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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 11: Cicatrici

 

   Il risveglio di Ladya fu lento e faticoso, come se il sonno volesse tenerla nelle sue grinfie. Per un tempo indefinito la dottoressa giacque nel dormiveglia, cercando di ricordare cosa le era successo. Le sue memorie erano confuse. Per un po’ le parve di essere ancora su Vidiia, nei giorni sereni in cui andava alla scoperta della sua cultura. Poi i tragici ricordi delle ultime settimane l’assalirono: il rapimento, la Phagia, gli inganni e la battaglia all’ultimo sangue. Con la consapevolezza tornò anche il dolore: la Vidiiana aveva male in tutto il corpo, soprattutto nelle articolazioni. Anche i polmoni le dolevano, come se qualcuno glieli avesse sfregati con carta vetrata. Sentendosi mancare l’aria, quasi stesse annegando, Ladya si sforzò d’inspirare più a fondo. Inarcò il busto, spalancando gli occhi, e vide un soffitto bianco. Allora si drizzò a sedere, boccheggiando.

   «Calma, il peggio è passato. Fai respiri profondi» le disse una voce familiare.

   Ladya si voltò, cercando di mettere a fuoco chi aveva parlato. La sagoma si precisò gradualmente: era Norrin, seduto accanto al suo lettino. Si trovavano nell’infermeria della Keter, in una saletta di lunga degenza. La dottoressa indossava la tuta bianca dei pazienti e aveva una flebo attaccata al braccio. «Quanto... tempo...?» chiese con un filo di voce.

   «Quindici giorni» rispose Norrin con gravità. «Il dottor Joe non s’è fermato neanche per un minuto. L’intero staff medico ha fatto i doppi turni. Abbiamo interrogato i Vidiiani e anche alcuni prigionieri Vaadwaur. Ce l’abbiamo fatta, amore... sei guarita» rivelò, prendendole affettuosamente la mano tra le sue.

   La dottoressa ricadde sul lettino, in preda a singhiozzi irrefrenabili per il sollievo. Per quanto stimasse il dottor Joe e gli altri, non pensava che potessero curarla a quello stadio della malattia. Invece c’erano riusciti; le avevano dato una seconda occasione. Ora stava a lei metterla a frutto. Ma prima c’erano delle cose che doveva assolutamente sapere. Si asciugò le lacrime con un lembo del lenzuolo, cercando di respirare con più calma. «La Rete Subspaziale?» chiese con voce roca.

   «Eliminata».

   «E... Vidiia Primo?» domandò Ladya con un tremito.

   «Giudica tu stessa» disse l’Hirogeno, attivando l’oloschermo di cui era provvisto il bio-letto. Il pianeta galleggiava nello spazio come una perla azzurra, bianca e verde. Non c’era traccia dell’arma-tunnel e non vi erano nemmeno danni visibili in superficie. Tuttavia gli anelli planetari si erano dissolti e le lune erano diventate globi di lava incandescente: un monito per chiunque alzasse gli occhi al cielo.

   «Il tuo popolo è salvo» la rassicurò Norrin. «La Rete è collassata prima che lo Scudo Planetario cedesse. Le navi trasporto stanno già rimpatriando gli sfollati. Le lune però resteranno inabitabili per secoli, quindi parecchia gente dovrà restare nelle colonie. E la flotta ha pagato un duro scotto. Delle quaranta navi che ci hanno mandato nella Rete, solo nove sono tornate. Tra le vittime c’è anche il Generale Mazzut: la sua nave non è uscita in tempo». Così dicendo l’Hirogeno spense l’oloschermo.

   «Il resto dell’Alleanza?» chiese ancora Ladya.

   «Ogni flotta è tornata nel proprio spazio» spiegò Norrin. «È stata una vittoria costosa: tutti hanno subito perdite superiori al previsto. I Krenim, in particolare, hanno perso la loro nave ammiraglia. Anche se ne avremo conferma solo quando li ricontatteremo, pensiamo che Hortis sia morto».

   La dottoressa sospirò addolorata. «Quando lo abbiamo incontrato la prima volta, mi è parso che cercasse l’assoluzione per ciò che aveva fatto in passato. Spero che l’abbia trovata, alla fine» disse. «Ho un’ultima cosa da chiederti: che ne è dei Vaadwaur?».

   «Il Ravager è distrutto e così gran parte della loro flotta» disse l’Hirogeno. «Senza la Rete Subspaziale le loro colonie sono isolate. Speriamo che abbiano imparato la lezione e la smettano con le scorrerie; almeno non dispongono più dell’arma-tunnel. Per quanto riguarda le loro condizioni di salute, ne sai più tu di me» aggiunse guardandola di sottecchi.

   «Ho curato la Phagia, quindi sopravvivranno» confermò Ladya. «Ma in cambio hanno perso la vista».

   «È stato intenzionale?» volle sapere Norrin.

   La dottoressa sprofondò nel letto e distolse lo sguardo. «Non avrei mai voluto» sussurrò. «Ma dopo il nostro incontro nell’ospedale da campo, ho pensato che avevi ragione sull’inaffidabilità dei Vaadwaur. Non potevo lasciare che bruciassero il mio popolo, quindi ho fatto in modo che la cura li accecasse. Speravo che lo facesse prima della battaglia, così avrebbero dovuto ritirarsi e voi avreste eliminato facilmente la Rete. Purtroppo ha funzionato tardi».

   «Ha funzionato appena in tempo» corresse l’Hirogeno. «Senza quell’improvvisa cecità, i Vaadwaur avrebbero prevalso. Non colpevolizzarti troppo; è stata la loro ostinazione a rovinarli».

   «Non so... forse avresti dovuto lasciarmi su quella nave» mormorò Ladya, con gli occhi inumiditi dal pianto. «Sono un medico: dovrei guarire la gente, non ferirla. Ho tradito tutto ciò in cui credevo».

   «Hai dovuto commettere un male, per impedirne uno assai più grande. Capita a molti di coloro che indossano la nostra uniforme» sospirò Norrin. «Ora che stai guarendo, pensi che potresti curare i Vaadwaur anche dalla cecità?».

   «Posso sviluppare la cura» annuì Ladya, tirando su col naso. «Il difficile sarà somministrarla, visto che sono sparpagliati in tutto il Quadrante. Conosci le coordinate della capitale, ma le altre colonie?».

   «Quelle non le abbiamo localizzate» ammise l’Hirogeno. «Ma se curiamo gli abitanti di Kinara, forse in cambio ci diranno la posizione delle altre colonie. Così potremo recapitare la cura a tutti».

   «Dubito che accetteranno altre cure da me» disse mestamente Ladya.

   «Magari diremo che è del dottor Joe» suggerì Norrin, facendole l’occhiolino. «Adesso riposati. Tornerò domani a fine turno, per vedere come stai». Così dicendo si alzò e andò verso l’uscita. Per tutto il colloquio non aveva fatto parola dei suoi sentimenti, sebbene fossero il motivo per cui si era lanciato due volte al salvataggio.

   «Norrin!» lo chiamò Ladya, rialzandosi col cuore in tempesta.

   «Sì?» fece l’Hirogeno, indugiando sulla soglia.

   «Tu... io...» farfugliò la Vidiiana, ma la confusione e l’imbarazzo le serravano ancora la gola. «Ho tante cose da dirti» esalò infine.

   «Lo farai quando ti sarai ripresa del tutto» disse Norrin, non volendo indurla a esprimersi sull’onda dell’emozione. «Riposati ora» raccomandò, e lasciò la stanza.

 

   Andato che fu Norrin, al suo posto entrò il dottor Joe. «Dottoressa, finalmente è cosciente! Ci ha fatti preoccupare come matti» disse, accostandosi con sollecitudine. Cominciò subito a esaminarla, sia col tricorder medico che aveva con sé, sia con le apparecchiature del bio-letto.

   «La prossima volta che scendo su un pianeta, starò più attenta alle frequentazioni» promise Ladya, ricadendo stancamente sul lettino. «Grazie per avermi curata. Lei è davvero il miglior medico della Flotta».

   «Già, me lo dicono in molti!» gongolò il dottore, mentre controllava le sue condizioni. Accortosi di avere esagerato, si schiarì la voce e si corresse: «Ehm, volevo dire che alla sua guarigione hanno collaborato in molti. Avete un ottimo staff e apparecchiature all’avanguardia, su questa nave. Quanto a me, è da molto che studio la Phagia».

   Ladya sorrise per quella manifestazione d’immodestia, maldestramente coperta, ma non la commentò. In quella le cadde lo sguardo sulle sue mani, che teneva raccolte in grembo. La pelle era molto migliorata rispetto agli ultimi giorni di malattia, quando si staccava a lembi, ma era ancora ben lontana dalla normalità. Le mani erano dure, piene di chiazze e croste. Immaginò di essere così in tutto il corpo. Tremando leggermente, si portò le mani al volto e se lo tastò. Le cartilagini del naso e delle orecchie c’erano ancora, per fortuna. I capelli però erano caduti quasi tutti. Avrebbero impiegato tempo a ricrescere, posto che potessero farlo. Pensando che Norrin l’aveva vista in condizioni ben peggiori, sul Ravager, la Vidiiana si sentì mortificata.

   «Tutto a posto?» chiese Joe, notando i suoi gesti.

   «Io... vorrei vedermi» mormorò Ladya. «Questo lettino ha un olo-specchio, mi pare» disse, cercando il comando sulla pulsantiera laterale.

   «Ehm, forse è prematuro» avvertì il dottore, tentando di fermarla.

   «Ho già visto da vicino le vittime della Phagia» ribatté la Vidiiana con impazienza. «Ormai ci ho fatto il callo».

   «Lo pensano tutti, ma quando si tratta di se stessi non c’è preparazione che tenga» obiettò il Medico Olografico. «Preferirei che aspettasse qualche giorno, quando la rigenerazione dei tessuti sarà progredita».

   «Dottore, essere sopravvissuta è già un dono inaspettato e forse immeritato» spiegò Ladya. «Se ne porterò il segno, pazienza». Trovato il comando dell’olo-specchio, lo premette senza esitazione.

   Il riquadro olografico si materializzò sopra il lettino, fornendole l’immagine impietosa del suo volto. La pelle, come quella delle mani, era secca e dura. La metà sinistra del viso, in particolare, era sfigurata come se gliela avessero abbrustolita. Fortunatamente gli occhi si erano salvati entrambi. Spalancando la bocca, la dottoressa constatò che anche i denti e il palato erano in condizioni decenti.

   «Consideri che l’abbiamo tratta dalla capsula cronostatica solo due giorni fa, dopo aver trovato la cura» la confortò il dottore. «La terapia rigenerativa sta funzionando; tempo dieci giorni e tornerà come nuova. C’è solo qualche precauzione in più da prendere, dopo l’incidente coi Borg».

   «I Borg?!» inorridì la dottoressa, scattando a sedere sul lettino. «Che hanno fatto?».

   «Ah già, non lo sa» rammentò il Medico Olografico. «Abbiamo avuto un problemino coi Borg, mentre lei era via. Quando abbiamo incontrato il primo Cubo, settimane fa, hanno inviato un segnale subspaziale che ha alterato le nanosonde di parecchi membri dell’equipaggio. In pratica le nanosonde li hanno parzialmente assimilati, anche se in modo così sottile che non ce ne siamo accorti. Durante il turno di notte hanno cercato d’impadronirsi della nave, per consegnarci ai Borg veri e propri. Ma sono riuscito a trarci d’impiccio, con – ehm – un piccolo aiuto degli ufficiali» disse, tornando a esaltarsi.

   «Adesso le vittime come stanno?!» chiese Ladya, agitatissima.

   «Stanno bene, ho già dimesso tutti» la rassicurò Joe, invitandola a stendersi di nuovo. «Ma come può immaginare, siamo un po’ preoccupati da questa nuova modalità d’assimilazione. Il Capitano Hod ha limitato l’uso delle nanosonde. Gli ufficiali della Sicurezza ne sono stati privati in via cautelare e anche qui in infermeria le usiamo con grande attenzione».

   «Prima ha detto che mi state facendo la terapia rigenerativa. Vuol dire che io le ho» notò la Vidiiana, inquieta.

   «La tengo costantemente monitorata. Se le succedesse qualcosa, non mi farò più sorprendere» promise il dottore. «Gli ingegneri hanno anche installato un emettitore di raggi Omicron sul soffitto, quindi in caso di necessità elimineremo le nanosonde in un lampo. E dalla plancia stanno molto attenti alle trasmissioni subspaziali. Ovviamente a fine terapia faremo piazza pulita delle nanosonde».

   «D’accordo, procedete» cedette Ladya. «Ma voglio un rapporto dettagliato sull’incidente. E quando torneremo all’Unione, bisognerà informare subito il Comando Medico».

   «Senz’altro» annuì Joe. «Tra tutte le scoperte di questa missione, il ritorno dei Borg è la più inquietante. Non finirà qui, temo».

 

   Il Medico Olografico non era l’unico a preoccuparsi per le conseguenze dell’attacco Borg. Volendo constatare le condizioni di Jaylah, per decidere se riaffidarle la Squadra Temporale, Norrin la trovò ancora una volta sul ponte ologrammi. La mezza Andoriana indossava una tuta semicorazzata da combattimento ed era nel pieno di un percorso d’addestramento da lei stessa escogitato. In quel momento stava lottando con due avversari muniti di tute simili alla sua, nella sala macchine di un’astronave di classe Juggernaut.

   «Ancora questi giochetti, eh?» commentò Norrin, attirando la sua attenzione. «Non ti stanchi mai?».

   «Computer, blocca programma!» ordinò Jaylah. Gli avversari si paralizzarono nel bel mezzo dell’azione e lei sgusciò fra loro. Mentre veniva incontro all’amico fece rientrare il casco nella tuta, scoprendo il volto sudato. «Sono stata a riposo dieci giorni, dopo l’incidente coi Borg. Mi sono persa la battaglia nella Rete. Adesso devo riprendere il ritmo» si giustificò, un po’ ansante per lo sforzo.

   «Uhm... ed è questo il tipo di missione che ti prospetti?» chiese Norrin. «Lottare contro altri federali, su una nave della Flotta Stellare?».

   «Metti che i Borg riescano a influenzare i nostri colleghi di un’altra nave. Dobbiamo essere pronti a tutto» sostenne sfacciatamente la mezza Andoriana.

   «Già, a tutto» convenne l’Ufficiale Tattico, per nulla rassicurato. «Sai, ho notato che negli ultimi tempi ti addestri spesso con quelle tute corazzate. Pensi di usarle in missione?».

   «Perché no?» fece Jaylah, fissandolo con aria di sfida. «Forniscono un’ottima protezione. Con tutte le perdite che abbiamo avuto in questi anni, non credi che dovremmo cautelarci?».

   «Beh, sì» ammise Norrin, ma era certo che dietro quella giustificazione covasse qualcos’altro.

   «Ora che non ho più le nanosonde a proteggermi, questa tuta potrebbe salvarmi la vita» aggiunse la mezza Andoriana.

   «Ho già visto le potenzialità di un’armatura da combattimento... e non l’indossavi tu» le ricordò l’Hirogeno, scrutandola severamente.

   Jaylah gli restituì uno sguardo indecifrabile. Per un attimo Norrin credé di scorgervi una scintilla d’odio, ma subito dopo la mezza Andoriana gli parlò in tono accorato. «Se vuoi ne farò a meno. Cercavo solo di tenermi impegnata dopo la brutta esperienza. Mi spiace di non esserti stata a fianco, quando per due volte sei andato a salvare Ladya. Avrei dovuto esserci, perdonami».

   «Io e Radek ce la siamo cavata» disse Norrin, nel tono di chi la considera acqua passata.

   «E Ladya sta bene? Ho sentito che si è svegliata» proseguì la mezza Andoriana.

   «Si sta ancora riprendendo. Dovrebbe riposare per una decina di giorni, ma figurati se lo farà» rispose l’Hirogeno, concedendosi un sorriso fugace.

   «A proposito, anch’io sto aspettando di rientrare in servizio» notò Jaylah. «Il dottore mi ha autorizzata, ma per tornare nella Squadra Temporale mi occorre il tuo assenso. Ti fidi ancora di me?» chiese con ansia.

   Norrin rimuginò sulla questione assai più a lungo di quel che avrebbe voluto. «Senza le nanosonde, non rischi più d’essere influenzata dai Borg» disse infine. «E visto che finora sei stata all’altezza... sì, riavrai il posto. Bada bene di non deludermi» aggiunse con un’occhiata penetrante.

   «Darei un braccio, per non deluderti» mormorò la mezza Andoriana, con gli occhi lucidi.

   Norrin fu certo che fosse sincera. Si chiese, però, se c’erano cause per cui le avrebbe date entrambe. «Riguardati» raccomandò, prima di lasciare il ponte ologrammi.

 

   Il sole pomeridiano scintillava sui tetti di Mireven, la capitale di Vidiia Primo. I federali vi erano tornati per trasmettere ai Vidiiani la cura contro la nuova Phagia, casomai il morbo li colpisse. Avevano anche discusso dei rapporti fra il Sodalizio Vidiiano e la colonia di Caldos, senza andare oltre le generiche dichiarazioni d’intenti. Stavolta però Ladya si era tenuta lontana dai giornalisti. Salita sulla terrazza panoramica del palazzo governativo, la dottoressa si appoggiò alla balaustra e ammirò la città. Nei giorni disperati del rapimento e della malattia era certa che non l’avrebbe rivista. Ammirò i viali bordati di statue, le piazze con le fontane dai mille giochi d’acqua, il palazzo della Terza Dinastia con le sue pagode dai tetti variopinti. Spinse lo sguardo ancora più in là, fino al parco col ponte sul laghetto in cui aveva passeggiato con Dallorath. Il caldo vento estivo le portò l’aroma di fiori esotici. La Vidiiana chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Quando li riaprì vide passare sopra di sé uno stormo di volatili dai lunghi colli, che lanciavano richiami melodiosi. La bellezza di Vidiia era sempre avvincente; non si sarebbe mai detto che fino a venti giorni prima il pianeta aveva rischiato la distruzione.

   «Ladya!» esclamò una voce alle sue spalle.

   Riconoscendo il nuovo arrivato, la dottoressa si girò lentamente e lo fissò sdegnata, senza proferire parola. Era Dallorath.

   «Oh, Ladya... quanto sono stato in pensiero!» disse l’ambasciatore, venendole incontro commosso. Cercò di abbracciarla, ma la dottoressa si ritrasse, come davanti a una cosa immonda e schifosa. «Non capisco, perché mi respingi?!» si meravigliò Dallorath. «Quando ti hanno rapita, ho fatto di tutto per ritrovarti. Ho informato la Keter dell’accaduto, ho attivato i canali diplomatici per localizzarti. Ho anche persuaso le autorità a inviare la flotta che vi ha aiutati nella Rete. Eh, senza di quella non ne sareste usciti vivi! Credo di meritare almeno un grazie».

   «Grazie» disse Ladya, «per avermi mostrato che invertebrato sei. I miei colleghi mi hanno detto come ti sei comportato, quando hanno chiesto spiegazioni sulla mia scomparsa. Hanno dovuto sequestrarti per sapere com’erano andate le cose. E non accampare meriti che non hai. È stato il Ministro Rommath a inviare la flotta; tu eri già ad anni luce».

   «Per gestire il flusso di rifugiati alle colonie!» insisté Dallorath. «È stata una responsabilità tremenda, che non avrei voluto accollarmi; ma il senso del dovere me lo ha imposto. Comunque è tutto finito. Vidiia è salvo, possiamo ricominciare a vivere. Tu come stai?» chiese, notando che l’aspetto di Ladya non era dei migliori.

   «Sopravvivo» rispose la dottoressa. In realtà aveva fatto passi da gigante negli ultimi cinque giorni. I polmoni erano guariti e il dolore articolare si era molto attenuato. Croste e macchie erano quasi svanite dalla pelle; solo il lato sinistro del volto rimaneva butterato. Quanto ai capelli, aveva tagliato a zero i pochi che le restavano, così che ricrescessero alla pari con gli altri. «Se non ti piaccio adesso, dovevi vedermi prima» ironizzò.

   «Ma che dici... certo che mi piaci. Però tornerai a posto, vero?» chiese Dallorath con una certa ansia. «Se vuoi posso farti curare qui. Sai quanto sono bravi i nostri medici. Tornerai come prima, anzi meglio!» garantì.

   «Come no, mi faccio un ritocchino apposta per te! Dimmi solo i tuoi gusti!» sbottò Ladya. Più che di disprezzo, la sua voce era intrisa di commiserazione.

   «Su, non avertene a male. Cercavo solo di essere premuroso» si giustificò Dallorath, deluso dal suo atteggiamento.

   «Tu e gli altri non siete stati così premurosi, quando avete infettato i Vaadwaur con la Phagia!» lo accusò Ladya. «Volevate sterminare un’intera specie, con lo stesso male che ci ha flagellati per secoli. Non potrò mai perdonarvi per questo. A cosa servono tutti i monumenti, i poemi, le canzoni, le cerimonie di commemorazione, se poi non s’impara niente? Se aveste una vaga idea di cos’è la Phagia, non l’avreste mai inflitta ai Vaadwaur. Dicono che il tempo cancella le ferite... purtroppo cancella anche gli insegnamenti!» disse con amarezza.

   «Ehi, calma!» si adombrò Dallorath. «Non sono stato io a ordire quel piano, né a metterlo in atto».

   «Però ne eri al corrente, quando ci siamo conosciuti!» insisté Ladya. «Altrimenti non saresti stato così tranquillo, riguardo ai Vaadwaur. Eri tranquillo perché sapevi che stavano morendo! E non me l’hai detto. Temevi che me ne andassi, sapendo quanto siete crudeli e vigliacchi!».

   «Senti chi parla! Tu sei quella che ha accecato i Vaadwaur!» rimbeccò l’ambasciatore, stanco di essere vituperato. «Loro si fidavano di te; pensavano che li avresti guariti. Invece li hai traditi tutti. Hai tradito il giuramento dei medici. Hai tolto la luce a un intero popolo: uomini, donne, bambini. Ora che la battaglia è finita, saranno tutti nel panico. Non possono guidare un’astronave per fuggire, né produrre il cibo per nutrirsi. Moriranno di stenti per colpa tua. A conti fatti non sei migliore di noi, anzi! Noi abbiamo colpito dei nemici dichiarati. Tu invece prima hai finto di volerli aiutare e poi li hai colpiti a tradimento. Chi ti ha insegnato queste cose, i tuoi amici alieni?».

   Furiosa, Ladya assestò a Dallorath un formidabile schiaffo. «L’ho fatto per salvare questo pianeta!» gridò. «Ma forse mi sono sbagliata. Forse avrei dovuto lasciarvi nell’incendio che avete scatenato».

   «Troppo tardi, dolcezza!» rise l’ambasciatore, massaggiandosi la guancia dolorante. «La Rete Subspaziale è distrutta. I Vaadwaur periranno, mentre il nostro avvenire è assicurato. La tua colonia è troppo piccola e lontana per interessarci, ora che abbiamo altri pensieri. Ti suggerisco di tornarci, e alla svelta. Dì ai tuoi compaesani che possono governarsi come vogliono, ma che non si prendano la briga di venire qui, perché non saranno bene accetti» disse in tono maligno. «Questo vale anche per te. Mi assicurerò che tu sia considerata persona non gradita su Vidiia. Non ci tornerai più, né da viva, né da morta!» promise.

   «Chi vuole tornare in questo nido di vipere?» ribatté Ladya, scrutandolo con sommo disprezzo. «Ho già tutto quello che desidero sulla Keter. Non mi serve altro. Ma voi che restate qui, dovreste alzare gli occhi ogni tanto» disse, indicando le lune rosseggianti di lava. «Spero che quelle vi ricordino che la violenza si ritorce contro chi la pratica. Mol a Keter, energia!» ordinò, premendosi il comunicatore. Svanì nel bagliore azzurro del teletrasporto, abbandonando il pianeta tanto vagheggiato. E come promesso, non vi tornò mai più.

   Rimasto solo sulla terrazza panoramica, Dallorath si passò una mano tra i capelli biondi per ravvivarseli. «Oh, beh... pazienza. Troverò di meglio» disse, e si allontanò fischiettando. Prima di rientrare nell’edificio però si trovò, quasi controvoglia, ad alzare gli occhi al cielo. I magnifici anelli celebrati dai poeti fin dall’antichità si erano dissolti per sempre. E le due lune, che un tempo scintillavano come oro e argento nel cielo notturno, d’ora in poi avrebbero brillato scarlatte, come grumi di sangue. Nessun Vidiiano sarebbe vissuto abbastanza da vederle tornare come prima. Il monito era scritto nella volta celeste e, a meno di non accecarsi a loro volta, lo avrebbero visto per il resto dei loro giorni.

 

   Lasciato Vidiia Primo, la Keter si recò a Kinara, sfruttando ancora una volta il propulsore cronografico per oltrepassare lo spazio Borg. Gli accordi con l’Alleanza prevedevano d’incontrarsi presso la nebulosa planetaria, per ridefinire la strategia contro i Vaadwaur, ma il Capitano Hod temeva che gli alleati volessero chiudere la partita. Non s’ingannava.

   All’arrivo i federali trovarono Kinara sotto assedio. Una flotta dell’Alleanza – venti navi Krenim, altrettante Devore e dieci della Gerarchia – era schierata nell’orbita. Stava bombardando l’insediamento Vaadwaur, per il momento protetto da uno scudo a cupola. Non era difficile ricostruire lo svolgimento della battaglia: i relitti nell’orbita e quelli ancora fumanti in superficie erano eloquenti. L’Alleanza era giunta con le catapulte subspaziali, appena una decina di giorni dopo la Battaglia della Rete. Per prima cosa aveva sbaragliato gli sparuti resti della flotta Vaadwaur, facilitata dalla cecità che affliggeva gli equipaggi. Poi aveva ingaggiato lo scontro con le batterie difensive che i Vaadwaur avevano piazzato in superficie, nascondendole astutamente in canyon e crepacci. Queste si erano rivelate un ostacolo ben più duro, essendo guidate da sistemi automatici, che non necessitavano di artiglieri. Le carcasse di parecchie navi dell’Alleanza, ancora in orbita, testimoniavano la loro pericolosità. Per limitare le perdite gli assedianti avevano dovuto lanciare dei raid, colpendo le postazioni e ritirandosi prima che arrivasse il fuoco di risposta. Dopo dieci giorni di attacchi ininterrotti, l’ultima batteria nadionica era stata disintegrata. Così l’Alleanza aveva potuto radunarsi in orbita e iniziare il bombardamento.

   «Quanta energia ha quello scudo?» chiese Hod, osservando la cupola opalescente inquadrata sullo schermo.

   «Un miliardo di terajoules» rispose Zafreen. «Probabilmente è solo una frazione del suo potenziale. Sta per cedere».

   Il Capitano aggrottò la fronte. Caduto lo scudo, i Vaadwaur sarebbero rimasti indifesi. Il loro insediamento era sotterraneo, ma poche centinaia di metri di roccia non li avrebbero protetti da armi di quel calibro. E stavolta l’Alleanza si sarebbe assicurata che non sopravvivesse nessun battaglione ibernato. Sarebbe stata una carneficina. «Su gli scudi, ma tenete disattivate le armi. Vrel, ci porti sulla linea di tiro» ordinò l’Elaysiana.

   «Ne è certa, Capitano?» esitò il timoniere.

   «Più che certa» confermò Hod.

   La Keter mosse in un’orbita più bassa, intercettando il fuoco diretto alla città. Dopo i primi colpi l’Alleanza interruppe il bombardamento. «Ci chiamano dalla Fulminatrix» riferì Zafreen.

   «Sullo schermo» disse Hod, alzandosi.

   Apparve Jarros, visibilmente contrariato. «Capitano Hod! Ci fa piacere vederla qui per il finale, ma gradiremmo che si togliesse dal mezzo» disse.

   «Per permettervi di massacrare i Vaadwaur? Levatevelo dalla testa» rispose bruscamente l’Elaysiana. «La guerra è finita, abbiamo vinto. Questo è il momento di negoziare la pace, diciamo pure d’imporre le condizioni agli sconfitti, ma non di sterminarli. Accanirvi sui Vaadwaur non vi darà vantaggi, ma vi metterà dalla parte del torto».

   «E lei sta sempre dalla parte giusta, eh Capitano?» la canzonò Jarros. «Sa che potrei interpretare la sua azione come un voltafaccia? Un tradimento nei confronti dell’Alleanza?».

   «Se è un voltafaccia, converrà che non è dettato dal guadagno» notò Hod.

   «No» ammise Jarros, facendosi meno ostile. «Semmai dall’idealismo. Ma non sa quanto sono accaniti i Vaadwaur! Abbiamo perso venti astronavi per eliminare le loro difese planetarie. Se ora li risparmiamo, ricostruiranno la loro forza militare, come hanno fatto in passato. Così tra qualche decennio saremo punto e a capo. Servirà una terza Alleanza per sconfiggerli».

   «Senza la Rete Subspaziale non riavranno mai la potenza di un tempo» obiettò l’Elaysiana. «Se temete che possano comunque darvi problemi, imponetegli un presidio militare per tenerli d’occhio. Non era questa l’idea dell’Ammiraglio Hortis?».

   «Beh, sì» riconobbe Jarros. «Ma i Vaadwaur sono troppo cocciuti per accettare. Preferiscono la distruzione alla resa!».

   «Mi ci faccia parlare. Anzi, resti in chiamata» disse Hod, segnalando a Zafreen di contattare la colonia.

   L’inquadratura sullo schermo si sdoppiò, per consentire la conversazione a tre. Accanto a Jarros apparve una donna Vaadwaur dall’aspetto disordinato. I suoi occhi erano bianchi, per la cecità che ormai affliggeva tutta la popolazione. «Sono Keld, governatrice di Kinara» si presentò. «Con chi parlo?».

   «Capitano Hod, della Keter» si presentò l’Elaysiana.

   La Vaadwaur sibilò per la stizza. «Che ci fa qui?! Vuole godersi la nostra distruzione? Prendere la sua parte di bottino?».

   «Niente del genere. Ho interrotto l’attacco dell’Alleanza e ora vorrei negoziare un armistizio» disse il Capitano. «È nel vostro interesse accettare, perché in caso contrario non credo che potrò salvarvi».

   «Salvarci! Lei si è schierata con l’Alleanza. Perché mai dovrebbe salvarci, ora?» domandò Keld.

   «Forse le sembrerà un concetto alieno, ma l’Unione ripudia la violenza come strumento per risolvere le controversie tra i popoli» spiegò pazientemente Hod. «Ho aiutato l’Alleanza a eliminare la Rete Subspaziale perché ne avevate fatto uno strumento di distruzione planetaria. Ora però vorrei aiutare voi a sopravvivere».

   «E le sembra vita?!» insorse Keld, indicandosi gli occhi ciechi. «Prima la Phagia, ora questo. La sventura continua a perseguitarci, qualunque cosa facciamo. Evidentemente non era destino che tornassimo a regnare. Si faccia pure da parte e lasci che i suoi alleati finiscano il lavoro. Tanto non c’è posto per noi nella Galassia».

   «Che le dicevo? Discutere con loro è una perdita di tempo!» commentò Jarros.

   «Ascoltatemi, tutti e due!» li zittì Hod. «È stata una serie di azioni sbagliate e di reazioni sproporzionate a portarci qui, sull’orlo del baratro; ma non è troppo tardi per fare un passo indietro. L’Alleanza deve contentarsi della vittoria che ha ottenuto e astenersi da sterili vendette. Quanto a lei, Keld, deve accettare un presidio militare sul suo pianeta. In cambio le offro la cura dalla cecità, per lei e per il suo popolo».

   «L’ultima volta che abbiamo accettato una cura da voi federali, l’abbiamo pagata a caro prezzo» disse cupamente la Vaadwaur. «Stavolta che ci farete? Ci avvelenerete? Ci renderete sterili?».

   «La mia parola non varrà molto per voi, ma non avete alternative» insisté Hod. «Finora avete fatto di testa vostra e avete pagato un prezzo sempre più alto. Ora, per una volta, seguite il nostro consiglio. Deponete l’orgoglio e accettate l’armistizio, o i Talaxiani non saranno gli unici a chiamarvi “sciocchi”».

   Ci fu un lungo silenzio. Keld rimuginava a testa bassa, mentre Jarros tamburellava impaziente sul bracciolo, in attesa di una risposta. Infine la Vaadwaur rialzò il capo. «Sono disposta ad accogliervi, per definire i termini dell’armistizio» disse con voce bassa e sforzata.

   «Ah, ci crede così ingenui?!» insorse Jarros. «Se scendiamo nella sua città, ci prenderà in ostaggio. È lei la sconfitta; lei deve salire da noi».

   «V’incontrerete sulla mia nave, che farà da terreno neutro» propose Hod. «Invito ambo le parti a mettere da parte gli inganni. Lei, Jarros, ricordi l’esempio dell’Ammiraglio Hortis. Il suo mentore non avrebbe preferito un armistizio a una strage indiscriminata?».

   «Sì... questo voleva» ammise il Krenim. «Verrò sulla sua nave».

   «E lei, Keld, ricordi dove vi ha portati l’ostinazione di Suddayath e cerchi di non imitarlo» proseguì il Capitano. «Il suo popolo può ancora sopravvivere, sempre che lei lo voglia».

   «Lo voglio» convenne la Vaadwaur. «Verrò da voi».

 

   Dopo una settimana di accesi dibattiti e trattative sul filo del rasoio, con Hod sempre a fare da paciere, l’Alleanza e i Vaadwaur siglarono l’armistizio a bordo della Keter. L’Inquisitore Marroc e il Supervisore Ghak, sopravvissuti alle battaglie, firmarono per l’Impero Devore e la Gerarchia, mentre Jarros lo fece per i Krenim. Solo i Vidiiani non inviarono alcun rappresentante, pur essendo stati avvisati. Dato il loro disinteresse, si decise d’ignorarli.

   Come preventivato, i Vaadwaur s’impegnarono a non ricostruire la flotta militare e ad accettare un presidio dell’Alleanza sul loro pianeta. In cambio i federali li curarono dalla cecità, grazie alla terapia messa a punto da Ladya e Joe. Gli effetti furono rapidi: a poche ore dalla somministrazione, tutti i Vaadwaur avevano pienamente riacquistato la vista. Vedendo i bambini liberi di correre e giocare, Ladya si sentì la coscienza più leggera. Lo smantellamento delle forze armate Vaadwaur portò altresì a sciogliere la giunta militare che per oltre due secoli aveva esautorato il governo. Questo dette maggiore autorità a Keld, fornendole un valido motivo per rispettare gli accordi.

   Restava aperta la questione delle altre colonie Vaadwaur, sparpagliate nel Quadrante Delta e anch’esse afflitte dalla cecità. Dopo altri tre giorni di discussioni, Keld accettò di rivelare al Capitano Hod le loro coordinate, così che la Keter potesse recapitare a tutte la cura. Era chiaro, però, che senza la Rete Subspaziale i Vaadwaur non avrebbero potuto tenere unito il loro popolo. Ogni colonia avrebbe dovuto governarsi e nemmeno l’Alleanza aveva voglia di presidiarle tutte. In alcune colonie – forse nella maggior parte – i militari sarebbero rimasti al potere, anche se con risorse estremamente limitate.

   Quando ogni cosa fu sistemata, i federali si congedarono dai rappresentanti dell’Alleanza. Ultimo a partire fu Jarros; Hod e i suoi ufficiali lo accompagnarono in sala teletrasporto. «Buona fortuna, Capitano» gli disse l’Elaysiana.

   «Veramente sono Ammiraglio, ora» puntualizzò il Krenim. «La notifica mi è arrivata giusto ieri. Sembra che la Repubblica sia compiaciuta di come si sono risolte le cose» disse, concedendosi un breve sorriso. «Io però devo ringraziare lei, Capitano. Il suo contributo è stato determinante non solo a vincere la guerra, ma a guadagnare la pace».

   «Ho solo portato avanti il progetto dell’Ammiraglio Hortis» disse Hod. «Che riposi in pace! Era un grande stratega, uno scienziato brillante e un fine intenditore musicale. Ma temo che goda ancora di cattiva fama presso l’Unione. Al ritorno faremo sì che tutti sappiano cos’ha fatto per ridare pace al Quadrante Delta. Così magari la sua immagine ne uscirà riabilitata».

   «Di certo sarà riabilitato fra la mia gente» disse Jarros. «Negli ultimi tempi l’Ammiraglio si era espresso su molti aspetti riguardanti la nostra giovane Repubblica. Prendendo le distanze dalle sue opinioni politiche passate, aveva sposato le tesi progressiste. Ho riflettuto molto su questo, alla luce degli ultimi eventi, e credo che fosse nel giusto. Perciò intendo portare avanti la sua eredità».

   «Allora le auguro doppia fortuna, Ammiraglio» sorrise Hod, stringendogli la mano.

   «Altrettanto a lei» augurò Jarros, ricambiando con calore. Salì sulla pedana del teletrasporto, assieme agli ufficiali del suo seguito. «E se mai tornaste da queste parti, ricordate che avete un amico nella Repubblica Krenim» disse, prima che il raggio li riportasse sulla Fulminatrix.

   Con questo augurio, la Keter lasciò Kinara e la flotta dell’Alleanza, tuffandosi nello spazio profondo. L’attendeva ancora un lungo viaggio nel Quadrante Delta: doveva visitare tutte le colonie Vaadwaur, per guarire gli abitanti dalla cecità. Anche ricorrendo al propulsore cronografico sarebbero servite molte settimane, calcolando tre o quattro giorni di permanenza a ogni tappa. Solo a fine giro i federali sarebbero tornati all’Unione, a riferire l’eclatante vittoria contro i Vaadwaur, ma anche le preoccupanti scoperte sui Borg.

 

   Quella sera Norrin sedeva solo soletto nel suo alloggio, immerso in pensieri malinconici. Da quando Ladya si era ristabilita, l’aveva vista solo di sfuggita. Non che potesse accusarla di pigrizia: in quei giorni la dottoressa era stata indaffaratissima a sviluppare la cura per la cecità. E nelle prossime settimane, o anche mesi, sarebbe stata indaffarata a somministrarla ai Vaadwaur. Era un compito importante e Norrin non si sarebbe mai sognato d’interferire. Tuttavia il “non detto” e il “non fatto” restavano tra loro come un campo di forza.

   Sulle prime Norrin aveva voluto darle la possibilità di riprendersi, fisicamente ed emotivamente, dallo shock del rapimento e della malattia. Con il passare dei giorni, però, cominciava a chiedersi se sarebbe mai riuscito a confrontarsi con lei. Aveva la sensazione che Ladya gli sfuggisse, come aveva sempre fatto in passato. Che avesse deciso ancora una volta di snobbarlo? Eppure era stata esplicita, quando si erano incontrati nell’ospedale da campo: aveva detto che lo ricambiava e che si pentiva di non averlo ammesso prima. Possibile che fossero solo parole dettate dall’angoscia e dalla sofferenza della malattia? O che fosse un tentativo di confortarlo, anzi d’illuderlo, prima di dirgli addio? L’Hirogeno cominciava seriamente a pensarlo.

   Osservando il suo alloggio, Norrin si accorse per la prima volta di quanto fosse spoglio. C’erano solo i mobili essenziali come il letto e il comodino, la scrivania col terminale del computer e un tavolino con due sedie. Niente soprammobili, nulla che ornasse le pareti, tranne qualche arma tradizionale degli Hirogeni. Se era vero che la casa riflette l’animo di chi ci vive, l’alloggio di Norrin lo qualificava come arido e vuoto.

   Il trillo dell’ingresso lo distrasse da questi pensieri. Com’era accaduto mesi prima, quando Radek gli aveva fatto visita, Norrin dapprima non rispose, sperando che il visitatore se ne andasse. La porta però continuava a suonare, in violazione delle più elementari norme di cortesia.

   Seccato, l’Ufficiale Tattico si alzò e si accostò all’ingresso. «Sei tu, Radek? Apprezzo il gesto, ma non ho voglia di sbronzarmi ancora!» disse con malagrazia. «Conserva il whisky per un’altra occasione!». Così dicendo, Norrin si avvicinò tanto alla porta da provocarne l’apertura. E restò di sasso. Perché il visitatore non era Radek, con una bottiglia sottobraccio. Era Ladya, in abito da sera.

   La Vidiiana non era mai stata così incantevole. In lei non c’era più traccia della Phagia: la pelle color crema era liscia e morbida. Indossava un elegante abito rosso, che ne fasciava la figura snella, lasciando scoperte la schiena e le braccia. Il rosso le colorava anche le unghie, le labbra e le palpebre. Si era acconciata i capelli castani, di nuovo folti e lunghi; evidentemente ne aveva accelerato la ricrescita. Una sottile collana e i braccialetti completavano il quadro mozzafiato.

   «Ciao! Non sapevo che tu e Radek foste compagni di crapula» sorrise Ladya. «Posso entrare?».

   «C-certo» balbettò Norrin, arretrando per farla passare. Non avrebbe mai immaginato che la Vidiiana, solitamente timida e dimessa, gli si sarebbe presentata così. «Non è come credi... ci siamo fatti una bevuta giusto una volta, quand’ero giù di corda» farfugliò.

   «Spero non sia stata per colpa mia» disse Ladya, osservando incuriosita l’alloggio spartano. Appena la porta si chiuse alle sue spalle, fissò Norrin con intensità. «Non avrai pensato che mi fossi dimenticata di te, vero? Aspettavo solo di tornare presentabile» spiegò dolcemente.

   «Il timore mi aveva sfiorato» ammise Norrin, con la bocca secca. Stentava ancora a credere che quella diva fosse Ladya, e che fosse lì per lui. Aveva l’irrazionale timore che, se avesse cercato di abbracciarla, si sarebbe dissolta come un sogno o un’allucinazione.

   «Oh, no. Quel che ti dissi su Kinara è tutto vero» garantì la Vidiiana. «Ti amo, e mi dispiace di averci messo tanto a dirtelo. Mi trattenevano un sacco d’illusioni e di timori, ma ora non più. Non c’è nessun altro che mi abbia dimostrato tanto amore come hai fatto tu. Non c’è nessun altro con cui voglio condividere i giorni a venire» sussurrò in tono vibrante e appassionato.

   Incoraggiato da quelle parole, Norrin la prese tra le braccia. Nessuna illusione, era proprio lei! Stava per baciarla, ma d’un tratto si bloccò: c’era un dubbio che lo rodeva ancora. «Prima di scendere su Vidiia, mi dicesti che avevi sempre desiderato dei figli» mormorò. «Ma la nostra distanza genetica esclude questa possibilità. Se per te era un problema, non dovrebbe esserlo ancora?» chiese.

   Ladya si scostò quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi. «Me ne sono fatta una ragione» disse con appena un’ombra di rimpianto. «Ci sono altri modi per avere una vita felice e produttiva. E poi non corriamo il rischio di annoiarci, finché stiamo su questa nave!».

   «Ah, non vuoi più lasciare la Flotta?» scherzò Norrin. «Ora che sei una celebrità del Quadrante Delta, pensavo che saresti passata a incarichi più prestigiosi. Che so, potresti curare il raffreddore Talaxiano o i disturbi gastrointestinali Malon. E lo sapevi che i Norcadiani soffrono spesso di unghie incarnite?».

   «Ah ah, molto spiritoso» fece Ladya, sarcastica. «Sta’ tranquillo, non scappo da nessuna parte. E ora baciami, Cacciatore» sussurrò con voce carezzevole.

   Norrin lo fece, e non si fermò lì. Sarà stata la lunga attesa, o la consolazione di trovarsi dopo tanti dolori e trepidazioni, ma fu una notte più dolce e appagante di quanto avessero osato sperare. E anche se al mattino, contrariamente al solito, si presentarono al lavoro in ritardo, nessuno dei colleghi glielo fece pesare.

 

   
 
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