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Autore: Digihuman    06/05/2020    7 recensioni
[IN CORSO]
Mi chiamo Brent Smith, ho trent'anni e voglio raccontarvi la mia storia. […]
A dirla tutta il mio certificato di nascita indica Tokyo come mia città natale, ma la città in cui ho vissuto per la maggior parte della mia infanzia e adolescenza è Exeter. […] E niente, la maggior parte dei miei ricordi sono proprio legati a questa città. Ricordi, che tra le tante cose, mi riportano a lei, alla mia dolce Yoshiko. […]
Spesso mi ritrovo a pensare a quando, temporaneamente parlando, potrei collocare il momento esatto in cui mi sono innamorato di lei. Avevo sentito le farfalle allo stomaco già la prima volta che la vidi. […] L'unica certezza che ho è che il mio amore è nato con lei e che morirà ciecamente con lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buongiorno,
questa storia originale si intreccia con una mia storia già scritta precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta, riconoscerà subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT! Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto poiché contiene spoiler per questa originale.

Ringrazio con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in veste di Beta Reader!

Rating capitolo: rosso per presenza di scene erotiche
Personaggi capitolo: Brent, sergente Gamble, Sam

Capitolo 4





La U.K.M school è una scuola preparatoria per giovani uomini di successo. Il solo pensare al loro slogan, mi fa ancora raddrizzare i peli delle braccia. Rispetto, confidenza, disciplina, lavoro di squadra e una vita salutare: la scuola si basa su questi pilastri fondamentali.
Non che li trovassi eccessivi; sono piuttosto convinto che – effettivamente – ognuno di noi dovrebbe basare la propria esistenza su valori così importanti. Solo che, ad un primo impatto, ero quasi convinto di essere cascato nella classica scuola di fanatici militari.

Vi erano diversi corsi disponibili. Il primo era una sorta di campo estivo per giovani marmotte: un corso della durata di circa tre settimane, in cui potevano aderire bambini dai 5 ai 16 anni. All'apparenza poteva sembrare un piccolo mondo incantato, si entrava bambini e se ne usciva adulti. Ma la realtà, spesso, non rispecchia ciò che la mente vuole far credere. Insomma, ho visto bambini scappare a gambe levate e genitori ritirare i propri figli anche a distanza di poche ore dall'ingresso in sede.
Il corso che frequentavo io, però, era ben diverso. Si trattava di una scuola a tutti gli effetti; prevedeva, perciò, l'inizio delle lezioni i primi di Settembre, per poi terminare a metà Luglio con le famose “summer brain drain”. Le vacanze estive venivano definite in questa maniera scherzosa dai nostri professori, i quali erano convinti che il nostro cervello si svuotasse di tutte le nozioni assimiliate durante l'intero anno scolastico.
Nonostante all'apparenza potesse sembrare la classica scuola ad impronta militare stile film americano, fanatica e amante della madre patria, in realtà non era così severa e idealizzata. I corsi da frequentare erano piuttosto flessibili e, devo ammetterlo, molto interessanti. Vi erano tutte le materie base presenti nella mia vecchia scuola, in più vi erano sedute extra di allenamento fisico, meditazione, stretching mattutino e sport vari. Avendo ormai compiuto i 16 anni, avevo diritto ad entrare nell'Istruzione Terziaria, perciò potevo attingere ad un programma scolastico di tipo programmato.
Seppure in Inghilterra l'obbligo scolastico termini con il compiere dei 16 anni, una buona fetta di studenti non rinuncia al proprio diritto allo studio, perciò prosegue l'educazione fino al raggiungimento dei 18 anni, periodo in cui si aprono le porte per i corsi universitari.

Come ogni scuola inglese che si rispetti, anche la U.K.M school prevedeva un piano di studio flessibile. Vi erano alcune materie obbligatorie, come Inglese, Storia e Matematica, altre invece facoltative. Io avevo optato per materie per lo più scientifiche, concentrandomi sulla Fisica, la Chimica e dei corsi più pratici di Elettronica e Meccanica. Il percorso a cui ero stato iscritto si divideva in due parti. La prima parte prevedeva l'acquisizione di un mini-diploma in servizi pubblici di terzo grado, suddiviso in due anni scolastici. La seconda parte, al contrario, concedeva l'opportunità di ampliare i propri orizzonti, approfondendo le proprie capacità e abilità in ambito militare, così da introdurre meglio gli studenti ad un'eventuale carriera in divisa.
Gli orari scolastici erano meno serrati rispetto a molte scuole private, le lezioni iniziavano alle 9, per poi interrompersi a mezzogiorno con la pausa pranzo e riprendere per altre due ore il pomeriggio. Le attività ludiche e sportive, invece, si tenevano sempre nel tardo pomeriggio per consentire a chiunque di staccare dalle lezioni e dallo studio. Vista l'inclinazione militare a cui faceva appoggio la scuola, la mimetica era d'obbligo. Ma lo dovevo ammettere, ero un figurino con la divisa militare addosso e non passavo certo inosservato.
Visti i miei 16 anni suonati, oltre a scuola, studio e sport, per la testa iniziavo ad avere anche certe fissazioni per il corpo femminile. La maggior parte delle ragazze dell'accademia erano magre e slanciate, un vero e proprio spettacolo da ammirare. Purtroppo però la mia mente guardava sempre al passato e, nonostante fosse già trascorso un anno dall'ultima volta che avevo sentito Yoshiko, il mio pensiero tornava sempre a lei.
Scoprì di essere più imbranato di quel che pensavo con le donne. Avete presente quelle scene classiche, stile film giovanile, in cui il protagonista si ritrovava a sbattere la faccia contro un palo per strada, solo perché troppo intento a guardare una ragazza? Beh, a me successe ben tre volte. Oppure mi capitò anche di scivolare giù per l'intera tromba delle scale, proprio perché Samantha Elliots mi aveva sorriso.
Sam era uno schianto di ragazza. La classica donna inglese dalla pallida pelle, capelli setosi biondo cenere, occhi di ghiaccio e sedere ben imbottito. Insomma, impossibile non notarla. In realtà non aveva una gran fama a scuola. In molti la prendeva in giro per la sua mascolinità: le piaceva il calcio, frequentava spesso la sala giochi, correva con i go-kart e pretendeva di essere trattata come tutti i ragazzi presenti in accademia. Un carattere sano, senza ombra di tutto. Io la vedevo esattamente così, come una donna forte, che voleva farsi rispettare, azzerando la disparità sessuale che spesso vigeva nel mondo militare. Ed era proprio per questo suo modo di agire controcorrente che iniziai ad invaghirmi di lei.

I nostri dormitori erano suddivisi in alloggi che potevano ospitare fino ad un massimo di quattro persone. Era come vivere in un piccolo villaggio turistico, in cui ogni gruppetto di giovani aveva il suo bungalow in cui stare. Nonostante lo stampo visibilmente maschilista, le abitazioni erano state organizzate in maniera tale da ospitare una coppia di ragazze ed una coppia di ragazzi. A detta dell'ufficiale in carica, era un modo come un altro per abituare entrambi i sessi a condividere luoghi pubblici e privati senza imbarazzo. Inutile dire che il bagno era ovviamente in comune, così come lo era l'unica camera da letto data in dotazione. Una specie di loculo umidiccio in cui vi era un unico comodino per quattro e due letti a castello in ferro battuto. Gli alloggi lasciavano abbastanza a desiderare, ma nell'insieme non era poi così male.
Indovinate con chi avevo avuto il piacere di condividere quei pochi metri quadri? Ovviamente con Sam. Insieme a noi vi era anche una ragazza ormai quasi maggiorenne, una certa Ellis Greene, ed un ragazzotto alle prime armi piuttosto basso e tarchiato di nome Maurice Sanders. Sam non fu mia coinquilina sin da subito. Inizialmente stava in un'altra abitazione, solo più tardi mi confessò di essere stata verbalmente molestata da uno dei suoi vecchi coinquilini. Fu per quel motivo che riuscì a farsi cambiare di camerata.
Purtroppo vivere sotto lo stesso tetto non mi fu di grande aiuto. Ogni qual volta cercavo di attirare la sua attenzione, mi cacciavo immediatamente nei guai. Era più forte di me, più cercavo di apparire carismatico, più finivo per fare la figura del fesso. Una volta sono addirittura riuscito a pulirmi il sedere con una foglia di ortica in mancanza di carta igienica. Inutile dire che mi ero ritrovato a trascorrere mezza giornata nell'ambulatorio dell'infermiere Karl a culo all'aria con chissà quale crema spalmata sopra. Oppure, in un'altra occasione, diedi fuoco al patio esterno mentre tentavo di affinare le mie abilità culinarie, nel vano tentativo di arrostire uno spiedino su un barbecue improvvisato. Tutto questo perché avevo detto a Sam di saper cucinare. Che idiota.
Insomma, nonostante io cercassi come sempre di tenermi lontano dai guai, pareva quasi che fossero i guai a prediligere la mia compagnia. Sapevo di essere uno particolarmente attraente, ma non fino a quel punto.

I primi mesi li trascorsi serenamente. L'anno precedente ero stato costretto da mio padre a frequentare solamente gli ultimi tre mesi, prima dell'interruzione delle vacanze estive. Inutile dire che non ero riuscito a stringere amicizia con nessuno. Per di più mi era toccato sostenere il GCSE, ovvero il diploma di fine scuola secondaria.
Dopo aver trascorso l'estate al mare con mio padre, avevo capito che non ero nelle condizioni di recargli altri dispiaceri e pensieri. Perciò avrei voluto rigare dritto e procedere a testa china, passando inosservato.
Riuscì persino a raggiungere le vacanze autunnali indenne – nove giorni di puro relax trascorso a casa in solitudine – in quanto mio padre si era ritrovato, come sempre, a gestire turni impossibili. A Novembre, però, quando tornai a Liverpool, scoprì che Sam si era trasferita da noi ed i miei ormoni impazzirono, tanto da non concedermi più un attimo di tregua. Mi sentivo come un leone in gabbia, violato nella propria libertà.
Da allora fu tutto diverso e mi ritrovai a finire sempre più spesso nei guai.

-Signor Smith, la sto forse annoiando con questa lezione?- mi domandò il professore, trovandomi per l'ennesima volta con lo sguardo perso fuori dalla finestra.
-No- risposi io imbarazzato.
-No, cosa?- mi domandò piuttosto scocciato.
-No, signore- aggiunsi.
-Molto bene, ora sparisci e porta il tuo culo dal Sergente Gamble, non ho tempo da perdere con te- rispose allungando un braccio ed incitandomi ad uscire dall'aula.
Mi alzai a fatica dal banco scontrandomi con lo sguardo divertito di Sam, che dovette portarsi una mano al volto per soffocare le risate.
Quel gesto così semplice, così femminile, mi riportò alla mente Yoshiko. Con un velo di tristezza raccolsi la giacca e mi allungai verso il corridoio per poi ritrovarmi davanti alla porta del preside di quel posto.
Bussai energicamente ed entrai con scarso entusiasmo.
-Signor Smith, che piacere. Iniziavo quasi a preoccuparmi, sono trascorse ben 72 ore dalla scorsa volta che ti ho visto- mi salutò il sergente con sarcasmo.
Mi immolai davanti a lui, salutandolo come un buon soldatino e rimanendo ben fermo in posa.
-Brent, appoggia il culo sulla sedia ed ascoltami bene- mi disse mentre cercava di accendersi una sigaretta.
Ridacchiai divertito puntando lo sguardo sul cartello che vietava di fumare presente alle sue spalle. Il sergente colse subito l'ironia del mio sorriso e si voltò fino ad osservare lui stesso l'avviso. Si girò verso di me e mi mostrò un grosso sorriso sornione -il bello di essere il capo, sta proprio nel poter fare quel cazzo che mi pare-.
Alzai un sopracciglio sorpreso dalle sue parole, ma d'altra parte aveva ragione lui. Lui aveva sempre ragione.
-Ascolta Brent, ormai mi fai visita un giorno sì e un giorno no, perciò ho deciso di sospendere tutte le tue attività per il prossimo mese- mi disse inebriandosi con l'odore di nicotina che fuoriusciva da bocca e naso.
Io spalancai gli occhi e mi agitai furioso -no, non posso essere sospeso, mio padre ci rimarrebbe malissimo. La prego, mi dia un'altra possibilità, giuro che non combinerò più casini-.
Il sergente ridacchiò di gusto alle mie parole. Chissà quante volte avrà sentito dire certe fesserie dai suoi studenti. Peccato che io ero più che serio.
-Vedi Brent, il problema è proprio questo. Tu sei qui solo per tuo padre e non per te stesso- mi rispose scaricando il residuo della propria sigaretta dentro il posa cenere -conosco i ragazzi come te, non riuscirai mai a concludere nulla all'interno di questa scuola se non ti imponi di volerlo fare per te stesso e non per gli altri-.
Io lo guardai sbigottito senza riuscire a fiatare alcuna risposta. In effetti era vero, io ero lì per mio padre, non certo per me.
-Ho parlato con il Dottor Smith il weekend scorso- strabuzzai gli occhi nuovamente non aspettandomi una confessione simile -e ho scoperto che ti piacciono gli aerei, vero?-.
Il mio sguardo si inebetì innanzi a quella domanda -sì, è vero, ma che cosa c'entra questo?-.
Il sergente scoppiò in una grassa risata e si alzò dalla cattedra per poi avvicinarsi a me. Mi appoggiò una grande mano sulla spalla e mi invitò a seguirlo fuori dal suo ufficio.
-Vorrei mostrarti una cosa. Vieni- mi disse scortandomi in un'ala della scuola che non avevo mai visitato.
Arrivammo davanti agli alloggi privati dei professori. Sicuramente dovevo apparire piuttosto smarrito e confuso, perché sul volto del sergente vi era un sorriso divertito.
-Prego, accomodati- mi disse invitandomi ad entrare nella sua stanza privata.
Quando varcai la porta, mi trovai in una stanza piuttosto cupa e maleodorante. Vi erano ceneri di sigaretta sparse più o meno ovunque, libri appoggiati alla bene meglio su un qualsiasi ripiano pianeggiante, fotografie ammatassate sulla scrivania, tanto da crearne una pila alta quasi un metro. Sorrisi all'idea di potermici avvicinare solo per dargli una soffiata e far cadere tutto a terra. “Infantile”, pensai.
-Vedi, Brent, tuo padre mi ha parlato moltissimo di te. Mi ha detto che hai sempre sofferto per la mancanza di tua madre. E che nella tua discrezione, non hai mai osato chiedere nulla sul suo conto- disse catturando la mia attenzione -lui è convinto che questa tua grande dote di metterti nei casini, sia solo un inconscio modo di attirare attenzioni che, al contrario, non hai mai ricevuto in infanzia-.
Se c'era una cosa che detestavo, erano gli estranei che tentavano di psicanalizzarmi. No, non ero un attaccabrighe, ero solo un ragazzo abbonato alla sfortuna perenne, ma vaglielo a spiegare.
-Sergente, non vorrei risultare inopportuno...- cercai di dire senza però alzare lo sguardo dal pavimento.
-No, lasciami parlare, ti prego- mi interruppe lui -vedi Brent, ti ho portato qui per un motivo preciso. Non ho deciso di sospendere le tue attività curricolari solo per infliggerti una punizione. I ragazzi che vengono qui hanno per lo più trascorsi sereni, seppur tutti abbiano la concezione che questa scuola serva a mettere in riga giovani scapestrati. Noi non obblighiamo nessuno a restare qui, le nostre porte sono sempre aperte, sia in ingresso che in uscita-.
Finalmente trovai il coraggio di alzare lo sguardo, incuriosito da ciò che stava dicendomi.
-Prima di congedarmi dall'esercito e venire ad insegnare in questa scuola, io ero un pilota di cacciabombardieri- mi confessò attirando la mia completa attenzione -posso dire di aver avuto un'esperienza veramente eccellente in aviazione-.
Il mio sguardo si illuminò e mi incantai ad ascoltare la storia della sua vita. Il sergente mi spiegò cosa lo aveva spinto a fare il militare e da dove nasceva la sua passione per quei maestosi velivoli che trovavo raffigurati persino nei quadri appesi per tutta la sua stanza.
-Vorrei mostrarti una cosa, seguimi- e detto ciò mi scortò fuori dall'edificio, per poi incamminarsi verso la boscaglia che precedeva la spiaggia. Camminammo non più di 5 minuti fino a raggiungere un piazzale adibito all'atterraggio di elicotteri di salvataggio e velivoli leggeri.
-Questo è Piton, il mio biposto. L'ho comprato un anno dopo il congedo con onore. Non riuscivo a star lontano dal cielo. È come un istinto primordiale, sento la necessità di sorvolare l'oceano, le vallate e tutto ciò che mi circonda anche se non sono più in servizio da anni ormai. Volare mi fa sentire vivo qui- disse indicandosi il petto e alludendo al proprio cuore.
In quell'istante non riuscì a fiatare. Ero come incantato dal suo racconto e più ascoltavo le sue parole, più mi trovavo d'accordo con quanto diceva e lo sentivo molto vicino a me.
Mi venne istintivo allungarmi verso il suo velivolo per poterlo ammirare più da vicino. Prima di potergli toccare il muso, trattenni il fiato e, ad occhi chiusi, allungai un braccio fino ad appoggiare l'intero palmo della mano sul suo metallo gelido. Assaporai il contatto che ebbi con quel mostro volante e rimasi in silenzio ad assaporare quel momento a me sacro. Ad un certo punto percepì un formicolio sul dorso della mano e, quando aprì gli occhi, mi ritrovai dinnanzi allo spettacolo della natura più bello di sempre: a camminare leggiadra sopra la mia mano vi era una farfalla. Ma non un lepidottero qualsiasi, bensì una maestosa monarca. Il mio cuore in quel momento schizzò a mille e rimasi agghiacciato ad osservarla. I ricordi si fecero prepotenti nella mia mente e la memoria mi riportò al passato ancora una volta, a quel giorno in cui tentai di catturare quell'insetto tanto maestoso.
Quando ritrassi la mano, mi aspettavo che la farfalla sarebbe volata via ed invece, con mio grande stupore, rimase ben salda alla mia mano sbattendo lievemente le ali. Fu allora che sorrisi al pensiero che stesse tentando di cospargermi di polverina magica. Guardai la farfalla e poi l'aereo che avevo davanti a me e poi di nuovo la farfalla.
Che fosse un segno del destino? O forse la vita si stava prendendo gioco di me ancora una volta?
Il mio perenne ottimismo mi fece propendere per la prima opzione. Avvicinai il piccolo insetto alato al volto e gli sorrisi sussurrando un -grazie-.
La farfalla accolse i miei ringraziamenti e si alzò leggiadra in volo accennando un paio di giro intorno al mio volto, per poi allontanarsi da me danzando e giocando con il vento.
-Sergente, so perché mi ha portato qui- dissi voltandomi finalmente verso l'uomo che mi aveva fatto scoprire un mondo nuovo -ma non capisco cosa l'ha spinta a fare tutto questo per me-.
-Io ero esattamente come te, ragazzo mio- mi disse sorridendo e avvicinandosi a me fino ad appoggiarmi una mano sulla spalla -ma ho avuto una guida che ha sempre creduto in me e che mi ha indirizzato fino a qui-.
Sorrisi come se mi avessero appena rivelato il segreto della vita.
-Da domani ti voglio concentrato e determinato, perché avrai il piacere di fare lezione direttamente con il sottoscritto- mi disse indicandosi con entrambe le mani e ammiccando soddisfatto -e non accetto un no come risposta!-.
Quel giorno conobbi il mio mentore. A lui devo tutto ciò che sono diventato. Lui mi ha dato una cosa che fino ad ora solo mio padre mi aveva concesso: la fiducia.


Con lo scorrere del tempo imparai moltissime cose sull'aviazione. Il sergente Gamble mi fece comunque studiare tutte le materie base del mio corso, ma si concentrò maggiormente sulle nozioni utili per entrare nell'aviazione militare.
La RAF, Royal Air Force, era l'aeronautica militare del Regno Unito. Mi ero quasi convinto di volerne far parte. Amavo volare, amavo i motori e tutti gli assetti militari e amavo soprattutto l'idea di poter avere una mia indipendenza.
Avevo passato al vaglio ogni possibile opzione. Avrei potuto fare il pilota di aerei da trasporto passeggeri, di soccorso o di rifornimento. Ma la verità era che nulla poteva competere contro il sogno della mia vita, ovvero il poter pilotare un Eurofighter Typhoon, uno splendido esemplare di bimotore di quarta generazione. Al contrario del cacciabombardiere classico, non aveva un impiego strettamente militare. Si tratta di un velivolo multiruolo in grado di sfrecciare oltre il cielo con due procedure differenti. In modalità di attacco, questo velivolo era in grado di impedire ai bombardieri nemici di raggiungere il suolo inglese, spesso distruggendo gli aerei nemici prima ancora che raggiungessero il loro obiettivo. In modalità difensiva, al contrario, creava una sorta di barriera in volo che concedeva la supremazia aerea della propria nazione.
Ero consapevole che mi sarebbe stato impossibile pilotare proprio quell'esemplare che tanto amavo. In effetti erano stati messi a disposizione solamente 160 modelli negli ultimi sedici anni; ma ero fiducioso e sapevo che prima o poi, scalando quell'invalicabile gerarchia militare che vi era dietro, avrei raggiunto la vetta e, di conseguenza, mi sarei accaparrato la possibilità di pilotarne uno.
Il sergente Gamble mi spiegò che le forze aeree erano suddivise in più gruppi. Vi era un primo gruppo caratterizzato da tutte le forze aeree d'attacco; un secondo di difesa; un terzo si occupava della coordinazione degli attacchi; un quarto era deputato all'addestramento delle nuove reclute; un quinto al supporto aereo; infine il sesto organizzava le spedizioni di esplorazione. Il sergente aveva iniziato la gavetta all'interno del sesto gruppo, per poi far carriera fino a poter scegliere di stanziarsi nel terzo gruppo. Mi raccontò di essere nato per dare ordini, perciò trovava perfetto il poter coordinare le operazioni di attacco.
-Tu a quale gruppo vorresti appartenere, invece?- mi domandò curioso quel giorno.
-Non saprei- risposi ancora confuso mentre fissavo il quaderno con gli appunti.
Tutti i gruppi contavano allo stesso modo, non vi era un ordine di importanza.
-Mi piacerebbe molto appartenere al sesto- dissi infine.
-Un esploratore, quindi- affermò il mio mentore portandosi una mano sotto il viso e sfregandola per bene contro il mento -capisco-.
Lo guardai incuriosito, domandandomi se ci fosse nulla di male nella mia scelta.
-In effetti, ti ci vedo bene- aggiunse infine -sei un ragazzo molto impulsivo e sfrontato, non hai paura del pericolo e ti piace abbracciare nuove avventure con coraggio-.
Sorrisi divertito, in poche parole era riuscito ad inquadrarmi perfettamente. Mi guardai le mani come se per un istante percepissi una certa forza in esse -è come se il pericolo mi facesse sentire vivo, l'adrenalina viene pompata nelle mie vene ed io mi sento imbattibile-.
-Torna coi piedi per terra, Brent. Ti ricordo che fare l'esploratore non significa gironzolare per i cieli come fossi in vacanza. Nelle missioni si muore. Nessuno ne è esente- mi disse tarpando il mio entusiasmo.
-In ogni caso- aggiunse cambiando argomento -dobbiamo essere preparati. Ti voglio concentrato e determinato, perché si tratta di un percorso che solo pochi eletti si possono permettere. Non basta avere il fisicaccio per entrare a fare il militare. Ci vuole testa, passione e cuore-.
-La nostra prima tappa è qui- disse puntando il dito su una cartina posta alle sue spalle -la scuola di Shawbury. Penso una delle migliori scuole di aviazione del paese-.
-Immagino già che ci sarà da sudare per entrare- commentai sconsolato e alzando gli occhi al cielo.
-Fossi in te non mi preoccuperei- disse il sergente piazzandosi innanzi a me -con un mentore come me, non puoi assolutamente fallire-.
L'idea di andare a vivere in un paesino dimenticato dal mondo non mi allettava moltissimo, ma era anche vero che avrei ridotto le distanze con mio padre.
-Sai, ragazzo mio, mi disse il sergente ammiccando -ti farò sputare sangue pur di entrare in quella scuola. Perciò, se vuoi un consiglio da uomo a uomo, fossi in te mi troverei un bel diversivo in questo periodo, sai, giusto per allentare la pressione-.
Non colsi subito il senso di quella frase, ma quando quel giorno incontrai Sam a casa, tutto fu più chiaro.

Samantha Elliots era la ragazza più strana che io avessi mai conosciuto. Era bella, veramente bella, una di quelle bellezze naturali che tutti si giravano a guardare. Allo stesso tempo sembrava appartenere ad un altro mondo. A lei non importavano i trucchi o i vestiti, non che fosse di rilievo la cosa, alla fine in quella scuola vi era l'obbligo della mimetica. Eppure, nonostante il candore della sua pelle, gli occhi da cerbiatta profondi come pozze blu, aveva sempre quel modo di fare mascolino. Era rissosa, mamma mia se era rissosa.
Una volta a scuola dovetti persino salvarla da un paio di ragazze che le murarono la via per il bagno. La accompagnai in quello dei maschi facendole da guardia del corpo per evitare che nessuno potesse entrare mentre lei utilizzava i servizi. Per fortuna non vi era questo problema in casa, il bagno era condiviso. Non disse una parola per tutto il giorno, né mi ringraziò mai per il gesto.
La stessa sera, però, si avvicinò a me con fare furtivo. I nostri due compagni di bungalow stavano già dormendo. Io non riuscivo a prendere sonno, ero troppo assorto nei miei pensieri. Ero adagiato sul patio esterno con lo sguardo puntato al cielo, sognando di poter fluttuare leggiadro in aria. Quando lei si avvicinò a me, ero talmente assorto nei miei pensieri, da non accorgermi della sua presenza. Ed ecco che feci l'ennesima figuraccia cadendo rovinosamente dal patio sul prato umido, bagnandomi per altro i pantaloni.
Sam sorrise quella volta. Era la prima volta che potevo ammirare la sua dentatura perfetta, non più nascosta dalla mano. Quel suo gesto innaturale e fastidioso di coprirsi la bocca quando rideva, mi portava regolarmente alla mente Yoshiko.
Mi alzai dal prato e sorrisi imbarazzato, portandomi una mano dietro la nuca e grattandola maldestramente.
-Non ti avevo notata- le dissi.
-Già, ho visto- mi rispose lei avvicinandosi a me e porgendomi una mano -fai due passi?-.
Rimasi piuttosto sorpreso da quella richiesta, ma accettai senza indugio. Ero impacciato e molto nervoso all'idea di trovarmi da solo con lei. Camminammo per una buona decina di minuti fino a raggiungere la spiaggia più vicina alla scuola.
Sam si avvicinò alla riva raccogliendo un sasso da terra per poi lanciarlo energicamente verso il mare. Lo guardammo colare a picco, dopo aver prima effettuato un paio di rintocchi sulla sua superficie.
-Io sono strana secondo te?- mi domandò all'improvviso.
-Tu, cosa?- chiesi preso contropiede.
-Ti sembro una strana?- chiese nuovamente alzando il tono di voce.
-Io, ecco...- dissi balbettando.
Samantha era l'opposto di Yoshiko. Lei era bionda con occhi azzurri ghiaccio, era impavida e sfacciata, non aveva alcun timore di esternare le proprie emozioni o i propri pensieri. Non conosceva il pericolo e, anzi, spesso ci si buttava contro come se non temesse alcuna ripercussione. Lei era tosta, forte ed estremamente indipendente. Yo era scura di capelli e con gli occhi profondi ed espressivi, era timida e molto introversa, spesso tremava come una foglia innanzi a tutto ciò che era fuori dall'ordinario e apriva bocca solo se sicura di poterlo fare. Era molto cauta e studiava attentamente la situazione prima di poter muovere i primi passi verso qualcosa di sconosciuto. Insomma, completamente diverse tra loro.
-Tu sei diverso dagli altri- disse poi lei tornando a guardare il mare.
-Cosa te lo fa pensare?- le domandai trovando finalmente il coraggio di rivolgerle la parola.
-Sei l'unico che non ha mai tentato di infilarsi nelle mie mutande- rispose con sguardo fisso in avanti.
Il suo volto pareva inespressivo e più la guardavo, meno riuscivo a leggere la sua espressione.
-È un modo carino per chiedermi se sono gay?- domandai confuso aggrottando la fronte.
-È un modo carino per chiederti perché ancora non ti sei fatto avanti- rispose lei fronteggiandomi.
-Ho un'altra per la testa- mi venne subito da rispondere.
Mi diedi dello stupido e cercai di scacciare via Yoshiko dai miei pensieri.
-Sei sempre così, tu?- domandò Sam avvicinandosi maledettamente a me.
-Così come?- le chiesi piuttosto impacciato.
-Non so- rispose lei chiudendo a fessura gli occhi per osservarmi meglio -sembri sempre assorto nei tuoi pensieri-.
Samantha mi fronteggiò con grinta e poggiò il palmo della sua mano sulla mia fronte -chissà cosa c'è qui dentro-.
-Vorrei saperlo anche io- risposi quasi sussurrando. Chiusi poi gli occhi e mi maledì per la seconda volta quella sera.
-In ogni caso, per quel che vale, ti trovo interessante- mi rispose dandomi le spalle e iniziandosi a spogliare.
-Che fai?- le domandai nel panico più totale, notando che non si era fermata all'intimo.
La bionda sfilò tutti gli indumenti per poi gettarli malamente sulla spiaggia e voltarsi ammiccando -seguimi-.
Si gettò in acqua senza alcun pudore, non preoccupandosi minimamente di essere vista da qualcun altro sulla spiaggia.
Cosa le faceva pensare che l'avrei rincorsa nelle acque gelide del Mar d'Irlanda nel bel mezzo della notte, per altro completamente nudo e senza freni inibitori? Ma nel momento in cui la mia mente finì di riflettere su ciò, il mio corpo si era già svestito di ogni abito. Mi ritrovavo così ad osservarla nuotare nuda sotto il cielo stellato ed una luna particolarmente tonda e grande. Come un ebete, rimasi impalato sulla spiaggia completamente disarmato e con le mani che reggevano quel poco di mascolinità che era rimasta intatta in quel momento.
-Forza, che aspetti!- mi incitò Sam mentre sguazzava gioiosamente in acqua.
Imprecai fino a mordermi la lingua, per poi muovere i miei primi passi verso le gelide acque nordiche. Immersi il piede destro per poi venir colto da una ventata di aria glaciale. Guardai ancora una volta Sam. In quel momento mi tornarono alla mente le parole del mio mentore circa l'allentare la tensione e trovare un “diversivo”. Raccolta finalmente una manciata di coraggio, mi buttai a capofitto nel mare, schizzando ovunque e bagnandole i capelli.
-Finalmente, ce n’è voluto di tempo per convincerti- asserì Sam divertita.
-Allora- disse avvicinandosi a me con sguardo malizioso -cosa abbiamo qui?- domandò portando sott'acqua le mani.
Sussultai al suo tocco e subito mi ridestai. Chiusi gli occhi e il volto famigliare di Yoshiko si fece strada tra i miei ricordi. “Maledizione”.
Dopo Yo, avevo sì avuto qualche relazione occasionale, scambi di baci, qualche effusione più intima, ma nulla di più. Samantha era diversa da tutte le altre ragazze con cui ero stato finora. Lei era di una sfrontatezza inaudita. Quasi mi sentivo a disagio in sua presenza.
Avevo solo 16 anni compiuti all'epoca, ma mai fino ad allora avrei pensato di poter perdere la verginità in quel modo.
Lo so, sono un uomo di altri tempi, me lo dicono tutti. Rimango tutt'ora dell'idea che l'amore si possa trovare in una persona sola in tutta la vita. In effetti per Sam non era amore, ma solo attrazione.
Era ormai mezzanotte. Lei era completamente disinibita davanti a me. Le onde del mare cullavano la nostra armonia e ci trascinavano sempre più vicini, fino a quando i nostri corpi nudi cozzarono tra di loro. Sentì un fremito ripercorrere la mia schiena, giù fino alla mia zona più calda.
-Non ho mai fatto sesso con nessuno- mi confidò lei guardandomi negli occhi.
Non sapevo cosa risponderle. In realtà non ero neanche sicuro di voler essere lì in quel momento. Ma il mio corpo tradiva la mia mente e una lotta interiore scoppiò violenta in me. La testa mi urlava di scappare finché ero in tempo, ma la mia erezione era già dritta sull'attenti pronta a sprofondare in lei.
-Neanche io- le risposi iniziandola a baciare.
Lei non si ritrasse, anzi, iniziò ad esplorare la mia bocca con una voracità assurda. Mi prese il volto tra le mani, strofinando i polpastrelli sui miei capelli ormai zuppi. La sentì ansimare e respirare a fatica. Poi, ad un tratto, sentì un'ondata di caldo pervadermi in basso, ma quando guardai giù, notai solo le sue cosce avvinghiate al mio bacino. Era senza pudore, sfrontata e accattivante. E tutto ciò mi eccitava maledettamente
In quel momento la mia testa si divise dal mio corpo, non letteralmente parlando. Ma è come se i miei pensieri fluttuassero a Yoshiko, mentre pian piano iniziavo ad esplorare il corpo di un'altra donna. Mi diedi dello stronzo, lo ricordo bene.
Quando tornai in me, ancora non avevo oltrepassato il confine della sua verginità, perciò mi bloccai di istinto guardandola negli occhi e domandandomi cosa diavolo stessi facendo. Ma lei si strinse forte alle mie spalle e mi supplicò di farlo.
-Ne ho davvero bisogno- mi disse quasi piangendo.
Non sapevo che fare, non sapevo come muovermi, non mi ero mai trovato in una situazione simile.
Chiusi gli occhi per poi riaprirli pochi secondi dopo. Sul suo volto immaginai dipinto quello di Yoshiko e con una spinta unica entrai in lei senza trattenermi più.
Lei imprecò, si dimenò sotto il mio tocco, per poi conficcare le dita nella mia carne.
-Non smettere- mi disse con voce dolorante.
E più la mia mente si sforzava di mantenere il controllo e di badare la mia forza, più il mio corpo sbatteva contro il suo con fin troppo vigore.
Era forse questo fare l'amore? Lo sapevo io e lo sapeva anche Sam che questo era sbagliato. Era sesso e niente di più.
Fu così che persi la mia verginità, nel modo più meccanico possibile, seguito ed inseguendo istinti quasi primordiali. Non ci scambiammo uno sguardo, né una parola di conforto. Lasciammo che i nostri corpi godessero l'uno dell'altro senza vincoli sentimentali.

Quando raggiungemmo la spiaggia Sam non staccò gli occhi da me neanche per un istante.
-Ti ha fatto così schifo?- mi domandò rimettendosi la maglietta.
La guardai confuso, domandandomi perché avesse quel dubbio.
-No, io...- dissi ancora in preda a mille emozioni.
-Stavi pensando ad un'altra, dico bene?- mi domandò ridacchiando.
-No!- mentì.
-Sì- ribatté lei.
Mi morsi il labbro inferiore.
-Tranquillo, anche io stavo pensando ad un'altra- mi disse dandomi le spalle e facendomi cenno di rientrare a casa -ma lei non può darmi quello che puoi darmi invece tu-.
Rimasi imbambolato sulla spiaggia, ancora mezzo nudo, a fissare la sua figura che si allontanava nell'ombra della notte.
Mi guardai intorno sconcertato, insicuro di non aver ben capito le sue parole.


  
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