- " Fate "
- Nonostante
avesse pianificato perfettamente il suo futuro, Courtney non aveva
preventivato
tre cose.
- Uno,
rimanere incinta prima di aver trovato un lavoro stabile e di sposarsi.
- Quando
aveva scoperto di aspettare un bambino, aveva cominciato il tirocinio
presso
uno studio legale da tre mesi e l’ultima relazione degna di
quel nome l’aveva
chiusa lei circa due anni prima.
- Due,
rimanere incinta di Duncan.
- Il
fattaccio era avvenuto circa sei anni prima, al matrimonio di Geoff e
Bridgette. Non
si vedevano dall’ultima edizione di quel reality da quattro
soldi.
- Duncan
aveva trascorso un annetto in carcere, prima che i suoi genitori
riuscissero a
pagare la cauzione. Intenzionato a restituire loro tutti il denaro, si
era
subito messo all’opera e alla fine era stato assunto come
tatuatore in un
negozio gestito da un suo vecchio amico d’infanzia.
- Courtney
aveva deciso di lasciarsi alle spalle il passato – e
l’altalenante relazione
con Scott, che, dopo il reality, era durata altri sei mesi. Si era
iscritta
all’università e si era laureata in giurisprudenza
col massimo dei voti.
- Non
erano più dei ragazzini, entrambi erano cresciuti e
maturati, e proprio per
questo motivo erano riusciti ad intavolare una discussione civile.
Anzi,
avevano persino scoperto di apprezzare l’uno la compagnia
dell’altra, tanto che
avevano parlato per buona parte della serata. Inoltre, a nessuno dei
due era
sfuggito quanto l’altro fosse cambiato e diventato
decisamente più attraente.
Duncan aveva fatto sparire la cresta verde sotto la tinta corvina,
aveva messo
su un po’ di massa muscolare e le sue braccia presentavano
diversi tatuaggi – e
ciascuno di essi simboleggiava un momento importante della sua vita.
Per quanto
riguarda Courtney, i lineamenti da adolescente erano spariti ed era
sbocciata
una bellissima giovane adulta, che aveva imparato a volersi
più bene e a
mettere in risalto tutti i suoi punti di forza.
- Nelle
loro parole e nei loro silenzi c’era una tensione strana,
l’avevano
percepita tutti e due. Poi, il vino aveva giocato un ruolo
fondamentale, se non
addirittura decisivo. La conversazione si era fatta più interessante
e
ciò che successe dopo, col senno di poi, era inevitabile.
- «Cristo
Court, quand’è che sei diventata così
sexy?»
- Lei
si voltò di scatto, le gote arrossate non solo per via del
vino. Era spiazzata
e allo stesso tempo voleva sapere dove quella conversazione li avrebbe
condotti.
- Prima
di parlare di nuovo, si portò la sigaretta tra le labbra e
fece un tiro.
- «Non
che prima non lo fossi, certo! Ma adesso sei a dir poco mozzafiato. Sto
cercando di non saltarti
addosso da due ore a questa parte. Se non fossimo circondati da
persone,
probabilmente ti strapperei di dosso i vestiti e ti scoperei
così forte da
farti perdere il controllo».
- «Fallo».
- Non
riuscì a fermarsi, nonostante la parte ancora sobria le
urlasse che era una
pessima idea.
- «Portami
via di qui e fallo. Te lo concedo».
- Dieci
minuti più tardi erano dentro la macchina di Duncan e lui
stava mantenendo la
parola data.
- E
infine la terza cosa, ancora più inattesa delle due
precedenti: Duncan si era
assunto ogni responsabilità.
- Dopo
tre settimane di attacchi d’ansia repressi e continui
ripensamenti, si era
finalmente decisa e l’aveva telefonato. Era andata subito
dritta al punto.
- «Ho
deciso di tenerlo, quindi, siccome sei comunque suo padre, mi sembrava
giusto
avvertirti. Ma stai tranquillo. So che molto probabilmente non vorrai
avere a
che fare con lui o lei, è per questo che non ti
chiederò nulla. Sei liberissimo
di–»
- «No».
- Seguirono
alcuni secondi di silenzio. Poi Duncan parlò di nuovo. Il
tono di voce era
fermo, sebbene sembrasse vagamente ferito dalle sue parole.
- «Credi
davvero che ti lascerò affrontare tutto questo da sola? Non
sono più il
ragazzino idiota e immaturo che hai conosciuto. Non mi
comporterò da codardo o
da bastardo. Ti starò vicino, cresceremo questo bambino
insieme».
- Courtney
rimase completamente spiazzata.
- Per
tutto il tempo della gravidanza era stato più che presente.
L’aveva
accompagnata a tutte le visite dal ginecologo e al corso preparto.
L’aveva
aiutata a montare tutti i mobili e a riverniciare le pareti della
cameretta. Fu
un pochino più difficile scegliere i body e i vestitini.
- «Rosa
shocking! Ma cosa ti ha fatto di male quella povera creatura?»
- «Meglio
rosa che nero come quella cosa orrenda che hai in mano!»
- Ma
alla fine ce l’avevano fatta.
- C’era
stato anche in sala parto e le aveva tenuto la mano per tutto il tempo
– e
senza azzardarsi a vedere cosa stesse succedendo lì
sotto. Più tardi,
una volta tornato a casa, aveva pianto di gioia. Courtney non
l’aveva mai
saputo.
- Nel
corso degli anni, aveva temuto più volte che la parte marcia
di Duncan potesse
riemergere e che sarebbe sparito da un giorno all’altro. Ma
non successe mai.
- Appoggiata
allo stipite della porta, li osservava e sorrideva.
- Erano
seduti sul letto e Duncan leggeva una storia tratta da un grosso e
consunto libro
di fiabe, che teneva poggiato sulle gambe. Sfogliava le pagine con la
mano
sinistra, mentre il braccio destro era attorno alle spalle di una bimba
di
circa cinque anni e la stringeva forte a sé. Anche lei lo
stava abbracciando –
anche se le sue braccia erano troppo corte per cingere perfettamente
l’addome
del papà – e teneva il collo allungato per
osservare per bene le illustrazioni.
Nonostante la sapesse ormai a memoria, ascoltava attentamente ogni
singola
parola.
- Era
impressionante come la piccola le somigliasse. Avevano gli stessi
capelli color
cioccolato, la stessa carnagione ambrata e gli stessi occhioni grandi.
I suoi
però non erano neri, bensì azzurri come quelli
del padre.
- Siccome
non erano sposati, avevano deciso che la bimba avrebbe portato il
cognome di
entrambi. La scelta del nome, invece, fu una vera e propria guerra.
- Quando
avevano saputo che si trattava di una femminuccia, entrambi avevano
stilato una lista con
dei nomi – ovviamente l’idea fu di Courtney; quando
l'aveva proposta, Duncan aveva alzato gli
occhi al cielo –, confidando nel fatto che ce ne sarebbero
stati almeno un paio
che coincidessero, così da poter scegliere tra quelli.
Inutile dire che, tra le
tantissime proposte, non ce n’era stato nemmeno uno che fosse
comune a tutte e due
gli elenchi.
- «Persino
negli anni ’50 Audrey sarebbe sembrato un nome
obsoleto».
- «Gwen?
Non ci credo che vuoi chiamare nostra figlia come la ragazza con cui mi
hai
tradita!»
- «Jocelin?
Sei seria?»
- «Che
razza di nome è Jackie Danielle?»
- Alla
fine, avevano trovato il nome perfetto solo un’ora e mezza
dopo la nascita
della bambina.
- Courtney,
seduta sul letto dell’ospedale, stringeva la neonata al petto
e Duncan,
in piedi accanto a lei, osservava attentamente la figlia. Era
così piccola e
indifesa.
- «Ha
la faccia da Cheryl».
- Lei
ci pensò su per un minuto.
- «Cheryl
Nelson-Barlow. Mi piace, suona bene».
- Duncan
baciò Cheryl – che nel frattempo si era
addormentata – sulla fronte e poi,
d’impulso, Courtney sulle labbra. Era stato un bacio veloce e
a stampo, non
significava assolutamente niente. Allo stesso tempo, però,
gli era sembrata la
cosa più giusta e naturale da fare.
- «Era
tutto tranquillo nel piccolo villaggio, quando un bel giorno gli
abitanti notarono
in lontananza un enorme e spaventoso drago dalle squame verdi, che si
dirigeva
in volo proprio verso di loro e-»
- «Papà,»
lo richiamò la bambina con la sua vocetta acuta,
«non è così la storia».
- «Come
fai a dirlo?» le chiese ridacchiando. «Non sai
ancora leggere quello che c’è
scritto qua sopra».
- «No,
ma la mamma me l’ha letta tantissime volte e non
c’è nessun drago. E la mamma
non dice mai le bugie».
- «Hai
ragione, mi sto inventando tutto» ammise, alzando le mani.
«Allora ti faccio
scegliere: vuoi che ti racconti la mia versione o quella del
libro?»
- Cheryl
era decisamente incuriosita.
- «E
com’è la tua versione?»
- Duncan
ci pensò su un paio di secondi.
- «Beh,
vediamo un po’… posso dirti che ci sono una strega
cattiva e un vecchio saggio
con i poteri magici, tante creature fantastiche, dei guerrieri
coraggiosissimi…
un sacco di cose che a tua mamma non sarebbero mai venute in mente,
visto che
continua a leggerti le stesse quattro favolette da quando sei
nata».
- Courtney
si schiarì la voce, attirando l’attenzione su di
sé. Fissò Duncan con un
sopracciglio alzato e le braccia incrociate. Lui ricambiò
con un sorrisetto
beffardo.
- «Hai
qualcosa contro il libro di fiabe della mia infanzia?»
- «Certo
che no, principessa. Però questa è veramente
noiosa e ho pensato di modificarla
giusto un po’. Spero non ti dispiaccia». Poi
tornò a rivolgersi alla figlia e
aggiunse: «Allora, vuoi ascoltarla o no?»
- Se
come fidanzato era stato terribile, come padre Duncan se la cavava
piuttosto
bene. Non era perfetto, ma di certo non si poteva dire che non volesse
bene
alla sua bambina. Aveva sempre fatto i salti mortali per essere il
più presente
possibile, non farle mancare nulla e non perdersi nessuno dei momenti
più
importanti.
- Erano
davvero tanto uniti e avevano un rapporto speciale. Duncan
l’andava a
riprendere due volte alla settimana da scuola e passavano tutto il
pomeriggio
assieme. A volte la portava al parco giochi e le comprava un gelato.
Altre
volte stavano nel suo appartamento e giocavano con le bambole, oppure
guardavano i cartoni. I due weekend al mese che passava con lui erano i
più
divertenti. Una volta l’aveva portata al lunapark, le aveva
fatto provare tutte
le giostre su cui poteva salire e le aveva persino preso lo zucchero
filato.
- Quando
poi la riportava a casa, Courtney non poteva fare a meno di notare gli
occhi
lucidi e l’aria triste della sua bambina. Per quanto cercasse
di nasconderlo,
non avere il suo papà affianco a lei ventiquattro ore su
ventiquattro la
rattristava.
- Cheryl
era piccola, non capiva perché mamma e papà non
vivessero assieme come i
genitori dei suoi amichetti e ogni volta che loro glielo facevano
notare –
sempre in modo poco gentile, con frasi del tipo «Ma quindi i
tuoi genitori non
si vogliono bene? E perché?» –, lei non
sapeva mai come ribattere e metteva il
broncio.
- Il
problema è che non poteva dar loro torto. È vero
che non li aveva mai visti
discutere in maniera accesa o litigare, ma era anche vero che davanti a
lei non
si erano mai lasciati andare a carezze, baci ed effusioni varie. Non
portavano
nemmeno quell’anello spesso e dorato che aveva visto
all’anulare di quasi tutti
i genitori dei suoi compagni di classe.
- Una
volta si era fatta spiegare dalla sua migliore amica cosa significasse
e lei le
aveva detto che la portavano solo le persone sposate. Quella stessa
sera era
entrata silenziosamente nello studio, dove Courtney si era chiusa
subito dopo
cena per riordinare alcuni documenti per un processo imminente, decisa
a porle
quella domanda che le frullava in testa da tutto il giorno.
- «Mamma,
perché tu e papà non siete sposati?»
- Lei
stava spillando assieme alcuni fogli, che per poco non le caddero di
mano.
Tutto si sarebbe aspettava, tranne che una cosa del genere.
- Si
era girata, senza saper bene come rispondere e come spiegarglielo. Alla
fine,
aveva optato per un semplice: «È una faccenda
complicata, ma un giorno te la
spiegheremo».
- Cheryl
si fece bastare quella risposta, perché sapeva che quel
giorno sarebbe arrivato
– e anche perché sapeva che insistere con lei
sarebbe stato alquanto inutile –,
e Courtney ne fu sollevata.
- Il
racconto si stava facendo via via sempre più avvincente e
né Cheryl né Duncan
riuscivano a stare fermi. La bimba si era messa in ginocchio con le
manine
premute sulla coscia di Duncan e lo guardava, mentre mimava ogni parola
e
cercava di sottolineare ogni singolo dettaglio, per creare maggiore
suggestione
e farla immedesimare meglio. Sembrava funzionare, perché lei
non solo pendeva
dalle sue labbra, ma tratteneva il respiro nelle scene di massima
intenzione,
urlava in quelle peggiori e rideva quando tutto sembrava andare bene.
- Anche
Courtney non riusciva a smettere di fissare Duncan, ma in
realtà aveva smesso
di seguire la narrazione già da un pezzo. Lo guardava tutto
assorto nel suo
compito e sorrideva. Nonostante tutto, quella situazione continuava a
sembrarle
surreale. Se a diciotto anni le avessero detto che un giorno sarebbe
finita per
ricadere ai suoi piedi e avrebbero messo su una famiglia, sarebbe
scoppiata in
una risata fragorosa. E invece era successo sul serio.
- Per
i primi diciotto mesi di vita di Cheryl, Duncan si era presentato a
casa sua
ogni giorno, nonostante il suo appartamento si trovasse a
più di dieci minuti
di distanza, e le aveva dato una mano come meglio poteva. La sua
presenza era
stata una benedizione, visto che la maternità era durata
decisamente poco e,
non appena era terminato il tirocinio, era stata assunta a tempo pieno.
- Allo
stesso tempo, però, stare in costante contatto con lui e
guardarlo mentre si
occupava della loro bambina aveva fatto riaffiorare sentimenti, che
credeva che
fossero morti col tempo. Lo trovava a dir poco adorabile quando,
goffamente,
cercava di cambiarle il pannolino o di farle mangiare gli
omogeneizzati. Oppure
quando scoppiava a piangere e strillare e poteva leggere il panico sul
suo
volto, perché le provava tutte e niente sembrava funzionare.
O ancora quando la
cullava per farla addormentare e alla fine crollava pure lui sul
divano, con la
neonata appoggiata sul suo petto.
- All’inizio
aveva imputato la colpa agli ormoni, ma ben presto –
nonostante avesse cercato
in ogni modo di negarlo o di sopprimere quella consapevolezza
– si era resa
conto che ciò che provava per quell’idiota era
amore. Peccato che, in quel
periodo, Duncan pensasse completamente ad altro.
- Negli
ultimi anni aveva avuto diverse relazioni, che per la maggior parte
delle volte
si concludevano dopo una notte. C’era stato un periodo in
cui, però, aveva iniziato
a frequentare in maniera più o meno seria una ragazza al
secondo anno di
università.
- A
poco a poco, aveva iniziato a farsi vedere di meno e ad essere sempre
meno
disponibile. Quando Courtney aveva scoperto il motivo, era andata su
tutte le
furie – e aveva anche capito di essere molto gelosa, ma non
avrebbe mai ammesso
nemmeno quello. Aveva provato a far finta di nulla, perché
era certa che quella
storia sarebbe finita molto presto come tutte le altre, ma dopo un mese
non era
cambiato assolutamente nulla e non ce l’aveva fatta
più.
- Avevano
litigato. Era successo una domenica sera di ottobre – Duncan
aveva riportato
Cheryl a casa, dopo una lunga passeggiata in centro –, nella
cucina
dell’appartamento di Courtney, ed era stata lei a cominciare
la discussione.
- Inizialmente
Duncan, seduto su uno sgabello, pareva quasi divertito dalla situazione
e il
ghigno che stampato sul volto mise ancora più a dura prova
la sua pazienza.
- «Che
c’è principessa, adesso fai la gelosa?»
- Poi,
però, Courtney aveva risposto e la conversazione era
degenerata.
- «Gelosa?
Delle sgualdrine che ti porti a casa? Giammai!»
sbottò lei. «Però se la
tua vita sentimentale interferisce con i tuoi doveri da padre, perdo la
pazienza. Anche perché ti sei assunto le tue
responsabilità, ma evidentemente
nelle ultime settimane per te è stato più
importante soddisfare le esigenze di
quella studentessa».
- L’espressione
di Duncan mutò in un batter d’occhio.
Scattò in piedi e si avvicinò
pericolosamente alla sua faccia.
- «Intanto
la mia vita sentimentale non ti riguarda» sibilò.
«E poi, cosa vorresti dire?
Che non tengo a mia figlia?»
- «Non
mettermi in bocca parole che non ho detto!»
- «Però
è quello che intendevi».
- Non
lo aveva mai visto così arrabbiato, il suo viso era paonazzo
e sembrava sul
punto di scoppiare. Se possibile, però, lei era decisamente
più nera e aveva
ancora un paio di cose da sbattergli in faccia.
- «Ho
detto solo che sei completamente sparito dalla circolazione. Ti ho
cercato più
volte e la metà di queste eri irraggiungibile. Cheryl ha
avuto la febbre alta
per una settimana e ti sei venuto ad affacciare solo una
volta».
- «Due
volte, di grazia».
- «Oh
beh, allora scusami! Ho avuto un processo importante e ho
dovuta portarla
in tribunale, perché tu-»
- «Non
sei l’unica che lavora».
- «Non
dire balle! Lo so che dovevi andare a pranzo con quella… e
non provare
a
mentire o a interrompermi!» si affrettò ad
aggiungere non appena lo
vide aprire
la bocca. «Poi, ti avevo chiesto di passare nel mio ufficio,
perché
avevo bisogno di un paio di firme per dei documenti dell'asilo nido e
non ti sei presentato. Sono dovuta venire io da te –
prendendo un permesso, tra l’altro – e indovina?
C'era pure lei!
Nell’ultimo mese sarai venuto a trovare tua figlia massimo
dieci volte,
nonostante tutte le chiamate e i messaggi. E tutto questo solo
perché eri
troppo impegnato a trombarti una ragazzina!»
- «Magari
se trombassi pure tu, smetteresti di essere una stronza acida e pesante
e
prenderesti la vita più alla leggera!»
- Lo
schiaffo partì in automatico. Nel frattempo, Cheryl, che era
stata svegliata da
tutto quel trambusto, cominciò a strillare.
- Prima
di incamminarsi verso la cameretta, lo guardò dritto negli
occhi, mentre lui si massaggiava la guancia, e, con tutto
il disprezzo possibile, sillabò: «Sparisci di
qui».
- Non
si erano parlati per quattro giorni. Poi, la sera del quarto giorno,
Courtney
aveva lasciato la piccola dai suoi genitori e si era ritrovata a
guidare nel
quartiere in cui abitava Duncan. Aveva parcheggiato sotto il suo
palazzo e
aveva citofonato, intenzionata a risolvere tutto per il bene di Cheryl.
Non era
andata secondo i suoi piani: non appena le aveva aperto la porta,
infatti, si
erano fissati per un paio di secondi e, come nel più
scontato dei film
romantici, si erano saltati addosso. Poi, senza staccarsi nemmeno per
riprendere fiato, si erano spostati in camera da letto e la serata era
terminata con loro due, nudi e avvinghiati tra le lenzuola.
- Fu
proprio quello il giorno in cui il loro rapporto cominciò
lentamente a
mutare.
- Sebbene
la mattina successiva avessero concordato di far finta che nulla di
tutto
quello fosse mai accaduto – «A quanto pare,
funzioniamo di più come semplici
amici» aveva constatato lui –, nei mesi successivi
finivano per ricascarci di
tanto in tanto, che fosse un semplice bacio scambiato sulla soglia di
casa di
Courtney o una sveltina all’ora di pranzo nel negozio di
Duncan. Ormai quegli incidenti
cominciavano ad essere un po’ troppi per continuare ad
ignorarli e fingere che
nulla fosse cambiato. O almeno è quello che pensava Courtney.
- All’inizio
si era illusa, perché Duncan non solo aveva smesso di uscire
con altre donne –
o perlomeno così sapeva –, ma aveva anche adottato
un atteggiamento diverso nei
suoi confronti, oserebbe dire molto più dolce e affettuoso.
Poi, però, provava
a tirar fuori l’argomento e Duncan faceva finta di non
sentirla, deviando il
discorso in un’altra direzione.
- Courtney
aveva cercato di illudersi, di pensare che finissero l’uno
nelle braccia
dell’altra solo quando erano parecchio stressati e cercavano
conforto, oppure
quando avevano bisogno di divertirsi. Insomma, di adottare quello che
riteneva
fosse il suo punto di vista. Aveva anche provato a frequentare per un
po’ un
suo collega, che rispecchiava quasi perfettamente l’uomo dei
suoi sogni: alto,
capelli e occhi scuri, ricco, ambizioso e con un lavoro
rispettabilissimo. Il
problema è che poi si ritrovava davanti quegli occhi
azzurrissimi e il suo
cuore mancava un battito. Era passata un’eternità,
eppure continuava a farla
sentire come un’adolescente alla sua prima cotta.
- Un
sabato pomeriggio di aprile erano tutti e tre al parco giochi del
quartiere.
Cheryl stava giocando sullo scivolo, mentre loro erano seduti qualche
metro più
in là su una panchina. Duncan era impegnato con il bozzetto
di un tatuaggio
piuttosto elaborato e Courtney non riusciva a smettere di fissare la
matita che
correva leggera sul foglio.
- «Ti
piace?»
- Lei
annuì. Poi, senza rifletterci e senza che potesse fermarsi,
finalmente gli fece
la domanda che avrebbe voluto porgli ormai da un bel pezzo.
- «Duncan,
io e te cosa siamo?»
- Si
pentì di averglielo chiesto nel momento esatto in cui aveva
articolato quei
precisi vocaboli.
- Lui
smise di disegnare. Poggiò il blocco e la matita di lato e
la fissò, cercando
di nascondere lo sgomento.
- «Non
siamo una coppia, però abbiamo una figlia. Siamo riusciti a
stringere una buona
amicizia, ma spesso e volentieri finiamo a letto insieme. Ogni volta
diciamo
che sarà l’ultima e puntualmente torniamo a
cercarci. Come ci definiresti?»
- Duncan
rimase in silenzio per qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo
e dire:
«Preferirei non darci nessuna etichetta».
- Di
certo non si aspettava la risposta che il suo lato irrazionale sperava,
ma
nemmeno ne avrebbe immaginata una simile. Per qualche arcano motivo,
quelle
parole le fecero più male di quanto gliene avrebbe fatto un
rifiuto secco.
Sarebbe stato meglio se avesse distrutto ogni sua speranza una volta
per tutte.
- «Bene».
- Non
poté non notare che il tono della voce di lei era diventato
tutto d’un tratto
freddo e distaccato, ma, prima che potesse spiegarsi meglio, Cheryl si
avvicinò
a loro correndo.
- «Qualcuno
mi spinge sull’altalena?»
- «Certo,
amore» le sorrise Courtney. «Andiamo».
- La
prese per mano e si incamminarono verso le altalene.
- Per
tutto il resto della giornata non gli aveva rivolto la parola.
- Qualche
ora più tardi, quando aveva spento la luce e si era messa
sotto le coperte, ci
aveva rimuginato su ed era arrivata ad una conclusione: aveva bisogno
di un po’
di stabilità. Era rimasta incinta del suo ex e, nonostante
tutto, avevano
cresciuto la bambina assieme, come una famiglia. Poi però
era successo quel
gran bel casino, i suoi sentimenti erano riaffiorati del tutto e lei
non era
riuscita a frenarli e l’ultimo anno e mezzo era stato
decisamente movimentato e
forse pure eccitante, ma allo stesso tempo pieno di dubbi.
Perché Courtney, che
aveva sempre pianificato ogni minimo dettaglio della sua vita, odiava
vivere
nell’incertezza.
- E
poi c’era anche Cheryl. Era ovvio che non potesse andare
avanti così ancora a
lungo e cosa sarebbe successo poi? Si sarebbero allontanati? E la loro
bimba
come l’avrebbe presa? Non potevano farle una cosa del genere.
- Infine,
aveva soprattutto bisogno di sapere se smettere di illudersi o
continuare a
sperarci.
- E
invece ancora dubbi, ancora incertezze.
- Ma
se quella risposta l’aveva presa alla sprovvista, ancora
più sorprendente fu
quello che era successo la mattina dopo.
- Alle
dieci in punto, Duncan era piombato nel suo ufficio, senza bussare e
pretendendo che rimanesse in silenzio e ascoltasse tutto quello che
aveva da
dire. A poco erano serviti gli insulti, le minacce,
i “Non mi
interessa” e “Sto
lavorando” : non si era
mosso di lì.
- «Forse
un po’ codardo lo sono ancora, perché sono mesi
che cerco di parlartene, ma non
ho mai trovato le parole giuste. Avrei voluto farlo anche ieri, ma
l’incipit
non è stato dei migliori. All’inizio sono rimasto
solo per dare a Cheryl la
famiglia che non ho mai realmente avuto, non volevo farle vivere una
situazione
simile alla mia. Poi però abbiamo cominciato a passare
sempre più tempo
assieme, fino a quando quella sera non sei venuta da me e…
cazzo, stava andando
tutto così bene! Invece di affrontare il tutto, ho preferito
continuare ad
andare avanti senza impegni particolari e senza etichette,
perché un po’ temevo
quello che sarebbe potuto succedere. Ma la verità
è che con te non è solo sesso
e divertimento come con le altre. Quindi sono qui per chiederti di
riprovarci,
stavolta senza nessuna stupida gara, senza tradimenti e senza
nasconderci
nulla. E ti giuro che non fuggirò alla prima
difficoltà, cercherò – cercheremo
– di farlo funzionare. Sempre che tu voglia, certo».
- Non
poteva credere alle sue orecchie, era convinta che fosse tutto frutto
della sua
immaginazione.
- Doveva
accertarsi che non fosse un sogno. Lentamente, si avvicinò a
lui e gli poggiò
le mani sulle guance, attirandolo a sé. Realizzo la
situazione solo quando
sentì quelle mani scorrere lungo la sua
schiena e quelle labbra
sulle sue.
- Avevano
deciso di ricominciare da zero e di farlo gradualmente, come se non
fossero mai
stati assieme e fosse un’esperienza nuova ed ignota. Dopo il
primo bacio,
c’erano stati il primo appuntamento, la prima volta in cui
avevano passato
tutta la notte assieme, il primo “ti amo”, la prima
volta in cui avevano fatto
l’amore… e ad un certo punto c’era anche
stata la prima – e unica – volta in
cui Courtney gli aveva permesso di farle un tatuaggio.
- Il
ragazzo si era fatto tatuare una corona sull’avambraccio, in
uno dei pochi
spazi liberi che gli era rimasto sulle braccia, e, quando
l’aveva notato, era
rimasta completamente folgorata. Fu allora che riuscì a
convincerla, ma a patto
che fosse qualcosa di piccolo e in un punto nascosto.
- Il
giovedì successivo, Courtney aveva preso mezza giornata
libera e si era recata
nel suo negozio. Aveva scelto di tatuarsi la data di nascita di Cheryl
e una
farfalla sotto il seno sinistro e in tutto ci erano volute due ore.
- «Allora,
che te ne pare?» le domandò Duncan, mentre lei era
intenta ad osservare allo
specchio il lavoro appena concluso.
- «Insomma»
rispose lei, fingendo di essere poco convinta. «La farfalla
non era come nel
disegno e non l’hai colorata benissimo».
- «Fai
meno la preziosa» disse, con un ghigno insopportabile
stampato in volto. «Lo so
che ti piace da matti».
- Si
posizionò dietro di lei e le cinse la vita con le braccia.
Le lasciò un leggero
bacio sulla spalla.
- «Sai
che si portano dispari? Ti toccherà farne almeno un
altro».
- Infatti,
non aveva mai fatto rimuovere quello a forma di cuore, che aveva sulla
spalla
destra e che era identico a quello che aveva Duncan sulla sinistra. Ci
aveva
pensato ovviamente, ma c’era sempre stato qualcosa che la
bloccava.
- Anche
lui ce l’aveva ancora. Nel bene e nel male, era stata il suo
primo amore e, per
quanto all’epoca fosse finita male, non voleva cancellare un
pezzo del suo
passato.
- «Ti
ci vorranno almeno altri cinque anni per convincermi di
nuovo».
- A
Cheryl avevano deciso di non dire nulla, fino a che non avrebbero
trovato la
giusta stabilità nel loro rapporto. E anche
perché spiegare ad una bambina una
cosa del genere non era facile. Peccato, però, che avesse
ereditato
l’intelligenza dalla madre e che dopo qualche mese aveva
cominciato a capire
qualcosina. Poi, come se non bastasse, si erano fatti sgamare.
- I
due si stavano salutando all’ingresso e un semplice bacio
della buonanotte si
era trasformato in una pomiciata degna di quel nome. Quando finalmente
si erano
staccati, avevano notato Cheryl, in pigiama e con il libro di fiabe tra
le
braccia, che li fissava con la testa leggermente inclinata di lato.
- «Quindi
adesso vi volete bene di nuovo?»
- Courtney
aveva guardato prima lei e poi Duncan. L’aveva preso per
mano, strappandogli un
sorrisetto.
- «Direi
proprio di sì».
- L’ultimo
passo era stata la convivenza. Duncan aveva venduto il suo piccolo
appartamento
e si era trasferito circa otto mesi fa. Sin da subito si era rivelato
un
pessimo coinquilino: lasciava la biancheria in bagno, i piatti nel
lavello, le
lamette sopra il lavandino e in generale era disordinatissimo.
Più gli chiedeva
di collaborare, più lui la ignorava solo per infastidirla.
Alcune volte bastava
qualche minaccia, ma molte altre cedeva e gli dava una mano –
finendo per fare
gran parte del lavoro, ma dettagli. In compenso, però, si
era rivelato un buon
cuoco e di tanto in tanto la viziava con qualche manicaretto.
- Inoltre,
da quando c’era lui in casa, Cheryl era molto più
allegra. Non aveva prezzo poter
avere sia la mamma che il papà contemporaneamente e poter
fare con entrambi
quello che, una volta, faceva solo con uno dei due. Erano tantissime le
attività che svolgevano assieme, come ad esempio giocare,
fare delle lunghe
passeggiate, guardare un buon film sul divano e stringersi sotto le
coperte, ma
soprattutto cucinare qualche dolce e lanciarsi la farina addosso solo
per
dispetto.
- Ogni
tanto Courtney si fermava a guardarli, i due amori della sua vita, e si
rendeva
conto di quanto fosse fortunata. Aveva finalmente raggiunto la pace e
l’equilibrio cui aveva sempre aspirato e l’aveva
fatto con Duncan al suo
fianco.
- «E
poi come continua? Adesso che hanno delle armature indistruttibili, i
soldati
possono superare la foresta e andare a sconfiggere il drago?»
- «Penso
che dovrai aspettare domani sera per saperlo» intervenne
Courtney, entrando
nella cameretta. «Sono le dieci e domani
c’è scuola».
- La
piccola sbuffò, ma non osò ribattere. Sapeva
quanto fosse irremovibile su quel
punto: non poteva andare a dormire più tardi delle dieci,
altrimenti non ce
l’avrebbe fatta a svegliarsi l’indomani.
- «Hai
lavato i denti?»
- Annuì
e poi corse ad abbracciarla.
- «Buonanotte,
mamma».
- Lei
si chinò e le lasciò un bacio tra i lunghi
capelli castani.
- Si
staccò e tornò da Duncan, mettendosi in piedi sul
letto per potergli dare il
bacio della buonanotte.
- «Buonanotte,
papà».
- Si
mise sotto le coperte, mentre lui gliele rimboccò e, prima
di allontanarsi, le
scompigliò affettuosamente i capelli.
- «Ci
vediamo domani, tesoro».
- Spense
la luce, ma lasciò la porta della camera leggermente
socchiusa, e si diresse
vero il salotto. Courtney lo aspettava lì, seduta sul
divano, e nel frattempo
rispondeva ad una mail dal suo tablet.
- «Mi
hai salvato, non sapevo più cosa inventarmi» le
disse, prendendo posto affianco
a lei. «Almeno ora ho ventiquattro ore di tempo per pensare
ad un finale».
- «Se
l’avessi saputo, ti avrei fatto andare avanti ancora per un
po’» rispose lei,
senza staccare gli occhi dallo schermo e continuando a scrivere.
«Mi sarebbe
piaciuto sentire quali altre castronerie avresti tirato fuori dal
cilindro».
- «Stava
venendo fuori una storia da Oscar» affermò,
spavaldo. «Se modificassi
qualcosina, potrei scrivere la sceneggiatura per un film fantasy
pazzesco».
- Riuscì
a strapparle una risatina.
- Intanto
lei spense il tablet, lo poggiò sul tavolino da
caffè e lo guardò. Non le
toglieva gli occhi di dosso e aveva un’espressione strana,
quasi sardonica.
- «Per
caso mi stai nascondendo qualcosa?» domandò
dubbiosa, alzando un sopracciglio.
- «Niente
affatto» le rispose, senza però togliersi di dosso
quel sorrisetto irritante. «Ti
sto ammirando solo perché sei bellissima anche struccata e
in pigiama, tutto
qui».
- Le
guance di Courtney si colorarono leggermente di rosso e si
affrettò a
distogliere lo sguardo, per non farglielo notare. Era un paraculo
incredibile,
però i suoi complimenti andavano sempre a segno.
- «Ci
guardiamo qualcosa prima di andare a dormire?» propose lui,
sorridendo
vittorioso. Non era per niente facile lasciarla senza parole.
- «Va
bene, però prima ho bisogno di una camomilla. Mi
aspetti?»
- Lui
annuì e lei si alzò per dirigersi verso la cucina.
- Solo
quando fu allontanata di un paio di passi, Duncan si azzardò
a ridacchiare.
Chissà quanto ci avrebbe messo per trovarlo e quale sarebbe
stata la sua
reazione.
- Poco
dopo – prima di quanto si aspettasse – la
sentì tornare in fretta e furia e si
voltò. Aveva gli occhi lucidi e probabilmente si mordeva il
labbro inferiore
per non scoppiare a piangere. Teneva in mano la scatoletta blu che
aveva
nascosto un paio d’ora fa.
- «C’è
un anello qui dentro» constatò, cercando di non
far tremare la voce. «È quello
che penso, vero?»
- Senza
dire una parola, le andò incontro. Le sfilò di
mano la scatoletta e la aprì,
mostrandole uno splendido anello d’argento con un diamante di
forma ottagonale.
Lei abbassò lo sguardo verso quel gioiello e trattenne il
fiato.
- «È
da un mese che me lo sto portando appresso per non fartelo trovare.
Volevo
chiedertelo in maniera diversa, ma non ce la facevo più ad
aspettare. Così,
oggi pomeriggio sono tornato a casa e l’ho nascosto nella
credenza, sapendo che
l’avresti trovato. So che non è la proposta che ti
aspettavi, però-»
- Courtney
gli mise le braccia attorno al collo, si tuffò sulle sue
labbra e lo baciò con
dolcezza, assaporando ogni singolo istante. Era talmente felice da non
riuscire
nemmeno a pensare lucidamente. È vero che l’aveva
immaginata diversamente, ma
in quel momento non avrebbe potuto chiedere di meglio. Era perfetto
così.
- Continuò
ad abbracciarlo anche dopo, poggiando il mento sulla sua spalla, mentre
lui le
accarezzava la schiena con la mano libera. Sentì le prime
lacrime scenderle
lungo le gote.
- «Devo
prenderlo come un sì?»
- «Sì,
assolutamente sì».
- Negli
ultimi anni, la lista di cose che non aveva preventivato si era
ulteriormente
allungata e adesso comprendeva altri due punti.
- Uno,
innamorarsi nuovamente di Duncan.
- E
due, accettare di passarci assieme il resto della sua vita.
- Ma,
come aveva avuto modo di imparare, il destino era beffardo e capace di
stravolgere tutti i piani, senza troppe cerimonie e senza chiedere
scusa. A
lei, per esempio, aveva cambiato un paio di carte in tavola, ma aveva
anche
riservato tante piacevoli soprese.
- Angolo
dell’autrice
- No,
non è un miraggio: sono tornata su questo fandom.
- Probabilmente
nessuno mi riconoscerà, visto che tutti gli autori del
2013/2014 sono spariti.
Comunque, ero Hayle e ancora prima ero Solluxy. Se vi ricordate del
secondo
nickname, siete vecchi – siamo vecchi.
- Non
scrivevo su Total Drama dal 2017 e non scrivevo una Duncney da ancora
prima,
quindi sono un po’ arrugginita. In realtà, negli
ultimi tre anni ho continuato
a scrivere anche su di loro, ma non ho mai portato a termine nulla.
Fino a
pochi giorni fa.
- Ho
iniziato a scrivere questa one-shot i primi di aprile e avevo
progettato di non
andare oltre le 2000/2500 parole. Ne sono il doppio. Spero che la
lettura non
sia stata troppo pesante.
- Non
sono troppo convinta dello stile, con tutti questi continui sbalzi
temporali.
Ho cercato di renderlo il più scorrevole possibile e di non
usare troppi
trapassati – nelle parti dialogate ho usato prevalentemente
il passato remoto,
anche se si tratta di analessi.
- Non
so quando tornerò, forse quando avrò
un’idea che non mi faccia troppo schifo.
Quello che so è che mi era mancato scrivere su questi due e
non è nemmeno stato
troppo difficile calarsi nei loro panni, anche se erano passati secoli
dall’ultima volta.
- Se
siete arrivati fino qui, vi ringrazio e vi mando un enorme abbraccio
virtuale.
- M.