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Autore: unforgivensoul    01/05/2020    1 recensioni
Una mattina del 1982, Jim Hutton si sveglia nel letto di un cantante di fama mondiale. Confuso sul da farsi, decide di darsi alla fuga. Andarsene, tuttavia, non risulterà semplice! D'altronde, non è l'unico in cerca di amore e calore, in quella casa, e il destino ha deciso di prendere due piccioni con una fava.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell’autrice: L’ordine cronologico degli eventi della vita privata e della carriera dei Queen non è stato rispettato in questo racconto. Gli accadimenti reali sono rivisitati. Quel che rimane di attendibile, è vagamente ispirato a quanto raccontato nel libro “Mercury and Me” di Jim Hutton.

Grazie a chi leggerà e recensirà!

M.

 

15 Luglio 1982

Jim sospirò profondamente, posando le mani ai lati del lavandino e sollevando la testa per incontrare il proprio riflesso. Lo specchio di quel bagno, uno dei tanti a Garden Lodge, era uno dei pezzi di arredamento più raffinati che avesse mai visto: la cornice dorata e ricca di decori richiamava lo stile barocco, apparendo quasi eccessiva. Tutto in quella casa sembrava oscillare tra l’eleganza e l’esagerazione, proprio come l’uomo che dormiva pacificamente nella stanza accanto.

Dopo mesi o, meglio, anni di sporadici ma insistenti tentativi Freddie Mercury, uno degli uomini più acclamati e desiderati al mondo, era riuscito a guadagnare le attenzioni di niente poco di meno che Jim Hutton, il più semplice e scontato esemplare che il cantante avrebbe potuto scegliere. Jim ridacchiò davanti all’assurdità del suo stesso pensiero. Trovava la situazione a dir poco paradossale: mai avrebbe pensato di risvegliarsi in una simile reggia, abbracciato ad un uomo i cui fan strepitavano fuori dalla finestra, catapultato in una realtà così diversa da quella a cui era abituato.

 Lasciandosi andare ad un altro sospiro, scosse piano la testa, decidendo di cedere all’urgenza che l’aveva tormentato fin dal momento in cui aveva aperto gli occhi, pochi minuti prima: andarsene. Il mondo di Freddie, fatto di divertimento, fama, ricchezza e adulazione lo faceva sentire a disagio e le avances del cantante lo confondevano. Lo aveva osservato per mesi rimorchiare gli uomini più disparati con una facilità disarmante e liberarsene altrettanto rapidamente, eppure non aveva desistito nel corteggiarlo, e questo Jim non riusciva proprio a spiegarselo. Non quando Freddie avrebbe potuto avere chiunque.

 A dirla tutta, anche lui non era immune al fascino del cantante che, sotto una corazza di spavalderia, sembrava nascondere una personalità tranquilla e riservata ed uno smisurato desiderio di compagnia e amore. Nel pensarlo, si lasciò scappare un sorriso, per poi riscuotersi velocemente. Era inutile farla tanto complicata: si era trattato solo dell’avventura di una notte e Freddie lo avrebbe sbattuto fuori di casa non appena si fosse svegliato, in ogni caso. D’altronde, aveva ottenuto ciò che desiderava e non avrebbe avuto ragione di continuare a corteggiare l’irlandese. Presto, si sarebbe lasciato coinvolgere da un altro uomo (come sempre, del resto) e lui sarebbe tornato alla propria banale ma equilibrata routine.

Forte della propria decisione, seppur un po’ rammaricato all’idea di non ricevere più le chiamate del cantante nel bel mezzo della notte, uscì dal bagno e rientrò in camera da letto in punta di piedi, giusto il tempo di afferrare scarpe e pantaloni. La maglia non riuscì proprio a trovarla e, terrorizzato all’idea di svegliare l’uomo che dormiva abbracciato ad un cuscino a poco meno di un metro di distanza, scese a patti con la soluzione di non indossarla. La sua macchina era parcheggiata proprio di fronte all’immensa abitazione e, a metà luglio, stare all’aperto a petto nudo non sarebbe stato un problema. Tutto pur di non aspettare che Freddie si svegliasse e trovasse una scusa per liberarsi di lui! Non era certo la prima volta che si concedeva una notte di passione con un uomo incontrato in un locale e sapeva che il risveglio portava più spesso a situazioni imbarazzanti che a romantiche colazioni, per quanto quest’ultime non gli sarebbero dispiaciute.

Indossati i capi recuperati, percorse un corridoio che, causa le troppe birre della sera prima, non gli era affatto familiare. Poi, scese rapidamente le scale e, arrivato al piano inferiore, venne accolto da due voci provenienti dalla grande cucina. Jim ricordava vagamente quella stanza: lui e Freddie avevano stappato la loro ultima birra proprio lì, la sera prima, prima di lasciarsi trasportare dalla passione. Si mise in ascolto: si trattava di due uomini che chiacchieravano e ridevano, ricordando proprio gli eventi della notte precedente.

“E che mi dici del tizio con cui stavi ballando? Quello grosso, con i capelli rossi e le mani strane…” domandò uno dei due.

“Non erano strane, Phobe! Forse un po’ piccole. Ma sai cosa si dice: le dimensioni non contano!” lo rimbeccò l’altro.

“Ah, sì? Non mi sembrava fossi un fan delle dimensioni ridotte, Joe!” tornò a schernirlo il primo. “Dimmi uno solo dei tuoi amanti che non avesse un …coso enorme. Dai tuoi racconti mi era parso di capire che fossero tutti ben messi: Jonathan, Billy, Diego, quel tizio alto che abbiamo conosciuto all’Heaven e Freddie, naturalmente”

Nel sentire quel commento Jim, che aveva già una mano sulla maniglia della porta, si irrigidì, arrossendo. Sì, non aveva trovato neppure un’imperfezione sul corpo del cantante che, oltretutto, si era dimostrato un amante particolarmente focoso e dedicato. Tuttavia, sentire un altro uomo parlarne così schiettamente lo imbarazzava e, contro ogni sua aspettativa, ingelosiva. A chi apparteneva quella voce? Che aspetto aveva e che tipo di relazione lo legava al frontman? Era il suo ragazzo, forse? Magari avevano una relazione aperta!

“D’accordo, mi arrendo! Smettila di citare Freddie…è ancora troppo strano!” giunse di nuovo la voce dell’uomo misterioso. “Persino dopo anni, non riesco a capacitarmi di come abbiamo fatto a finire a letto insieme. Che stavamo pensando?! Siamo praticamente identici: l’unica cosa che potremmo fare sotto alle coperte sarebbe una partita a carte”

“Sì, nel senso che siete entrambi due regine esigenti e scansafatiche, in cerca di qualcuno che faccia tutto il lavoro al posto vostro!” rise quello che Jim aveva identificato con il nome di Phobe. “Parlando di nottate focose…hai visto chi si è portato a casa, ieri?!”

“Uhm, no. Ero occupato, lo sai!”

“Ma si, quel tipo irlandese! Ce ne ha parlato per mesi interi, ricordi? D’accordo, non importa: forse lo vedremo quando si sveglieranno. Per ora, sono felice di non dover condividere questi pancakes perchè sono la fine del mondo. Bravo, chef!”

Sapevano di lui. E volevano conoscerlo! Già spettegolavano sulla notte appena trascorsa…cosa avrebbero detto nel trovarlo lì, nel bel mezzo del salotto, rigorosamente a torso nudo? Jim fece una smorfia. Non voleva neanche immaginarsi la scena. Decisosi ad andarsene, aprì la porta ma, subito, venne ostacolato da due gatti che, rapidi, lo sorpassarono e iniziarono a miagolare insistentemente.

“I gatti, accidenti! Mi sono completamente dimenticato di loro, stamattina. Meglio che vada a sfamarli prima che Freddie si svegli”.

 La voce di Joe arrivò dalla cucina e, sentendola, Jim sprofondò nel panico.  Sgranando gli occhi, cercò di zittire i mici con degli Shh a malapena udibili e, quando non funzionò, si lanciò fuori dalla porta, sperando di raggiungere il cancello prima che i passi che si stavano avvicinando lo cogliessero in fragrante.

La fortuna, tuttavia, non sembrava dalla sua parte sicché, attraversato appena metà del giardino, si sentì chiamare.

“TU! Chi diamine sei?! Come hai fatto ad entrare? PHOBE! Chiama la polizia…è successo di nuovo!” gridò Joe, allarmato e profondamente infastidito.

La polizia? A cosa sarebbe servita la polizia? Incapace di muovere un muscolo, rimase immobile nel bel mezzo del giardino, sentendo gli strepitii di un gruppo di fan provenire da oltre i cancelli. In pochi secondi, la situazione gli fu chiara. Pensa che io sia uno di loro, che mi sia intrufolato in casa nel tentativo di incontrare il grande Freddie Mercury! Subito, si voltò verso l’ingresso per spiegare il fraintendimento.

“NO! No, c’è stato un errore. Non sto cercando di entrare in casa, okay? Io ero già dentro. Me ne sto semplicemente andando! Se solo fossi così gentile da aprirmi il cancello, toglierei il disturbo in un secondo…” spiegò l’irlandese, accompagnando le rassicurazioni con un sorriso insicuro ma speranzoso.

Joe lo scrutò per alcuni secondi, sospettoso. Poi, d’un tratto, annuì in modo gentile, sorrise e parlò con tono pacato: “Ma certo, l’importante è spiegarsi. Ti aprirò il cancello. Tu…aspettami qui, okay?” disse.

Jim ricambiò la sua gentilezza con un’espressione sollevata. “Ti ringrazio. Aspetterò che tu…”. Prima che potesse concludere la frase, tuttavia, venne spinto a terra da un uomo arrivatogli alle spalle e di cui, prima di cadere, non intravide altro che la figura esile e la chioma bionda. A terra, cercò di divincolarsi dalla stretta del suo assalitore che, seppur meno forte di lui, sembrava spinto da una quantità di adrenalina di cui l’irlandese, di natura bonaria e pacata, non disponeva. Confuso, proruppe in un comando autoritario: “Lasciami subito! Chi diamine sei?!”.

Come fosse finito disteso sul vialetto del giardino di un eccentrico cantante di fama mondiale, mezzo nudo e con un biondino irrequieto che si contorceva sopra di lui, Jim non avrebbe saputo spiegarlo. Tutto ciò che aveva provato a fare era sollevare lui e Freddie dal tipico imbarazzo della mattina dopo, con scarsi risultati, evidentemente.

Lo strano individuo che lo sormontava ignorò le sue proteste, gridando vittorioso: “Joe! L’ho preso! Chiama la polizia!”.

L’irlandese aggrottò le sopracciglia, innervosito, e con un colpo di fianchi ribaltò le posizioni, bloccando i polsi dell’uomo in una stretta ferrea. “Senti, non intendo farti male ma non voglio nemmeno essere trattato come un ladro, d’accordo!?” cercò di ragionare, provando a riordinare le idee. “Ora…chi sei tu?”

Il biondo, vestito con una colorata camicia dalla fantasia hawaiana, provò a divincolarsi inutilmente, prima di rispondere con un indignato. “Sai benissimo chi sono, razza di pervertito! Tu, piuttosto, chi sei?! E che volevi fare a Freddie, eh?”

Jim sgranò gli occhi, allentando all’istante la stretta sui polsi dell’altro. “Oh mio dio, voi pensate che io sia qui per fare del male a Freddie! Va bene, c’è stato uno sbaglio. Se la smettessi di divincolarti potremmo parlare tranquillamente e ti spiegherei ogni cosa…” tentò. In cambio, ricevette un calcio ben assestato sugli stinchi e, poco dopo, un pugno sullo zigomo che lo intontì al punto di costringerlo a stendersi a terra nuovamente, esausto e dolorante.

Tale era la confusione, che a malapena riuscì a distinguere la familiare voce proveniente dall’ingresso.

 “Roger! Fermati! Che gli avete fatto? Povero caro! Siete impazziti?”. La voce di Freddie era impegnata in un severo rimprovero che, tuttavia, si dissolse quasi immediatamente per lasciare spazio ad una profonda preoccupazione.

 Sentì dei passi avvicinarsi e poi la morbidezza della vestaglia di seta del cantante contro la guancia. Una mano fresca gli accarezzò dolcemente la fronte. “Oh, caro, mi dispiace così tanto. Sono qui, ora! Mi occuperò di te…”

Rassicurato da quelle parole, Jim smise di lottare e si abbandonò al mite torpore che sembrava reclamarlo.  

 

-.-.-.-

 

Quando Jim aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il volto di Freddie, intento a tamponargli lo zigomo con una pezzuola bagnata. Gemette lievemente sotto il suo tocco, colto da una fastidiosa fitta di dolore che si irradiava fino al mento.

“Oh, perdonami…” sussurrò il cantante, mortificato. “Ti fa molto male?”

L’irlandese sbatté le palpebre, eliminando ogni traccia del torpore che lo aveva pervaso poco prima e si guardò intorno, prendendosi qualche minuto per riconoscere la stanza in cui si trovava e far affiorare i ricordi della mattinata trascorsa. Era nella camera da letto di Freddie, esattamente come la sera precedente. Il solo ricordo lo fece arrossire e la situazione non migliorò quando realizzò di dover spiegare al cantante le ragioni della sua fuga mattutina. A questo si aggiunse una naturale confusione: chi era il biondo che si era accanito contro di lui? E perché lo aveva fatto? Le emozioni si sovrapponevano e mescolavano nella mente di Jim, fino a lasciarlo senza parole. Sospirò, scuotendo piano la testa.

“Shh. Non c’è ragione di sforzarti. Riposa ancora un po’, caro!” suggerì il frontman, intuendo il disagio dell’altro.

“No, no” mormorò l’irlandese. “Vorrei…parlare. Ho parecchie domande, in effetti” proseguì, posando la mano su quella di Freddie e allontanandola delicatamente dal suo viso. Poi, si mise a sedere. “Grazie di esserti preso cura di me”.

“Mi sembra il minimo che potessi fare dopo…beh, lo sai. A proposito, mi dispiace tantissimo. Immagino che vorrai delle spiegazioni” sospirò il frontman, stropicciando nervosamente il bordo della vestaglia che indossava.

“Mentirei se ti dicessi di no…” commentò Jim, un velo di disappunto percepibile nella voce.

“Sei arrabbiato?”

La domanda lo sorprese (difatti, non si aspettava che il cantante si sarebbe assunto la responsabilità della pessima accoglienza che i suoi conviventi gli avevano riservato) ma fu l’occhiata che Freddie gli rivolse a spiazzarlo: il volto era contorto in una smorfia di malcelata preoccupazione e i profondi occhi marroni, marcati da una linea di matita nera, erano colmi di tristezza.

Jim gli sorrise dolcemente, intenerito. “No”. Era una bugia, è vero, ma non aveva cuore di far pesare al cantante quella serie di infiniti fraintendimenti. “Però vorrei delle risposte. Per esempio, chi sono Joe e Phobe? E perché volevano chiamare la polizia, nel vedermi? Soprattutto…spiegami perché sono stato attaccato da quel tizio biondo!”

Il frontman si morse un labbro, lasciandosi sfuggire una risatina, parzialmente sollevato dalla reazione pacata dell’irlandese. “Joe e Phobe sono i miei collaboratori. Phobe è il mio assistente personale mentre Liza...voglio dire, Joe cucina per tutti noi. Sfortunatamente, a volte capita che alcuni dei miei fan invadano la mia privacy cercando di entrare in casa: solo il mese scorso una donna è riuscita ad introdursi qui dentro e a rubare alcuni dei miei boxer da quell’armadio! Ci crederesti, caro?!” spiegò, accompagnando al racconto alcune esilaranti smorfie di disgusto. “Hanno pensato che stesse succedendo di nuovo o, meglio, Liza l’ha fatto. Phobe sapeva chi fossi ma si è accorto di quello che stava succedendo quando ormai era troppo tardi, sfortunatamente” concluse, mortificato.

“Che mi dici dello psicopatico biondo?” lo incalzò Jim.

Il cantante fece tamburellare le dita sul mento per qualche secondo, assumendo un’aria pensosa. “Oh, caro. Non saprei come dirlo per farlo apparire migliore quindi confesserò e basta: è Roger, il batterista della mia band. Nonché uno dei miei migliori amici…”.

“Scherzi?!”

“Temo di no! Ti assicuro che è un uomo stupendo. Solo che quando pensa che i suoi amici siano nei guai agisce in modo istintivo. Era convinto che tu fossi uno dei nostri fan fuori di testa!” sorrise Freddie, un’espressione colpevole che si faceva spazio sul suo viso.

Jim annuì lentamente, prendendosi qualche attimo per ponderare le parole del cantante. Calata nella sua routine, scontata e ripetitiva, quell’intera avventura sarebbe parsa, come minimo, surreale. Inserita nella realtà di uno come Freddie, d’altro canto, acquisiva un senso. Alla luce di quest’ultima riflessione, perdonare il trambusto di poco prima fu più semplice di quanto l’irlandese avesse immaginato. Si risolse ad accantonare la questione e ad avanzare una battuta per stemperare la tensione che si era venuta a creare. “Dunque metà dei tuoi amici mi odia già. Mi sembra un pessimo inizio…” ridacchiò, stringendosi nelle spalle.

“Inizio?” domandò il cantante, facendolo imbarazzare. Immediatamente, si maledisse per aver parlato del loro rapporto come se questo fosse destinato a durare. Cercò di fare ammenda, balbettando qualcosa di incomprensibile.

“Inizio?!” insistette il frontman, ignorando le sue giustificazioni e sorridendo speranzoso. “Non mi dispiacerebbe, un inizio” offrì timidamente. “Te lo avrei detto questa mattina ma quando mi sono svegliato tu non c’eri. Non è educato, caro! Ti regalo la notte migliore della tua vita, e tu corri via, mhh?!” scherzò, nel tentativo di celare la delusione dietro ad una risata.

Jim annuì, immerso nei suoi pensieri. “Uhm, sì. È stato bello. Molto, a dir la verità.”.

Freddie alzò gli occhi al cielo, abbandonandosi ad un sospiro sconsolato. “Ma…? Forza, continua, tesoro! Ho sentito di tutto, ormai. È per come è iniziata?! Ammetto che il mio approccio è stato poco elegante ma mi sono fatto perdonare, credo. O è per il colore della mia pelle? I denti, forse? Quelli non li sopporto ma sistemarli significa rischiare di compromettere la mia voce e io ci lavoro con quella! Troppo romantico, magari? O quello di ieri notte non era il ruolo giusto per te? Se la tua scusa è quella sappi che non reggerà perché non ho problemi a scambiarci i ruoli…uhm, ogni tanto”.

L’irlandese lo ascoltò attentamente, aggrottando le sopracciglia. Perché aveva avuto così tanta fretta di andarsene, quella mattina? Freddie non appariva spavaldo o indifferente, come aveva temuto originariamente. Piuttosto, pareva timido e la sua insicurezza lo inteneriva. Fino ad un paio di ore prima era convinto che il cantante non avesse mai conosciuto il rifiuto ma ora aveva la dimostrazione di essersi sbagliato: Freddie aveva sofferto, proprio come tutti gli altri, e desiderava amore, tanto quanto Jim.

“Oh, ogni tanto, dici?” domandò, faticando a mantenere un’espressione seria.

“Beh, si…ogni tanto” pigolò il cantante, gonfiando il petto, orgoglioso.

Jim rise, scuotendo la testa. “Ti prendo in giro, Freddie. Non devi cambiare nulla di te per piacermi! E non si tratta di questo o di una delle motivazioni che hai elencato. In effetti, temo che la fuga di stamattina sia derivata solo da…”

“Da?” lo incitò il diretto interessato, posando una mano sulla sua, preso dall’impazienza.

“…dalla fifa” concluse l’irlandese, incontrando gli occhi del cantante. “Credo non volessi essere sbattuto fuori con qualche scusa scadente. Pensavo di non interessarti più di tanto, ecco” ammise, passandosi distrattamente una mano tra i capelli con fare colpevole.

Nel sentire quelle parole, il viso del frontman si illuminò. In un secondo, fu tra le braccia di Jim che, perdendo l’equilibrio, si distese nuovamente sul letto, portando l’altro con se’. “Sciocco! Nei miei programmi c’era solo ripassare le mosse di ieri sera e prepararti la colazione. No, okay, questa è una bugia: non so cucinare! Ma ti avrei fatto fare qualcosa da Joe, tesoro!”

L’irlandese lo strinse, appoggiando la fronte alla sua e accarezzandogli i fianchi, ancora coperti dalla vestaglia colorata. Sì, era stato uno sciocco. Un vero e proprio stupido. “Perdonami…non avrei dovuto sparire così. Se ti consola, sappi che è stata l’uscita di scena più umiliante di tutta la mia vita” affermò, ridendo.

“Sì, mi fa sentire un po’ meglio, in effetti” scherzò il cantante, per poi avventarsi sul collo di Jim, dove lasciò una scia di baci bagnati mentre si sistemava più comodamente sopra di lui.

“Cerchi di rimediare?” sussurrò quest’ultimo, alzando i fianchi per premerli contro il corpo di Freddie che, in risposta, iniziò a muoversi pigramente, assecondando i movimenti del proprio amante.

“Mhh, sì. Direi di sì”

L’irlandese si morse un labbro, reprimendo un gemito. “Non ho esaurito le domande, a dire il vero” confessò poi, cercando di mantenere una certa compostezza.

La scia di baci si diresse verso il suo basso ventre, passando per il petto villoso, ancora scoperto.  “Ti prego, ignora il biondo irrequieto che ti ha assalito…”.

“Mi stai chiedendo l’impossibile!” replicò l’irlandese, cercando di suonare infastidito ma riuscendo solo a mostrarsi impaziente mentre allungava una mano per scostare la vestaglia dalle spalle di Freddie.

“Ti sto chiedendo di dimenticarlo solo per un po’! Poi prometto che lo terrò fermo mentre ti vendicherai” sussurrò il frontman, tentando di risultare convincente.

Jim sorrise, gemendo piano, mentre una mano scivolava nei suoi pantaloni. “Mi sembra una bella prospettiva…d’accordo, allora” acconsentì mentre, con un movimento improvviso, ribaltava le posizioni, intrappolando l’altro sotto di se’ e posandogli un dolce bacio sulla punta del naso.

“Che fai?!” chiese Freddie, accarezzandogli il petto e sorridendo, sorpreso.

“Qualcuno stamattina mi ha detto che a letto sei, e cito testualmente, una regina esigente e scansafatiche” ridacchiò Jim, avvicinandosi alle sue labbra. “Quindi ho pensato di prendere il controllo” soffiò. “Per tua fortuna…questa è la mia cosa preferita, Freddie Mercury”. Poi, si avventò sulle sue labbra, incapace di resistere ulteriormente alla passione.

“Bugiardi…” commentò distrattamente il cantante, prima di chiudere gli occhi ed abbandonarsi alle attenzioni dell’irlandese con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.

-.-.-.-.-.-.-

Un anno dopo, 3 settembre 1983

“Uhm, Freddie, tesoro…sai che amo quando sei così creativo a letto ma sei sicuro di sapere quello che fai? Non credo che le mie gambe possano piegarsi così tanto…”

Era passato poco più di un anno dalla mattina in cui Jim si era svegliato in quella stessa stanza, accanto all’uomo con cui ora condivideva la propria vita ma che al tempo non era altri che il cantante, a tratti eccentrico e a tratti riservato, di cui si era invaghito. Dopo quel singolare risveglio, e gli eventi che erano seguiti, avevano iniziato a frequentarsi più assiduamente e, nonostante non fossero mancati litigi ed incomprensioni, il loro amore era sbocciato e cresciuto al punto che, in solo pochi mesi, avevano ufficializzato la loro relazione ed iniziato a convivere.

Ora, Freddie era rincasato la notte precedente, di ritorno dall’Australia, dove la band era stata occupata per due mesi con alcune tappe del nuovo tour. Non del tutto abituato ad avere qualcuno che lo attendesse a casa – qualcuno che non fosse Phobe o Joe, si intende-, era rimasto esterrefatto nel vedere la cena che Jim gli aveva cucinato ed i profumatissimi fiori che aveva sistemato all’ingresso, solo per lui. Tutti gesti semplici ma dai quali il cantante, non abituato a riceverli, rimaneva sempre colpito. I due avevano mangiato, gustato un buon vino, riso e, ovviamente, non si erano fatti mancare un bagno caldo e un po’ di coccole, tutte quelle che l’irlandese era riuscito ad amministrare prima che il cantante liberasse tutta la passione trattenuta e lo ingaggiasse in una notte di sesso sfrenato. Se c’era una cosa che aveva imparato su Freddie era che, quando desiderava il proprio amante, non c’era modo di fermarlo o di farlo attendere all’infuori di un chiaro e tondo non mi va. E a Jim, certo, andava di fare l’amore con l’uomo che amava dopo mesi di lontananza. Così, aveva lasciato che il frontman lo trasportasse in una bolla di intimità e piacere, prima di addormentarsi tra le sue braccia.

La mattina si era svegliato con il proprio ragazzo, il cui appetito sessuale non era stato saziato a sufficienza,  intento a baciargli il collo, mentre gli rivelava quanto, per la prima volta, gli fosse stato difficile stare lontano da casa, quanto lo avesse desiderato e quante notti si fosse accarezzato il corpo, pensandolo. Una fantasia, in particolare, si era insinuata nella sua mente e lo aveva stupito. Avrebbe voluto realizzarla, gli aveva detto. Si era avvicinato al suo orecchio e, quasi timidamente, aveva avanzato una richiesta che Jim non si sarebbe mai aspettato. Che ne diresti di scambiarci i ruoli per una volta, darling? Ti piacerebbe?

Fin dall’inizio, entrambi avevano assunto, in camera da letto, il ruolo che più gli apparteneva e gli piaceva. Fortuna aveva voluto che fossero amanti particolarmente affini e che si completassero perfettamente a vicenda. Non si erano mai imposti dei limiti sotto le lenzuola: avevano sperimentato liberamente, spesso spronati dalla creatività di Freddie, senza mai, tuttavia, scambiarsi quei ruoli che sentivano naturali. Ne avevano parlato, ovvio, e ci avevano scherzato su, a volte, ma Jim aveva sempre preferito evitare l’argomento perché, pur non essendo avverso a fare una nuova esperienza, non amava l’idea di mostrarsi impreparato e goffo davanti al cantante. Cedere il controllo della situazione gli era sempre riuscito difficile, causa il suo carattere pragmatico, forse.  D’altra parte, amava Freddie e così, con un po’ di titubanza, aveva acconsentito alla sua inaspettata richiesta.

Ecco spiegato come, dopo lunghi ed intensi minuti di preliminari che li avevano accesi di desiderio, si era ritrovato in quella posizione.

“Non essere sciocco, tesoro! Devi solo appoggiarle qui sopra” rise Freddie, posizionando le gambe dell’irlandese sulle sue spalle e lasciando un tenero bacio su una delle sue caviglie.

L’irlandese sorrise nervosamente. “Uhm, d’accordo…allora eccoci qui, eh?”

“Uhm sì”. Il cantante lo guardò, divertito, massaggiandogli le cosce. “Rilassati, Jim…mi guardi come se stessi per ucciderti”.

In cambio, ricevette un’occhiata accusatoria. “Hai visto quello che hai tra le gambe?!”.

Il frontman sgranò gli occhi, ridendo piano. “Allora è questo che ti preoccupa, mmh?” domandò, sfiorando il sesso del compagno.

Questi gemette, rilassandosi leggermente. “Beh, non è un particolare che mi sento di sottovalutare…!” borbottò.

“Oh tesoro, lascia solo che mi prenda cura di te e ti faccia provare! Sai bene che non farei mai niente che tu non voglia: dì una parola e ci fermeremo e non ne parleremo più. Ma almeno facciamo un esperimento …non sei curioso di sapere perché mi piaccia tanto? È?” mormorò il Freddie, piegandosi in avanti per depositare un bacio sulle labbra dell’irlandese mentre le sue dita sparivano tra le natiche di quest’ultimo, accarezzando l’inviolata apertura.

“Suppongo di …sì?” rispose Jim, provando a scacciare il nervosismo mentre si abbandonava alle carezze dell’amante.

Quest’ultimo sorrise soddisfatto, allungando una mano oltre i cuscini per prendere il barattolo di lubrificante che giaceva abbandonato sul comodino fin dalla sera prima. Proprio in quel momento, il campanello prese a suonare insistentemente.

“Accidenti! Chi diavolo è?!” sbuffò il frontman, svogliato al solo pensiero di dover interrompere quel momento di intimità per andare ad aprire alla porta. Se ci fossero stati Phobe e Liza!  I due, tuttavia, erano tornati dalle rispettive famiglie per qualche giorno, approfittando delle meritatissime ferie che gli aveva concesso, e non avrebbero potuto essere di alcun aiuto. Mordendosi il labbro, Freddie ponderò la possibilità di scendere al piano di sotto e controllare ma venne subito dissuaso dalla vista del corpo muscoloso dell’irlandese. “Oh, non importa. Ripasseranno! Dico bene, caro?”

Tuttavia, il diretto interessato non sembrava essere d’accordo.  “Uhm, no! Io credo che dovremmo andare a vedere. Potrebbe essere importante! O persino…molto importante” esclamò, sfuggendo all’abbraccio del cantante e scattando in piedi, sollevato all’idea di rimandare quel momento che, con suo grande imbarazzo, lo innervosiva parecchio.

“Non ti ho mai visto così attivo di prima mattina o così entusiasta di scoprire chi ha suonato il campanello, Jim Hutton! Devo presumere che le mie doti amatorie stiano peggiorando?!” domandò il frontman, alzando un sopracciglio, stizzito.

“Bah! Sciocchezze!” borbottò l’altro, indossando un paio di boxer ed una maglia nera senza maniche. Poi, posò un rapido bacio sulla guancia del fidanzato e si precipitò al piano di sotto, un sorriso raggiante dipinto in volto.

“Aspettami!” gridò Freddie, profondamente offeso. In un secondo, afferrò una vestaglia dalla fantasia eccentrica (un piccolo souvenir del tour in Giappone) a la indossò, seguendo il proprio ragazzo, imbronciato.

Il suono del campanello, nel frattempo, si era tramutato in una serie di toc-toc fastidiosi ed insistenti. Il cantante aggrottò le sopracciglia, confuso, e affiancò l’irlandese mentre questi apriva la porta, rivelando la restante parte della band.

“E voi che ci fate qui?! Vi ho lasciato solo poche ore fa!” chiese il frontman, attonito. I volti degli amici apparivano sereni e riposati mentre lo salutavano calorosamente, sorridendo. Chiaramente, avevano trascorso un’appagante nottata di sonno dopo mesi di levatacce. Perché, dunque, non erano rimasti a casa per godersi un altrettanto piacevole mattinata? Lui lo stava facendo, prima di essere interrotto. Innervosito, si portò le mani ai fianchi. “Spero sia molto importante! Ero…occupato, cari”.

“Immagino!” commentò John con indifferenza, infilando le mani nelle tasche dei jeans scoloriti che indossava. “Ciao Jim!” salutò poi, subito ricambiato dall’irlandese.

“Jim!” esclamò Roger, gettandogli le braccia al collo. “Mi sei mancato, amico!”

Il diretto interessato ridacchiò, dando una leggera pacca sulla schiena al biondo. “Tranquillizzati, Roger. Non ce l’ho più con te. Non devi fingere di soffrire la mia assenza ogni volta che non mi vedi per una settimana” lo rassicurò.

“Un po’ mi manchi davvero, però” rise il biondo, in risposta. “Non quanto le surfiste australiane, certo” aggiunse poi, con aria sognante.

“Ragazzi!” intervenne il cantante, spazientito. “Per quale questione vitale è richiesta la mia presenza, mhh?” chiese, spostando lo sguardo da uno musicista all’altro.

“Uhm, riunione della band? L’hai organizzata tu, Fred, ricordi? Per fare il punto della situazione sulle prossime tappe del tour. Dobbiamo farla avere a Mack il prima possibile” gli ricordò Brian, appoggiandosi allo stipite della porta.

“No, impossibile! Cari, vi state sbagliando: l’incontro è organizzato per il tre settembre e oggi è…”

“…è proprio il tre settembre!” concluse l’irlandese, stringendosi nelle spalle. “Beh, ragazzi, sarà meglio che vi lasci alle vostre cose, allora. In ogni caso, ho un mucchio di lavoro da fare in giardino” dichiarò, pensando fosse gentile lasciare ai quattro i loro spazi. “Oh, ehi! Perché non invitate qui le vostre famiglie, stasera? Non vedo i bambini da secoli” propose poi, ricevendo una risposta d’assenso da parte dei tre amici che, sorridendo, varcarono la soglia e si diressero verso il salotto. 

“Purché tu non dica niente a Dom sulle surfiste australiane…” acconsentì Roger, sedendosi sul divano in modo sgraziato.

“Promesso!” giurò Jim, dirigendosi verso le scale. Dopo solo due gradini, tuttavia, sentì il cantante schiarirsi la voce e dovette voltarsi. Freddie teneva le braccia conserte e batteva il piede nudo a terra, ritmicamente. Era visibilmente spazientito e, più di tutto, ferito nell’orgoglio. L’irlandese lo raggiunse, afferrandogli delicatamente il mento e posandogli un bacio a fior di labbra. Lo guardò con un sorriso furbo, sussurrando un semplice: “A dopo, tesoro”.

“Codardo!” sibilò il cantante, più interessato a risultare il più teatrale possibile che realmente arrabbiato.

 

-.-.-.-

 

 

Dopo un’intera giornata passata a stendere una bozza delle successive date del tour, comprensiva di città in cui avrebbero voluto esibirsi, ingegneri del suono e membri della crew da cui desideravano essere affiancati, spettacoli pirotecnici con cui intendevano sorprendere il pubblico e, ovviamente, la scaletta delle canzoni che avrebbero suonato, le famiglie di Roger, Brian e John li avevano raggiunti per la cena. Essendo ancora abbastanza caldo, pur essendo l’inizio di settembre, Jim aveva apparecchiato in giardino, in un punto riservato, dove nemmeno i più determinati paparazzi sarebbero riusciti a scovarli e fotografarli.

Avevano cenato insieme, chiacchierando e ridendo amabilmente, rievocando e raccontando i momenti più divertenti del tour. Roger era seduto accanto alla propria ragazza, Dominique. A dirla tutta, Jim non sapeva se fossero effettivamente fidanzati: di certo apparivano come tali ma non amavano la definizione e, sebbene non mancassero gli episodi di gelosia, entrambi frequentavano altre persone, occasionalmente. A detta loro si trattava di una profonda amicizia, condita con interessi. A giudicare da come si guardavano, comunque, avrebbero presto ammesso di amarsi e definito la propria relazione.

“Quindi mi è stato fedele?” chiese la mora ad un imbarazzato Brian, lanciando un’occhiata furba a Roger.

Il chitarrista, universalmente conosciuto per la sua incapacità di mentire, mancanza che, per altro, aveva contribuito alla fine del suo matrimonio, boccheggiò. “Uhm, beh… ecco, sì…certo”.

Freddie ghignò, divertito. “Tesoro, non crederei a questa risposta nemmeno se fossi ubriaco!”

“Cosa ti abbiamo sempre detto, Bri? Devi imparare a mentire!” lo rimproverò il biondo, facendo scivolare un braccio intorno alla vita di Dominique.

Quest’ultima guardò il chitarrista, divertita. “Apprezzo lo sforzo ma ti stavo solo prendendo in giro, Brian! So bene che Roger è un caso perso” lo rassicurò, alzando gli occhi al cielo e facendo schioccare la lingua.

No, l’irlandese non riusciva a capirli: quando si era trattato di Freddie, il solo pensiero che lo accantonasse per passare del tempo con altri uomini lo aveva fatto impazzire. Per Dominique e Roger, tuttavia, questa amicizia che sconfinava nell’amore e contemplava il tradimento sembrava funzionare, in qualche modo.

“Ragazzi…ecco il dolce! Sono una frana in cucina ma suppongo sia mangiabile. O lo spero, almeno!” scherzò Anita, avvicinandosi al tavolo con una teglia di tiramisù tra le mani. L’aspetto non era dei migliori, ma la simpatia della donna avrebbe sicuramente portato tutti ad assaggiarne un po’.

Da quanto gli era stato raccontato, Anita e Brian si erano conosciuti al matrimonio di John e Veronica, molto tempo prima. Lei damigella e lui testimone, si erano ritrovati seduti allo stesso tavolo e, discorrendo di attivismo e politica, avevano iniziato a darsi sui nervi. Da quel momento in poi, avevano passato anni a schernirsi e ad attaccarsi, con la sola valida scusa che vicini, proprio non riuscivano a stare, sebbene ogni tanto dovessero sforzarsi di farlo su richiesta della famiglia Deacon-Tetzlaff. Il tempo, tuttavia, aveva visto l’astio trasformarsi in attrazione e prendere il sopravvento. Così avevano iniziato ad odiarsi di giorno e ad amarsi di notte, finché il desiderio non era divenuto amore ed il matrimonio di Brian, da sempre precario, era crollato.

Jim sorrise, guardando il chitarrista mentre invitava la compagna a sedersi sulle proprie gambe e allungava il collo per controllare i suoi due bambini, frutto dell’ormai concluso matrimonio, che giocavano sull’enorme prato. Un anno prima lo aveva visto soffrire tanto ed ora era entusiasta nel ritrovarlo così sereno.

 “Uhm, non è per niente male, Anita” si complimentò Veronica, deglutendo a fatica un boccone di tiramisù ed offrendo all’amica un sorriso gentile.

“Bugiarda!” borbottò John, guadagnandosi un colpo sul braccio da parte della moglie. “Che c’è?!”

“Diamine! È terribile!” esclamò la cuoca, assaggiandolo. “Ronnie, non è necessario essere gentile in ogni situazione. Che ragazza testarda: è anni che te lo ripeto!” aggiunse, alzando gli occhi al cielo e ridendo del proprio fallimento.

La diretta interessata si strinse nelle spalle, arrossendo leggermente. L’irlandese la osservò, meditabondo. Veronica era cresciuta insieme a Freddie, Roger, Brian e, ovviamente, suo marito John. Ormai, era evidente che quegli uomini rappresentassero la sua famiglia. Il cantante, tempo prima, gli aveva spiegato che quando, da ragazza, era rimasta incinta i suoi genitori e la sua intera comunità le avevano voltato le spalle in nome del buon nome e della religione. Da allora, non li aveva più visti ma, a detta sua, non si era mai sentita sola: tutti loro le erano stati accanto come fratelli ed amici. Dolce, timida e testarda Ronnie: bella senza nemmeno un velo di trucco, coraggiosa e determinata ma mai irragionevole, paziente ed ottimista per natura. Lo aveva accolto a braccia aperte sin dal momento in cui li avevano presentati, riservandogli un calore inaspettato. La sua relazione con John era qualcosa a cui Jim aspirava fin dal primo momento in cui li aveva visti insieme: al di là dei problemi che, di tanto in tanto, si presentavano anche per loro, quei due avevano una chimica straordinaria. Interagivano in modo a dir poco singolare, capendosi con una sola occhiata, ridendo di qualsiasi sciocchezza, desiderandosi ardentemente, facendo squadra nell’occuparsi dei propri figli – Jim ricordava bene la finta partita di football che avevano inscenato mentre si passavano un biberon – e supportandosi nelle piccole e grandi difficoltà. Desiderava costruire tutto questo con Freddie.

“Oh no, io credo che debba continuare ad essere gentile. Che dirà quando Deaky si spoglierà davanti a lei, altrimenti?” scherzò Brian, guadagnandosi un’occhiata lapidaria dal bassista.

“Disse Mr Muscolo…” commentò, di rimando.

“Buoni, bambini. Non c’è motivo di giocare alle prime donne e a chi ce l’ha più grosso, sappiamo tutti che quello sono io!” si intromise Freddie, sottolineando il suo intervento con un drammatico movimento del polso.

“Touchè!” ghignò Roger.

Tutti i presenti risero, divertiti. Veronica sbuffò, spazientita. “Proprio non riuscite a non parlare di queste cose mentre siamo a tavola, vero?” domandò, rimproverandoli bonariamente. “è inappropriato!”

John le fece il verso, prendendola in giro. “è inappropriato! È inappropriato!”

“Mhh, è inappropriato cavalcare un toro meccanico con indosso solo un paio di mutandine, mia cara santarellina?” domandò il biondo, in modo furbo.

“Non ci credo che tu abbia appena citato quell’episodio…” commentò Anita, impaziente di sentire la risposta dell’amica.

“è stato una vita fa, Taylor, e la tua festa di compleanno era sfuggita di mano un po’ a tutti” si difese Ronnie, arrossendo e trattenendo un sorrisino colpevole.

“L’anno scorso, in realtà…” offrì Brian.

“Oh, per l’amor del cielo! Basta! Andrò in cucina a prendere il gelato” dichiarò Veronica, fingendosi offesa. Così dicendo, si alzò dal tavolo e si diresse verso l’ingresso dell’immensa abitazione.

“Ti do una mano se mi racconti tutto!” gridò Dominique, in preda alla curiosità. Poi, la seguì.

Jim rise, avvicinandosi al frontman per depositargli un dolce bacio sulla tempia. “Sei bellissimo con questa camicia…” gli sussurrò all’orecchio.

Il cantante accarezzò la guancia del compagno, lusingato. “Anche tu stai particolarmente bene stasera, caro. Molto macho!” si complimentò, facendo scorrere la mano fino al bicipite dell’irlandese e sorridendo soddisfatto.

Proprio in quel momento, Jim vide un paio di manine paffute posarsi sul suo ginocchio, ancorandosi alla stoffa dei pantaloni.

“Zio Jim!” chiamò la squillante voce di Laura, la più giovane dei tre piccoli Deacon, di appena quattro anni.

“Ehy, pulcino! Che succede?” chiese l’irlandese, scompigliandole i capelli biondi.

La bambina cercò di sistemarsi i codini che, dopo il tanto correre e giocare, minacciavano di disfarsi. Quando si accorse di non riuscirci, rivolse una rapida occhiata ai restanti membri del tavolo ma, non individuando la propria mamma, alzò le spalle e, dimenticandosi dei capelli, tornò a guardare l’irlandese, strofinandosi le manine sudate sul vestitino a quadri rossi e bianchi.

“Robbie dice che non posso giocare con loro! Dice che è un gioco da grandi quello!” denunciò Laura, indicando il fratello maggiore, intento a lanciare una palla a Louisa, la figlia di Brian. Gli occhi le si inumidirono, al pensiero di non essere inclusa dagli altri bambini. “Dice che sono troppo piccola…” aggiunse, mentre una lacrima le solcava la guancia.

“Oh, no…” mormorò Jim.

“Stronzetto” commentò Freddie. “I bambini sanno essere crudeli!”

“Fred!” lo rimproverò l’irlandese. “Vieni qui, pulcino!” disse poi, sollevando la bambina e facendola sedere sulle sue gambe. “Vorrà dire che dovremo creare un gioco tutto nostro…e sarà bellissimo, vedrai! Ci divertiamo sempre io e te, insieme, vero?” la rassicurò.

Laura annuì piano, provando a prendere una mano di Jim tra le sue, minuscole. Riuscendole troppo difficile, si limitò a stringere un dito. “Possiamo giocare all’aereo, magari, zio Jim?” domandò con voce rotta.

L’irlandese sorrise, acconsentendo alla richiesta della più piccola della famiglia. Fin da quando si erano conosciuti, Laura aveva sempre avuto un debole per lui e la sua adorazione era ricambiata. Jim amava tutti quei bambini e li considerava veri e propri nipotini ma quello scricciolo con i vestitini colorati ed i codini gli aveva rubato il cuore.

“Oh, sono geloso!” li interruppe Freddie. “Dovrei essere io il tuo zio preferito, è sul mio divano che hai fatto popò una volta, anche se non te lo ricordi!” rise, dandole un buffetto su una guancia e facendola sorridere.

“Ma io voglio bene a tutti e due” rimarcò Laura. “Un pochino di più allo zio Jim perché mi fa fare l’aereo, ma solo un pochino così!” spiegò, mostrando con le manine la poca differenza tra la quantità di bene che provava per uno zio e per l’altro.

I due adulti scoppiarono a ridere. “Lo sappiamo che ci vuoi bene, pulcino!” esclamò l’irlandese, schioccandole un bacio sulla fronte. La piccina, tuttavia, non si lasciò andare alle risate, occupata a fissare le mani dei suoi zii, dove comparivano due anelli identici. Sgranando gli occhi per la meraviglia, allungò una manina per toccarli entrambi, un’espressione pensierosa dipinta in volto.

“Anche la mamma e il papà hanno questi” ragionò, poi. “Voi vi volete bene come la mamma e il papà?” chiese. “La mamma dice che è così…”

I due fidanzati si guardarono, scambiandosi un’occhiata d’intesa. “Sì, tesoro. Noi ci amiamo proprio come la tua mamma ed il tuo papà” spiegò il cantante, accarezzandole una gambina nuda.

Laura si morse un labbro, riflettendoci su. “Allora puoi tenere lo zio Jim finché non sono grande! Perché poi io lo voglio sposare…” dichiarò alla fine, convinta, provocando le risate di tutta la tavolata che, nel frattempo, accortasi che qualcosa non andava, aveva smesso di chiacchierare e concentrato l’attenzione sulla bambina.

“Oh! Mi ci sono voluti anni per trovare quello giusto, tesoro! Non me lo toglierai così facilmente!” rispose il cantante, portandosi una mano al petto, indignato.

Jim sorrise, soffermandosi sulle parole del compagno. Quello giusto. Nessuno dei suoi precedenti fidanzati lo aveva definito quello giusto, nonostante lui, da romantico e sognatore qual’ era, aveva spesso sperato di aver trovato la persona che lo avrebbe accompagnato per tutti gli anni a venire. Un giorno, mentre erano sdraiati sul divano ed occupati a coccolarsi, Freddie gli aveva domandato cosa desiderasse dalla vita: l’amore di una persona che intendesse impegnarsi a costruire un rapporto solido e duraturo, aveva risposto. Il cantante aveva sorriso, senza aggiungere altro, e l’irlandese aveva capito che le loro aspettative coincidevano perfettamente: entrambi chiedevano al futuro di rincasare, la sera, e trovare qualcuno che li accogliesse a braccia aperte. Dopo tutte le relazioni naufragate, gli amori tossici e le storie brevi e di poco conto, si erano trovati, diversi ma profondamente simili. Un anno prima, non avrebbe mai potuto immaginare che la sua vita semplice e, a tratti, monotona avrebbe preso quella singolare piega, che la sua quotidianità sarebbe stata sconvolta dal più orgoglioso ed eccentrico degli artisti. Jim sorrise, accarezzando i capelli di Laura. Finalmente, si sentiva a casa: tra quelle persone, così diverse ed insolite, poteva essere se stesso ed amare chi desiderava senza alcuna vergogna, ricevendo altrettanto amore in cambio. Il cantante si avvicinò, posando un bacio sulle sue labbra. “Ti amo...” sussurrò, prima di abbassarsi per strofinare il naso contro quello della bambina, scatenando le risate di quest’ultima. “Zio Freddie!” gridò, scalciando con le gambine, contenta. Ecco, il desiderio che diventava realtà: amore ed impegno. Ecco la sua famiglia, ecco casa.

“Hey, bellezza! Che ci fai qui?” domandò John, avvicinandosi alla figlia. “Perché non giochi con gli altri?”.

Laura scosse la testa. “Gioco con lo zio Jim, io! Robbie non mi vuole!” spiegò, accusando il fratello.

John annuì. “Ci pensa papà, cucciola…” la rassicurò, depositandole una carezza tra i capelli, prima di voltarsi verso il prato e gridare il nome del figlio con voce autoritaria.

“Uh, bambini…per fortuna non ne avremo mai!” commentò il cantante, fingendosi disgustato alla sola idea. Tuttavia, a Jim non era sfuggito lo sguardo amorevole che Freddie aveva rivolto alla bambina, poco prima, ne’ l’ombra di malinconia che lo aveva accompagnato.

“Le cose più impensabili accadono continuamente, Fred. Quindi…chi può saperlo! Potremmo coronare anche questo sogno” rispose l’irlandese, lanciandogli un’occhiata comprensiva.

Il cantante si sorprese ed imbarazzò, colto sul fatto. Mordendosi un labbro, cercò di sopprimere un sorriso. “Non ho idea di cosa tu stia parlando, caro!” liquidò il discorso, con un gesto della mano esagerato e teatrale.

“Codardo…” rimarcò Jim, fingendo indifferenza mentre, sorridendo divertito, stringeva Laura a se.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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