavere la tua famiglia”
Alexios abbassò lo sguardo. Aveva salvato Tia forse, aveva salvato sua sorella, il suo villaggio, tutte le figlie di Lalaia. Ma sua madre. Sua sorella.
Tu non riesci proprio a proteggere nessuno, vero?
Un dolore acuto, come una lama che gli trapassava il petto. Alexios vide Deimos tirare per i capelli Myrinne, sua madre, e trafiggerla con la spada. Poi gettare il suo corpo senza vita a terra.
“Il vero nome di Deimos era Kassandra, vero?” domandò in un sussurro Tia.
Alexios aveva chiuso gli occhi, nel vano tentativo di non lasciare scivolare neppure una lacrima. Scosse la testa.
“No” disse. “Kassandra era mia sorella. Una bambina… innocente. Non era il demone che ha ucciso mia madre. Non era.. quella donna. Myrinne… mia madre avrebbe voluto ricongiungersi a Kassandra. Non a quella donna”
Tia annuì. Prese il viso di Alexios tra le mani, lo avvicinò al suo volto.

“Io ti amo, Alexios” sorrise. Era così forte, non piangeva mai. Perfino quando la sua voce vacillava, il suo sguardo era determinato e pieno di forza. Era per questo che Alexios si era innamorato di lei.

“Noi siamo la tua famiglia adesso. Io, te, Myrinne, Febe. E il piccolo Brasida. Gli incubi del passato… lasciali lì. Un giorno traghetteremo insieme da tua madre. Ma oggi non è quel giorno. Oggi è il giorno in cui vivi per noi”
Alexios aprì gli occhi, e il dolore si era di nuovo assopito dentro la sua anima. Tia aveva ragione.
Dopo la morte di sua madre e di Deimos, Alexios aveva vagato per la Grecia con l’Andresia ancora per alcuni anni, a fianco di Tia. Si erano innamorati allora. Lui l’aveva sposata, ed era a Mykonos che avevano messo su famiglia.
La sua vita era cambiata, ormai. Non era più l’ombra dell’aquila da anni. Lo spettro della Setta era morto da più di un decennio, trafitta da lui stesso dalla lancia di Leonida. Andava tutto bene.
Alexios prese Tia tra le sue braccia e la baciò con foga. Sotto le stelle, quella notte, Alexios ritrovò la sua pace.

 

 

 

 

**** DICIOTTO ANNI DOPO ****



 

La Laconia non cambiava mai.
Alexios e Tia erano arrivati da poche ore, ma lei era rimasta a casa di Peride, per riposare. Ormai avevano una sessantina d’anni ciascuno, ed era stato un lungo viaggio.
Alexios però, non aveva intenzione di riposare. Insieme a Stentore, era andato a trovare Nicolao. I due fratellastri gli avevano reso i loro omaggi con tutto il rispetto che ogni padre e generale spartano meritava. Alexios era rimasto con Nicolao ancora qualche istante, seduto accanto alla grande effige che avevano innalzato alla sua scomparsa. Non era stato il migliore dei padri adottivi, non per lui di certo. Ma era stato un bravo nonno.

L’appuntamento era al calare del sole. Alexios aveva salutato Tia con un bacio, poi si era diretto lì dove tutto aveva avuto inizio.

Era salito fino in cima, con il fiato corto dallo sforzo e più sudore di quanto avrebbe voluto ammettere sulle tempie, ma lo stesso sorriso di sempre sulle labbra. Erano trent’anni che non saliva su quel monte.

Proprio di fronte al baratro, due giovani donne erano in piedi a scrutare l’orizzonte. Quando si voltarono e videro Alexios, sorrisero entrambi.

“Padre!” chiamarono, quasi all’unisono.

Erano così cambiate in quegli anni, eppure erano rimaste sempre le stesse. Alexios le guardò con orgoglio, mascherando la commozione, una dopo l’altra.
Myrinne. Il suo nome era un dono che le aveva dato il padre, ma in qualche modo era stato benedetto dagli dei. La donna, ormai quasi trentenne, assomigliava così tanto alla nonna. Era sempre bellissima, con i lunghi capelli scuri legati in un’elaborata acconciatura nobiliare, l’elegante tonaca porpora che le accarezzava il corpo. Aveva dedicato la sua vita alla poesia fin da ventenne. Da subito aveva riscosso successo, e pochi anni più tardi, si era sposata con un nobile di Atene, dove si era trasferita. Ora aveva reso Alexios nonno di quattro figli, tre maschi e una femmina.

Febe. A metà tra i 20 e i 30, lei aveva scelto una strada totalmente diversa da quella della sorella. Era diventata una famosa misthios, una cacciatrice di taglie due volte vincitrice dell’Arena. La chiamavano La freccia di Mykonos, per il suo talento con il tiro con l’arco. I capelli corti, del colore del grano, gli occhi identici a quelli di Alexios e l’armatura di cuoio, era una bellezza pari ma al contempo completamente diversa da quella della sorella. Ogni volta che Alexios la guardava, rivedeva Tia da giovane. Erano così simili.

Alexios abbracciò le sue due figlie così caldamente, che per molto entrambe pensarono non le avrebbe più lasciate andare.

“E’ bello vedervi, figlie” sorrise, staccandosi e guardandole con affetto. Era quasi un anno che non le vedeva tutte e due.
“Non potevamo certo mancare al grande giorno” rispose Febe, ammiccando al padre.

“Ma… dov’è…?” domandò Alexios, confuso.
Myrinne, in tutta risposta, fece un cenno con il capo dietro le sue spalle. Quando Alexios si voltò, la vide.
Lei forse era la più bella di tutte. Nel fiore degli anni, con un lungo abito celeste che danzava nell’aria allo smuoversi del vento. I capelli castani legati in una treccia laterale, gli occhi scuri e pieni di gentilezza ed emozione.
“Kassandra” sorrise Alexios, e non fece altro che allargare le braccia, perché in pochi passi di corsa, la sua figlia più piccola era già lì.

Padre e tre figlie si abbracciarono con tenerezza, tutti insieme. Alla fine, Alexios si staccò da loro.
“Kassandra… sono così felice di vederti. Oggi la tua vita… cambierà per sempre”
“Grazie, padre” sorrise con dolcezza lei. “Ma le mie nozze sono domani!”

Alexios fece un passo indietro. Poi voltò a loro tre le spalle, si lasciò andare al dolore dei ricordi solo per un momento. Era su un suolo dannato dagli dei.
“Figlie mie” mormorò. Si voltò un’ultima volta verso di loro. Le tre lo guardavano con attenzione.
“In questo luogo, trent’anni fa… la mia famiglia morì davanti ai miei occhi, perché fui incapace di salvarla”

Le tre figlie tacquero. Ognuna nel suo modo, manifestarono il dolore di quest’affermazione. Myrinne incrociò le braccia, come a difendersi da demoni invisibili, e lasciò cadere lo sguardo nel vuoto, elaborando quelle parole. Febe lo continuò a guardare negli occhi, una smorfia di sgomento su quel viso tanto simile a quello di Tia. Kassandra chiuse gli occhi, stringendo i pugni.

“I nomi che portate non sono stati dettati dal caso” proseguì Alexios, la voce roca.
“Voi avete il nome di coloro che prima di voi furono la mia famiglia. Una di voi ha il nome di mia madre. Le restanti due hanno il nome delle mie sorelle, che mi furono strappate via. Oggi sono più vecchio di quanto mia madre sia mai stata. E vi ho portato qui… perché è qui che il mio cuore si è distrutto tanto, che pensavo che nulla sarebbe mai stato in grado di ripararlo”

Guardò il cielo, inspirando a fondo, senza abbandonarsi ancora alle lacrime.

“Per tutta la mia vita ho pensato che mia sorella avesse ucciso mia madre. Dopotutto è ciò che ho visto accadere davanti ai miei occhi… proprio qui, dove siamo in piedi noi adesso. Ma questa non è la verità. La verità… è che la Setta me le ha strappate via tutte e tre. Ho ucciso l’ultimo membro della Setta tanti anni fa. All’epoca, questo non mi diede pace. Ma ora capisco perché”
Abbassò lo sguardo su di loro e di nuovo ci fu quel sorriso, antico ed autentico come il mondo.
“Ora quando mi dicono la tua famiglia… non penso più a quel massacro. Non penso più a quelle Myrinne, Febe e Kassandra. Ora, quando mi dicono la tua famiglia… penso a voi tre. E voi tre mi avete regalato una vita… degna di essere vissuta. Anche dopo tutto ciò che mi è successo”
Sorrise. Gli occhi di Myrinne si erano riempiti di lacrime. Kassandra aveva portato le mani al petto, colma di turbamento. Febe sorrise insieme al padre, anche con gli occhi lucidi.

Alexios prese dalle spalle una lancia rotta.
“Questa era del vostro bisnonno… Leonida. È il momento che io la affidi a voi. Febe… è tua. Un giorno, se i vostri figli dovessero combattere… so che farete la scelta giusta e la affiderete a uno di loro. Siete il sangue del mio sangue. E non esiste nulla di più importante per me che la mia famiglia. Non è mai esistito nulla di più importante”
Febe si avvicinò al padre, prese la lancia tra le mani. Poi lo abbracciò fortissimo. Si allontanò verso il centro dello spiazzo, agitando la lancia di Leonida nell’aria e fendendo il nulla.
“C’è il potere degli dei in questa lancia!” gridò, e poi rise, vittoriosa e felice.

Kassandra e Myrinne si avvicinarono ad Alexios. L’uomo guardò prima Febe allenarsi, infine il cielo sopra Sparta. Alla fine, una singola lacrima lo vinse, ed Alexios chiuse gli occhi, perdendosi nei ricordi dolorosi di una vita passata.
Kassandra e Myrinne gli si strinsero intorno. Mentre Febe piroettava su se stessa utilizzando la lancia di Leonida, entusiasta ed ammirata dal suo potere, i tre si strinsero in un abbraccio.
Nel luogo in cui tutto ebbe inizio e tutto ebbe fine, sotto il cielo che dominava Sparta, in qualche modo, Myrinne, Kassandra ed Alexios si strinsero in un abbraccio e la loro famiglia, stavolta, fu ricongiunta ed unita per sempre.


 

  
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