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Autore: Damisa    08/05/2020    2 recensioni
Ciò che si rompe, può tornare come prima? Si può davvero andare oltre e ricominciare? O sono solo delle illusioni?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Alex Danvers, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Ciao a tutti/e ^^ so che è passato molto tempo da quando ho pubblicato l'ultima volta, forse non sarei proprio tornata se non fosse stato per la mia amica. Prima di lasciarvi alla lettura occorre darvi qualche informazione di servizio; la storia nasce da un sogno fatto dalla mia amica, da lì abbiamo immaginato altre scene coerenti con ciò che aveva sognato e poi ho dato forma al tutto, per questo motivo non ci sarà nessun riscontro con quello che sta succedendo attualmente con la serie, anzi temporalmente la si può collocare dopo la terza stagione. So che potrebbe sembrare un po' "fuori tempo", ma la mia amica mi ha ricordato che in questo momento credo che serva a tutti noi una mezza gioia, quindi eccomi qua a condividere qualcosa che avevo fatto solo per lei. Anticipo che saranno 3 capitoli, già scritti, quindi  non temete, non dovrete aspettare decenni. Detto questo, buona lettura :)


1.


La redazione della CatCo quel giorno era in pieno fermento, la maggior parte dei dipendenti sembrava essere in preda ad un euforico delirio. Il tempo delle consegne era alle porte e tutti, chi più e chi meno, erano impegnati a far uscire al più presto possibile il prossimo numero di quella rivista tanto attesa dagli abitanti di National City. Caraffe di caffè venivano continuamente svuotate, il brusio costante era alle volte sovrastato dalle solite imprecazioni a causa dei pc poco collaborativi, diversi fogli svolazzavano qua e là persi da chissà chi. Gente che faceva avanti e indietro dai diversi reparti. La confusione regnava sovrana, in pratica.
Dietro alla scrivania dell’ufficio di James c’era Lena che, completamente estranea a tutta quella frenesia, ogni tanto lanciava uno sguardo quasi insofferente ai suoi dipendenti, per poi tornare a prestare attenzione al suo laptop. Sospirò appena, domandosi per quale arcano motivo aveva voluto investire i suoi soldi in un’attività totalmente avulsa da lei. Non le bastava tutto il lavoro che le dava la LCorp? No, perché in fondo doveva ammetterlo a se stessa, riusciva ad essere decisamente masochista quando ci si metteva.
Un rombo dovuto al temporale, che imperversava da giorni sulla città, la fece sobbalzare e d’istinto si voltò verso il balcone, gli occhi si soffermarono sulle bruciature che macchiavano ancora il pavimento.
Era iniziato tutto così, da un fulmine…
 
«Lo sapevo che ti avrei trovata ancora qui a lavorare.»
Sorrise al sentire il tono velatamente di rimprovero dell’amica.
«Significa che mi conosci bene.»
Alzò gli occhi verso Kara che, con le braccia conserte, continuava a guardarla decisamente accigliata. Era uscita fuori al balcone portandosi dietro il tablet nella speranza di non essere beccata, ma sapeva già che ora non sarebbe riuscita ad evitare la ramanzina sul suo perenne lavorare.
«Significa che adesso lascerai finalmente questo edificio!», le disse in maniera alquanto perentoria.
Si mise a ridere apertamente, «Da quando un dipendente si mette a dare ordini al suo capo?»
Subito dopo aver posto quella domanda fu costretta a fare due passi indietro per evitare l’agguato di Kara ed impedirle di afferrarle il tablet. Probabile che glielo avrebbe buttato giù.
«Non sono qui in veste di tua dipendente, bensì di tua amica, Lena. Hai bisogno di staccare un po’ la spina. Che ne diresti di andare a mangiare qualcosa insieme?»
Alle volte si chiedeva perché si preoccupasse così tanto per lei, ma non poteva di certo dire che le dispiacesse. Quelle sue continue premure riuscivano sempre a farla stare meglio. Kara era capace di farla sentire meno sola e, soprattutto, meno sbagliata.
«D’accordo hai vinto… ma vorrei vedere te portare avanti due aziende.», ci tenne a puntualizzare che non si sfiniva per puro divertimento.
Notò come la sua espressione dall’essere arrabbiata passò all’essere pensierosa, mostrando un cipiglio sulla fronte.
«Molto probabilmente le farei fallire entrambe.»
Quella risposta le provocò un eccesso di risate che contagiò anche Kara. Forse fu per questo che non si accorse di quello che stava per accadere.
Improvvisamente delle nuvole scure si addensarono coprendo completamente il cielo e si alzò un terribile vento.
Ebbe il tempo solo di voltarsi per assistere a quello che era diventato un terribile spettacolo. Una sequenza anormale di fulmini cadeva senza sosta sulla città.
Rimase paralizzata, quando delle saette iniziarono a colpire anche loro. Le vetrate andarono in frantumi e volarono pezzi di cemento dalla balconata.
«LENA!»
Sentì strillare il suo nome e, mentre un fulmine stava per coglierla, Kara la travolse tenendola stretta tra le sue braccia, facendole da scudo. In quel momento fu tutto molto confuso, si ritrovò a terra con il corpo di lei che schiacciava contro il proprio, mentre si scatenava quella sorta di cataclisma.
 Dopo che la furia del cielo si placò, realizzò ciò che la bionda aveva fatto e il panico la attanagliò.
«Kara…», la chiamò con voce tremante, aveva una tremenda paura che non le sarebbe arrivata nessuna risposta, gli occhi già le si erano fatti lucidi.
Quando l’amica si mosse su di lei iniziando lentamente a sollevarsi, non seppe se fosse sollievo o sorpresa quello che stava provando.
«Dimmi che stai bene Lena.»
Oltre allo spavento e forse qualche graffio non si era fatta male, ma la vera domanda era: come poteva Kara non essersi fatta niente dopo essere stata presa in pieno da un fulmine?
Non fu necessario scorgere il costume da sotto la sua camicetta, ormai a brandelli, la risposta la lesse nello sguardo colpevole e addolorato dell’amica.
«Tu sei…», le parole le morirono in gola, non sapeva che dire, non sapeva come dover reagire, cosa dover provare.
Le si era appena congelato il cuore.
 
Da quel momento qualcosa in lei era radicalmente cambiato, aveva ceduto a quelle ineluttabili verità che aveva sempre cercato di combattere. Non poteva fidarsi di nessuno e quelle poche volte che aveva provato ad abbassare la guardia, il prezzo da pagare era sempre stato altissimo, come in quel caso.
Aveva perso la sua migliore amica, aveva perso quello che per lei era diventato un punto di riferimento ed era stata tradita nei peggiori dei modi. Quanto si era potuta sbagliare sul suo conto.
«Lena?»
Le labbra si arricciarono in una piccola smorfia di fastidio, cercò di fare un respiro profondo, prima di alzare lo sguardo verso la proprietaria di quella voce.
«Cosa vuoi?»
Nonostante fossero passate più di due settimane da quando Lena aveva scoperto il suo segreto, ancora non si era abituata a quello che ora era diventato il loro rapporto. Veniva sempre colpita, quando si rivolgeva a lei con quel tono e con quello sguardo glaciale. Era diventata un’altra persona ed era stata tutta colpa sua.
«Avrei bisogno del tuo okay per questo.», le anticipò avvicinandosi alla scrivania, per poi porgerle un foglio.
La mora lo prese e, quasi annoiata, lesse di che si trattasse.
«Vorrei anche parlarti…», la guardò quasi supplichevole, mentre prese a torturarsi le mani.
Non sopportava quel perenne disagio che percepiva ogni volta che si trovavano nella stessa stanza. Non sopportava di doverlo provare proprio con lei che mai l’aveva fatta sentire così. Stava diventando una situazione davvero frustrante.
Lena alzò l’indice come monito a non continuare oltre, non sollevò nemmeno gli occhi, quando le rispose.
«Se non è qualcosa che riguarda il lavoro, non voglio sentire niente.»
Le firmò quella richiesta e le ridiede il foglio, «Ora puoi andare.»
Kara chinò il capo di lato e sospirò rassegnata, come poteva farsi perdonare se non le dava alcuna possibilità di provarci? Di solito il tempo era la miglior cura, ma non era per niente sicura che in questa situazione avrebbe sortito qualche effetto.
Prima di uscire dall’ufficio si girò nuovamente verso la mora, guardandola decisamente afflitta, «Ti prego, non possiamo continuare in questo modo, prima o poi dovrai pur ascoltarmi.»
Lena fece saettare lo sguardo sulla bionda e dovette fare molta fatica a mantenersi calma e a non far trasparire nessun tipo di emozione, perché l’avrebbe incenerita se avesse potuto.
«L’hai voluta tu questa situazione.», replicò con tono insofferente.
«Ma…», non ebbe modo di continuare, dovendosi concentrare sulla voce della sorella che le comunicava di una nuova emergenza. Vide con la coda dell’occhio che anche la mora aveva ricevuto una chiamata, molto probabile il DEO voleva ancora il suo aiuto per quella particolare situazione.
In seguito alla pioggia di fulmini era apparso in città un nuovo alieno, ex detenuto di Fort Nozz, che, a quanto pareva, aveva come unico scopo quello di vendicarsi dei kryptoniani. Kara si era scontrata con lui diverse volte, venendo puntualmente sempre sconfitta e ferita. Aveva la capacità di assorbire e di duplicare le proprietà di tutti i tipi di materiali, non importava di che natura fossero, con cui entrava in contatto e sembrava che riuscisse anche a prosciugare la sua forza e a ritorcergliela contro. Era completamente inerme quando combatteva con lui.
Lena intanto recuperò una valigetta che teneva nascosta, la aprì e prese quello che in apparenza sembrava una piccola scatola metallica. Raggiunse la bionda, che in quel momento smise di parlare con la sorella, e le poggiò in malo modo sul petto, quasi a volerla colpire, senza nemmeno guardarla in faccia, la nuova tuta su cui stava lavorando.
«Tieni e cambiati, dobbiamo andare.», le disse senza mascherare il tono abbastanza collerico.
Ancora una volta sulla fronte di Kara si mostrò un cipiglio di rammarico per il gesto apertamente ostile di Lena, poi si rigirò tra le mani quell’oggetto, mentre la guardava andare via. Certo, meritava quel trattamento, ma l’unica cosa che avrebbe voluto era la comprensione della mora sul perché aveva deciso di tenerle nascosta la sua identità. Invece…
 
Sua sorella gliel’aveva detto più di una volta che quella non era una buona idea, ma non poteva rimanere con le mani in mano, senza fare niente. Aveva bisogno che Lena sapesse tutta la verità da lei, voleva salvare il loro rapporto.
Si fece strada, non badando alla voce della segretaria che le intimava in maniera gentile ad andare via, ed entrò nel suo ufficio, chiudendosi le porte alle sue spalle.
«Non sei la benvenuta qui, Kara.»
La vide spegnere lo schermo della tv, girandosi poi verso di lei. La sua espressione trasudava solo delusione e rabbia, già l’aveva vista così, ma nei confronti di Supergirl, era la prima volta che guardava lei, Kara, in quel modo.
Fece qualche passo titubante verso di lei, «Lo so, ma dovevo parlarti.»
Rimase di sasso nello scorgere il sorriso amaro che si formò sulle labbra dell’amica.
«Ora devi parlarmi? Il tempo delle parole è finito da un pezzo.»
Cercò di non farsi scoraggiare da quel tono beffardo.
«Non c’è mai stato, Lena.»
«E di chi sarebbe la colpa?!»
Sgranò leggermente gli occhi, non aspettandosi che alzasse la voce, aggredendola in quel modo. Deglutì, abbassando lo sguardo e corrugò la fronte, «Ho tante colpe e non lo nego, ma non mi sentirò mai in colpa per averti voluto proteggere.»
«Ah… quindi dovrei anche ringraziarti per il tuo tradimento, per avermi mentito per anni, preso in giro senza alcun ritegno e aspetta… avermi trattato come se davvero avessi cospirato per ucciderti, tradendo come mi dicesti la tua di fiducia. Dimentico qualcosa?»
Strinse i pugni e puntò gli occhi su Lena che continuava ad avere uno sguardo fiammeggiante, «Lo so come può sembrare, ma credimi, il mio unico intento è sempre stato quello di proteggerti. Ho sempre cercato di salvaguardare la tua vita e di non stravolgerla ulteriormente, più di quello che dici che è per essere una Luthor. Sapere il mio segreto ti avrebbe messo in pericolo e non potevo permetterlo. Sì, la rabbia per la questione della kryptonite ha offuscato il mio giudizio e ho detto cose di cui mi pento amaramente, ma non ho mai voluto farti del male.»
Calò un silenzio decisamente pesante, mentre Lena andò verso gli alcolici per riempirsi un bicchiere.
«Vorresti che io comprendessi te in questo momento, nonostante tu sia stata la prima a non voler comprendere me.»
La vide voltarsi lentamente con lo sguardo perso nel vuoto.
«Non era così che volevo essere protetta, ma tu non hai mai pensato a quello che avrei voluto io.»
 Rimase con la bocca semiaperta, per poi mordersi il labbro inferiore, «Io…»
«Non ho bisogno di sentire altre tue inutili scuse e giustificazioni. Non hanno più importanza ormai, ma ora sarò io a dirti come andranno le cose.»
Socchiuse gli occhi, non l’avrebbe ascoltata, doveva capirlo dal modo in cui la guardò sul quel maledetto balcone.
Sconvolta, distrutta, fredda, distante.
«Se sarà necessario, continuerò a collaborare con il DEO e avremo un rapporto prettamente professionale. Per il resto… tu per me non esisti.»
E con quelle parole che le rimbombarono nelle orecchie devastandola ad ogni secondo che passava, andò via, lasciando in quell’ufficio un pezzo di sé.
 
Scesa dalla macchina vide volare Supergirl con il nuovo costume che aveva creato per aiutarla a fronteggiare l’alieno. Almeno era riuscita ad attivarlo senza combinare guai, visto che erano diventati la sua specialità.
Entrò nella sede del DEO e si diresse a passo di marcia verso la sala centrale, Alex appena la vide, la raggiunse.
«Grazie per essere venuta.»
«Non potevo fare altrimenti.»
L’agente accennò un mezzo sorriso comprensivo ed annuì, sapeva che lo stava facendo principalmente per evitare che l’alieno facesse ulteriori danni alla città, ma era comunque contenta che fosse ancora disposta ad aiutare sua sorella.
«Bene, allora vediamo come funziona questa nuova tuta.»
Entrambe si posizionarono davanti ad un tavolo ovale bianco. Lena iniziò a far comparire delle schermate che mostravano le funzioni vitali di Kara e le condizioni del costume, per poi mettersi un auricolare.
«Supergirl, mi senti?»
«Sì, Lena.»
Il primo contatto era andato a buon fine.
«La tuta dovrebbe evitare che ti vengano prosciugate le energie, ma è ancora un prototipo, quindi vedi di non esagerare.»
Il tono che aveva usato Lena non lasciava trapelare nemmeno l’ombra della preoccupazione, le aveva semplicemente dato una comunicazione di servizio. Sospirò decisamente sconsolata.
«Va bene.»
Stava per raggiungere il luogo dove avevano individuato l’alieno, doveva cercare di mantenere la concentrazione, perché non sarebbe stata una battaglia facile, ma non riusciva a non pensare alla situazione con Lena, soprattutto ora che erano in contatto e che, volente o nolente, avrebbe dovuto ascoltarla.
«Lena?»
Stava spiegando ad Alex come effettivamente avrebbe dovuto funzionare il materiale che aveva utilizzato, quando la voce di Kara le fece spostare lo sguardo subito sulle diverse schermate, temendo un’anomalia del sistema.
Sembrava essere tutto normale. Aggrottò le sopracciglia, mostrando perplessità.
«C’è qualcosa che non va?»
L’unica cosa che al momento le veniva in mente era un possibile problema di mobilità o di adattamento da parte sua.
La risposta non si fece attendere troppo.
«Noi.»
Serrò la mascella e venne investita di nuovo da quella cieca rabbia che a fatica era riuscita chiudere in una scatola. Stava diventando difficile tenere sotto controllo tutte le sue emozioni, anzi era lei che lo stava facendo diventare davvero estenuante.
Alex si accorse del cambiamento della mora dallo sguardo. Duro e freddo. La sorella stava sicuramente provando a dirle qualcosa. Si trovava in una situazione scomoda, perché per quanto volesse aiutare Kara, capiva lo stato d’animo di Lena e il muro che aveva alzato. Il loro rapporto era andato troppo oltre per poterlo sanare solo con una semplice spiegazione, ed era quello che la sorella non voleva accettare. Avere la comprensione di Lena non significava che poi l’avrebbe perdonata. Decise di allontanarsi e preparare una squadra di supporto nel caso ci fossero stati dei problemi.
Lena si limitò a seguire con la coda dell’occhio i movimenti dell’agente, prese del tempo per rispondere, mentre tamburellava le dita sul tavolo.
«Allora non è niente che mi interessi.»
 Kara bloccò per un attimo il suo volo, se l’avessero presa a pugni avrebbe fatto meno male.
«Vorrei solo poterti chiedere scusa.»
Sollevò gli occhi al soffitto, inclinando la testa all’indietro, e fece un lungo respiro.
«Invece di continuare a dire cose irrilevanti, concentrati sulla missione, Supergirl.»
La sua attenzione venne poi attirata da un cambiamento delle funzioni vitali di Kara, il suo battito stava diventando leggermente irregolare.
Quando era successo che aveva iniziato a vedere solo bianco o nero, senza più scorgere tutte le possibili sfumature? Quand’era che aveva iniziato a fossilizzarsi solo sul suo di concetto di giusto e sbagliato? Da quando aveva dimenticato le persone che aveva intorno?
Conosceva Lena, la sua infinita curiosità, la sua incessante voglia di rendere migliore il mondo, la passione che infondeva in tutto ciò che faceva e il suo immenso genio usato solo a fin di bene e nonostante questo si era fatta inghiottire dalle ombre del dubbio, perché per lei il solo concepire di ricreare la kryptonite, anche se era per poter provare a salvare Sam e proteggerli da Reign, era inammissibile.
Forse era vero, ancora una volta si stava comportando da egoista nel voler pretendere che l’ascoltasse e che capisse. Non era in questo modo che avrebbe potuto ottenere il suo perdono, doveva imparare a rispettare i suoi sentimenti e lasciare che le cose andassero per il proprio corso… per quanto male le potesse fare.
«Hai ragione, tutto quello che potrei dirti è irrilevante, perché sono solo un’ipocrita.»
La serietà di Kara nel dire quella frase lasciò per qualche secondo spiazzata Lena, visto che fino a quel momento aveva dovuto sorbirsi quel suo fastidioso atteggiamento supplice.
«Se ci fossi io al tuo posto, farei esattamente come te e difficilmente riuscirei a perdonare. Invece continuo a non considerare ciò che tu vuoi. Nel nostro rapporto non ti ho mai dato l’opportunità di scegliere, l’ho sempre fatto io a tuo discapito e capisco che le intenzioni per cui ho agito così non ti importino. Ora è giusto che raccolga le conseguenze di ciò che ho seminato.»
Lena sollevò un sopracciglio in preda all’irritazione, se pensava che quella sottospecie di presa di coscienza potesse in qualche modo condizionarla, si stava sbagliando di grosso. Poi cosa diamine era quella parte da eroe sconfitto che andava incontro al suo triste destino?!
Dannazione! Quanto la faceva incazzare!
Nel momento in cui dischiuse la bocca per poter zittirla nuovamente, un urlo strozzato di Kara la costrinse a portarsi una mano vicino all’auricolare per cercare di captare altri suoni. Parti della tuta iniziarono a lampeggiare di rosso e non era assolutamente normale che già desse segni di cedimento, per quanto fosse ancora un prototipo.
«Supergirl cosa sta succedendo?»
Non le arrivò nessuna risposta, riusciva solo a sentire il suo respiro affannato e rumori indistinti. Iniziò ad armeggiare con il sistema della tuta per capire cosa stesse andando storto.
«Supergirl, ho bisogno di sapere con cosa ti sta colpendo.»
Le arrivò un maledizione non rivolto a lei, accompagnato da un sonoro schiocco come se qualcosa le si fosse infranto addosso.
Iniziò a percepire un’ansia crescente, quando si accorse che la temperatura stava diventando pericolosamente alta.
«Supergirl la tuta si sta surriscaldando troppo, cederà se continui così.»
Spalancò gli occhi terrorizzata, quando il segnale della parte del torace si spense, era riuscito a romperla.
«Lena…»
Le sue funzioni vitali stavano pericolosamente cambiando.
«Rientra immediatamente!»
Si voltò di scatto alla ricerca dell’agente.
«Alex!», strillò, non riuscendo a trattenere la tensione, «Supergirl è in pericolo!»
J’onn che era poco lontano, sentendola, subito si catapultò fuori dalla sede, seguito dall’agente insieme alla squadra per soccorrere la sorella.
Lena tornò alle schermate. Doveva pur poter fare qualcosa!
«Supergirl, stanno arrivando i rinforzi.»
Un rumore sordo e una risata di sottofondo.
«Lena…non riesco…»
Diede un pugno sul tavolo per la frustrazione, rendendosi conto di essere completamente inutile.
«Resisti…ti prego.»
Quando la sentì urlare per il dolore, provò un profondo vuoto allo stomaco e non riuscì più a mantenere la calma, lasciando che la disperazione emergesse prorompente.
«KARA!!»
Poi ci fu un agghiacciante silenzio.
   
 
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