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Autore: lion_blackandwhite    09/05/2020    0 recensioni
Tanto tempo fa, la savana non era un posto sicuro.
Le Terre del Branco rappresentavano l'unico luogo dove la pace regnava in quella regione della savana. Gli animali, sotto la guida e protezione di un giovane leone buono e magnanimo che verrà ricordato dai suoi discendenti come 'La stella più luminosa', vivevano in armonia grazie al suo saggio operato.
Egli aveva però anche un fratello egoista e indisponente, il quale discuteva la sua volontà ad ogni occasione, cercando di sminuire la sua grandezza; malgrado il Re cercasse di comprendere le motivazioni nascoste dietro quell'astio, ogni tentativo di ragionare con lui non sortiva mai alcun effetto.
Un brutto giorno, alcuni membri del branco finirono uccisi durante un conflitto con altri leoni provenienti da terre confinanti: uno dei sopravvissuti giunse fino al suo cospetto, nella tana in cui viveva, avvertendoli che il capobranco aveva dichiarato loro guerra e che nulla poteva fermarlo fino al compimento del suo obiettivo.
Temendo quindi per la sorte dei sudditi e della sua famiglia, il Re fu costretto a mobilitare immediatamente il branco per fronteggiare quella minaccia incombente.
Non voleva combattere ma doveva farlo per sopravvivere. Chissà se il suo avversario la pensava come lui.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ahadi, Nuovo personaggio, Rafiki, Uru
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Trascorse diverso tempo[9] dalla nascita di Ahadi. Con la venuta al mondo del piccolo principe, quasi come se fosse stato un segno del destino, le Terre del Branco vissero un periodo di relativa pace e lentamente i conflitti si calmarono, divenendo sempre più radi. A tempo debito la nuova generazione di cuccioli venne al mondo, allietando le giornate con risate, marachelle e dispetti: sembrava logico sperare, dunque, che nelle Terre del Branco si stesse finalmente tornando a una parvenza di normalità.

Come sua abitudine il Re era solito svegliarsi di mattina presto, appena prima dell’alba, quando ancora tutto il resto del branco era profondamente addormentato, al fine di controllare che non ci fossero intrusi e che il territorio fosse tranquillo.

Tuttavia fu un cucciolo quel giorno ad aprire gli occhi per primo, precedendo persino Mohatu. Il leoncino, dopo un breve sbadiglio, cominciò a guardarsi intorno freneticamente, facendo ballonzolare il minuscolo ciuffetto nero appena accennato sulla testolina; i suoi brillanti occhi verdi si abituarono in fretta all’oscurità e dopo aver controllato attentamente, con sua grande soddisfazione, nessuno si era ancora svegliato, esattamente come sperava.

Sorridendo sotto i baffi, il piccolo sgattaiolò dalla morbida zampa della madre, cercando di non allertarla: la leonessa aprì appena gli occhi per vedere il figlio arrampicarsi agilmente sulla schiena del padre, immerso in un sonno profondo e completamente ignaro dell’imminente agguato. Uzuri ebbe l’impulso di scoppiare a ridere, pregustando ciò che sarebbe accaduto da lì a pochi istanti, ma rimase silenziosa; il leoncino perciò agì indisturbato e non appena fu sopra la testa del genitore - che nel frattempo russava sonoramente - si accovacciò su due zampe e lo puntò, pronto a scattare.

«È ora di svegliarsi…» esordì, sussurrandogli nell’orecchio: il leone non diede cenno di averlo sentito e, per contro, russò un’altra volta.

«Oh, insomma…» sbuffò il cucciolo. Indispettito, allora spiccò un salto, atterrandogli proprio sulla testa.

«Papà!» lo chiamò ancora, ruzzolando per terra. Il leone ruggì per la sorpresa, quasi svegliando tutto il branco che dormiva lì intorno: Uzuri, ancora con gli occhi chiusi, non riuscì a trattenere una quiete risata.

«Ahadi! Cosa fai sveglio a quest’ora!?» chiese il Re ancora stordito al figlio, sorpreso e irritato insieme. Il leoncino gli batté la testa contro il muso, in segno d’affetto.

«Buongiorno, papà!» flautò, salutando allegramente il genitore. Mohatu sbuffò nervosamente per rimproverarlo, ma vedendo il sorriso tenero del figlio esitò: dopo essersi assicurato che tutti gli altri dormissero si avvicinò al leoncino, in modo che nessun altro li sentisse.

«Piccolo, è ancora molto presto: un leoncino della tua età ha bisogno di tanto riposo» sussurrò.

«Ma io sono sveglissimo!» obiettò Ahadi, alzandosi con entusiasmo. «E poi ogni volta che mi sveglio tu sei già andato via» aggiunse imbronciato, risedendosi. «Tu non hai bisogno di dormire?» gli chiese con aria confusa.

Impossibilitato dal trattenere una risata alla raffica di domande, il Re poggiò la testa su una zampa, sbadigliando stancamente. «In effetti si, mio piccolo Ahadi. Tuo padre ha delle responsabilità su tutto il regno, per questo motivo dovresti farlo riposare per bene…»

Stava per riaddormentarsi quando avvertì un leggero fastidio sentendosi tirare: aprendo un occhio scorse nuovamente il cucciolo, arrabbiato e intento a strappargli senza successo una grossa ciocca di criniera rossiccia.

«Ieri hai detto che se mi fossi svegliato presto come fai tu» gli ricordò Ahadi, premendogli il naso con le zampette, «mi avresti fatto vedere le Terre del Branco. È l’alba e sono sveglio! ‘Una promessa è un dovere che ti impegni a mantenere’» aggiunse in tono pomposo, imitando goffamente la voce di suo padre. Il leone fece un lungo sospiro e guardando negli occhi vispi del figlio capì che il suo riposo non avrebbe avuto ulteriore seguito per quella mattina.

«E va bene, hai vinto» lo assecondò, spingendolo verso l’uscita. «Ma fai piano, piccola peste, o sveglierai tutto il branco» lo richiamò, ma il leoncino era già corso fuori dalla grotta.

«Non stava più nella pelle!» commentò una voce femminile alle spalle del Re, che sorrise.

«Scommetto che ti eri accorta del suo risveglio e hai fatto finta di nulla» mormorò in tono vagamente accusatorio.

«Ovviamente. Quando capita di vedere il grande Re Mohatu venire colto di sorpresa?» ribatté Uzuri ironicamente mentre uscivano, scoppiando a ridere.

«Un po’ troppo spesso in effetti, da quando c’è quella piccola palla di pelo pestifera intorno a noi» esclamò il leone, facendo un sonoro sbadiglio.

«Mamma, papà! Venite, sembra tutto così piccolo da quassù!» li chiamò il leoncino dalla punta estrema della rupe. Quando i due genitori lo raggiunsero, il cielo iniziò a comparire timidamente oltre l’orizzonte, gettando una fioca luce in tutta la savana.

«Che bello… è la prima volta che vedo sorgere il sole!» disse il cucciolo, entusiasta. «E tutto sembra così diverso a quest’ora, la savana è così calma e grande...»

«E da qui non si vede nemmeno tutta, sai?» replicò il leone bronzeo: facendo un passo avanti, cominciò ad emettere dei bassi ruggiti per segnalare la propria presenza a eventuali predatori, annunciando al contempo l’inizio di un nuovo giorno.

«Dici davvero?» domandò il cucciolo, voltandosi stupefatto verso i due adulti. «Sono così grandi le Terre del Branco, allora?». Non riusciva proprio a immaginare qualcosa di così grande.

«Come potrei mai mentire a mio figlio?» disse Mohatu, facendogli l’occhiolino. «Coraggio, andiamo, ti mostro una cosa» aggiunse, voltandosi. Fece un cenno alla sua compagna, che annuì. «Vai con tuo padre, Ahadi, su» lo incoraggiò, accarezzandolo con la zampa: il cucciolo raggiunse in fretta il leone che si era introdotto in un sentiero laterale della rupe, confuso.

«Dove andiamo?» gli chiese il leoncino, senza riconoscere quel sentiero. «Ti mostro tutte le Terre del Branco come promesso» rispose Mohatu, sorridendo. «Vieni, su, c’è una piccola salita che ci aspetta» disse poi, accennando alla cima del monolite; incerto, Ahadi lo seguì, chiedendosi come avrebbe fatto a esplorare da quell’altezza.

La ‘scalata’ consisteva nell’arrampicarsi in uno stretto passaggio che conduceva alla cima del monolite; il tempo che impiegarono per arrivare a destinazione fu sufficiente al sole per comparire all’orizzonte, iniziando stavolta a illuminare il territorio con una tenue luce rossastra.

Una volta arrivati in cima, con calma, Mohatu si avvicinò allo strapiombo e si sedette. Notando che il figlio era rimasto fermo, alzò una zampa per invitarlo ad avvicinarsi.

«Coraggio, Ahadi, vieni qui insieme a me» disse, e il cucciolo obbedì seppur timoroso, perché solo in quel momento infatti si era reso conto di quanto fossero saliti in alto: zampettò piano verso il padre e ad ogni passo che faceva, il cucciolo non poté che rimanere sempre più estasiato dallo straordinario panorama che si presentava alla sua vista, magnifico e maestoso.

«Osserva attentamente, figlio mio» lo richiamò Mohatu in tono solenne. «Tutto ciò che vedi qui intorno ed è illuminato dal sole, è il nostro regno. Queste sono le Terre del Branco in tutta la loro interezza». Tacque in attesa della reazione che, con sua grande soddisfazione, non tardò ad arrivare.

«Che forza!» commentò genuinamente Ahadi, incredulo ed emozionato insieme da quella rivelazione.

«Volevo mostrarti il nostro territorio nella sua interezza prima di iniziare la nostra gita odierna» continuò il Re, «perché è importante che tu capisca subito quanto sia grande il luogo in cui viviamo e di conseguenza la responsabilità che abbiamo su tutti coloro che si trovano qui». Il leoncino alzò lo sguardo e osservò l’adulto curiosamente.

«Ci vivono tanti animali nelle Terre del Branco, papà?» gli chiese.

«Ebbene sì, Ahadi» fu la pronta risposta del Re, osservando la savana. «Il numero di abitanti cambia continuamente a seconda delle stagioni, ma in genere molti branchi si stabiliscono in questo territorio per la sua rigogliosità e la sicurezza che possiamo garantire loro».

Ahadi a quelle parole lo fissò con aria confusa. «Ma perché degli animali erbivori dovrebbero sentirsi al sicuro vicino a noi leoni? Non hanno paura di essere mangiati?» chiese, inclinando la testa; Mohatu scoppiò a ridere, sorpreso da quell'osservazione.

«È presto detto, figlio mio. Tutto ciò che vedi qui intorno» e indicò con una zampa il territorio circostante che comprendeva lande sterminate di pianura, fitta vegetazione e branchi di animali che da lassù somigliavano a dei minuscoli puntini, «dal più piccolo essere vivente al più maestoso dei baobab coesiste grazie a un delicatissimo equilibrio, che se turbato avrebbe delle conseguenze catastrofiche su tutti quanti noi».

Il leoncino non rispose, incerto, perciò il leone provò a spiegarsi meglio.

«Per farla breve, è vero che gli erbivori di cui noi ci nutriamo, ovvero gazzelle, impala, zebre, gnu, giraffe, e via dicendo…» Ahadi non riuscì a trattenersi e si leccò i baffi all’udire il nome di quei ruminanti, ma il padre non diede segno di accorgersene e continuò, «…vivono in questo territorio perché abbondante e adatto a farli vivere in pace e prosperità; è vero che noi leoni li mangiamo, ma lo facciamo solo ed esclusivamente per sopravvivere ed è bene che questo concetto sia ben chiaro: a dimostrazione di ciò, le leonesse durante la caccia mirano sempre ai componenti più anziani e ai feriti, quasi mai agli esemplari più in salute e in alcun modo ci è permesso togliere la vita ai cuccioli. Ci sono delle leggi che, osservandole, garantiscono chiaramente questo equilibrio. Allo stesso modo…» aggiunse, alzandosi «quando moriamo i nostri corpi diventano nutrimento per qualcun altro. In questo modo siamo tutti collegati nel grande Cerchio della Vita».

Al termine della spiegazione rimasero a contemplare il panorama per un po’: solo quando il grande cerchio luminoso era comparso quasi in tutta la sua interezza nel cielo, i due leoni ridiscesero nella valle a bere un po’ d’acqua dal ruscello che scorreva lì vicino, prima di intraprendere la passeggiata che il Re aveva promesso a suo figlio.

Mohatu mostrò così al cucciolo i luoghi più vasti e sconfinati delle Terre del Branco, pur rimanendone a debita distanza: osservarono insieme le grandi radure verdeggianti dei confini a Est, il fiume principale che scorreva pigramente verso Sud, l’erba delle colline che si diradava proseguendo verso Ovest, giungendo in una gola desertica. Spostandosi verso Nord però, al di là delle alture rocciose, tutto ciò che vide Ahadi fu una spessa coltre di ombra fitta che pervadeva quella zona misteriosa. Ebbe l’impulso di chiedere cosa ci fosse lì dentro, ma la voce del padre lo richiamò alla realtà.

«Un’altra cosa che è bene rammentare, figliolo» stava dicendo, «è che noi leoni non siamo gli unici carnivori a vivere in queste terre. Le zone vicino ai confini sono in parte destinate a piccole comunità di leopardi, di ghepardi…» indicò verso la lontana radura a Est, «…e al clan delle iene» aggiunse, accennando alle grandi alture ombrose che si ergevano a Nord. «Occorre che ci sia reciproco rispetto tra tutti noi predatori: cacciare più del necessario potrebbe causare parecchi problemi; d’altra parte, cacciare meno del dovuto comporterebbe un’insufficiente alimentazione del branco, compromettendo il benessere e la salute di tutti noi». Ahadi cercò davvero di stare attento alle parole di Mohatu, ma quei discorsi erano sorprendentemente complicati per lui: a peggiorare le cose, la scoperta di nuove zone delle Terre del Branco che moriva dalla voglia di esplorare abbassarono ulteriormente la sua voglia di ascoltare il saggio leone.

Comunque i due vagarono per tutto il resto della mattinata, controllando alcune zone del Regno che Mohatu riteneva più sicure da mostrare; sulla strada del ritorno però, padre e figlio intrapresero una strada che li portò particolarmente vicini al confine Nord, e con il sole ancora più in alto nel cielo, la spessa coltre ombrosa che avvolgeva quella zona misteriosa della savana risultò ancora più evidente: Ahadi non poté fare a meno di notare il tetro quanto brusco cambio di paesaggio e la fame di informazioni si fece inevitabilmente sentire.

«Cosa c’è laggiù, papà? Perché è tutto così buio e… ci sono tutte quelle…?» chiese infine il cucciolo, bloccandosi con aria incuriosita.

Mohatu si voltò verso la direzione indicata dal figlio e capì a cosa si stesse riferendo: tante, tantissime ossa nascoste nella penombra, piccole e grandi, polverose e marce.

«Sono ossa quelle, papà? Inquietante! Di chi sono??» mormorò Ahadi tutt’altro che impaurito, avvicinandosi a ciò che restava di un topo lì accanto; il Re però lo spinse via delicatamente con la testa, facendolo allontanare dal confine. «Vieni via, cucciolo» gli ordinò pacatamente facendo qualche passo. «Questo è uno dei luoghi che dovrai evitare assolutamente finché non sarai adulto e in grado di difenderti, Ahadi» gli disse con aria molto seria. Il leoncino abbassò le orecchie, evidentemente deluso dal tono del padre che non ammetteva repliche.

«Ma…» fece comunque il cucciolo, supplichevole. Mohatu ebbe un’esitazione: pensò di dovergli una spiegazione, altrimenti la curiosità avrebbe certamente spinto suo figlio a esplorare quel luogo pericoloso.

«Siamo soliti chiamarlo Cimitero degli Elefanti. Come puoi vedere dal suo ingresso, è un posto lugubre e appartato in cui molti animali vengono a morire, in particolare appunto gli elefanti» illustrò Mohatu in tono grave: il cucciolo deglutì.

«Gli anziani dicono che siano stati i primi animali a frequentare quest’ala delle Terre del Branco per tale scopo; le ossa che vedi» aggiunse, indicando i resti lasciati lì davanti «appartengono a loro per la maggior parte. È un luogo molto pericoloso e da parecchio tempo viene considerato oltre il nostro territorio, perché le carcasse attirano molti predatori che vivono fuori dai confini. Se altri leoni vedessero voi cuccioli gironzolare da queste parti…».

Esitò un attimo, non sapendo cosa dire, mentre il cucciolo lo ascoltava attentamente. «Correreste un grave pericolo, insomma. E non voglio che vi cacciate nei guai, soprattutto tu» lo ammonì, seppur usando un tono dolce.

Ahadi si erse in tutta la sua minuta statura, imitando la postura maestosa del padre. «Io non ho paura di niente!» disse con sguardo fiero, prima che uno scricchiolio sinistro lo facesse sobbalzare. «Non ho alcun dubbio in merito» osservò, facendolo salire sulla sua schiena dopo averlo afferrato per la collottola. «Andiamo alla Rupe adesso» gli annunciò, incamminandosi.

«Papà» esclamò il leoncino, dopo un po’.

«Dimmi Ahadi, cosa c’è?» chiese il Re, alzando lo sguardo. «Grazie per aver passato del tempo con me. Mi sono divertito tanto!» rispose il cucciolo, sbocciando in un sorriso che scaldò il cuore del leone.

Arrivati ai piedi della rupe il Re fece scendere il figlio dalla sua testa, ma prima di lasciarlo andare qualcosa catturò la loro attenzione. Dinanzi ai due infatti sedeva placidamente nell’ombra un leone adulto. Mohatu riconobbe la figura sghemba del fratello, incupendosi all’improvviso.

«Bene, bene, tu guarda se non è proprio il mio caro nipote con il paparino al seguito». Ahadi, riconosciuta la voce sorrise, voltandosi verso la fonte.

«Ciao, zio Choyo!» lo salutò andandogli incontro: il cucciolo gli si attorcigliò sulla zampa anteriore, tuttavia non ricambiò il segno d’affetto in alcun modo.

«Come mai da queste parti?» gli domandò Mohatu, rivolgendogli un’occhiata inquisitoria. «Credevo che il tuo giaciglio fosse nel retro della Rupe, non davanti» aggiunse, scrutando cupamente la rientranza.

«Oh, nulla di speciale. Mi godo gli ultimi istanti di frescura prima di andare a presidiare i confini come mi è stato ordinato di fare, no?» gli rispose Choyo innocentemente, con un poco convinto sorrisetto sul muso.

«Sarà una gradevole novità allora, perché era da un po’ che le leonesse di pattuglia non ti vedevano in giro a fare il tuo compito, Choyo» replicò il Re, guardingo.

Continuava a fissare sospettosamente il fratello, con cui non aveva mai avuto un buon legame: le divergenze sulla questione dei combattimenti e la gestione della caccia causavano spesso accesi litigi tra i due e la recente battaglia contro il branco di Kito non aveva fatto altro che allontanarli. Dal giorno della nascita di Ahadi, infatti, il loro rapporto si era ulteriormente guastato.

«Oh, quelle volgari leonesse saputelle non tengono mai a freno la lingua. Un regno così grande va protetto, non è così? Dovrebbero pensare a cacciare e presidiare i confini piuttosto che parlare alle mie spalle. Converrai con me, vero fratellone?» disse Choyo in tono mellifluo, sottolineando l’ultima parola.

«Ahadi!» chiamò una voce all’improvviso. Voltandosi, i tre leoni scorsero la figura di una cucciola dal pelo scuro e gli occhi vermigli da una sporgenza laterale della Rupe. Sorrideva e agitava le zampe al fine di attirare l’attenzione del principe, che ricambiò con entusiasmo.

«Uru!» disse questi a sua volta, illuminandosi. «Papà, posso andare a giocare con Uru e tutti gli altri?» domandò al genitore, inclinando la testa con impazienza.

Mohatu annuì accennando un piccolo sorriso e senza dire altro il leoncino attraversò a grandi passi il viottolo per raggiungere l’amica.

«Non ti sei ancora sbarazzato di quella leoncina?» domandò Choyo, scoprendo appena i denti con disapprovazione. Mohatu provò un moto di rabbia, ma cercò di contenersi: non voleva rischiare di perdere il controllo un’altra volta a quelle provocazioni.

«No, e non intendo farlo. Uru è un membro del branco a tutti gli effetti, ha una madre amorevole nonostante il Cerchio della Vita non sia stato molto clemente con lei nei suoi primi giorni».

Data l’assenza di reazioni, il Re prese nuovamente parola. «Non ho dimenticato le tue parole, Choyo. Ho ancora bene impressa la tua opinione su Uru e questa cosa non mi piace».

Il fratello sostenne lo sguardo inarcando le sopracciglia, ma rimase ancora in silenzio.

«Nonostante le nostre divergenze, i nostri litigi e modi di pensare contrastanti… Abbiamo passato tanti brutti momenti, ma ne siamo sempre usciti insieme» mormorò in tono malinconico. «Noi due siamo fratelli. Questo non potrà mai cambiare, è nel nostro sangue. Tengo molto alla tua partecipazione nel branco, perciò continuo a non comprendere la ragione dietro la tua ostilità».

Choyo rimase in silenzio un lungo istante per poi ghignare, divertito. «Che cosa commovente, Mohatu. Per un attimo hai quasi toccato questo povero cuore freddo e raggrinzito» esclamò in tono canzonatorio, scoppiando in una fredda risata.

«Cosa ci trovi di tanto divertente?» chiese allora il Re, infastidito dal solito atteggiamento reticente del fratello. Choyo alzò gli occhi al cielo e sputò in terra un grumo di sangue, tossicchiando.

«Ti sembra di avere davanti uno dei mocciosetti del branco? Non sono certo rimbambito, fratello. So perfettamente del nostro legame di sangue e quanto tieni alla mia ‘opinione’» rispose seccamente, «tuttavia sono un po’ confuso, dopo l’ultimo suggerimento che gli ho dato, Sua Maestà il Re sembrava sul punto di aggiungere qualche cicatrice sul mio corpo. Forse sperava che con un paio di graffi gli sarei stato più somigliante».

Il fratello sbuffò, spazientito. «Di certo tu non mi rendi le cose più facili. Vorrei che mi dessi dei consigli ragionevoli, non serve a nulla fare altri spargimenti di sangue!». Choyo alzò gli occhi al cielo e scosse il capo.

«Allo stesso modo non serve a niente chiedere il mio parere se non lo accetti» rispose, voltandogli le spalle. «Fai come meglio credi, così come hai sempre fatto». Fece per allontanarsi, ma Mohatu con un balzo gli sbarrò la strada con aria determinata.

«Neanche nostro padre avrebbe voluto scatenare delle faide. Fino al suo ultimo giorno ha dato prova delle sue pacifiche intenzioni, mostrando clemenza a tutti gli altri branchi!» disse in tono fermo. Choyo però parve rabbuiarsi a quel punto.

«Già, pacifiche intenzioni. Continui a ostinarti nel credere a questo suo delirio? Nostro padre era solo uno sciocco sognatore che credeva di vivere in una bolla incantata!» ribatté, disgustato dall’ingenuità di suo fratello. «A cosa l’ha portato il suo nobile intento, eh Mohatu? Hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?» chiese sardonicamente.

Il leone davanti a sé abbassò lo sguardo. «Non è questo il punto» replicò malinconicamente. «Non ha mai iniziato una guerra. Dopo che le Terre del Branco sono finite nel caos ha provato a sistemare le cose, facendo quell’accordo».

«Ci è morto sistemando le cose, fratello» rimbeccò Choyo.

«Le Terre del Branco godono già di una reputazione abbastanza pessima senza alcun merito» rispose Mohatu, cupo. «Gli altri branchi sono accecati dalle dicerie, alimentate da fame e stenti. Se noi però dimostrassimo loro che si sbagliano sul nostro conto, offrendo aiuto in caso di necessità, allora forse potremmo…»

«Trovarci con la gola recisa nel bel mezzo della notte» lo interruppe Choyo in tono aggressivo. «Svegliati una buona volta, Mohatu. Che cosa te ne importa del benessere degli altri branchi? Ciò che conta è il nostro di territorio, e l’unico modo per difenderlo è uccidere tutti gli invasori nel momento in cui osano sfidarci. Solo la forza può tenere lontani ospiti indesiderati!».

Il Re ringhiò, impaziente. «Il potere non basta da solo! È la fiducia negli altri che ci manca! Noi siamo solo un branco, senza alleati siamo esposti a troppi pericoli, Choyo! Non possiamo fare sempre affidamento su noi stessi. Non possiamo continuare a sacrificare altre vite… Non è quello che ci hanno insegnato» disse infine in tono triste.

Il fratello gli scoccò un’occhiata torva: detestava quel suo atteggiamento così sentimentale e cavalleresco. Vederlo così affranto gli fece tornare in mente Uru e il giorno in cui Mohatu l’aveva salvata dopo la faida con il branco proveniente dalle montagne ed ebbe un lampo di comprensione.

«Non sperare che aver adottato una cucciola orfana farà di te un salvatore agli occhi degli altri regni. Lo vedranno solo come un ipocrita tentativo di fare ammenda dopo aver distrutto un’accozzaglia di disperati che hanno osato sfidare il Re delle Terre del Branco» disse Choyo dopo un po’, con un sorriso arrogante dipinto sul muso. Mohatu sentì nuovamente montare la rabbia. «Non abbiamo distrutto un bel niente, io non volevo lottare e lo sai benissimo». Il fratello ridacchiò. «Ottima strategia per farsi rispettare, un Re arrendevole che adotta cuccioli bisognosi» mormorò in tono fortemente sarcastico.

«Non mettere di nuovo Uru in questa storia. È una leoncina normalissima che ha il diritto di stare al mondo tanto quanto me e te. L’ho salvata perché ho voluto così, non potevo lasciarla morire. Non me ne importa nulla di cosa pensano gli altri branchi sul suo passato, nessuno a parte noi sa com’è andata davvero» replicò in tono asciutto. Distolse lo sguardo 
dall’orizzonte e tornò a fissare il leone di fronte a lui. 

«Come Re difenderò la nostra terra, anche a costo della vita se necessario, ma l'isolamento non è l’unica via percorribile e la violenza non è una soluzione, fratello. Quella leoncina ne è la dimostrazione. Ti dimostrerò che hai torto» concluse.

Choyo parve sorpreso per un istante, ma poi tornò alla sua solita espressione crucciata e austera. «Dovresti essere bravo nei fatti così come sei abile con le parole, Mohatu. Lo vedremo presto dove ti porterà questa decisione, non c’è ombra di dubbio, fratello» gli mormorò. Detto questo il leone proseguì verso il confine, lasciandosi il Re alle spalle.

Nel frattempo, Ahadi e Uru corsero a perdifiato fino a raggiungere la base della rupe. I due cuccioli avevano appena scalato l’ultima roccia, quando si sentirono chiamare da una voce appena dopo aver oltrepassato l’ingresso della grotta principale.

«Ehi, Uru! Ce ne hai messo di tempo per trovarlo, eccoti finalmente!». I due leoncini si voltarono verso la fonte di quel richiamo e ai loro occhi si materializzarono altri tre cuccioli che agitavano le loro zampette da lontano per attirare la loro attenzione.

«Aheri[10]!» esclamarono all’unisono, correndo verso di lui: il cucciolo, caratterizzato dal pelo ocra e da un sottile ciuffetto di criniera sanguigno sorrise loro di rimando, pur senza tuttavia nascondere dietro i suoi occhi color miele un velo d’impazienza; accanto a lui, una leoncina dal pelo cereo e delicato parlottava a sua volta con un altro maschietto scuro che li fissava da lontano con lacrimosi occhi azzurri: messo leggermente più in disparte, il cucciolo apparentemente non sembrava prestarle attenzione e la smorfia sul muso esprimeva un certo disagio.

«Siete tutti qui! Mi avete aspettato per tutto questo tempo?» chiese Ahadi, sorpreso di vederli.

«Naturale, principino» lo canzonò Aheri, «qui è una noia mortale se manchi tu. Bure[11] ha paura pure della sua ombra, mentre Uru e Asali[12]… beh, sono femmine» spiegò il leoncino, annoiato. «Ehi!» lo rimproverarono all’unisono le due, mentre l’altro cucciolo abbassò lo sguardo, ferito da quelle parole.

«Non mi importa se offendi me, ma non essere così cattivo con lui» lo ammonì Asali infastidita, inarcando le sopracciglia sulle iridi azzurre.

«Ma è vero!» protestò l’altro. «Non vuole giocare alla lotta perché ha paura di farsi male, non vuole fare gare perché ha paura di stancarsi, non vuole giocare a ‘prendimi[13]’ perché…» ma fu interrotto da Uru, che con un movimento fulmineo lo colse di sorpresa, atterrandolo di spalle.

«…Perché non vuole che sua sorella ti umili nel momento in cui cominci a bullizzarlo» esclamò in tono deciso, tenendolo ben piantato a terra. Aheri provò a divincolarsi, senza successo, e arrossì violentemente quando Asali e Ahadi scoppiarono a ridere. Bure, invece, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «U-Uru… Non importa… Quello che dice è v-v-vero…» balbettò timidamente, tenendo lo sguardo fisso a terra. La cucciola dal pelo rossiccio lasciò andare Aheri e gli si avvicinò cautamente per consolarlo.

«Non devi dire così, fratellino. Quando giochiamo insieme ridi sempre e a volte mi batti pure!» gli mormorò, leccandogli una guancia. Bure sorrise timidamente in sua direzione. «Lo so… Ahadi e Aheri mi incoraggiano sempre a giocare con loro, mentre tu e Asali mi tirate su il morale» esclamò, guardando i suoi amici. «Voi siete tutti più piccoli di me… Eppure sono così debole e mi sento sempre stanco tutto il tempo…» aggiunse in tono mogio.
Era vero: Bure, essendo nato parecchi giorni prima degli altri cuccioli avrebbe dovuto essere un po’ più robusto, ma alcune complicazioni occorse durante la gravidanza avevano tribolato la madre Nya: quando nacque, le leonesse più anziane sentenziarono che il piccolo non era destinato a sopravvivere tanto da arrivare ad aprire persino gli occhi. Contrariamente alle aspettative, però, il leoncino riuscì a smentirle, benché fosse fragile e di salute cagionevole.

«Sciocchezze» ribatté Aheri, «è perché non mangi abbastanza, amico!» decretò con aria di chi la sapeva lunga, annuendo convinto: Asali si batté la fronte con una zampa, allibita, e il leoncino scuro soffocò una risata.

«Non importa se ti stanchi prima di noi, fratellino» sussurrò Uru con aria comprensiva. «Promettimi che non ti chiuderai più in te stesso perché pensi di non essere alla nostra altezza. Se lo vuoi, puoi farcela!» lo esortò.

«Uru ha ragione, amico. Siamo tutti qui con te» aggiunse Ahadi, facendo l’occhiolino, «…e anche quello scemo di Aheri!» disse infine, scoppiando a ridere. «Guarda che ti ho sentito!» replicò il cucciolo, ringhiando sommessamente.

«Piuttosto…» disse poi Uru, voltandosi verso il principe. «Allora? Raccontaci tutto! Dove sei andato con il Re? Che avete visto di bello? Eh? Allora?». La leoncina continuò a tempestarlo di domande, finché una voce cristallina alle loro spalle non intervenne.

«Cosa ci fate ancora qui con una così bella giornata?».

I cuccioli alzarono lo sguardo e riconobbero Uzuri, la Regina, avanzare verso di loro, accompagnata da altre tre leonesse. «Ciao, mamma!» dissero in coro i cuccioli, sorridendo alle rispettive madri.

«Salve, sua maestà» aggiunsero in fretta tutti tranne Ahadi accennando un timido inchino, mentre il cucciolo dal pelo scuro restò ammutolito.

«Ehi, Bure» ridacchiò divertito Ahadi, «anche oggi di poche parole?» gli chiese, notando quella reazione. L’altro lo guardò spaventato, balbettando «N-n-no, i-i-io…», deglutì e poi fece un buffo inchino, tremante. «Buon g-giorno, s-s-sua maestà» biascicò tremante in direzione della leonessa, che sorrise cordialmente e gli leccò una guancia, lasciando Bure in uno stato di estatico imbarazzo.

Aheri allora gli diede una energica pacca sulla spalla, facendolo trasalire. «Su con la vita, amico! Non essere così spaventato come al solito, la nostra Regina è buona, mica vuole mangiarci!» e rise divertito, mentre l’altro cucciolo tossicchiava.

«Smettila di colpirlo! Gli farai male di questo passo!» intervenne Asali, preoccupata.

«Non volevo fargli male davvero, sai» sbuffò Aheri alzando gli occhi al cielo, «e poi noi maschi abbiamo la pelliccia più dura!» disse, gonfiando il petto con evidente orgoglio. «Non sarà certo un colpetto del genere a farlo svenire a terra. Dico bene, Bure?» chiese in direzione del cucciolo, il quale non sembrava troppo convinto: il sorriso incoraggiante dell’amico, tuttavia, ebbe l’effetto di rincuorarlo e annuì, più fiducioso. «S-si, non sono un debole» incespicò.

Le leoncine alzarono gli occhi al cielo. «Eccolo che ricomincia…» si lamentò Uru, ma in realtà sembrava divertita.

«Bene, cuccioli, noi andiamo a caccia» annunciò la leonessa sorridendo loro, «divertitevi e tornate alla Rupe prima che il sole sparisca oltre l'orizzonte, d’accordo?» si raccomandò infine, e i cuccioli annuirono.

«Cambiando argomento, che facciamo oggi? Avete in mente qualcosa?» chiese poi Ahadi, mentre osservava la madre allontanarsi con la sua squadra di cacciatrici.

«Pozza dell’acqua?» suggerì Asali, ma subito la proposta venne bocciata da una pernacchia.

«Nooooia!» si lamentò poi Aheri, scoppiando a ridere. La leoncina ringhiò in sua direzione, offesa. «Ci siamo già andati da poco!» si giustificò con una risatina il leoncino, ma Asali gli lanciò un’altra occhiataccia.

«Potremmo andare nel Sentiero dei Roditori a giocare un po’ piuttosto, che ne dite? Non è lontano dalla Rupe dei Re e ci sono tanti posti da esplorare da quelle parti» suggerì Uru.

«Mi sembra un’ottima idea» convenne Ahadi, soddisfatto dalla proposta; ci fu un assenso tutto sommato generale e così i cinque cuccioli si mobilitarono per raggiungere la destinazione stabilita.

Mentre si allontanavano dalla Rupe qualcuno era intento ad osservarli, dall’alto di un piano roccioso nascosto nell’ombra; gli occhi iniettati di sangue seguirono i cuccioli zampettare allegramente con uno sguardo malevolo, colmo di disapprovazione e disprezzo.

Un giorno arriverà la mia occasione… e quando sarà il momento, fratello…”  pensò il leone digrignando i denti, “tu e la tua prole sarete solo un lontano, brutto ricordo”.
 
[9] Diverso tempo: sono trascorsi circa 4 mesi, adesso i cuccioli hanno imparato a comunicare e sono in grado di andare in giro più o meno da soli.
 
[10] Aheri: ‘Ti voglio bene’, in lingua Swahili.
 
[11] Bure: ‘Libero’, in lingua Swahili.
 
[12] Asali: ‘Miele’, in lingua Swahili.
 
[13] Prendimi: ‘tag’ nell’originale, è il gioco che voleva fare Kiara quando incontra Kovu per la prima volta, venendo successivamente interrotti da Simba e Zira ne 'Il Re Leone 2'. Una versione leonizzata del classico ‘acchiapparello’, possiamo dire.


Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti!
Ecco a voi il terzo capitolo. Non succede niente di particolarmente originale qui, ne sono consapevole, è più o meno una rivisitazione delle prime scene del classico, cercando comunque di diversificare un po' i dialoghi e l'approccio del discorso ma il succo è sempre quello, quindi non mi sono potuto discostare più di tanto ahaha!
In ogni caso ho in parte voluto mostrare questa contrapposizione delle due scene, mostrando delle leggere differenze, spero di essere riuscito nell'intento.
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto i vostri commenti con il prosieguo della storia.
Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: il quarto aggiornamento verrà pubblicato a metà settimana perché sarà un po' più breve del solito. Sabato prossimo perciò troverete il quinto!

P.P.S: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, chiedo gentilmente di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Grazie a chi lo farà!
   
 
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