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Autore: petruccina    10/08/2009    2 recensioni
Storie di litigi per bambini con una morale per grandi. O viceversa.

C’era una volta, e c’è ancora, una rana. Viveva nel bosco, insieme a tanti altri animali. Era sproporzionata, bruttina, a tratti brufolosa, di un colore che andava dal giallo catarro al grigio cadavere a seconda delle condizioni climatiche. Tuttavia si sentiva bellissima, intelligentissima e costantemente migliore di tutti i suoi conoscenti, ai quali non mancava di far notare continuamente i propri difetti.

I fatti narrati sono puramente reali, ma lo sapremo solo io e Roccy.
Genere: Parodia, Comico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta - e c’è ancora - una rana.
Era - e lo è ancora - sproporzionata, bruttina, a tratti brufolosa, di un colore che andava dal giallo catarro al grigio cadavere a seconda delle condizioni climatiche in cui versava il bosco dove viveva.
Tuttavia si sentiva - e si sente ancora - bellissima, intelligentissima e costantemente migliore di tutti i suoi conoscenti, ai quali non mancava di far notare continuamente i propri difetti.
Gli animali, suoi amici, le erano estremamente grati: esserle amici significa avere un grillo parlare sempre a disposizione; uno specchio-delle-proprie-brame pronto a dirti chi è la più bella del reame senza nemmeno doverlo interpellare! Ed era lei, la più bella del reame, ovviamente…
La gatta, per esempio, lo sa bene. Un giorno stavano infatti camminando entrambe verso la scuola. La micetta notò immantinente la presenza della rana, e approfittando del fatto che si trovassero lungo le rive opposte di un piccolo torrente, abbassò lo sguardo sperando di non esser a sua volta vista. Ma la rana, ahimè, ch’è dotata di occhi grandi e particolari (ma di questo parleremo in un’altra storia) si voltò. Salutò. Alzò le sopracciglia. Drappeggiò il labbro superiore in una smorfia di disgusto. Divaricò le narici e finalmente disse alla gatta:
“Uh! (finto stupore) Ma lo saaaaaaai? Hai il pelo pieno di foooorfora!”
La gatta, a differenza della rana, non era servita e riverita, viziata e idolatrata dal padre, dalla madre e dalla nonna. Al contrario, essendo una moderna gatta single, portava sulle sue zampe la responsabilità di tenere la cuccia pulita, di guadagnare e di sfamare, amare e rimproverare un paio micini.
Si arrabbiò, ma per quieto vivere salutò anche lei e andò guardando avanti per la sua strada.
Il giorno dopo la gatta passò facendo ancora finta di non vedere la rana, che si stava specchiando in uno sputo d’acqua.
Un sano litigio ogni tanto ci vuole, ma con la rana non ne vale la pena. Eppure questa le saltellò vicino atletica e leggiadra - come solo lei credeva di essere – e srotolando la lunga lingua le disse:
“La secchezza del tuo cuoio capelluto è improponibile! Davvero!”
La gatta non si spiegava come mai la rana, dai cui capelli - e in verità anche da quella coppietta di peli a cui aveva affittato il mento e che chiamava pizzetto - non cadeva forfora, ma neve, continuasse a farle notare la sua mancanza di idratazione cutanea. Mancanza che era anche sua. Soprattutto sua.
Dunque la gatta stavolta rispose concisa, melliflua, sibillina:
“E tu hai più punti neri di una coccinella”.
La rana indignata, con un gesto teatrale, voltò le spalle accompagnandole dallo sventolio di un mantello immaginario e se ne andò, pestando i piedi al suolo con forza per farsi sentire.
Camminando per i boschi del sud come quello in cui si svolge questa, e le altre storie, si sente l’eco di soprannomi antichi, lasciati in eredità assieme a qualche risparmio e mobili pieni di tarme anche dopo essere stati ristrutturati spendendo i risparmi menzionati poco fa. Ma un nuovo soprannome, ha l’effetto di un tuono: riecheggia nelle orecchie di ogni passante e rimane nella memoria ben oltre la sua fine.
Se la rana, guardandosi con obbiettività, avesse tenuto conto dei suoi difetti prima di far notare alla gatta il suo, non avrebbe meritato appieno il soprannome Roccinella.
Soprannome che si porta ancora dietro, come i punti neri, che, di fatto, la gatta non aveva.
  
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