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Autore: Pervinca95    12/05/2020    2 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Coronare Un Incubo














Che coooooosa?? Arrivo subito, il tempo di mettermi qualcosa di carino! 

Lessi il messaggio di Linda con un sorriso. 

Vengo anch'io! Cinque minuti e sono lì!, aggiunse Vanessa.

Ragazze, questo è destino, scrisse per ultima Francesca. Non mi farò scappare quest'opportunità, aspettaci Noraaaaaaa!

Alzai gli occhi al cielo divertita. Quelle tre erano dei casi persi, e me lo confermarono nel momento in cui le vidi apparire dopo dieci minuti esatti.

Erano state puntuali come mai in vita loro. 

Linda indossava un paio di jeans sbiaditi ed una camicetta bianca. Notai che si era data una ripassata al trucco con qualche aggiunta di mascara per incorniciare i suoi grandi occhi castani. 

Francesca aveva uno svolazzante vestito marrone fino al ginocchio, i capelli castani raccolti in un'alta coda di cavallo da cui non sfuggiva nemmeno un ciuffo e un giacchetto di pelle nero sulle spalle. 

Ed infine Vanessa aveva optato per degli aderenti pantaloni neri a vita alta che si sposavano perfettamente col colore dei suoi capelli, e una maglietta a mezze maniche bianca con il logo della marca. 

Sorrisi mentre si avvicinavano. << Ci siamo messe in tiro, eh? >> le presi in giro scherzosa. 

Francesca mi fece l'occhiolino. << È un'occasione troppo golosa per non approfittarne. >> 

<< Che hai fatto agli occhi, Nora? >> mi chiese Vanessa, facendosi più vicina. 

Mi uscì un sospiro. << La peste ha cercato di accecarmi, perciò mi è colato tutto il trucco. Ho cercato di migliorare la situazione con scarsi risultati. >> 

<< Secondo me, sotto sotto, quel bambino ti adora >> intervenne Linda con un sorriso che nascondeva una risata. 

<< Certo, talmente tanto da volermi uccidere >> asserii secca. 

Francesca batté le mani con un piccolo balzello. << Perché non ce li presenti? Sono curiosa di vedere questo minaccioso bimbo. >> 

<< D'accordo, ma tappatevi gli occhi quando si sarà avvicinato. Non vorrei che cercasse di cavare pure i vostri. Insomma, tenetevi a debita distanza. >> Le guardai una ad una, seria. << È pericoloso. >> 

Scoppiarono a ridere, trascinando anche me nella risata. 

<< Ma dico davvero >> mi difesi tirando loro dei deboli schiaffetti sulle braccia. 

Allungai lo sguardo verso i giochi per rintracciarli, finché non li individuai sopra lo scivolo.

Il sorriso mi si spense di colpo. 

<< No, no e no >> vociai marciando spedita.

Ma perché proprio a me doveva toccare il bambino rissoso? 

Il puffo stava litigando con un altro nano, probabilmente su chi dovesse scivolare per primo. 

Questioni della massima importanza. 

Quando vidi la mia belva dare la prima spinta all'altro, cominciai a correre come una pazza. 

<< Tommaso, basta >> urlai da sotto il gioco. << Scendi subito. >> 

Non venni considerata. 

In compenso, mi partì un embolo quando l'altro bambino rispose con una forte spinta facendo cadere Tom Riddle sul legno consunto della casetta. 

Irene, accanto a suo fratello, mancò che non facesse la stessa fine. 

<< Bambini, no >> ripetei infervorata. 

Optai per la strada più breve.

Salii sullo scivolo e mi misi a scalarlo al contrario, slittando in continuazione sul liscio metallo. 

<< Sto arrivando >> dissi a fatica, mentre per poco non mi ci schiantavo.

Afferrai l'asse di legno da cui ci si dava la spinta per la discesa e gettai un'occhiata alle due pesti.

Strabuzzai gli occhi.

<< Fermatevi subito >> gridai alla vista di quei due che si stavano prendendo a manate. 

Perché? Perché a me

Allungai un braccio per acciuffare il mio nano con uno slancio mal studiato. Il piede mi sdrucciolò e in meno di un secondo mi ritrovai spiaccicata sullo scivolo.

La mia cassa toracica accusò il colpo mozzandomi il respiro. 

Nella mente continuavo a farmi la stessa domanda. Perché? 

Cosa dovevo espiare? 

Mi ponevo quei quesiti esistenziali mentre ero lì, distesa e priva di dignità, su un gioco per bambini. 

Una fine davvero ingloriosa. 

<< Nora, tutto bene? >> mi chiesero in coro le mie amiche, sopraggiunte sulla scena della mia disfatta. 

Per lo meno la mia mano era ancora ancorata all'asse di legno. Feci leva su quella per tirarmi su e appigliarmici con tutte le mie forze. 

<< Tutto... a posto >> risposi come se stessi scalando una montagna. 

Con notevole sforzo, vista la botta subita, riuscii a raggiungere i due mostri che continuavano a discutere per quel dannato scivolo. 

Li separai frapponendo le braccia fra loro. << Finitela. Basta, ho detto. >> 

I due pugili in erba si guardarono in cagnesco. 

<< Questo gioco è mio, qui comando io >> rivendicò Tom Riddle, battendosi una mano sul petto. 

Alzai gli occhi al cielo. Mi ero quasi uccisa per quella sciocca lotta di potere? 

<< È mio, ci gioco sempre io. Devi andartene. Sono io a decidere chi può salire >> spiegò l'altro rissoso. Subito dopo mi rivolse un'occhiata dal basso verso l'alto. << Neanche tu puoi salire. >> 

Ma che simpatica pustola. 

Tommaso cercò di scagliarsi di nuovo su di lui, ma feci pressione per tenerli ancora divisi. 

<< Basta, adesso scendiamo tutti di qua >> affermai perentoria. Cercai di afferrare la mano di Tom Riddle, ma lui la strattonò via e mi rivolse uno sguardo fiammeggiante.

<< Non vado via. Non è suo >> s'impuntò arrabbiato.

Notai che la sua maglietta era stropicciata e sporca di terriccio. Un ciuffo di capelli gli stava dritto sulla fronte e una guancia era più rossa dell'altra, con molte probabilità a causa delle manate che si erano dati. 

Vederlo in quel modo mi smosse qualcosa dentro. 

Espirai pesantemente dal naso e dirottai l'attenzione sull'altro mollusco. << Senti, perché non facciamo un bel gioco? Questo su cui ci troviamo adesso è un veliero dei pirati >> inventai guardando entrambi. << Il mare è in tempesta, ma da lontano abbiamo scorto un veliero nemico che sta puntando proprio verso di noi. Abbiamo bisogno di due forti capitani per vincere questa battaglia >> dichiarai battendo un pugno sulla mano. << Ve la sentite di essere voi? >> 

<< Voglio farlo solo io il capitano >> rispose Tommaso.

Forse non c'eravamo capiti. 

Scossi il capo, paziente. << La leggenda narra che solo l'unione delle forze dei capitani... >> Mi soffermai ad esaminarli per cercare dei nomi appropriati. Osservai prima Tommaso, poi l'altro. << Del capitano Ciuffo Ribelle e del capitano Mano Pesante porterà alla vittoria. Allora, volete proteggere questo veliero a costo della vita? >> li spronai alzando il tono.

Entrambi gridarono affermativamente, fracassandomi i timpani. 

<< Bene, allora fate del vostro meglio. Vi lascio al comando >> mi congedai con un saluto militare e tesi la mano verso Irene per farla scendere assieme a me. 

Quando tornai tra le mie amiche tirai un sospiro di sollievo.

Sapevo che sarebbe stato un inferno quel pomeriggio. 

<< Te la sei cavata alla grande >> si congratulò Linda, sfregandomi il braccio. 

<< Solo con qualche costola fratturata >> scherzai facendo spallucce. << Comunque lei è Irene, la piccola di casa >> la presentai sorridendo alla bambina che si era nascosta tra le mie gambe per timidezza. 

Le mie amiche si abbassarono sui talloni per fare le presentazioni e giocare con lei. 

Irene alzò la testa piena di boccoli e mi fece un caloroso sorriso sdentato. 

<< Vuoi andare a giocare con gli altri bambini? >> le chiesi con una carezza.

Annuì ridacchiando e scappò via verso l'altalena, dove si trovavano delle bimbe più o meno della sua età.  

<< È così tenera >> commentò Vanessa. 

<< Stupenda >> aggiunse Francesca. 

<< Sì >> confermai mentre la guardavo seguire le altre bambine con dei saltelli. << Ma voi siete venute qui per Sodini >> ricordai loro, schioccando le dita. 

<< Giusto >> disse Francesca. Si passò un dito sul mento con fare meditativo. << Pensavo che potremmo fare una passeggiata proprio davanti alla rete del campetto e poi tornare qua per ammirarlo dalla panchina. Che ne dite? >> Mosse velocemente le sopracciglia, facendomi ridere. 

Le ragazze annuirono con decisione. 

<< Andate pure, io terrò occupata la panchina >> dissi cacciandole con un gesto della mano. 

Tutt'e tre si sistemarono i capelli e i vestiti prima di incamminarsi verso la loro meta umana. 

Andai ad accomodarmi sulla panchina da cui potevo tenere d'occhio i bambini e simultaneamente le mie amiche che percorrevano un lato del campetto. 

Scorsi Sodini che correva dietro ad un altro giocatore, gli sfilava la palla con un abile movimento di gambe e ripartiva verso la rete. 

Lo avevo visto giocare raramente e solo per qualche secondo. 

Anche se per quell'anno le nostre classi avevano educazione fisica alla stessa ora, non mi ero mai soffermata a guardarlo. 

Conoscevo solo la sua fama di asso negli sport. 

Non m'intendevo molto di calcio, ma da quel poco che stavo vedendo mi sembrava piuttosto bravo. Si muoveva in maniera fluida, rapida e pulita. 

Vanessa, Francesca e Linda stavano camminando con passo cadenzato, lanciandogli furtivamente degli sguardi. 

Non potei trattenere un sorriso. 

Proprio in quel momento Sodini tirò la palla in rete, per poi spalancare le braccia a mo' di fenomeno.

Alzai gli occhi al cielo con riluttanza. Neanche avesse compiuto un'impresa eroica come la mia nel salvare due bambini intenti a scannarsi. 

Mentre tornava a centro campo, dopo le scimmiesche esultanze con quelli della sua squadra, si passò una mano fra i capelli e sollevò lo sguardo sulle mie amiche che, scioccamente, lo stavano ammirando ferme sul posto.

Linda, fortunatamente, fu la prima a ridestarsi. Rifilò una piccola gomitata a Francesca, che la diede a Vanessa, e tutt'e tre ripresero a camminare come se niente fosse. 

A Sodini, che aveva riabbassato il capo, spuntò un sorrisetto. Subito dopo dirottò le sue iridi azzurre su di me, l'espressione irrisoria.

Aggrottai la fronte, non comprendendo quale fosse il percorso compiuto dal suo unico neurone. 

Prima che si voltasse, mi accorsi che si era portato un pugno davanti alla bocca per mascherare una risata.

Ero alquanto confusa. 

Cos'aveva da guardare? E da sghignazzare, poi? 

Decisi di trascurare quei dettagli e d'imputare quello strano comportamento alla sua limitata capacità cognitiva. 

Dopotutto ognuno aveva i suoi problemi, e lui doveva convivere col fatto di essere uno stupido. Non doveva essere facile, poverino. 

Controllai che i bambini avessero ancora tutti gli arti al loro posto. 

Fui felice di constatare che Tommaso stava giocando ai pirati col suo compagno di botte e che Irene si stava facendo spingere sull'altalena.  

Tutto filava liscio. 

<< È una divinità >> annunciò Francesca congiungendo le mani, a pochi passi da me. 

Sprofondò sulla panchina e liberò un sospiro sognante. << Ci ha viste, adesso credo di poter morire felice >> aggiunse. 

Risi e le diedi una spinta scherzosa. << Quale onore. >> 

<< Puoi dirlo forte >> sentenziò, lo sguardo perso nel nulla. 

Era decisamente andata. 

<< E ci pensate che domani avremo ginnastica insieme? >> chiese Vanessa. 

<< Potremo ammirarlo ancora >> rispose Linda, sbattendo velocemente le ciglia. 

Studiai il volto di ciascuna. 

Pareva avessero davvero visto una divinità, e non un babbuino che rincorreva una palla. 

La loro cotta per Voldemort stava raggiungendo livelli preoccupanti. 

<< Bene, ragazze >> dissi battendo le mani sulle gambe. << Perché non mi ripetete quello che avete studiato per domani? Così mi aiutate a finire prima stasera. Vi prego. >> Tirai fuori il labbro e le guardai supplichevole. 

Un'ora dopo avevo la testa piena di nozioni di storia, letteratura italiana e filosofia. 

Sentivo le tempie pulsare convulsamente per lo sforzo d'incamerare quanto più possibile e non lasciarsi sfuggire nulla. 

Sul fronte della letteratura italiana e della storia mi sentivo abbastanza sicura, ma filosofia avrei dovuto ripassarla. 

Ci avevo capito poco e niente su Hegel e la sua Fenomenologia dello Spirito. 

Quello per me era arabo, assieme alla matematica. 

Dopo aver salutato le mie amiche, mi avvicinai ai giochi per richiamare i bambini.

Il sole stava lentamente discendendo verso l'orizzonte, i colori erano più caldi e l'aria si era raffrescata per via del leggero vento sollevatosi. 

Irene mi corse subito incontro, i riccioli che le rimbalzavano sulla testa ad ogni balzello. 

Il ribelle, invece, continuò a fare tranquillamente i suoi comodi. Era troppo occupato ad inseguire un bambino con un rametto per degnarmi. 

<< Tommaso, noi ce ne andiamo >> lo minacciai nel momento in cui mi sfrecciò davanti. 

Il nano si bloccò di colpo e mi rivolse un'occhiata guardinga. 

Intuendo che non stavo scherzando, gettò il tronchetto con riluttanza e si decise ad ubbidirmi. 

La mia supremazia era stata finalmente ristabilita. 

Quando mi fu davanti, mi piegai sui talloni e lo osservai. 

I capelli castani, più scuri di quelli di suo fratello, gli schizzavano in tutte le direzioni. I grandi occhi blu erano severi mentre studiavano gli altri bambini, le guance rosse e la bocca contratta.

Sollevai una mano e, con un gesto lento, l'appoggiai sulla sua testa per sistemargli la capigliatura. 

Non mi sfuggì la sorpresa che gli illuminò le iridi mentre le spostava su di me, per poi tornare ad accigliarsi. 

<< Non mi toccare, befana >> disse, simpatico come sempre. 

Lo ignorai e passai a ripulirgli i vestiti con dei deboli colpetti. Aveva persino delle foglie attaccate addosso, sembrava si fosse rotolato per terra da quant'era sporco. 

<< Ora va meglio >> dichiarai esaminandolo. << Possiamo andare. >>

Mi issasi in piedi e tutti e tre procedemmo verso l'uscita del giardino. 

Lanciai un'occhiata in direzione del campetto da calcio per controllare che anche Sodini si stesse dando una mossa, così da non farci aspettare un'eternità. 

Con somma soddisfazione, constatai che era uscito dal campo insieme agli amici e che... 

Un attimo

Cos'era quel branco di ragazzi che stava venendo proprio nella mia direzione? 

Santo cielo, no. Già dovevo sorbirmi Voldemort, pure i suoi amici no. Era troppo. 

Oltretutto non si trattava di uno o due baldi giovanotti, ma di almeno una dozzina. 

Speravo che tirassero dritto e che neanche uno di loro osasse soffermarsi a guardarmi. 

Avevo ancora gli aloni di trucco attorno agli occhi e sicuramente i miei capelli avevano visto tempi migliori. Tempi in cui non sembravano vittima di una scarica elettrica ad alto voltaggio. 

Sfrecciai fuori dal giardino trascinandomi dietro Irene, Tom Riddle camminava da solo. 

Mi fermai, controllai che il nanetto mi fosse vicino ed attesi che il maggiore ci raggiungesse. 

Quando scorsi il folto gruppo di ragazzi, la mia condizione emotiva era disperata. 

Volevo diventare un tutt'uno con l'asfalto. 

Perché la fortuna non ne voleva sapere di aiutarmi? Non pretendevo che tutto mi filasse liscio, ma almeno qualcosa. 

Insomma, la sfortuna si era davvero accanita con me. E quella ne era l'evidente dimostrazione. 

Mi concentrai su una macchia sulla punta della mia scarpa, facendo finta di non averli sentiti arrivare. 

Dentro di me pregavo che si levassero dai piedi il prima possibile. 

Dopo qualche scontro di mani e conseguente saluto, vidi, con la coda dell'occhio, che alcuni si stavano defilando. 

A quel punto issai il capo per cercare Sodini, nella speranza che fosse pronto per andarcene. 

Incontrai subito i suoi occhi azzurri che mi stavano puntando con un sorrisetto. 

Se non altro era rimasto solo lui, undici preoccupazioni in meno. 

<< Hai chiamato le tue amiche per farmi spiare? >> buttò fuori di colpo.

Per qualche secondo ebbi uno scompenso cardiaco.

Cos'aveva detto? 

Non potevo credere di essere stata beccata per la terza volta in quella giornata. Non potevo essere tanto scarsa. 

Ecco spiegato perché, dopo aver visto Linda, Vanessa e Francesca mi aveva lanciato quell'occhiata beffarda. 

Il sorcio aveva capito. 

Incrociai le braccia sul petto e mi stampai un'espressione altezzosa. << Certo che no, le ho chiamate per farmi aiutare coi compiti per domani. >> 

Lui sollevò un sopracciglio. << Senza libri. >> 

<< Memorizzo di più ascoltando >> mi difesi. 

Gli spuntò un sorriso che la diceva lunga su quello che stava pensando. 

Non credeva ad una sola parola di quello che avevo detto. Ce l'aveva chiaramente scritto in faccia. 

Ruotò le suole delle scarpe e s'incamminò verso la macchina. 

<< Se per te va bene, potrei tornare a casa da qua. Abito vicino >> proposi di slancio. 

Non avevo la minima intenzione di farmi pure il viaggio di ritorno con lui. Non dopo che mi aveva smascherata senza pietà. 

Era una situazione troppo imbarazzante, e per quel giorno ne avevo fatto il pieno. 

Mi guardò con sufficienza, come se fossi stata un lombrico che strisciava per terra. << Fai come vuoi >> disse solo. 

Quant'era simpatico, uno spasso. 

<< Bene, allora vi saluto. Ci vediamo domani. >> Scompigliai i capelli dei bambini, beccandomi un'occhiata omicida dal nano, e m'incamminai verso casa. 

Non vedevo l'ora di lanciarmi sul letto e di abbandonarmi ai sogni. Speravo che almeno quelli sarebbero stati meno imbarazzanti e tragici di quella giornata. 

Respirai a pieni polmoni la brezza del tramonto e distesi le spalle, irrigidite per la tensione. 

Sì, volevo essere positiva. 

Osservai le sfumature rosse e arancioni che screziavano il cielo con un sorriso. 

Com'era il detto? Rosso di sera, bel tempo si spera? 

Be', per me sarebbe stato: rosso di sera, bel giorno si spera. 

E ci speravo ardentemente. 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

Una volta avevo letto una frase che, lì per lì, mi era apparsa troppo drammatica. 

Suvvia, chi poteva definire la propria vita un cimitero di speranze sepolte? Era esagerato.

Avevo cambiato idea. 

Io potevo urlarlo a gran voce. Quella frase era diventata la precisa descrizione della mia vita. 

Dopotutto avevo appena finito di seppellire la speranza del giorno prima sotto cumuli e cumuli di delusione.  

Perché non poteva filare tutto liscio, no. Non a me, almeno. 

Non dopo che la mia professoressa di ginnastica e il professore della classe di Sodini avevano deciso di farci svolgere lo stesso orrido esercizio. 

Consisteva in un percorso ad ostacoli, con delle piccole prove intermedie da risolvere nel minor tempo e con meno sbagli possibili per guadagnarsi il primo posto.

Il trofeo era una torta al cioccolato preparata, apposta per la speciale occasione, dalla nostra professoressa. 

Se si considerava il fatto che stavamo tutti morendo di fame, essendo l'ora prima della ricreazione, il premio era più che ambito. 

Osservai con riluttanza ciò che le diaboliche menti dei nostri insegnanti avevano ordito.

Il percorso iniziava con una capriola sopra un materassino, proseguiva con dieci salti alla corda per poi camminare in equilibrio su una stretta panca, correre contro la spalliera, appendersi e sollevare le gambe per far lavorare gli addominali. Successivamente era richiesto lo slalom tra una serie di sette birilli, si doveva afferrare la palla a terra e compiere dei palleggi contro il muro; da ultimo bisognava correre contro la rete da pallavolo per saltare su un lato, al centro ed infine sull'ultima estremità. 

Era un incubo. Pareva un allenamento per reclute, non per semplici alunni. 

A quello si sommava il fatto che ogni povera vittima in fila per l'esercizio doveva fare i conti con un numeroso pubblico, per lo più maschile. 

<< Ragazzi, andatevi a cambiare in fretta. Così cominciamo! >> affermò entusiasta la professoressa Trotti, battendo le mani. 

Avrei voluto vedere lei al nostro posto.

Mi sarei messa in fondo alla fila, era deciso. Magari non ce l'avremmo fatta a farlo tutti e mi sarei salvata in corner. 

Insomma, eravamo ben due classi per un totale di almeno quaranta persone. 

Considerando che le ragazze avrebbero svolto l'esercizio più lentamente dei maschi, avevo buone probabilità di passarla liscia. 

<< Non mi piace questo gioco, non potevamo fare un torneo di pallavolo? >> si lamentò Linda, mentre appoggiava il suo sacchetto in tessuto con i vestiti sportivi. 

<< Ti capisco >> ammisi sconsolata. << Per questo me ne andrò in fondo alla fila. >> 

Indossai dei leggins neri, una maglietta lunga fino al sedere verde militare ed una felpa del medesimo colore. 

Perfetta per l'occasione, pensai. 

<< Dai ragazze, dobbiamo far vedere di che pasta siamo fatte >> cercò d'incoraggiarci Francesca. 

Si allacciò le scarpe rosa shocking e saltò in piedi, ancorando le mani sui fianchi. << Siamo delle guerriere, anzi, delle principesse guerriere. >>

Sorrisi mentre mi si avvicinava con sguardo minaccioso. 

<< Vero, Nora? >> 

Annuii divertita. 

Francesca possedeva un'esuberanza travolgente. Quando qualcuna di noi si sentiva giù di corda, lei sapeva sempre come risollevarla. Con i suoi metodi, certo, ma ci metteva tutta sé stessa, e quella era la cosa che più apprezzavo. 

Non sopportava che una di noi si desse per vinta, ma si prendeva tutto il tempo per motivarci e strapparci un sorriso.

Mi passò un braccio attorno al collo e guardò Vanessa e Linda. << E voi? Siete convinte quanto me e Nora di essere delle meravigliose principesse guerriere, vero? >> 

Vanessa fece un saluto militare. << Convinta. >> 

Linda sbuffò con un sorriso. 

Francesca si staccò da me e si buttò su di lei, ancora seduta, per pungolarla con un dito. << Non ti ho sentita, devi dirlo più forte. >> 

Risi mentre sistemavo i capelli in un'alta coda di cavallo. 

<< E va bene, sono una principessa guerriera >> accordò Linda tra le risate. << Ma ti prego, smettila di farmi il solletico. >> 

Le altre ragazze presenti nello spogliatoio, alcune di classe nostra e altre di quella di Voldemort, ci guardavano con un sorriso.

Francesca era riuscita a far divertite tutte quante.

Uscimmo dallo spogliatoio e facemmo il nostro ingresso in palestra, dove supponevo fossero già presenti tutti i ragazzi. 

Individuai Sodini che se ne stava seduto su una cattedra circondato dagli amici, dopodiché dirottai l'attenzione sui professori che stavano richiamando tutti all'ordine. 

<< Disponetevi in fila, così cominciamo >> esordì Ciuffini, l'insegnante dell'altra sezione. 

Notai che, malgrado il comando, Sodini non si era mosso di un millimetro. 

Zitta zitta, sgattaiolai verso gli ultimi posti della coda. Lì sarei stata protetta e al sicuro e chiunque si fosse infilato dopo di me lo avrei fatto passare avanti. 

Ero molto generosa. 

<< Prima le ragazze >> urlò un babbuino del gruppo di amici di Voldemort.

Mi voltai di scatto per fulminarlo. Chi era quel topo di fogna che osava mandare all'aria il mio piano ben congegnato? 

Non mi sfuggì il sorrisetto che si era pennellato sulla faccia di Sodini mentre altri due stupidi ripetevano quella proposta a mo' di coro da stadio. 

I suoi occhi approdarono nei miei per osservarmi con un che di sfida, il sorriso beffardo.

Razza di stupido. 

Voleva mettermi alla prova? Ottimo, avrei dato sfoggio delle portentose qualità di una principessa guerriera. 

Lui, il re dei vermi, non avrebbe potuto nulla contro di me. 

<< D'accordo, d'accordo, prima le ragazze. Forza, venite tutte qui davanti. Nora, anche te >> mi richiamò la Trotti, notando che mi ero imbucata in fondo. 

Girai così veloce la testa da frustarmi la faccia con i capelli, ma feci finta di niente e raggiunsi le altre.

Non avrei dato a quel mentecatto di Sodini la soddisfazione di vedermi in difficoltà. 

<< Chi vuole aprire i giochi faccia un passo avanti >> disse la professoressa, i grandi occhi castani che sprizzavano felicità. 

Tutte fecero un passo indietro. 

Mi voltai a guardarle sconcertata. Non ci volevo credere. 

Un tradimento di massa. 

<< Nora >> esclamò la professoressa, entusiasta. << Tu sarai la prima, vai in posizione. Ti dico io quando partire. >>

Guardai quanto distava l'uscita della palestra. E se fossi scappata? 

No, non potevo darla vinta a Voldemort. 

E se avessi finto uno svenimento? Troppo imbarazzante. 

Con somma disperazione, mi resi conto che non avevo scelta. Ero segnata. 

E tutto per colpa di quel sorcio con fattezze umane. 

<< Forza, Nora. Puoi farcela >> mi incoraggiò Linda con una carezza sulla schiena mentre andavo a prendere posto sulla linea di partenza. 

<< Noi facciamo il tifo per te >> aggiunse Vanessa. 

<< Non mollare >> intervenne Francesca. 

Ero inconsolabile. Non vedevo l'ora che quel supplizio finisse. 

Le guardai una ad una con l'umore a terra. << Pregate per me. Ne avrò bisogno. >> 

<< Nora, ci sei? >> mi richiamò la Trotti.

<< Vorrei non esserci >> risposi mesta.

Alle mie orecchie giunse una bassa risata. Un suono estremante odioso che calamitò la mia attenzione su una pustola ancor più odiosa.

Il signorino stava sghignazzando. 

Le mie viscere presero fuoco, il mio sguardo si accese di sfida mentre cercavo di trucidarlo con gli occhi. 

Un suo sopracciglio scattò verso la fronte, l'espressione derisoria. 

Quanto avrei voluto andare lì e tirargli un pugno in faccia. Avrei provato una soddisfazione inestimabile. 

<< Uno, due... >> cominciò a contare la professoressa. 

Il cuore prese a battermi a ritmo sostenuto, le mani che sudavano. 

Non dovevo concentrarmi sulla massa di studenti alle mie spalle. Dovevo immaginare di essere sola e concentrarmi esclusivamente su me stessa. 

Più facile a dirsi che a farsi. 

Una parte di me voleva piangere, dileguarsi e fuggire lontano, l'altra m'imponeva di restare e far vedere a Voldemort di che pasta fossi fatta. 

<< Via! >> gridò la Trotti, schiacciando il pulsante del cronometro. 

Il mio cervello recepì quel comando prontamente. 

Scattai in avanti e mi tuffai sul materassino per fare la capriola. Mi tirai su dritta, ritrovandomi col cappuccio della felpa in testa, e procedetti verso la corda. L'afferrai e cominciai a saltarla il più velocemente possibile. 

Al decimo saltello, l'ultimo, quella stupida corda mi sfuggì da una mano e mi si attorcigliò attorno alla caviglia come un serpente. 

Sbuffai seccata, me la slegai di dosso e la scagliai via con somma stizza.

Ero già sfinita, ci mancava pure quella dannata cosa a farmi perdere tempo ed energie. 

Una volta libera, balzai sulla panca e la percorsi tenendomi in equilibrio con le braccia aperte. 

Corsi alla spalliera, la scalai in fretta e ruotai tutto il corpo per issare le gambe. 

Per sbaglio, e solo per un attimo, i miei occhi misero a fuoco tutte le persone che mi stavano osservando. 

Santo cielo. Due intere classi come spettatrici.

Per una come me, che odiava stare al centro dell'attenzione, era il coronamento di un sogno. O meglio, di un incubo. 

Cercai di scacciare quel piccolo dettaglio e mi lanciai dalla spalliera per atterrare sul pavimento. 

Volai ai birilli e mi prodigai in un slalom piuttosto lento. Non avevo la minima esperienza con quel genere di esercizio, e non eccellevo negli scatti brevi. 

Successivamente acciuffai la palla e feci una serie di veloci palleggi contro il muro, corsi alla rete e conclusi con i tre ridicoli salti finali.

Ero libera. Avrei voluto buttarmi per terra e morire.

Avevo un fiatone da fumatore incallito, e i miei polmoni stavano collassando per lo sforzo. 

Non ero abituata a muovermi e a sudare, in palestra avevo fatto solo una corsetta per non stancarmi troppo. Mi sentivo una vecchietta di novant'anni, in quel momento, appoggiata alle ginocchia per riprendere fiato.  

Le mie amiche mi vennero incontro eccitate. << Sei stata bravissima >> si congratulò Linda.

<< Una vera bomba >> affermò Vanessa. 

Francesca si tirò via un ciuffo di capelli dal viso con un colpo studiato. << Chi aveva ragione? Una principessa guerriera può tutto. >> Mi strizzò l'occhio, strappandomi un sorriso. 

<< Un minuto e trenta secondi, Nora >> urlò la Trotti, alzando in aria il cronometro. << Alberto, segna per favore >> disse poi, rivolta al professor Ciuffini. 

Ce la feci solo a sollevare un pollice e a sorridere. 

Ero senza fiato. 

Mi tirai su dritta e sgranchii la schiena. Sentivo tutti i muscoli tremolanti sia per l'adrenalina che per lo sforzo, ma almeno quel supplizio era finito. 

Ritornai in mezzo al gruppo insieme alle mie amiche e, dopo aver battuto il cinque ad alcuni della mia classe, mi sedetti al muro per essere io la spettatrice. 

Non mancai di rivolgere un'occhiata a Sodini, ma il sorcio non mi stava più guardando. 

Pensava che mi sarei ridicolizzata? Povero illuso. 

Non vedevo l'ora toccasse a lui, stavo pregando intensamente che gli si sciogliesse una scarpa o qualcosa del genere, purché facesse brutta figura.

Non ero cattiva. Agognavo quello che lui aveva sperato per me. 

Le ragazze svolsero l'esercizio una dopo l'altra e in due fecero un tempo di leggermente migliore rispetto al mio. Battei il cinque a tutte loro e mi congratulai con ciascuna. 

A quel punto vidi Voldemort scendere dalla cattedra con indolenza e prendere posizione sulla linea di partenza. 

Si tolse la felpa e la lanciò a un amico, restando con una t-shirt verde e i pantaloni neri della Nike. 

Notai solo in quel momento che eravamo vestiti con gli stessi colori. 

<< È bellissimo >> commentò Francesca. 

Da altre ragazze, tutte sedute sulla mia stessa linea, si alzò un sospiro sognante. 

Mi sporsi ad esaminarle una ad una. Il virus Sodini continuava a mietere vittime, presentavano tutte gli stessi indiscutibili sintomi: occhi a cuoricino, sorriso ebete, pupilla dilatata e lieve rossore sulle guance. 

Scossi la testa, quello era il principio della fine. Sodini aveva innescato un'epidemia di cuori spezzati. 

Udii il professor Ciuffini decretare il "via", così mi voltai ad osservare Voldemort. 

Non ero riuscita a vedere la sua capriola tant'era stato veloce, e non riuscivo neanche a vedere la corda girare da quanto la muoveva rapido. 

Ero impressionata. 

Montò sulla panca e la percorse come fosse stato un gioco da ragazzi, io avevo dovuto lottare con l'equilibrio per sopravvivere. 

Con un salto si ancorò ai pioli della spalliera e issò tutto il corpo, i bicipiti contratti, per svolgere più di quanto fosse stato richiesto.

Alzai gli occhi al cielo. Il solito fenomeno

Proseguì con uno slalom scattoso, i palleggi al muro ed infine i tre salti. 

<< Quarantacinque secondi >> gridò Ciuffini, su di giri. 

Strabuzzai gli occhi e guardai il professore. Non era possibile, quel cronometro si era rotto per forza. 

Non resistetti all'impulso di appostarmi alle sue spalle per sbirciare il risultato. 

Quando lessi il tempo che aveva detto piegai la bocca, delusa. 

Quarantacinque secondi in meno a me, e nessuna scarpa slacciata. 

Neanche a dirlo, il vincitore della torta, dopo che tutti ebbero completato il percorso, fu lui. 

Mentre mi dirigevo allo spogliatoio insieme alle altre ragazze, guardai la scena di lotta che stava avendo luogo al centro della palestra.

Sodini teneva in mano il piatto con il dolce mentre gli altri ragazzi, tra cui molti miei compagni di classe, gli si avventavano contro per rubargliela.  

Lui si ritrasse ridendo, strappò un pezzo di torta e se lo mise in bocca, causando il caos tra gli altri bisonti.

<< Secondo voi se vado a chiedergliene una fetta, me la dà? Sembra buona >> disse Vanessa, lo sguardo perso verso il dolce. 

Appoggiai le mani sulle sue spalle e la trascinai via. 

Se quel babbuino le avesse risposto negativamente, come minimo, avrebbe passato il pomeriggio a piangere. 

<< Domani vi porto una torta al cioccolato fatta da me >> affermai di slancio, per consolarla. 

Alle mie amiche s'illuminarono gli occhi. 

<< Lo faresti? >> mi chiese Linda, congiungendo le mani. 

Sorrisi e annuii. 

Subito dopo ricordai che quel pomeriggio sarei dovuta andare a casa del sorcio, quindi avrei dovuto prepararla dopo cena. 

Sempre se fossi sopravvissuta al nanetto che speravo non mi stesse aspettando armato.

Ma speravo ancora più ardentemente che, pure quella volta, non ci fosse il fratello ad accogliermi. 

La sua vista stava diventando il mio peggior incubo.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

E vabbè, quando uno nasceva sotto il segno della sfortuna doveva per forza convivere con una marea di aspettative disilluse.

Sì, al citofono aveva risposto il sorcio. 

Entrai in casa del nemico chiedendo permesso, per poi chiudermi la porta dietro. 

Lui, purtroppo, spuntò dal salotto con Irene abbarbicata alla schiena, le piccole braccia di lei che gli avvolgevano il collo. 

Sarebbe stato un quadretto carino se lui non fosse stato presente. 

Mi sforzai di sorridere solo per la bambina che mi stava salutando con la mano paffuta. 

<< Da quassù si vedono tante cose >> disse allegra. 

<< Sì, ma ora scendi, Ire >> le rispose Voldemort, abbassandosi sulle ginocchia.

La piccola, come sempre, ubbidì senza farselo ripetere due volte. Era troppo innamorata di suo fratello per non rispettare le sue decisioni. 

Sodini si tirò su dritto ed estrasse un paio di banconote dalla tasca posteriore dei pantaloni che aveva indossato quella mattina per educazione fisica. 

<< Sono quelli di ieri e di oggi >> disse porgendomi i soldi. << Quarantacinque >> aggiunse con un mezzo sorriso mentre li prendevo. 

Afferrai l'antifona. E capii anche perché ci aveva tenuto a pagarmi subito, giusto per infierire sullo stacco di tempo che c'era stato fra i nostri percorsi. 

<< Grazie >> dissi con una nota di stizza nel tono. << Noto con piacere che sai fare i calcoli >> aggiunsi con un sorriso plastico. 

Mi osservò di sottecchi, la luce beffarda nelle iridi azzurre. << A quanto pare meglio di te. >> 

Il mio finto sorriso si spense di colpo per cedere il posto ad uno sguardo truce. 

Bene bene, aveva deciso di girare il coltello nella piaga di tutti i miei punti deboli. Adesso toccava alla disastrosa interrogazione di matematica a cui aveva assistito e che gli aveva rivelato quanto fossi negata per quella materia. 

<< Forse se avessi avuto tempo per riscaldarmi, ci sarebbero stati meno di quarantacinque secondi a dividerci >> gettai fuori d'un fiato. << Ma qualcuno ha rovinato i miei piani >> conclusi irritata.

Incrociai le braccia sul petto e lo guardai dritto negli occhi.

Aveva scatenato la belva che era in me. Stavo facendo appello a tutto il mio autocontrollo per non acchiappargli i capelli. 

<< Forse >> ripeté sollevando un sopracciglio, divertito. 

<< Di sicuro >> mi corressi. 

Il suo sorrisetto di scherno si allargò. << Che peccato, allora. >> 

Basta, lo avrei spelacchiato come il nano aveva fatto con Ambrogina. 

Era chiaro che fosse stato lui la mente di quella proposta, solo che aveva relegato lo sporco compito di urlarla ai suoi fidi scagnozzi. 

E mi era cristallino anche il perché. Lo stupido si era vendicato per il giorno prima, quando avevo chiamato le mie amiche per guardarlo giocare. 

Era stato così gentile da procurare un pubblico anche a me. 

Mi morsi la lingua per trattenere gli epiteti poco carini che stava sciorinando la mia mente e diedi un'occhiata al mio orologio da polso. << Fino alle sette? >> 

Il suo cellulare trillò per un messaggio.

Lo estrasse e, senza degnarmi di una risposta, si avviò lungo il corridoio.

Rimasi lì impalata, con un diavolo per capello ed una vena pulsante sulla fronte, finché non fece ritorno con un borsone differente da quello della palestra. 

Probabilmente si trattava del logo di una squadra di calcio. 

Era talmente preso dal suo telefono che non fece caso al fatto che fossi ancora accanto alla porta d'ingresso, così lo stupido la spalancò di scatto. 

Percepii solo l'impatto con la mia faccia, oltre ad un leggero stordimento. 

Il mio naso fu quello che risentì di più dell'incontro ravvicinato con lo spesso legno del portone. 

Me lo racchiusi tra le mani ed emisi un lamento. 

<< Che stai facendo? >> mi chiese quel demente, atono.

Lo fulminai. 

Se mi aveva rotto il naso avrebbe sostenuto lui le spese per la mia chirurgia plastica. 

<< Niente, mi piace prendere le porte in faccia >> risposi spazientita. 

In tutta risposta, rimase inespressivo. Come se, ancora una volta, stesse dubitando della mia sanità mentale. 

<< Mia mamma sarà qui per le sette >> cambiò argomento, per poi riconcentrarsi sul cellulare. E senza aggiungere altro, se ne andò. 

Se il mio mento non fosse stato compromesso dalla botta, sarebbe caduto a terra. 

La piccola Irene rise, forse della mia espressione sbigottita. 

Mi faceva piacere che, almeno lei, trovasse divertente quella situazione perché per me era inverosimile che quel cafone non mi avesse chiesto come stessi dopo che avevo lasciato la faccia sulla sua porta. 

Ma non c'erano problemi. No, andava bene così. 

In fondo, il criceto nella sua testa lavorava part-time, non potevo pretendere che fosse sempre vigile e reattivo. 

Ma quel giorno mi sentivo così generosa che, sì, auguravo a Sodini di beccarsi almeno una dozzina di letterali porte in faccia. 

Di legno massello. 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Buonasera, ragazze!

Come state? Spero tutto bene.

Ci tengo a ringraziare di cuore chiunque fosse arrivato a leggere fino a qua con la viva speranza che il capitolo vi sia piaciuto. *_*

Vi mando tanti baci e, con l'occasione, ho pensato di lasciarvi un piccolo spoiler del prossimo capitolo.

Alla prossima settimana!! 

Federica~

 

 

Spoiler: 

 

<< La babysitter si dà all'alcool. >> Quella voce e quella frase mi fecero irrigidire come se avessi ricevuto una doccia ghiacciata. 

Non ci volevo credere. 

I miei occhi atterrarono in quelli azzurri di Sodini. 

Lo stupido era lì. Adesso il nome del locale aveva ancora più senso. 

Gli riservai un'occhiata di sufficienza. 

Indossava una camicia bianca risvoltata sui gomiti ed un paio di jeans chiari con alcuni strappi sul ginocchio. I capelli erano scomposti e al contempo impeccabili, lo sguardo pervaso di scherno. 

<< È analcolico >> precisai sollevando il bicchiere. 

E ora puoi sparire, avrei voluto aggiungere. 

Il mio tono seccato sembrò non scalfirlo perché non si mosse di un centimetro. 

<< Mi dai uno dei tuoi dischetti per la bevuta? >> domandò invece, aprendo il palmo. 

Guardai la sua mano aperta con pretesa, poi il suo viso. 

Forse avevo sentito male e mi stava semplicemente chiedendo un baciamano per farsi perdonare di quanto fosse antipatico. 

  

  
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