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Autore: smarsties    11/05/2020    6 recensioni
Nonostante avesse pianificato perfettamente il suo futuro, Courtney non aveva preventivato tre cose.
Uno, rimanere incinta prima di aver trovato un lavoro stabile e di sposarsi.
Due, rimanere incinta di Duncan.
Tre, Duncan si era assunto ogni responsabilità.
[Duncan/Courtney]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Nuovo Personaggio | Coppie: Duncan/Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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" Fate "
 
Nonostante avesse pianificato perfettamente il suo futuro, Courtney non aveva preventivato tre cose.
Uno, rimanere incinta prima di aver trovato un lavoro stabile e di sposarsi.
Quando aveva scoperto di aspettare un bambino, aveva cominciato il tirocinio presso uno studio legale da tre mesi e l’ultima relazione degna di quel nome l’aveva chiusa lei circa due anni prima.
Due, rimanere incinta di Duncan.
Il fattaccio era avvenuto circa sei anni prima, al matrimonio di Geoff e Bridgette. Non si vedevano dall’ultima edizione di quel reality da quattro soldi.
Duncan aveva trascorso un annetto in carcere, prima che i suoi genitori riuscissero a pagare la cauzione. Intenzionato a restituire loro tutti il denaro, si era subito messo all’opera e alla fine era stato assunto come tatuatore in un negozio gestito da un suo vecchio amico d’infanzia.
Courtney aveva deciso di lasciarsi alle spalle il passato – e l’altalenante relazione con Scott, che, dopo il reality, era durata altri sei mesi. Si era iscritta all’università e si era laureata in giurisprudenza col massimo dei voti.
Non erano più dei ragazzini, entrambi erano cresciuti e maturati, e proprio per questo motivo erano riusciti ad intavolare una discussione civile. Anzi, avevano persino scoperto di apprezzare l’uno la compagnia dell’altra, tanto che avevano parlato per buona parte della serata. Inoltre, a nessuno dei due era sfuggito quanto l’altro fosse cambiato e diventato decisamente più attraente. Duncan aveva fatto sparire la cresta verde sotto la tinta corvina, aveva messo su un po’ di massa muscolare e le sue braccia presentavano diversi tatuaggi – e ciascuno di essi simboleggiava un momento importante della sua vita. Per quanto riguarda Courtney, i lineamenti da adolescente erano spariti ed era sbocciata una bellissima giovane adulta, che aveva imparato a volersi più bene e a mettere in risalto tutti i suoi punti di forza.
Nelle loro parole e nei loro silenzi c’era una tensione strana, l’avevano percepita tutti e due. Poi, il vino aveva giocato un ruolo fondamentale, se non addirittura decisivo. La conversazione si era fatta più interessante e ciò che successe dopo, col senno di poi, era inevitabile.
«Cristo Court, quand’è che sei diventata così sexy?»
Lei si voltò di scatto, le gote arrossate non solo per via del vino. Era spiazzata e allo stesso tempo voleva sapere dove quella conversazione li avrebbe condotti.
Prima di parlare di nuovo, si portò la sigaretta tra le labbra e fece un tiro.
«Non che prima non lo fossi, certo! Ma adesso sei a dir poco mozzafiato. Sto cercando di non saltarti addosso da due ore a questa parte. Se non fossimo circondati da persone, probabilmente ti strapperei di dosso i vestiti e ti scoperei così forte da farti perdere il controllo».
«Fallo».
Non riuscì a fermarsi, nonostante la parte ancora sobria le urlasse che era una pessima idea.
«Portami via di qui e fallo. Te lo concedo».
Dieci minuti più tardi erano dentro la macchina di Duncan e lui stava mantenendo la parola data.
E infine la terza cosa, ancora più inattesa delle due precedenti: Duncan si era assunto ogni responsabilità.
Dopo tre settimane di attacchi d’ansia repressi e continui ripensamenti, si era finalmente decisa e l’aveva telefonato. Era andata subito dritta al punto.
«Ho deciso di tenerlo, quindi, siccome sei comunque suo padre, mi sembrava giusto avvertirti. Ma stai tranquillo. So che molto probabilmente non vorrai avere a che fare con lui o lei, è per questo che non ti chiederò nulla. Sei liberissimo di–»
«No».
Seguirono alcuni secondi di silenzio. Poi Duncan parlò di nuovo. Il tono di voce era fermo, sebbene sembrasse vagamente ferito dalle sue parole.
«Credi davvero che ti lascerò affrontare tutto questo da sola? Non sono più il ragazzino idiota e immaturo che hai conosciuto. Non mi comporterò da codardo o da bastardo. Ti starò vicino, cresceremo questo bambino insieme».
Courtney rimase completamente spiazzata.
Per tutto il tempo della gravidanza era stato più che presente. L’aveva accompagnata a tutte le visite dal ginecologo e al corso preparto. L’aveva aiutata a montare tutti i mobili e a riverniciare le pareti della cameretta. Fu un pochino più difficile scegliere i body e i vestitini.
«Rosa shocking! Ma cosa ti ha fatto di male quella povera creatura?»
«Meglio rosa che nero come quella cosa orrenda che hai in mano!»
Ma alla fine ce l’avevano fatta.
C’era stato anche in sala parto e le aveva tenuto la mano per tutto il tempo – e senza azzardarsi a vedere cosa stesse succedendo lì sotto. Più tardi, una volta tornato a casa, aveva pianto di gioia. Courtney non l’aveva mai saputo.
Nel corso degli anni, aveva temuto più volte che la parte marcia di Duncan potesse riemergere e che sarebbe sparito da un giorno all’altro. Ma non successe mai.
Appoggiata allo stipite della porta, li osservava e sorrideva.
Erano seduti sul letto e Duncan leggeva una storia tratta da un grosso e consunto libro di fiabe, che teneva poggiato sulle gambe. Sfogliava le pagine con la mano sinistra, mentre il braccio destro era attorno alle spalle di una bimba di circa cinque anni e la stringeva forte a sé. Anche lei lo stava abbracciando – anche se le sue braccia erano troppo corte per cingere perfettamente l’addome del papà – e teneva il collo allungato per osservare per bene le illustrazioni. Nonostante la sapesse ormai a memoria, ascoltava attentamente ogni singola parola.
Era impressionante come la piccola le somigliasse. Avevano gli stessi capelli color cioccolato, la stessa carnagione ambrata e gli stessi occhioni grandi. I suoi però non erano neri, bensì azzurri come quelli del padre.
Siccome non erano sposati, avevano deciso che la bimba avrebbe portato il cognome di entrambi. La scelta del nome, invece, fu una vera e propria guerra.
Quando avevano saputo che si trattava di una femminuccia, entrambi avevano stilato una lista con dei nomi – ovviamente l’idea fu di Courtney; quando l'aveva proposta, Duncan aveva alzato gli occhi al cielo –, confidando nel fatto che ce ne sarebbero stati almeno un paio che coincidessero, così da poter scegliere tra quelli. Inutile dire che, tra le tantissime proposte, non ce n’era stato nemmeno uno che fosse comune a tutte e due gli elenchi.
«Persino negli anni ’50 Audrey sarebbe sembrato un nome obsoleto».
«Gwen? Non ci credo che vuoi chiamare nostra figlia come la ragazza con cui mi hai tradita!»
«Jocelin? Sei seria?»
«Che razza di nome è Jackie Danielle?»
Alla fine, avevano trovato il nome perfetto solo un’ora e mezza dopo la nascita della bambina.
Courtney, seduta sul letto dell’ospedale, stringeva la neonata al petto e Duncan, in piedi accanto a lei, osservava attentamente la figlia. Era così piccola e indifesa.
«Ha la faccia da Cheryl».
Lei ci pensò su per un minuto.
«Cheryl Nelson-Barlow. Mi piace, suona bene».
Duncan baciò Cheryl – che nel frattempo si era addormentata – sulla fronte e poi, d’impulso, Courtney sulle labbra. Era stato un bacio veloce e a stampo, non significava assolutamente niente. Allo stesso tempo, però, gli era sembrata la cosa più giusta e naturale da fare.
«Era tutto tranquillo nel piccolo villaggio, quando un bel giorno gli abitanti notarono in lontananza un enorme e spaventoso drago dalle squame verdi, che si dirigeva in volo proprio verso di loro e-»
«Papà,» lo richiamò la bambina con la sua vocetta acuta, «non è così la storia».
«Come fai a dirlo?» le chiese ridacchiando. «Non sai ancora leggere quello che c’è scritto qua sopra».
«No, ma la mamma me l’ha letta tantissime volte e non c’è nessun drago. E la mamma non dice mai le bugie».
«Hai ragione, mi sto inventando tutto» ammise, alzando le mani. «Allora ti faccio scegliere: vuoi che ti racconti la mia versione o quella del libro?»
Cheryl era decisamente incuriosita.
«E com’è la tua versione?»
Duncan ci pensò su un paio di secondi.
«Beh, vediamo un po’… posso dirti che ci sono una strega cattiva e un vecchio saggio con i poteri magici, tante creature fantastiche, dei guerrieri coraggiosissimi… un sacco di cose che a tua mamma non sarebbero mai venute in mente, visto che continua a leggerti le stesse quattro favolette da quando sei nata».
Courtney si schiarì la voce, attirando l’attenzione su di sé. Fissò Duncan con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate. Lui ricambiò con un sorrisetto beffardo.
«Hai qualcosa contro il libro di fiabe della mia infanzia?»
«Certo che no, principessa. Però questa è veramente noiosa e ho pensato di modificarla giusto un po’. Spero non ti dispiaccia». Poi tornò a rivolgersi alla figlia e aggiunse: «Allora, vuoi ascoltarla o no?»
Se come fidanzato era stato terribile, come padre Duncan se la cavava piuttosto bene. Non era perfetto, ma di certo non si poteva dire che non volesse bene alla sua bambina. Aveva sempre fatto i salti mortali per essere il più presente possibile, non farle mancare nulla e non perdersi nessuno dei momenti più importanti.
Erano davvero tanto uniti e avevano un rapporto speciale. Duncan l’andava a riprendere due volte alla settimana da scuola e passavano tutto il pomeriggio assieme. A volte la portava al parco giochi e le comprava un gelato. Altre volte stavano nel suo appartamento e giocavano con le bambole, oppure guardavano i cartoni. I due weekend al mese che passava con lui erano i più divertenti. Una volta l’aveva portata al lunapark, le aveva fatto provare tutte le giostre su cui poteva salire e le aveva persino preso lo zucchero filato.
Quando poi la riportava a casa, Courtney non poteva fare a meno di notare gli occhi lucidi e l’aria triste della sua bambina. Per quanto cercasse di nasconderlo, non avere il suo papà affianco a lei ventiquattro ore su ventiquattro la rattristava.
Cheryl era piccola, non capiva perché mamma e papà non vivessero assieme come i genitori dei suoi amichetti e ogni volta che loro glielo facevano notare – sempre in modo poco gentile, con frasi del tipo «Ma quindi i tuoi genitori non si vogliono bene? E perché?» –, lei non sapeva mai come ribattere e metteva il broncio.
Il problema è che non poteva dar loro torto. È vero che non li aveva mai visti discutere in maniera accesa o litigare, ma era anche vero che davanti a lei non si erano mai lasciati andare a carezze, baci ed effusioni varie. Non portavano nemmeno quell’anello spesso e dorato che aveva visto all’anulare di quasi tutti i genitori dei suoi compagni di classe.
Una volta si era fatta spiegare dalla sua migliore amica cosa significasse e lei le aveva detto che la portavano solo le persone sposate. Quella stessa sera era entrata silenziosamente nello studio, dove Courtney si era chiusa subito dopo cena per riordinare alcuni documenti per un processo imminente, decisa a porle quella domanda che le frullava in testa da tutto il giorno.
«Mamma, perché tu e papà non siete sposati?»
Lei stava spillando assieme alcuni fogli, che per poco non le caddero di mano. Tutto si sarebbe aspettava, tranne che una cosa del genere.
Si era girata, senza saper bene come rispondere e come spiegarglielo. Alla fine, aveva optato per un semplice: «È una faccenda complicata, ma un giorno te la spiegheremo».
Cheryl si fece bastare quella risposta, perché sapeva che quel giorno sarebbe arrivato – e anche perché sapeva che insistere con lei sarebbe stato alquanto inutile –, e Courtney ne fu sollevata.
Il racconto si stava facendo via via sempre più avvincente e né Cheryl né Duncan riuscivano a stare fermi. La bimba si era messa in ginocchio con le manine premute sulla coscia di Duncan e lo guardava, mentre mimava ogni parola e cercava di sottolineare ogni singolo dettaglio, per creare maggiore suggestione e farla immedesimare meglio. Sembrava funzionare, perché lei non solo pendeva dalle sue labbra, ma tratteneva il respiro nelle scene di massima intenzione, urlava in quelle peggiori e rideva quando tutto sembrava andare bene.
Anche Courtney non riusciva a smettere di fissare Duncan, ma in realtà aveva smesso di seguire la narrazione già da un pezzo. Lo guardava tutto assorto nel suo compito e sorrideva. Nonostante tutto, quella situazione continuava a sembrarle surreale. Se a diciotto anni le avessero detto che un giorno sarebbe finita per ricadere ai suoi piedi e avrebbero messo su una famiglia, sarebbe scoppiata in una risata fragorosa. E invece era successo sul serio.
Per i primi diciotto mesi di vita di Cheryl, Duncan si era presentato a casa sua ogni giorno, nonostante il suo appartamento si trovasse a più di dieci minuti di distanza, e le aveva dato una mano come meglio poteva. La sua presenza era stata una benedizione, visto che la maternità era durata decisamente poco e, non appena era terminato il tirocinio, era stata assunta a tempo pieno.
Allo stesso tempo, però, stare in costante contatto con lui e guardarlo mentre si occupava della loro bambina aveva fatto riaffiorare sentimenti, che credeva che fossero morti col tempo. Lo trovava a dir poco adorabile quando, goffamente, cercava di cambiarle il pannolino o di farle mangiare gli omogeneizzati. Oppure quando scoppiava a piangere e strillare e poteva leggere il panico sul suo volto, perché le provava tutte e niente sembrava funzionare. O ancora quando la cullava per farla addormentare e alla fine crollava pure lui sul divano, con la neonata appoggiata sul suo petto.
All’inizio aveva imputato la colpa agli ormoni, ma ben presto – nonostante avesse cercato in ogni modo di negarlo o di sopprimere quella consapevolezza – si era resa conto che ciò che provava per quell’idiota era amore. Peccato che, in quel periodo, Duncan pensasse completamente ad altro.
Negli ultimi anni aveva avuto diverse relazioni, che per la maggior parte delle volte si concludevano dopo una notte. C’era stato un periodo in cui, però, aveva iniziato a frequentare in maniera più o meno seria una ragazza al secondo anno di università.
A poco a poco, aveva iniziato a farsi vedere di meno e ad essere sempre meno disponibile. Quando Courtney aveva scoperto il motivo, era andata su tutte le furie – e aveva anche capito di essere molto gelosa, ma non avrebbe mai ammesso nemmeno quello. Aveva provato a far finta di nulla, perché era certa che quella storia sarebbe finita molto presto come tutte le altre, ma dopo un mese non era cambiato assolutamente nulla e non ce l’aveva fatta più.
Avevano litigato. Era successo una domenica sera di ottobre – Duncan aveva riportato Cheryl a casa, dopo una lunga passeggiata in centro –, nella cucina dell’appartamento di Courtney, ed era stata lei a cominciare la discussione.
Inizialmente Duncan, seduto su uno sgabello, pareva quasi divertito dalla situazione e il ghigno che stampato sul volto mise ancora più a dura prova la sua pazienza.
«Che c’è principessa, adesso fai la gelosa?»
Poi, però, Courtney aveva risposto e la conversazione era degenerata.
«Gelosa? Delle sgualdrine che ti porti a casa? Giammai!» sbottò lei. «Però se la tua vita sentimentale interferisce con i tuoi doveri da padre, perdo la pazienza. Anche perché ti sei assunto le tue responsabilità, ma evidentemente nelle ultime settimane per te è stato più importante soddisfare le esigenze di quella studentessa».
L’espressione di Duncan mutò in un batter d’occhio. Scattò in piedi e si avvicinò pericolosamente alla sua faccia.
«Intanto la mia vita sentimentale non ti riguarda» sibilò. «E poi, cosa vorresti dire? Che non tengo a mia figlia?»
«Non mettermi in bocca parole che non ho detto!»
«Però è quello che intendevi».
Non lo aveva mai visto così arrabbiato, il suo viso era paonazzo e sembrava sul punto di scoppiare. Se possibile, però, lei era decisamente più nera e aveva ancora un paio di cose da sbattergli in faccia.
«Ho detto solo che sei completamente sparito dalla circolazione. Ti ho cercato più volte e la metà di queste eri irraggiungibile. Cheryl ha avuto la febbre alta per una settimana e ti sei venuto ad affacciare solo una volta».
«Due volte, di grazia».
«Oh beh, allora scusami! Ho avuto un processo importante e ho dovuta portarla in tribunale, perché tu-»
«Non sei l’unica che lavora».
«Non dire balle! Lo so che dovevi andare a pranzo con quella… e non provare a mentire o a interrompermi!» si affrettò ad aggiungere non appena lo vide aprire la bocca. «Poi, ti avevo chiesto di passare nel mio ufficio, perché avevo bisogno di un paio di firme per dei documenti dell'asilo nido e non ti sei presentato. Sono dovuta venire io da te – prendendo un permesso, tra l’altro – e indovina? C'era pure lei! Nell’ultimo mese sarai venuto a trovare tua figlia massimo dieci volte, nonostante tutte le chiamate e i messaggi. E tutto questo solo perché eri troppo impegnato a trombarti una ragazzina!»
«Magari se trombassi pure tu, smetteresti di essere una stronza acida e pesante e prenderesti la vita più alla leggera!»
Lo schiaffo partì in automatico. Nel frattempo, Cheryl, che era stata svegliata da tutto quel trambusto, cominciò a strillare.
Prima di incamminarsi verso la cameretta, lo guardò dritto negli occhi, mentre lui si massaggiava la guancia, e, con tutto il disprezzo possibile, sillabò: «Sparisci di qui».
Non si erano parlati per quattro giorni. Poi, la sera del quarto giorno, Courtney aveva lasciato la piccola dai suoi genitori e si era ritrovata a guidare nel quartiere in cui abitava Duncan. Aveva parcheggiato sotto il suo palazzo e aveva citofonato, intenzionata a risolvere tutto per il bene di Cheryl. Non era andata secondo i suoi piani: non appena le aveva aperto la porta, infatti, si erano fissati per un paio di secondi e, come nel più scontato dei film romantici, si erano saltati addosso. Poi, senza staccarsi nemmeno per riprendere fiato, si erano spostati in camera da letto e la serata era terminata con loro due, nudi e avvinghiati tra le lenzuola.
Fu proprio quello il giorno in cui il loro rapporto cominciò lentamente a mutare.
Sebbene la mattina successiva avessero concordato di far finta che nulla di tutto quello fosse mai accaduto – «A quanto pare, funzioniamo di più come semplici amici» aveva constatato lui –, nei mesi successivi finivano per ricascarci di tanto in tanto, che fosse un semplice bacio scambiato sulla soglia di casa di Courtney o una sveltina all’ora di pranzo nel negozio di Duncan. Ormai quegli incidenti cominciavano ad essere un po’ troppi per continuare ad ignorarli e fingere che nulla fosse cambiato. O almeno è quello che pensava Courtney.
All’inizio si era illusa, perché Duncan non solo aveva smesso di uscire con altre donne – o perlomeno così sapeva –, ma aveva anche adottato un atteggiamento diverso nei suoi confronti, oserebbe dire molto più dolce e affettuoso. Poi, però, provava a tirar fuori l’argomento e Duncan faceva finta di non sentirla, deviando il discorso in un’altra direzione.
Courtney aveva cercato di illudersi, di pensare che finissero l’uno nelle braccia dell’altra solo quando erano parecchio stressati e cercavano conforto, oppure quando avevano bisogno di divertirsi. Insomma, di adottare quello che riteneva fosse il suo punto di vista. Aveva anche provato a frequentare per un po’ un suo collega, che rispecchiava quasi perfettamente l’uomo dei suoi sogni: alto, capelli e occhi scuri, ricco, ambizioso e con un lavoro rispettabilissimo. Il problema è che poi si ritrovava davanti quegli occhi azzurrissimi e il suo cuore mancava un battito. Era passata un’eternità, eppure continuava a farla sentire come un’adolescente alla sua prima cotta.
Un sabato pomeriggio di aprile erano tutti e tre al parco giochi del quartiere. Cheryl stava giocando sullo scivolo, mentre loro erano seduti qualche metro più in là su una panchina. Duncan era impegnato con il bozzetto di un tatuaggio piuttosto elaborato e Courtney non riusciva a smettere di fissare la matita che correva leggera sul foglio.
«Ti piace?»
Lei annuì. Poi, senza rifletterci e senza che potesse fermarsi, finalmente gli fece la domanda che avrebbe voluto porgli ormai da un bel pezzo.
«Duncan, io e te cosa siamo?»
Si pentì di averglielo chiesto nel momento esatto in cui aveva articolato quei precisi vocaboli.
Lui smise di disegnare. Poggiò il blocco e la matita di lato e la fissò, cercando di nascondere lo sgomento.
«Non siamo una coppia, però abbiamo una figlia. Siamo riusciti a stringere una buona amicizia, ma spesso e volentieri finiamo a letto insieme. Ogni volta diciamo che sarà l’ultima e puntualmente torniamo a cercarci. Come ci definiresti?»
Duncan rimase in silenzio per qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo e dire: «Preferirei non darci nessuna etichetta».
Di certo non si aspettava la risposta che il suo lato irrazionale sperava, ma nemmeno ne avrebbe immaginata una simile. Per qualche arcano motivo, quelle parole le fecero più male di quanto gliene avrebbe fatto un rifiuto secco. Sarebbe stato meglio se avesse distrutto ogni sua speranza una volta per tutte.
«Bene».
Non poté non notare che il tono della voce di lei era diventato tutto d’un tratto freddo e distaccato, ma, prima che potesse spiegarsi meglio, Cheryl si avvicinò a loro correndo.
«Qualcuno mi spinge sull’altalena?»
«Certo, amore» le sorrise Courtney. «Andiamo».
La prese per mano e si incamminarono verso le altalene.
Per tutto il resto della giornata non gli aveva rivolto la parola.
Qualche ora più tardi, quando aveva spento la luce e si era messa sotto le coperte, ci aveva rimuginato su ed era arrivata ad una conclusione: aveva bisogno di un po’ di stabilità. Era rimasta incinta del suo ex e, nonostante tutto, avevano cresciuto la bambina assieme, come una famiglia. Poi però era successo quel gran bel casino, i suoi sentimenti erano riaffiorati del tutto e lei non era riuscita a frenarli e l’ultimo anno e mezzo era stato decisamente movimentato e forse pure eccitante, ma allo stesso tempo pieno di dubbi. Perché Courtney, che aveva sempre pianificato ogni minimo dettaglio della sua vita, odiava vivere nell’incertezza.
E poi c’era anche Cheryl. Era ovvio che non potesse andare avanti così ancora a lungo e cosa sarebbe successo poi? Si sarebbero allontanati? E la loro bimba come l’avrebbe presa? Non potevano farle una cosa del genere.
Infine, aveva soprattutto bisogno di sapere se smettere di illudersi o continuare a sperarci.
E invece ancora dubbi, ancora incertezze.
Ma se quella risposta l’aveva presa alla sprovvista, ancora più sorprendente fu quello che era successo la mattina dopo.
Alle dieci in punto, Duncan era piombato nel suo ufficio, senza bussare e pretendendo che rimanesse in silenzio e ascoltasse tutto quello che aveva da dire. A poco erano serviti gli insulti, le minacce, i “Non mi interessa” e “Sto lavorando” : non si era mosso di lì.
«Forse un po’ codardo lo sono ancora, perché sono mesi che cerco di parlartene, ma non ho mai trovato le parole giuste. Avrei voluto farlo anche ieri, ma l’incipit non è stato dei migliori. All’inizio sono rimasto solo per dare a Cheryl la famiglia che non ho mai realmente avuto, non volevo farle vivere una situazione simile alla mia. Poi però abbiamo cominciato a passare sempre più tempo assieme, fino a quando quella sera non sei venuta da me e… cazzo, stava andando tutto così bene! Invece di affrontare il tutto, ho preferito continuare ad andare avanti senza impegni particolari e senza etichette, perché un po’ temevo quello che sarebbe potuto succedere. Ma la verità è che con te non è solo sesso e divertimento come con le altre. Quindi sono qui per chiederti di riprovarci, stavolta senza nessuna stupida gara, senza tradimenti e senza nasconderci nulla. E ti giuro che non fuggirò alla prima difficoltà, cercherò – cercheremo – di farlo funzionare. Sempre che tu voglia, certo».
Non poteva credere alle sue orecchie, era convinta che fosse tutto frutto della sua immaginazione.
Doveva accertarsi che non fosse un sogno. Lentamente, si avvicinò a lui e gli poggiò le mani sulle guance, attirandolo a sé. Realizzo la situazione solo quando sentì quelle mani scorrere lungo la sua schiena e quelle labbra sulle sue.
Avevano deciso di ricominciare da zero e di farlo gradualmente, come se non fossero mai stati assieme e fosse un’esperienza nuova ed ignota. Dopo il primo bacio, c’erano stati il primo appuntamento, la prima volta in cui avevano passato tutta la notte assieme, il primo “ti amo”, la prima volta in cui avevano fatto l’amore… e ad un certo punto c’era anche stata la prima – e unica – volta in cui Courtney gli aveva permesso di farle un tatuaggio.
Il ragazzo si era fatto tatuare una corona sull’avambraccio, in uno dei pochi spazi liberi che gli era rimasto sulle braccia, e, quando l’aveva notato, era rimasta completamente folgorata. Fu allora che riuscì a convincerla, ma a patto che fosse qualcosa di piccolo e in un punto nascosto.
Il giovedì successivo, Courtney aveva preso mezza giornata libera e si era recata nel suo negozio. Aveva scelto di tatuarsi la data di nascita di Cheryl e una farfalla sotto il seno sinistro e in tutto ci erano volute due ore.
«Allora, che te ne pare?» le domandò Duncan, mentre lei era intenta ad osservare allo specchio il lavoro appena concluso.
«Insomma» rispose lei, fingendo di essere poco convinta. «La farfalla non era come nel disegno e non l’hai colorata benissimo».
«Fai meno la preziosa» disse, con un ghigno insopportabile stampato in volto. «Lo so che ti piace da matti».
Si posizionò dietro di lei e le cinse la vita con le braccia. Le lasciò un leggero bacio sulla spalla.
«Sai che si portano dispari? Ti toccherà farne almeno un altro».
Infatti, non aveva mai fatto rimuovere quello a forma di cuore, che aveva sulla spalla destra e che era identico a quello che aveva Duncan sulla sinistra. Ci aveva pensato ovviamente, ma c’era sempre stato qualcosa che la bloccava.
Anche lui ce l’aveva ancora. Nel bene e nel male, era stata il suo primo amore e, per quanto all’epoca fosse finita male, non voleva cancellare un pezzo del suo passato.
«Ti ci vorranno almeno altri cinque anni per convincermi di nuovo».
A Cheryl avevano deciso di non dire nulla, fino a che non avrebbero trovato la giusta stabilità nel loro rapporto. E anche perché spiegare ad una bambina una cosa del genere non era facile. Peccato, però, che avesse ereditato l’intelligenza dalla madre e che dopo qualche mese aveva cominciato a capire qualcosina. Poi, come se non bastasse, si erano fatti sgamare.
I due si stavano salutando all’ingresso e un semplice bacio della buonanotte si era trasformato in una pomiciata degna di quel nome. Quando finalmente si erano staccati, avevano notato Cheryl, in pigiama e con il libro di fiabe tra le braccia, che li fissava con la testa leggermente inclinata di lato.
«Quindi adesso vi volete bene di nuovo?»
Courtney aveva guardato prima lei e poi Duncan. L’aveva preso per mano, strappandogli un sorrisetto.
«Direi proprio di sì».
L’ultimo passo era stata la convivenza. Duncan aveva venduto il suo piccolo appartamento e si era trasferito circa otto mesi fa. Sin da subito si era rivelato un pessimo coinquilino: lasciava la biancheria in bagno, i piatti nel lavello, le lamette sopra il lavandino e in generale era disordinatissimo. Più gli chiedeva di collaborare, più lui la ignorava solo per infastidirla. Alcune volte bastava qualche minaccia, ma molte altre cedeva e gli dava una mano – finendo per fare gran parte del lavoro, ma dettagli. In compenso, però, si era rivelato un buon cuoco e di tanto in tanto la viziava con qualche manicaretto.
Inoltre, da quando c’era lui in casa, Cheryl era molto più allegra. Non aveva prezzo poter avere sia la mamma che il papà contemporaneamente e poter fare con entrambi quello che, una volta, faceva solo con uno dei due. Erano tantissime le attività che svolgevano assieme, come ad esempio giocare, fare delle lunghe passeggiate, guardare un buon film sul divano e stringersi sotto le coperte, ma soprattutto cucinare qualche dolce e lanciarsi la farina addosso solo per dispetto.
Ogni tanto Courtney si fermava a guardarli, i due amori della sua vita, e si rendeva conto di quanto fosse fortunata. Aveva finalmente raggiunto la pace e l’equilibrio cui aveva sempre aspirato e l’aveva fatto con Duncan al suo fianco.
«E poi come continua? Adesso che hanno delle armature indistruttibili, i soldati possono superare la foresta e andare a sconfiggere il drago?»
«Penso che dovrai aspettare domani sera per saperlo» intervenne Courtney, entrando nella cameretta. «Sono le dieci e domani c’è scuola».
La piccola sbuffò, ma non osò ribattere. Sapeva quanto fosse irremovibile su quel punto: non poteva andare a dormire più tardi delle dieci, altrimenti non ce l’avrebbe fatta a svegliarsi l’indomani.
«Hai lavato i denti?»
Annuì e poi corse ad abbracciarla.
«Buonanotte, mamma».
Lei si chinò e le lasciò un bacio tra i lunghi capelli castani.
Si staccò e tornò da Duncan, mettendosi in piedi sul letto per potergli dare il bacio della buonanotte.
«Buonanotte, papà».
Si mise sotto le coperte, mentre lui gliele rimboccò e, prima di allontanarsi, le scompigliò affettuosamente i capelli.
«Ci vediamo domani, tesoro».
Spense la luce, ma lasciò la porta della camera leggermente socchiusa, e si diresse vero il salotto. Courtney lo aspettava lì, seduta sul divano, e nel frattempo rispondeva ad una mail dal suo tablet.
«Mi hai salvato, non sapevo più cosa inventarmi» le disse, prendendo posto affianco a lei. «Almeno ora ho ventiquattro ore di tempo per pensare ad un finale».
«Se l’avessi saputo, ti avrei fatto andare avanti ancora per un po’» rispose lei, senza staccare gli occhi dallo schermo e continuando a scrivere. «Mi sarebbe piaciuto sentire quali altre castronerie avresti tirato fuori dal cilindro».
«Stava venendo fuori una storia da Oscar» affermò, spavaldo. «Se modificassi qualcosina, potrei scrivere la sceneggiatura per un film fantasy pazzesco».
Riuscì a strapparle una risatina.
Intanto lei spense il tablet, lo poggiò sul tavolino da caffè e lo guardò. Non le toglieva gli occhi di dosso e aveva un’espressione strana, quasi sardonica.
«Per caso mi stai nascondendo qualcosa?» domandò dubbiosa, alzando un sopracciglio.
«Niente affatto» le rispose, senza però togliersi di dosso quel sorrisetto irritante. «Ti sto ammirando solo perché sei bellissima anche struccata e in pigiama, tutto qui».
Le guance di Courtney si colorarono leggermente di rosso e si affrettò a distogliere lo sguardo, per non farglielo notare. Era un paraculo incredibile, però i suoi complimenti andavano sempre a segno.
«Ci guardiamo qualcosa prima di andare a dormire?» propose lui, sorridendo vittorioso. Non era per niente facile lasciarla senza parole.
«Va bene, però prima ho bisogno di una camomilla. Mi aspetti?»
Lui annuì e lei si alzò per dirigersi verso la cucina.
Solo quando fu allontanata di un paio di passi, Duncan si azzardò a ridacchiare. Chissà quanto ci avrebbe messo per trovarlo e quale sarebbe stata la sua reazione.
Poco dopo – prima di quanto si aspettasse – la sentì tornare in fretta e furia e si voltò. Aveva gli occhi lucidi e probabilmente si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare a piangere. Teneva in mano la scatoletta blu che aveva nascosto un paio d’ora fa.
«C’è un anello qui dentro» constatò, cercando di non far tremare la voce. «È quello che penso, vero?»
Senza dire una parola, le andò incontro. Le sfilò di mano la scatoletta e la aprì, mostrandole uno splendido anello d’argento con un diamante di forma ottagonale. Lei abbassò lo sguardo verso quel gioiello e trattenne il fiato.
«È da un mese che me lo sto portando appresso per non fartelo trovare. Volevo chiedertelo in maniera diversa, ma non ce la facevo più ad aspettare. Così, oggi pomeriggio sono tornato a casa e l’ho nascosto nella credenza, sapendo che l’avresti trovato. So che non è la proposta che ti aspettavi, però-»
Courtney gli mise le braccia attorno al collo, si tuffò sulle sue labbra e lo baciò con dolcezza, assaporando ogni singolo istante. Era talmente felice da non riuscire nemmeno a pensare lucidamente. È vero che l’aveva immaginata diversamente, ma in quel momento non avrebbe potuto chiedere di meglio. Era perfetto così.
Continuò ad abbracciarlo anche dopo, poggiando il mento sulla sua spalla, mentre lui le accarezzava la schiena con la mano libera. Sentì le prime lacrime scenderle lungo le gote.
«Devo prenderlo come un sì?»
«Sì, assolutamente sì».
Negli ultimi anni, la lista di cose che non aveva preventivato si era ulteriormente allungata e adesso comprendeva altri due punti.
Uno, innamorarsi nuovamente di Duncan.
E due, accettare di passarci assieme il resto della sua vita.
Ma, come aveva avuto modo di imparare, il destino era beffardo e capace di stravolgere tutti i piani, senza troppe cerimonie e senza chiedere scusa. A lei, per esempio, aveva cambiato un paio di carte in tavola, ma aveva anche riservato tante piacevoli soprese.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
No, non è un miraggio: sono tornata su questo fandom.
Probabilmente nessuno mi riconoscerà, visto che tutti gli autori del 2013/2014 sono spariti. Comunque, ero Hayle e ancora prima ero Solluxy. Se vi ricordate del secondo nickname, siete vecchi – siamo vecchi.
Non scrivevo su Total Drama dal 2017 e non scrivevo una Duncney da ancora prima, quindi sono un po’ arrugginita. In realtà, negli ultimi tre anni ho continuato a scrivere anche su di loro, ma non ho mai portato a termine nulla. Fino a pochi giorni fa.
Ho iniziato a scrivere questa one-shot i primi di aprile e avevo progettato di non andare oltre le 2000/2500 parole. Ne sono il doppio. Spero che la lettura non sia stata troppo pesante.
Non sono troppo convinta dello stile, con tutti questi continui sbalzi temporali. Ho cercato di renderlo il più scorrevole possibile e di non usare troppi trapassati – nelle parti dialogate ho usato prevalentemente il passato remoto, anche se si tratta di analessi.
Non so quando tornerò, forse quando avrò un’idea che non mi faccia troppo schifo. Quello che so è che mi era mancato scrivere su questi due e non è nemmeno stato troppo difficile calarsi nei loro panni, anche se erano passati secoli dall’ultima volta.
Se siete arrivati fino qui, vi ringrazio e vi mando un enorme abbraccio virtuale.
M.
  
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