Un
incontro inaspettato
Era il 31 Agosto 2002, una
caldissima giornata per il
paese di Winchester, Inghilterra, dove pioveva nove giorni su dieci.
Quel
sabato mattina Mello e Matt erano sulla terrazza della
Wammy’s House che
giocavano a scacchi, sotto lo sguardo triste del piccolo bimbo pallido
accoccolato all’ombra della scala.
Le cicale gracchiavano rumorose sugli alberi, gli uccelli
cantavano a squarciagola, la campagna inglese si stendeva davanti ai
loro
occhi. I bambini di sotto, giocavano nel parco, chi con la palla, chi
sugli
scivoli o sulle altalene.
Era una tranquillissima giornata di fine estate, il
penultimo giorno di libertà prima dell’inizio dei
corsi scolastici.
“Avanti Mello, gioca. Non puoi barare con me!”,
disse
allegro il rosso.
“Sta zitto Matt, mi sto concentrando”, rispose il
biondino, teso.
Giocare con Matt a giochi di quel genere lo innervosiva
molto, il rosso era furbo e astuto, prevedeva ogni sua mossa e,
soprattutto, si
accorgeva quando Mello cercava di barare. E ciò al biondo
rodeva molto.
Fece la sua mossa, e Matt laciò un urlo di gioia.
“Scacco matto al re! Ho vinto ho vinto ho
vintoooooo!”,
esclamò estasiato, mentre Mello imprecava a gran voce.
“Si, si, bravo, ma è solo per il caldo, altrimenti
ti
avrei battuto in due secondi”. Ecco, la solita scusa di
Mello. Non era mai,
mai, riuscito a battere Matt a scacchi, né a dama. E per le
sue sconfitte
trovava scuse su scuse. Sembrava possedere un dettagliato manuale su
queste, in
modo da averne una diversa per ogni occasione in cui la sconfitta gli
si parava
davanti.
Finì allo stesso modo di sempre, con Mello incazzato nero
che si lanciava capofitto sul rosso, gracile, che le prendeva di santa
ragione
cercando di difendersi dall’ira di quella peste dal
viso d’angelo.
Nel mentre della lita furiosa tra i due, si udì il rumore
di pneumatici che avanzavano sul vialetto ghiaioso davanti
all’istituto. Era
una cosa rara, pochissime erano le automobili che giungevano
laggiù, e per di
più di sabato mattina. Solitamente i domestici si dirigevano
a piedi al paese a
fare compere, e i camioncini con le altre cose utili alla casa
passavano
esclusivamente il martedì pomeriggio sul tardi.
Fu così che le teste di tutti si sporsero dalle finestre
e dai balconi. Videro persino Roger affacciato alla finestra del suo
studio
che, socchiudendo per un momento gli occhi ammiccò e
ritrasse la testa dentro.
L’auto era una vecchia berlina nera, avanzava lenta sulla
stradina evitando i bambini più piccoli accorsi a curiosare.
Si fermò a destra
dell’ingresso, dal quale apparve un trafelato Roger.
La portiera anteriore si aprì e ne uscì un
vecchio
signore con gli occhiali, dall’aria simpatica e con due
baffetti ancora più
buffi del cilindro che portava sul capo.
Strinse calorosamente la mano di Roger e borbottò qualche
parola prima di posare la mano sulla portiera posteriore, aprendola.
In quel momento anche i grilli taquero. I bambini sul
terrazzo, Mello, Matt, Near e Linda, si sporsero con foga per vedere
chi
fossero gli sconosciuti. E sui loro visi si descrisse
un’espressione di
indecifrabile ammirazione, quando un ragazzo sulla ventina, con una
maglia
bianca e un paio di sgualciti pantaloni blu, scalzo e con le occhiaie
marcate,
capelli nerissimi, fece capolino dall’automobile.
Nei cervelli di tutti i presenti si diffuse un pensiero
comune.
L.
L era davanti a loro.
E lo sapevano non perché ne avessero mai visto una foto,
né perché qualcuno avesse mai fornito loro una
descrizione. Lo sapevano e
basta. Lo emanava l’esile figura del ragazzo che si sbirciava
attorno curioso.
L’uomo che accompagnava L, sicuramente doveva essere il
famoso Watari, che aveva costruito la Wammy, disse qualcosa a Roger
sottovoce,
che a sua volta alzò il capo e indicò i ragazzi
sul tetto.
Per la prima volta Mello e Matt e Near avvertirono su di
loro lo sguardo del più grande detective del mondo. Una
sensazione stravolgente
li attraversò come corrente elettrica dalla testa ai piedi,
l’essere osservati,
l’essere proprio richiesti dal lui era incredibile.
La voce gracchiante di Sofia, la segretaria, riecheggiò
dai microfoni dell’istituto, rompendo l’incantesimo.
“Tutti i bambini e i ragazzi sono richiesti urgentemente
in Aula Magna. Ripeto, tutti i bambini e i ragazzi sono richiesti
urgentemente
in Aula Magna.”
Nessuno se lo fece ripetere due volte. Nella Wammy
c’erano quattrocento stanze letto, con una media di due
bambini a stanza, il
che vuol dire che c’erano ben ottocento bambini che quella
mattina di Agosto si
riversarono nella grande Aula, nella parte est della tenuta.
Quando tutti furono pronti e seduti, Roger venne avanti e
disse:
“Bambini, sono estremamente felice i presentarvi questo
ragazzo. Il ragazzo per il quale tutti qua dentro si danno da fare. Un
detective incredibilmente abile e capace. Date il benvenuto a
L.”
L entrò senza tante cerimonie e salutando timidamente con
una mano i bambini si sedette nella poltrona posta al centro della
sala. Si
vedeva che non amava stare al centro dell’attenzione, non
solo era agitato, in
più si fece piccolo piccolo nella poltrona, con le gambe
ripiegate e un dito un
bocca.
A Mello venne da ridere a quella vista, non con
cattiveria, ma perché trovava buffissimo che quel ragazzo
fosse l’eroe di
ognuno di loro, fosse la meta per il quale ogni giorno combattevano,
fosse la
persona che più di tutti stimavano e amavano la dentro.
“Perché si siede in quella strana
posizione?”, domandò
Matt all’orecchio di Mello.
Ma il biondo non fece in tempo a rispondere alla domanda,
perché L li guardò intensamente e rispose al
posto suo.
“Stare in questa posizione aumenta le mie capacità
intellettive del 40%”, disse.
Matt rimase a bocca aperta. Oltre ad avere delle
grandissime capacità aveva anche un orecchio finissimo,
anche se erano in prima
fila. Ovviamente Mello aveva conquistato coi denti quel posto sotto il
piccolo
palco.
Non poteva assolutamente non farsi notare.
Poiché L vide l’espressione sbigottita di Matt,
sorrise e
disse: “Provate a sedervi così, sono sicuro che la
penserete come me dopo”.
Tutti i bambini obbedirono. All’inizio non provarono
nulla.
L allora, cominciò a raccontare dei molti casi che aveva
seguito fino a quel momento. Erano storie incredibili, casi
complicatissimi a
cui era riuscito a venirne a capo solo lui. Ma ad un tratto i bambini
cominciarono ad interagire. L provava a fare delle domande sui casi e
su come
li avrebbero risolti e tutti avevano opinioni che si avvicinavano alla
verità.
Quella posizione era davvero miracolosa!
“Ho appena finito di
risolvere un caso. Un brutto caso.
Riguardava un ragazzo che viveva qui. Non so se ve l’hanno
mai raccontato ma
molti anni fa, quando Watari aprì l’istituto,
viveva un bambino destinato a
diventare uno dei miei successori. Il suo nome è B. Ma B non
aveva che il
desiderio di gloria e potere, voleva il mio posto a tutti i costi. La
sua mente
si ammalò e B cominciò a uccidere per giocare con
me.”
E così L raccontò loro del Los Angeles BB Murder
Cases.
Gli spiegò come fosse arrivato a B, grazie alle iniziali
delle vittime (BB, QQ,
BB) e al fatto che uno strano tipo si faceva chiamare Rue Ryuzaki, RR,
L.L. Al
fatto che la lettera B era quella con cui tutti l’avevano
sempre conosciuto.
Beyond Birthday stava compiendo quel sadico gioco.
Alla fine L domandò, secondo loro, come Misora avesse
risolto il caso, avesse capito che Ryuzaki era nient’altro
che l’assassino.
“A causa delle Wara Ningyo. Per la loro posizione”,
esclamò una vocina esile dalla prima fila.
L osservò il bambino bianco davanti a lui che
cominciò a
spiegargli quello che aveva capito.
“Così ti avrebbe incastrato. Non avresti potuto
collegare
nulla all’omicidio della quarta vittima”.
Stupito. Near aveva stupito L.
Mello lo guardava corrucciato e aggiunse dei dettagli.
L si sentì soddisfatto. Erano quei bambini. Si. Erano
proprio loro.
Nessun’altro bambino ne sarebbe mai venuto a capo, ma
loro erano diversi, loro, nelle loro diversità erano quelli
che viaggiavano
sulla stessa lunghezza d’onda.
Erano gli eredi che aveva sempre aspettato.
Roger e gli insegnanti avevano ragione.
E il rosso? Si, anche lui era abile. Ma non possedeva la determinazione
di quei due.
Loro erano la salvezza che stava aspettando.
Furono i tre giorni più speciali delle loro vite.
Quando il lunedì sera L stava per partire, Mello e Matt
erano seduti sul cornicione del terrazzo, dove lo avevano visto la
prima volta.
L guardò in su e articolò con le labbra:
“Arrivederci”.
I due sorrisero. L entrò in macchina e se ne andò.
In cuor loro sapevano che non lo avrebbero mai più
rivisto. Vivo per lo meno.
Era per lui che se ne andava. Non avrebbe cambiato idea.
Lo aveva saputo fin da quella lontana mattina d’Agosto che
per L avrebbe fatto
di tutto. Ora L era lì, morto davanti a lui, in attesa di
una sepoltura.
“Io ti vendicherò. Io ucciderò Kira. Io
non mi fermerò
davanti a niente e a nessuno. Dovesse costarmi la vita”.
E così, Mello lasciò la Wammy’s House,
lasciò Matt e lasciò
la sua adolescenza, per vendicare chi gli aveva dato un pretesto per
sopravvivere
e lo aveva spronato ad andare avanti quando era sul punto di mollare.
Un eroe, un maestro, un padre, un fratello.
Un amico.
“Io ti ucciderò, Kira”.