Nota
dell’autrice: L’ordine
cronologico degli
eventi della vita privata e della carriera dei Queen non è
stato rispettato in
questo racconto. Gli accadimenti reali sono rivisitati. Quel che rimane
di
attendibile, è vagamente ispirato a quanto raccontato nel
libro “Mercury and
Me” di Jim Hutton.
Grazie
a chi leggerà e recensirà!
M.
15
Luglio 1982
Jim
sospirò profondamente, posando
le mani ai lati del lavandino e sollevando la testa per incontrare il
proprio
riflesso. Lo specchio di quel bagno, uno dei tanti a Garden Lodge, era
uno dei
pezzi di arredamento più raffinati che avesse mai visto: la
cornice dorata e
ricca di decori richiamava lo stile barocco, apparendo quasi eccessiva.
Tutto
in quella casa sembrava oscillare tra l’eleganza e
l’esagerazione, proprio come
l’uomo che dormiva pacificamente nella stanza accanto.
Dopo
mesi o, meglio, anni di
sporadici ma insistenti tentativi Freddie Mercury, uno degli uomini
più
acclamati e desiderati al mondo, era riuscito a guadagnare le
attenzioni di
niente poco di meno che Jim Hutton, il più semplice e
scontato esemplare che il
cantante avrebbe potuto scegliere. Jim ridacchiò davanti
all’assurdità del suo
stesso pensiero. Trovava la situazione a dir poco paradossale: mai
avrebbe
pensato di risvegliarsi in una simile reggia, abbracciato ad un uomo i
cui fan
strepitavano fuori dalla finestra, catapultato in una realtà
così diversa da
quella a cui era abituato.
Lasciandosi andare ad un
altro sospiro, scosse
piano la testa, decidendo di cedere all’urgenza che
l’aveva tormentato fin dal momento
in cui aveva aperto gli occhi, pochi minuti prima: andarsene. Il mondo
di
Freddie, fatto di divertimento, fama, ricchezza e adulazione lo faceva
sentire
a disagio e le avances del cantante lo confondevano. Lo aveva osservato
per
mesi rimorchiare gli uomini più disparati con una
facilità disarmante e
liberarsene altrettanto rapidamente, eppure non aveva desistito nel
corteggiarlo, e questo Jim non riusciva proprio a spiegarselo. Non
quando
Freddie avrebbe potuto avere chiunque.
A dirla tutta, anche lui non
era immune al
fascino del cantante che, sotto una corazza di spavalderia, sembrava
nascondere
una personalità tranquilla e riservata ed uno smisurato
desiderio di compagnia
e amore. Nel pensarlo, si lasciò scappare un sorriso, per
poi riscuotersi velocemente.
Era inutile farla tanto complicata: si era trattato solo
dell’avventura di una
notte e Freddie lo avrebbe sbattuto fuori di casa non appena si fosse
svegliato, in ogni caso. D’altronde, aveva ottenuto
ciò che desiderava e non
avrebbe avuto ragione di continuare a corteggiare
l’irlandese. Presto, si
sarebbe lasciato coinvolgere da un altro uomo (come sempre, del resto)
e lui
sarebbe tornato alla propria banale ma equilibrata routine.
Forte
della propria decisione,
seppur un po’ rammaricato all’idea di non ricevere
più le chiamate del cantante
nel bel mezzo della notte, uscì dal bagno e
rientrò in camera da letto in punta
di piedi, giusto il tempo di afferrare scarpe e pantaloni. La maglia
non riuscì
proprio a trovarla e, terrorizzato all’idea di svegliare
l’uomo che dormiva
abbracciato ad un cuscino a poco meno di un metro di distanza, scese a
patti
con la soluzione di non indossarla. La sua macchina era parcheggiata
proprio di
fronte all’immensa abitazione e, a metà luglio,
stare all’aperto a petto nudo
non sarebbe stato un problema. Tutto pur di non aspettare che Freddie
si
svegliasse e trovasse una scusa per liberarsi di lui! Non era certo la
prima
volta che si concedeva una notte di passione con un uomo incontrato in
un
locale e sapeva che il risveglio portava più spesso a
situazioni imbarazzanti che
a romantiche colazioni, per quanto quest’ultime non gli
sarebbero dispiaciute.
Indossati
i capi recuperati,
percorse un corridoio che, causa le troppe birre della sera prima, non
gli era
affatto familiare. Poi, scese rapidamente le scale e, arrivato al piano
inferiore, venne accolto da due voci provenienti dalla grande cucina.
Jim
ricordava vagamente quella stanza: lui e Freddie avevano stappato la
loro
ultima birra proprio lì, la sera prima, prima di lasciarsi
trasportare dalla
passione. Si mise in ascolto: si trattava di due uomini che
chiacchieravano e
ridevano, ricordando proprio gli eventi della notte precedente.
“E
che mi dici del tizio con cui
stavi ballando? Quello grosso, con i capelli rossi e le mani
strane…” domandò
uno dei due.
“Non
erano strane, Phobe! Forse un
po’ piccole. Ma sai cosa si dice: le dimensioni non
contano!” lo rimbeccò
l’altro.
“Ah,
sì? Non mi sembrava fossi un
fan delle dimensioni ridotte, Joe!”
tornò a schernirlo il primo. “Dimmi
uno solo dei tuoi amanti che non avesse un …coso
enorme. Dai tuoi
racconti mi era parso di capire che fossero tutti ben messi: Jonathan,
Billy,
Diego, quel tizio alto che abbiamo conosciuto all’Heaven
e Freddie,
naturalmente”
Nel
sentire quel commento Jim, che aveva
già una mano sulla maniglia della porta, si
irrigidì, arrossendo. Sì, non aveva
trovato neppure un’imperfezione sul corpo del cantante che,
oltretutto, si era dimostrato
un amante particolarmente focoso e dedicato. Tuttavia, sentire un altro
uomo
parlarne così schiettamente lo imbarazzava e, contro ogni
sua aspettativa,
ingelosiva. A chi apparteneva quella voce? Che aspetto aveva e che tipo
di
relazione lo legava al frontman? Era il suo ragazzo, forse? Magari
avevano una
relazione aperta!
“D’accordo,
mi arrendo! Smettila di
citare Freddie…è ancora troppo strano!”
giunse di nuovo la voce dell’uomo
misterioso. “Persino dopo anni, non riesco a capacitarmi di
come abbiamo fatto
a finire a letto insieme. Che stavamo pensando?! Siamo praticamente
identici:
l’unica cosa che potremmo fare sotto alle coperte sarebbe una
partita a carte”
“Sì,
nel senso che siete entrambi
due regine esigenti e scansafatiche, in cerca di qualcuno che faccia
tutto il
lavoro al posto vostro!” rise quello che Jim aveva
identificato con il nome di
Phobe. “Parlando di nottate focose…hai visto chi
si è portato a casa, ieri?!”
“Uhm,
no. Ero occupato, lo sai!”
“Ma
si, quel tipo irlandese! Ce ne
ha parlato per mesi interi, ricordi? D’accordo, non importa:
forse lo vedremo
quando si sveglieranno. Per ora, sono felice di non dover condividere
questi
pancakes perchè sono la fine del mondo. Bravo,
chef!”
Sapevano
di lui. E volevano
conoscerlo! Già spettegolavano sulla notte appena
trascorsa…cosa avrebbero
detto nel trovarlo lì, nel bel mezzo del salotto,
rigorosamente a torso nudo?
Jim fece una smorfia. Non voleva neanche immaginarsi la scena. Decisosi
ad
andarsene, aprì la porta ma, subito, venne ostacolato da due
gatti che, rapidi,
lo sorpassarono e iniziarono a miagolare insistentemente.
“I
gatti, accidenti! Mi sono
completamente dimenticato di loro, stamattina. Meglio che vada a
sfamarli prima
che Freddie si svegli”.
La voce di Joe
arrivò dalla cucina e,
sentendola, Jim sprofondò nel panico. Sgranando
gli occhi, cercò di zittire i mici con degli Shh a
malapena udibili e,
quando non funzionò, si lanciò fuori dalla porta,
sperando di raggiungere il
cancello prima che i passi che si stavano avvicinando lo cogliessero in
fragrante.
La
fortuna, tuttavia, non sembrava
dalla sua parte sicché, attraversato appena metà
del giardino, si sentì
chiamare.
“TU!
Chi diamine sei?! Come hai
fatto ad entrare? PHOBE! Chiama la polizia…è
successo di nuovo!” gridò Joe, allarmato
e profondamente infastidito.
La
polizia? A cosa sarebbe servita
la polizia? Incapace di muovere un muscolo, rimase immobile nel bel
mezzo del
giardino, sentendo gli strepitii di un gruppo di fan provenire da oltre
i
cancelli. In pochi secondi, la situazione gli fu chiara. Pensa
che io sia
uno di loro, che mi sia intrufolato in casa nel tentativo di incontrare
il
grande Freddie Mercury! Subito, si voltò verso
l’ingresso per spiegare il
fraintendimento.
“NO!
No, c’è stato un errore. Non
sto cercando di entrare in casa, okay? Io ero già dentro. Me
ne sto semplicemente
andando! Se solo fossi così gentile da aprirmi il cancello,
toglierei il
disturbo in un secondo…” spiegò
l’irlandese, accompagnando le rassicurazioni
con un sorriso insicuro ma speranzoso.
Joe
lo scrutò per alcuni secondi,
sospettoso. Poi, d’un tratto, annuì in modo
gentile, sorrise e parlò con tono pacato:
“Ma certo, l’importante è spiegarsi. Ti
aprirò il cancello. Tu…aspettami qui,
okay?” disse.
Jim
ricambiò la sua gentilezza con
un’espressione sollevata. “Ti ringrazio.
Aspetterò che tu…”. Prima che potesse
concludere la frase, tuttavia, venne spinto a terra da un uomo
arrivatogli alle
spalle e di cui, prima di cadere, non intravide altro che la figura
esile e la
chioma bionda. A terra, cercò di divincolarsi dalla stretta
del suo assalitore
che, seppur meno forte di lui, sembrava spinto da una
quantità di adrenalina di
cui l’irlandese, di natura bonaria e pacata, non disponeva.
Confuso, proruppe
in un comando autoritario: “Lasciami subito! Chi diamine
sei?!”.
Come
fosse finito disteso sul
vialetto del giardino di un eccentrico cantante di fama mondiale, mezzo
nudo e
con un biondino irrequieto che si contorceva sopra di lui, Jim non
avrebbe
saputo spiegarlo. Tutto ciò che aveva provato a fare era
sollevare lui e
Freddie dal tipico imbarazzo della mattina dopo,
con scarsi risultati, evidentemente.
Lo
strano individuo che lo
sormontava ignorò le sue proteste, gridando vittorioso:
“Joe! L’ho preso!
Chiama la polizia!”.
L’irlandese
aggrottò le
sopracciglia, innervosito, e con un colpo di fianchi ribaltò
le posizioni,
bloccando i polsi dell’uomo in una stretta ferrea.
“Senti, non intendo farti
male ma non voglio nemmeno essere trattato come un ladro,
d’accordo!?” cercò di
ragionare, provando a riordinare le idee. “Ora…chi
sei tu?”
Il
biondo, vestito con una colorata
camicia dalla fantasia hawaiana, provò a divincolarsi
inutilmente, prima di
rispondere con un indignato. “Sai benissimo chi sono, razza
di pervertito! Tu,
piuttosto, chi sei?! E che volevi fare a Freddie, eh?”
Jim
sgranò gli occhi, allentando
all’istante la stretta sui polsi dell’altro.
“Oh mio dio, voi pensate che io
sia qui per fare del male a Freddie! Va bene, c’è
stato uno sbaglio. Se la
smettessi di divincolarti potremmo parlare tranquillamente e ti
spiegherei ogni
cosa…” tentò. In cambio, ricevette un
calcio ben assestato sugli stinchi e,
poco dopo, un pugno sullo zigomo che lo intontì al punto di
costringerlo a
stendersi a terra nuovamente, esausto e dolorante.
Tale
era la confusione, che a
malapena riuscì a distinguere la familiare voce proveniente
dall’ingresso.
“Roger! Fermati!
Che gli avete fatto? Povero
caro! Siete impazziti?”. La voce di Freddie era impegnata in
un severo
rimprovero che, tuttavia, si dissolse quasi immediatamente per lasciare
spazio
ad una profonda preoccupazione.
Sentì dei passi
avvicinarsi e poi la
morbidezza della vestaglia di seta del cantante contro la guancia. Una
mano
fresca gli accarezzò dolcemente la fronte. “Oh,
caro, mi dispiace così tanto.
Sono qui, ora! Mi occuperò di te…”
Rassicurato
da quelle parole, Jim smise
di lottare e si abbandonò al mite torpore che sembrava
reclamarlo.
-.-.-.-
Quando
Jim aprì gli occhi, la prima
cosa che vide fu il volto di Freddie, intento a tamponargli lo zigomo
con una
pezzuola bagnata. Gemette lievemente sotto il suo tocco, colto da una
fastidiosa fitta di dolore che si irradiava fino al mento.
“Oh,
perdonami…” sussurrò il
cantante, mortificato. “Ti fa molto male?”
L’irlandese
sbatté le palpebre,
eliminando ogni traccia del torpore che lo aveva pervaso poco prima e
si guardò
intorno, prendendosi qualche minuto per riconoscere la stanza in cui si
trovava
e far affiorare i ricordi della mattinata trascorsa. Era nella camera
da letto
di Freddie, esattamente come la sera precedente. Il solo ricordo lo
fece arrossire
e la situazione non migliorò quando realizzò di
dover spiegare al cantante le
ragioni della sua fuga mattutina. A questo si aggiunse una naturale
confusione:
chi era il biondo che si era accanito contro di lui? E
perché lo aveva fatto?
Le emozioni si sovrapponevano e mescolavano nella mente di Jim, fino a
lasciarlo senza parole. Sospirò, scuotendo piano la testa.
“Shh.
Non c’è ragione di sforzarti.
Riposa ancora un po’, caro!” suggerì il
frontman, intuendo il disagio
dell’altro.
“No,
no” mormorò l’irlandese.
“Vorrei…parlare. Ho parecchie domande, in
effetti” proseguì, posando la mano su
quella di Freddie e allontanandola delicatamente dal suo viso. Poi, si
mise a
sedere. “Grazie di esserti preso cura di me”.
“Mi
sembra il minimo che potessi
fare dopo…beh, lo sai. A proposito, mi dispiace tantissimo.
Immagino che vorrai
delle spiegazioni” sospirò il frontman,
stropicciando nervosamente il bordo
della vestaglia che indossava.
“Mentirei
se ti dicessi di no…”
commentò Jim, un velo di disappunto percepibile nella voce.
“Sei
arrabbiato?”
La
domanda lo sorprese (difatti,
non si aspettava che il cantante si sarebbe assunto la
responsabilità della
pessima accoglienza che i suoi conviventi gli avevano riservato) ma fu
l’occhiata che Freddie gli rivolse a spiazzarlo: il volto era
contorto in una
smorfia di malcelata preoccupazione e i profondi occhi marroni, marcati
da una
linea di matita nera, erano colmi di tristezza.
Jim
gli sorrise dolcemente,
intenerito. “No”. Era una bugia, è vero,
ma non aveva cuore di far pesare al
cantante quella serie di infiniti fraintendimenti.
“Però vorrei delle risposte.
Per esempio, chi sono Joe e Phobe? E perché volevano
chiamare la polizia, nel
vedermi? Soprattutto…spiegami perché sono stato
attaccato da quel tizio
biondo!”
Il
frontman si morse un labbro,
lasciandosi sfuggire una risatina, parzialmente sollevato dalla
reazione pacata
dell’irlandese. “Joe e Phobe sono i miei
collaboratori. Phobe è il mio
assistente personale mentre Liza...voglio dire, Joe cucina per tutti
noi.
Sfortunatamente, a volte capita che alcuni dei miei fan invadano la mia
privacy
cercando di entrare in casa: solo il mese scorso una donna è
riuscita ad
introdursi qui dentro e a rubare alcuni dei miei boxer da
quell’armadio! Ci
crederesti, caro?!” spiegò, accompagnando al
racconto alcune esilaranti smorfie
di disgusto. “Hanno pensato che stesse succedendo di nuovo o,
meglio, Liza l’ha
fatto. Phobe sapeva chi fossi ma si è accorto di quello che
stava succedendo
quando ormai era troppo tardi, sfortunatamente” concluse,
mortificato.
“Che
mi dici dello psicopatico
biondo?” lo incalzò Jim.
Il
cantante fece tamburellare le
dita sul mento per qualche secondo, assumendo un’aria
pensosa. “Oh, caro. Non
saprei come dirlo per farlo apparire migliore quindi
confesserò e basta: è
Roger, il batterista della mia band. Nonché uno dei miei
migliori amici…”.
“Scherzi?!”
“Temo
di no! Ti assicuro che è un
uomo stupendo. Solo che quando pensa che i suoi amici siano nei guai
agisce in
modo istintivo. Era convinto che tu fossi uno dei nostri fan fuori di
testa!”
sorrise Freddie, un’espressione colpevole che si faceva
spazio sul suo viso.
Jim
annuì lentamente, prendendosi
qualche attimo per ponderare le parole del cantante. Calata nella sua
routine,
scontata e ripetitiva, quell’intera avventura sarebbe parsa,
come minimo,
surreale. Inserita nella realtà di uno come Freddie,
d’altro canto, acquisiva un
senso. Alla luce di quest’ultima riflessione, perdonare il
trambusto di poco
prima fu più semplice di quanto l’irlandese avesse
immaginato. Si risolse ad
accantonare la questione e ad avanzare una battuta per stemperare la
tensione
che si era venuta a creare. “Dunque metà dei tuoi
amici mi odia già. Mi sembra
un pessimo inizio…” ridacchiò,
stringendosi nelle spalle.
“Inizio?”
domandò il cantante, facendolo
imbarazzare. Immediatamente, si maledisse per aver parlato del loro
rapporto
come se questo fosse destinato a durare. Cercò di fare
ammenda, balbettando
qualcosa di incomprensibile.
“Inizio?!”
insistette il frontman,
ignorando le sue giustificazioni e sorridendo speranzoso.
“Non mi
dispiacerebbe, un inizio” offrì timidamente.
“Te lo avrei detto questa mattina
ma quando mi sono svegliato tu non c’eri. Non è
educato, caro! Ti regalo la
notte migliore della tua vita, e tu corri via, mhh?!”
scherzò, nel tentativo di
celare la delusione dietro ad una risata.
Jim
annuì, immerso nei suoi
pensieri. “Uhm, sì. È stato bello.
Molto, a dir la verità.”.
Freddie
alzò gli occhi al cielo,
abbandonandosi ad un sospiro sconsolato. “Ma…?
Forza, continua, tesoro! Ho
sentito di tutto, ormai. È per come è iniziata?!
Ammetto che il mio approccio è
stato poco elegante ma mi sono fatto perdonare, credo. O è
per il colore della
mia pelle? I denti, forse? Quelli non li sopporto ma sistemarli
significa
rischiare di compromettere la mia voce e io ci lavoro con quella!
Troppo
romantico, magari? O quello di ieri notte non era il ruolo giusto per
te? Se la
tua scusa è quella sappi che non reggerà
perché non ho problemi a scambiarci i
ruoli…uhm, ogni tanto”.
L’irlandese
lo ascoltò
attentamente, aggrottando le sopracciglia. Perché aveva
avuto così tanta fretta
di andarsene, quella mattina? Freddie non appariva spavaldo o
indifferente,
come aveva temuto originariamente. Piuttosto, pareva timido e la sua
insicurezza
lo inteneriva. Fino ad un paio di ore prima era convinto che il
cantante non
avesse mai conosciuto il rifiuto ma ora aveva la dimostrazione di
essersi
sbagliato: Freddie aveva sofferto, proprio come tutti gli altri, e
desiderava
amore, tanto quanto Jim.
“Oh,
ogni tanto, dici?” domandò,
faticando a mantenere un’espressione seria.
“Beh,
si…ogni tanto” pigolò il
cantante, gonfiando il petto, orgoglioso.
Jim
rise, scuotendo la testa. “Ti
prendo in giro, Freddie. Non devi cambiare nulla di te per piacermi! E
non si
tratta di questo o di una delle motivazioni che hai elencato. In
effetti, temo
che la fuga di stamattina sia derivata solo da…”
“Da?”
lo incitò il diretto
interessato, posando una mano sulla sua, preso
dall’impazienza.
“…dalla
fifa” concluse l’irlandese,
incontrando gli occhi del cantante. “Credo non volessi essere
sbattuto fuori
con qualche scusa scadente. Pensavo di non interessarti più
di tanto, ecco”
ammise, passandosi distrattamente una mano tra i capelli con fare
colpevole.
Nel
sentire quelle parole, il viso
del frontman si illuminò. In un secondo, fu tra le braccia
di Jim che, perdendo
l’equilibrio, si distese nuovamente sul letto, portando
l’altro con se’. “Sciocco!
Nei miei programmi c’era solo ripassare le mosse di ieri sera
e prepararti la
colazione. No, okay, questa è una bugia: non so cucinare! Ma
ti avrei fatto
fare qualcosa da Joe, tesoro!”
L’irlandese
lo strinse, appoggiando
la fronte alla sua e accarezzandogli i fianchi, ancora coperti dalla
vestaglia
colorata. Sì, era stato uno sciocco. Un vero e proprio
stupido. “Perdonami…non
avrei dovuto sparire così. Se ti consola, sappi che
è stata l’uscita di scena
più umiliante di tutta la mia vita”
affermò, ridendo.
“Sì,
mi fa sentire un po’ meglio,
in effetti” scherzò il cantante, per poi
avventarsi sul collo di Jim, dove
lasciò una scia di baci bagnati mentre si sistemava
più comodamente sopra di
lui.
“Cerchi
di rimediare?” sussurrò
quest’ultimo, alzando i fianchi per premerli contro il corpo
di Freddie che, in
risposta, iniziò a muoversi pigramente, assecondando i
movimenti del proprio
amante.
“Mhh,
sì. Direi di sì”
L’irlandese
si morse un labbro,
reprimendo un gemito. “Non ho esaurito le domande, a dire il
vero” confessò poi,
cercando di mantenere una certa compostezza.
La
scia di baci si diresse verso il
suo basso ventre, passando per il petto villoso, ancora scoperto. “Ti prego, ignora
il biondo irrequieto che ti
ha assalito…”.
“Mi
stai chiedendo l’impossibile!”
replicò l’irlandese, cercando di suonare
infastidito ma riuscendo solo a
mostrarsi impaziente mentre allungava una mano per scostare la
vestaglia dalle
spalle di Freddie.
“Ti
sto chiedendo di dimenticarlo
solo per un po’! Poi prometto che lo terrò fermo
mentre ti vendicherai”
sussurrò il frontman, tentando di risultare convincente.
Jim
sorrise, gemendo piano, mentre
una mano scivolava nei suoi pantaloni. “Mi sembra una bella
prospettiva…d’accordo,
allora” acconsentì mentre, con un movimento
improvviso, ribaltava le posizioni,
intrappolando l’altro sotto di se’ e posandogli un
dolce bacio sulla punta del
naso.
“Che
fai?!” chiese Freddie,
accarezzandogli il petto e sorridendo, sorpreso.
“Qualcuno
stamattina mi ha detto
che a letto sei, e cito testualmente, una regina esigente e
scansafatiche”
ridacchiò Jim, avvicinandosi alle sue labbra.
“Quindi ho pensato di prendere il
controllo” soffiò. “Per tua
fortuna…questa è la mia cosa preferita, Freddie
Mercury”. Poi, si avventò sulle sue labbra,
incapace di resistere ulteriormente
alla passione.
“Bugiardi…”
commentò distrattamente
il cantante, prima di chiudere gli occhi ed abbandonarsi alle
attenzioni
dell’irlandese con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.
-.-.-.-.-.-.-
Un
anno dopo, 3 settembre 1983
“Uhm,
Freddie, tesoro…sai che amo
quando sei così creativo a letto ma sei sicuro di sapere
quello che fai? Non
credo che le mie gambe possano piegarsi così
tanto…”
Era
passato poco più di un anno
dalla mattina in cui Jim si era svegliato in quella stessa stanza,
accanto all’uomo
con cui ora condivideva la propria vita ma che al tempo non era altri
che il
cantante, a tratti eccentrico e a tratti riservato, di cui si era
invaghito.
Dopo quel singolare risveglio, e gli eventi che erano seguiti, avevano
iniziato
a frequentarsi più assiduamente e, nonostante non fossero
mancati litigi ed
incomprensioni, il loro amore era sbocciato e cresciuto al punto che,
in solo
pochi mesi, avevano ufficializzato la loro relazione ed iniziato a
convivere.
Ora,
Freddie era rincasato la notte
precedente, di ritorno dall’Australia, dove la band era stata
occupata per due
mesi con alcune tappe del nuovo tour. Non del tutto abituato ad avere
qualcuno
che lo attendesse a casa – qualcuno che non fosse Phobe o
Joe, si intende-, era
rimasto esterrefatto nel vedere la cena che Jim gli aveva cucinato ed i
profumatissimi fiori che aveva sistemato all’ingresso, solo
per lui. Tutti
gesti semplici ma dai quali il cantante, non abituato a riceverli,
rimaneva
sempre colpito. I due avevano mangiato, gustato un buon vino, riso e,
ovviamente, non si erano fatti mancare un bagno caldo e un
po’ di coccole,
tutte quelle che l’irlandese era riuscito ad amministrare
prima che il cantante
liberasse tutta la passione trattenuta e lo ingaggiasse in una notte di
sesso
sfrenato. Se c’era una cosa che aveva imparato su Freddie era
che, quando
desiderava il proprio amante, non c’era modo di fermarlo o di
farlo attendere
all’infuori di un chiaro e tondo non mi va.
E a Jim, certo, andava di
fare l’amore con l’uomo che amava dopo mesi di
lontananza. Così, aveva lasciato
che il frontman lo trasportasse in una bolla di intimità e
piacere, prima di
addormentarsi tra le sue braccia.
La
mattina si era svegliato con il
proprio ragazzo, il cui appetito sessuale non era stato saziato a
sufficienza, intento
a baciargli il collo, mentre gli
rivelava quanto, per la prima volta, gli fosse stato difficile stare
lontano da
casa, quanto lo avesse desiderato e quante notti si fosse accarezzato
il corpo,
pensandolo. Una fantasia, in particolare, si era insinuata nella sua
mente e lo
aveva stupito. Avrebbe voluto realizzarla, gli aveva detto. Si era
avvicinato
al suo orecchio e, quasi timidamente, aveva avanzato una richiesta che
Jim non
si sarebbe mai aspettato. Che ne diresti di scambiarci i
ruoli per una
volta, darling? Ti piacerebbe?
Fin
dall’inizio, entrambi avevano
assunto, in camera da letto, il ruolo che più gli
apparteneva e gli piaceva.
Fortuna aveva voluto che fossero amanti particolarmente affini e che si
completassero perfettamente a vicenda. Non si erano mai imposti dei
limiti
sotto le lenzuola: avevano sperimentato liberamente, spesso spronati
dalla
creatività di Freddie, senza mai, tuttavia, scambiarsi quei
ruoli che sentivano
naturali. Ne avevano parlato, ovvio, e ci avevano scherzato su, a
volte, ma Jim
aveva sempre preferito evitare l’argomento perché,
pur non essendo avverso a
fare una nuova esperienza, non amava l’idea di mostrarsi
impreparato e goffo
davanti al cantante. Cedere il controllo della situazione gli era
sempre
riuscito difficile, causa il suo carattere pragmatico, forse. D’altra parte,
amava Freddie e così, con un
po’ di titubanza, aveva acconsentito alla sua inaspettata
richiesta.
Ecco
spiegato come, dopo lunghi ed
intensi minuti di preliminari che li avevano accesi di desiderio, si
era
ritrovato in quella posizione.
“Non
essere sciocco, tesoro! Devi
solo appoggiarle qui sopra” rise Freddie, posizionando le
gambe dell’irlandese
sulle sue spalle e lasciando un tenero bacio su una delle sue caviglie.
L’irlandese
sorrise nervosamente.
“Uhm, d’accordo…allora eccoci qui,
eh?”
“Uhm
sì”. Il cantante lo guardò,
divertito, massaggiandogli le cosce. “Rilassati,
Jim…mi guardi come se stessi
per ucciderti”.
In
cambio, ricevette un’occhiata
accusatoria. “Hai visto quello che hai tra le
gambe?!”.
Il
frontman sgranò gli occhi,
ridendo piano. “Allora è questo che ti preoccupa,
mmh?” domandò, sfiorando il
sesso del compagno.
Questi
gemette, rilassandosi
leggermente. “Beh, non è un particolare che mi
sento di sottovalutare…!”
borbottò.
“Oh
tesoro, lascia solo che mi
prenda cura di te e ti faccia provare! Sai bene che non farei mai
niente che tu
non voglia: dì una parola e ci fermeremo e non ne parleremo
più. Ma almeno
facciamo un esperimento …non sei curioso di sapere
perché mi piaccia tanto? È?”
mormorò il Freddie, piegandosi in avanti per depositare un
bacio sulle labbra
dell’irlandese mentre le sue dita sparivano tra le natiche di
quest’ultimo,
accarezzando l’inviolata apertura.
“Suppongo
di …sì?” rispose Jim, provando
a scacciare il nervosismo mentre si abbandonava alle carezze
dell’amante.
Quest’ultimo
sorrise soddisfatto,
allungando una mano oltre i cuscini per prendere il barattolo di
lubrificante
che giaceva abbandonato sul comodino fin dalla sera prima. Proprio in
quel
momento, il campanello prese a suonare insistentemente.
“Accidenti!
Chi diavolo è?!” sbuffò
il frontman, svogliato al solo pensiero di dover interrompere quel
momento di
intimità per andare ad aprire alla porta. Se ci
fossero stati Phobe e Liza!
I due, tuttavia, erano tornati dalle
rispettive famiglie per qualche giorno, approfittando delle
meritatissime ferie
che gli aveva concesso, e non avrebbero potuto essere di alcun aiuto.
Mordendosi
il labbro, Freddie ponderò la possibilità di
scendere al piano di sotto e
controllare ma venne subito dissuaso dalla vista del corpo muscoloso
dell’irlandese. “Oh, non importa. Ripasseranno!
Dico bene, caro?”
Tuttavia,
il diretto interessato
non sembrava essere d’accordo.
“Uhm, no!
Io credo che dovremmo andare a vedere. Potrebbe essere importante! O
persino…molto
importante” esclamò, sfuggendo
all’abbraccio del cantante e scattando in piedi,
sollevato all’idea di rimandare quel momento che, con suo
grande imbarazzo, lo
innervosiva parecchio.
“Non
ti ho mai visto così attivo di
prima mattina o così entusiasta di scoprire chi ha suonato
il campanello, Jim
Hutton! Devo presumere che le mie doti amatorie stiano
peggiorando?!” domandò
il frontman, alzando un sopracciglio, stizzito.
“Bah!
Sciocchezze!” borbottò l’altro,
indossando un paio di boxer ed una maglia nera senza maniche. Poi,
posò un
rapido bacio sulla guancia del fidanzato e si precipitò al
piano di sotto, un
sorriso raggiante dipinto in volto.
“Aspettami!”
gridò Freddie,
profondamente offeso. In un secondo, afferrò una vestaglia
dalla fantasia
eccentrica (un piccolo souvenir del tour in Giappone) a la
indossò, seguendo il
proprio ragazzo, imbronciato.
Il
suono del campanello, nel
frattempo, si era tramutato in una serie di toc-toc
fastidiosi ed
insistenti. Il cantante aggrottò le sopracciglia, confuso, e
affiancò
l’irlandese mentre questi apriva la porta, rivelando la
restante parte della
band.
“E
voi che ci fate qui?! Vi ho
lasciato solo poche ore fa!” chiese il frontman, attonito. I
volti degli amici
apparivano sereni e riposati mentre lo salutavano calorosamente,
sorridendo.
Chiaramente, avevano trascorso un’appagante nottata di sonno
dopo mesi di
levatacce. Perché, dunque, non erano rimasti a casa per
godersi un altrettanto piacevole
mattinata? Lui lo stava facendo, prima di essere interrotto.
Innervosito, si
portò le mani ai fianchi. “Spero sia molto
importante! Ero…occupato, cari”.
“Immagino!”
commentò John con
indifferenza, infilando le mani nelle tasche dei jeans scoloriti che
indossava.
“Ciao Jim!” salutò poi, subito
ricambiato dall’irlandese.
“Jim!”
esclamò Roger, gettandogli
le braccia al collo. “Mi sei mancato, amico!”
Il
diretto interessato ridacchiò,
dando una leggera pacca sulla schiena al biondo.
“Tranquillizzati, Roger. Non
ce l’ho più con te. Non devi fingere di soffrire
la mia assenza ogni volta che non
mi vedi per una settimana” lo rassicurò.
“Un
po’ mi manchi davvero, però”
rise il biondo, in risposta. “Non quanto le surfiste
australiane, certo”
aggiunse poi, con aria sognante.
“Ragazzi!”
intervenne il cantante,
spazientito. “Per quale questione vitale è
richiesta la mia presenza, mhh?”
chiese, spostando lo sguardo da uno musicista all’altro.
“Uhm,
riunione della band? L’hai
organizzata tu, Fred, ricordi? Per fare il punto della situazione sulle
prossime tappe del tour. Dobbiamo farla avere a Mack il prima
possibile” gli
ricordò Brian, appoggiandosi allo stipite della porta.
“No,
impossibile! Cari, vi state
sbagliando: l’incontro è organizzato per il tre
settembre e oggi è…”
“…è
proprio il tre settembre!”
concluse l’irlandese, stringendosi nelle spalle.
“Beh, ragazzi, sarà meglio che
vi lasci alle vostre cose, allora. In ogni caso, ho un mucchio di
lavoro da
fare in giardino” dichiarò, pensando fosse gentile
lasciare ai quattro i loro
spazi. “Oh, ehi! Perché non invitate qui le vostre
famiglie, stasera? Non vedo
i bambini da secoli” propose poi, ricevendo una risposta
d’assenso da parte dei
tre amici che, sorridendo, varcarono la soglia e si diressero verso il
salotto.
“Purché
tu non dica niente a Dom
sulle surfiste australiane…” acconsentì
Roger, sedendosi sul divano in modo
sgraziato.
“Promesso!”
giurò Jim, dirigendosi
verso le scale. Dopo solo due gradini, tuttavia, sentì il
cantante schiarirsi
la voce e dovette voltarsi. Freddie teneva le braccia conserte e
batteva il
piede nudo a terra, ritmicamente. Era visibilmente spazientito e,
più di tutto,
ferito nell’orgoglio. L’irlandese lo raggiunse,
afferrandogli delicatamente il
mento e posandogli un bacio a fior di labbra. Lo guardò con
un sorriso furbo,
sussurrando un semplice: “A dopo, tesoro”.
“Codardo!”
sibilò il cantante, più
interessato a risultare il più teatrale possibile che
realmente arrabbiato.
-.-.-.-
Dopo
un’intera giornata passata a
stendere una bozza delle successive date del tour, comprensiva di
città in cui
avrebbero voluto esibirsi, ingegneri del suono e membri della crew da
cui
desideravano essere affiancati, spettacoli pirotecnici con cui
intendevano
sorprendere il pubblico e, ovviamente, la scaletta delle canzoni che
avrebbero
suonato, le famiglie di Roger, Brian e John li avevano raggiunti per la
cena.
Essendo ancora abbastanza caldo, pur essendo l’inizio di
settembre, Jim aveva
apparecchiato in giardino, in un punto riservato, dove nemmeno i
più
determinati paparazzi sarebbero riusciti a scovarli e fotografarli.
Avevano
cenato insieme,
chiacchierando e ridendo amabilmente, rievocando e raccontando i
momenti più
divertenti del tour. Roger era seduto accanto alla propria ragazza,
Dominique.
A dirla tutta, Jim non sapeva se fossero effettivamente fidanzati: di
certo
apparivano come tali ma non amavano la definizione e, sebbene non
mancassero
gli episodi di gelosia, entrambi frequentavano altre persone,
occasionalmente. A
detta loro si trattava di una profonda amicizia, condita con interessi.
A
giudicare da come si guardavano, comunque, avrebbero presto ammesso di
amarsi e
definito la propria relazione.
“Quindi
mi è stato fedele?” chiese
la mora ad un imbarazzato Brian, lanciando un’occhiata furba
a Roger.
Il
chitarrista, universalmente
conosciuto per la sua incapacità di mentire, mancanza che,
per altro, aveva
contribuito alla fine del suo matrimonio, boccheggiò.
“Uhm, beh… ecco,
sì…certo”.
Freddie
ghignò, divertito. “Tesoro,
non crederei a questa risposta nemmeno se fossi ubriaco!”
“Cosa
ti abbiamo sempre detto, Bri?
Devi imparare a mentire!” lo rimproverò il biondo,
facendo scivolare un braccio
intorno alla vita di Dominique.
Quest’ultima
guardò il chitarrista,
divertita. “Apprezzo lo sforzo ma ti stavo solo prendendo in
giro, Brian! So
bene che Roger è un caso perso” lo
rassicurò, alzando gli occhi al cielo e
facendo schioccare la lingua.
No,
l’irlandese non riusciva a
capirli: quando si era trattato di Freddie, il solo pensiero che lo
accantonasse
per passare del tempo con altri uomini lo aveva fatto impazzire. Per
Dominique
e Roger, tuttavia, questa amicizia che sconfinava nell’amore
e contemplava il
tradimento sembrava funzionare, in qualche modo.
“Ragazzi…ecco
il dolce! Sono una
frana in cucina ma suppongo sia mangiabile. O lo spero,
almeno!” scherzò Anita,
avvicinandosi al tavolo con una teglia di tiramisù tra le
mani. L’aspetto non
era dei migliori, ma la simpatia della donna avrebbe sicuramente
portato tutti
ad assaggiarne un po’.
Da
quanto gli era stato raccontato,
Anita e Brian si erano conosciuti al matrimonio di John e Veronica,
molto tempo
prima. Lei damigella e lui testimone, si erano ritrovati seduti allo
stesso
tavolo e, discorrendo di attivismo e politica, avevano iniziato a darsi
sui
nervi. Da quel momento in poi, avevano passato anni a schernirsi e ad
attaccarsi, con la sola valida scusa che vicini, proprio non
riuscivano a
stare, sebbene ogni tanto dovessero sforzarsi di farlo su
richiesta della
famiglia Deacon-Tetzlaff. Il tempo, tuttavia, aveva visto
l’astio trasformarsi
in attrazione e prendere il sopravvento. Così avevano
iniziato ad odiarsi di
giorno e ad amarsi di notte, finché il desiderio non era
divenuto amore ed il
matrimonio di Brian, da sempre precario, era crollato.
Jim
sorrise, guardando il
chitarrista mentre invitava la compagna a sedersi sulle proprie gambe e
allungava il collo per controllare i suoi due bambini, frutto
dell’ormai
concluso matrimonio, che giocavano sull’enorme prato. Un anno
prima lo aveva visto
soffrire tanto ed ora era entusiasta nel ritrovarlo così
sereno.
“Uhm, non
è per niente male, Anita” si
complimentò Veronica, deglutendo a fatica un boccone di
tiramisù ed offrendo
all’amica un sorriso gentile.
“Bugiarda!”
borbottò John,
guadagnandosi un colpo sul braccio da parte della moglie.
“Che c’è?!”
“Diamine!
È terribile!” esclamò la
cuoca, assaggiandolo. “Ronnie, non è necessario
essere gentile in ogni
situazione. Che ragazza testarda: è anni che te lo
ripeto!” aggiunse, alzando
gli occhi al cielo e ridendo del proprio fallimento.
La
diretta interessata si strinse
nelle spalle, arrossendo leggermente. L’irlandese la
osservò, meditabondo.
Veronica era cresciuta insieme a Freddie, Roger, Brian e, ovviamente,
suo
marito John. Ormai, era evidente che quegli uomini rappresentassero la
sua
famiglia. Il cantante, tempo prima, gli aveva spiegato che quando, da
ragazza,
era rimasta incinta i suoi genitori e la sua intera comunità
le avevano voltato
le spalle in nome del buon nome e della religione. Da allora, non li
aveva più
visti ma, a detta sua, non si era mai sentita sola: tutti loro le erano
stati
accanto come fratelli ed amici. Dolce, timida e testarda Ronnie: bella
senza
nemmeno un velo di trucco, coraggiosa e determinata ma mai
irragionevole,
paziente ed ottimista per natura. Lo aveva accolto a braccia aperte sin
dal
momento in cui li avevano presentati, riservandogli un calore
inaspettato. La
sua relazione con John era qualcosa a cui Jim aspirava fin dal primo
momento in
cui li aveva visti insieme: al di là dei problemi che, di
tanto in tanto, si
presentavano anche per loro, quei due avevano una chimica
straordinaria.
Interagivano in modo a dir poco singolare, capendosi con una sola
occhiata, ridendo
di qualsiasi sciocchezza, desiderandosi ardentemente, facendo squadra
nell’occuparsi dei propri figli – Jim ricordava
bene la finta partita di
football che avevano inscenato mentre si passavano un biberon
– e supportandosi
nelle piccole e grandi difficoltà. Desiderava costruire
tutto questo con
Freddie.
“Oh
no, io credo che debba
continuare ad essere gentile. Che dirà quando Deaky si
spoglierà davanti a lei,
altrimenti?” scherzò Brian, guadagnandosi
un’occhiata lapidaria dal bassista.
“Disse
Mr Muscolo…” commentò, di
rimando.
“Buoni,
bambini. Non c’è motivo di
giocare alle prime donne e a chi ce l’ha più
grosso, sappiamo tutti che quello
sono io!” si intromise Freddie, sottolineando il suo
intervento con un
drammatico movimento del polso.
“Touchè!”
ghignò Roger.
Tutti
i presenti risero, divertiti.
Veronica sbuffò, spazientita. “Proprio non
riuscite a non parlare di queste
cose mentre siamo a tavola, vero?” domandò,
rimproverandoli bonariamente. “è
inappropriato!”
John
le fece il verso, prendendola
in giro. “è inappropriato! È
inappropriato!”
“Mhh,
è inappropriato cavalcare un
toro meccanico con indosso solo un paio di mutandine, mia cara
santarellina?”
domandò il biondo, in modo furbo.
“Non
ci credo che tu abbia appena
citato quell’episodio…”
commentò Anita, impaziente di sentire la risposta
dell’amica.
“è
stato una vita fa, Taylor, e la tua
festa di compleanno era sfuggita di mano un po’ a
tutti” si difese Ronnie,
arrossendo e trattenendo un sorrisino colpevole.
“L’anno
scorso, in realtà…” offrì
Brian.
“Oh,
per l’amor del cielo! Basta!
Andrò in cucina a prendere il gelato”
dichiarò Veronica, fingendosi offesa.
Così dicendo, si alzò dal tavolo e si diresse
verso l’ingresso dell’immensa
abitazione.
“Ti
do una mano se mi racconti
tutto!” gridò Dominique, in preda alla
curiosità. Poi, la seguì.
Jim
rise, avvicinandosi al frontman
per depositargli un dolce bacio sulla tempia. “Sei bellissimo
con questa
camicia…” gli sussurrò
all’orecchio.
Il
cantante accarezzò la guancia
del compagno, lusingato. “Anche tu stai particolarmente bene
stasera, caro.
Molto macho!” si complimentò, facendo scorrere la
mano fino al bicipite
dell’irlandese e sorridendo soddisfatto.
Proprio
in quel momento, Jim vide
un paio di manine paffute posarsi sul suo ginocchio, ancorandosi alla
stoffa
dei pantaloni.
“Zio
Jim!” chiamò la squillante
voce di Laura, la più giovane dei tre piccoli Deacon, di
appena quattro anni.
“Ehy,
pulcino! Che succede?” chiese
l’irlandese, scompigliandole i capelli biondi.
La
bambina cercò di sistemarsi i
codini che, dopo il tanto correre e giocare, minacciavano di disfarsi.
Quando
si accorse di non riuscirci, rivolse una rapida occhiata ai restanti
membri del
tavolo ma, non individuando la propria mamma, alzò le spalle
e, dimenticandosi
dei capelli, tornò a guardare l’irlandese,
strofinandosi le manine sudate sul
vestitino a quadri rossi e bianchi.
“Robbie
dice che non posso giocare
con loro! Dice che è un gioco da grandi quello!”
denunciò Laura, indicando il
fratello maggiore, intento a lanciare una palla a Louisa, la figlia di
Brian. Gli
occhi le si inumidirono, al pensiero di non essere inclusa dagli altri
bambini.
“Dice che sono troppo piccola…”
aggiunse, mentre una lacrima le solcava la
guancia.
“Oh,
no…” mormorò Jim.
“Stronzetto”
commentò Freddie. “I
bambini sanno essere crudeli!”
“Fred!”
lo rimproverò l’irlandese.
“Vieni qui, pulcino!” disse poi, sollevando la
bambina e facendola sedere sulle
sue gambe. “Vorrà dire che dovremo creare un gioco
tutto nostro…e sarà
bellissimo, vedrai! Ci divertiamo sempre io e te, insieme,
vero?” la rassicurò.
Laura
annuì piano, provando a
prendere una mano di Jim tra le sue, minuscole. Riuscendole troppo
difficile,
si limitò a stringere un dito. “Possiamo giocare
all’aereo, magari, zio Jim?”
domandò con voce rotta.
L’irlandese
sorrise, acconsentendo
alla richiesta della più piccola della famiglia. Fin da
quando si erano
conosciuti, Laura aveva sempre avuto un debole per lui e la sua
adorazione era
ricambiata. Jim amava tutti quei bambini e li considerava veri e propri
nipotini ma quello scricciolo con i vestitini colorati ed i codini gli
aveva
rubato il cuore.
“Oh,
sono geloso!” li interruppe
Freddie. “Dovrei essere io il tuo zio preferito, è
sul mio divano che hai fatto
popò una volta, anche se non te lo ricordi!” rise,
dandole un buffetto su una
guancia e facendola sorridere.
“Ma
io voglio bene a tutti e due”
rimarcò Laura. “Un pochino di più allo
zio Jim perché mi fa fare l’aereo, ma
solo un pochino così!” spiegò,
mostrando con le manine la poca differenza tra
la quantità di bene che provava per uno zio e per
l’altro.
I
due adulti scoppiarono a ridere.
“Lo sappiamo che ci vuoi bene, pulcino!”
esclamò l’irlandese, schioccandole un
bacio sulla fronte. La piccina, tuttavia, non si lasciò
andare alle risate,
occupata a fissare le mani dei suoi zii, dove comparivano due anelli
identici.
Sgranando gli occhi per la meraviglia, allungò una manina
per toccarli
entrambi, un’espressione pensierosa dipinta in volto.
“Anche
la mamma e il papà hanno
questi” ragionò, poi. “Voi vi volete
bene come la mamma e il papà?” chiese.
“La
mamma dice che è così…”
I
due fidanzati si guardarono,
scambiandosi un’occhiata d’intesa.
“Sì, tesoro. Noi ci amiamo proprio come la tua
mamma ed il tuo papà” spiegò il
cantante, accarezzandole una gambina nuda.
Laura
si morse un labbro,
riflettendoci su. “Allora puoi tenere lo zio Jim
finché non sono grande! Perché
poi io lo voglio sposare…” dichiarò
alla fine, convinta, provocando le risate
di tutta la tavolata che, nel frattempo, accortasi che qualcosa non
andava,
aveva smesso di chiacchierare e concentrato l’attenzione
sulla bambina.
“Oh!
Mi ci sono voluti anni per
trovare quello giusto, tesoro! Non me lo toglierai così
facilmente!” rispose il
cantante, portandosi una mano al petto, indignato.
Jim
sorrise, soffermandosi sulle
parole del compagno. Quello giusto. Nessuno dei
suoi precedenti
fidanzati lo aveva definito quello giusto, nonostante
lui, da romantico
e sognatore qual’ era, aveva spesso sperato di aver trovato
la persona che lo
avrebbe accompagnato per tutti gli anni a venire. Un giorno, mentre
erano
sdraiati sul divano ed occupati a coccolarsi, Freddie gli aveva
domandato cosa
desiderasse dalla vita: l’amore di una persona che intendesse
impegnarsi a
costruire un rapporto solido e duraturo, aveva risposto. Il cantante
aveva
sorriso, senza aggiungere altro, e l’irlandese aveva capito
che le loro
aspettative coincidevano perfettamente: entrambi chiedevano al futuro
di
rincasare, la sera, e trovare qualcuno che li accogliesse a braccia
aperte.
Dopo tutte le relazioni naufragate, gli amori tossici e le storie brevi
e di
poco conto, si erano trovati, diversi ma profondamente simili. Un anno
prima,
non avrebbe mai potuto immaginare che la sua vita semplice e, a tratti,
monotona avrebbe preso quella singolare piega, che la sua
quotidianità sarebbe
stata sconvolta dal più orgoglioso ed eccentrico degli
artisti. Jim sorrise,
accarezzando i capelli di Laura. Finalmente, si sentiva a casa: tra
quelle
persone, così diverse ed insolite, poteva essere se stesso
ed amare chi
desiderava senza alcuna vergogna, ricevendo altrettanto amore in
cambio. Il
cantante si avvicinò, posando un bacio sulle sue labbra.
“Ti amo...” sussurrò,
prima di abbassarsi per strofinare il naso contro quello della bambina,
scatenando le risate di quest’ultima. “Zio
Freddie!” gridò, scalciando con le
gambine, contenta. Ecco, il desiderio che diventava realtà:
amore ed impegno.
Ecco la sua famiglia, ecco casa.
“Hey,
bellezza! Che ci fai qui?”
domandò John, avvicinandosi alla figlia.
“Perché non giochi con gli altri?”.
Laura
scosse la testa. “Gioco con
lo zio Jim, io! Robbie non mi vuole!” spiegò,
accusando il fratello.
John
annuì. “Ci pensa papà,
cucciola…” la rassicurò, depositandole
una carezza tra i capelli, prima di
voltarsi verso il prato e gridare il nome del figlio con voce
autoritaria.
“Uh,
bambini…per fortuna non ne
avremo mai!” commentò il cantante, fingendosi
disgustato alla sola idea.
Tuttavia, a Jim non era sfuggito lo sguardo amorevole che Freddie aveva
rivolto
alla bambina, poco prima, ne’ l’ombra di malinconia
che lo aveva accompagnato.
“Le
cose più impensabili accadono
continuamente, Fred. Quindi…chi può saperlo!
Potremmo coronare anche questo sogno”
rispose l’irlandese, lanciandogli un’occhiata
comprensiva.
Il
cantante si sorprese ed
imbarazzò, colto sul fatto. Mordendosi un labbro,
cercò di sopprimere un
sorriso. “Non ho idea di cosa tu stia parlando,
caro!” liquidò il discorso, con
un gesto della mano esagerato e teatrale.
“Codardo…”
rimarcò Jim, fingendo
indifferenza mentre, sorridendo divertito, stringeva Laura a se.