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Autore: Indaco_    14/05/2020    1 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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Lasciando cocci ed il ragazzo stordito in cucina, senza perdere altro tempo, Sonic si diresse a larghe falcate nelle scale studiando ogni centimetro della casa, sperando che qualche indizio potesse assicurargli che Justin fosse lì. Il primo piano non era messo meglio del salotto: vestiti e polvere tappezzavano anticipatamente il corridoio che collegava le varie stanze. La poca luce che filtrava da una piccola finestra illuminò alcune ragnatele e qualche ragno appresso facendo venire la pelle d’oca al blu.
La prima stanza che aprì si rivelò un piccolo bagno sporco e mal tenuto, non perse nemmeno tempo a dare un’occhiata più approfondita e andò avanti con l’ispezione. La seconda stanza, aperta di tutta fretta, si rivelò ciò che effettivamente cercava: la cameretta di Justin, vuota anch’essa. Con un groppo alla gola, il blu si lanciò al suo interno cercando con lo sguardo il suo bambino blu. Il letto sfatto da un’eternità era un sacco di polvere, le mensole su cui appoggiavano colori e matite erano coperte da una patina di sporcizia e l’odore di chiuso era asfissiante. Tossendo, entrò nella stanza desolata sentendo le gambe rammollirsi, se il piccolo non si trovava lì dove poteva essere?
Facendosi coraggio aprì le altre due stanze sperando di trovarlo. La camera da letto matrimoniale e lo sgabuzzino erano terribili come la casa in generale e soprattutto erano terribilmente desolate. La paura lo prese d’assalto, gli occhi arrossati dalla polvere e dal dispiacere minacciavano di buttar fuori lacrime. Agitandosi tra una camera e l’altra, cercando negli armadi e dentro alla cassapanca, il cuore sembrava volersi staccare dalle arterie e stracciarsi in cento parti.
Portandosi le mani agli aculei e tirandoseli in preda al panico lanciò un’ultima occhiata al primo piano. La paura che potesse essere morto o ferito o chissà cos’altro si faceva sempre più strada nella sua testa aprendogli un vortice di disperazione.
< JUSTIN! >  lo chiamò disperato con quanto più fiato aveva in gola, scaraventando a terra qualsiasi cosa gli arrivasse sottotiro. La vasca era vuota, la doccia idem e dietro alle tende che cadevano a terra solo ragnatele ed insetti. Un lampo improvviso gli balenò tra i pensieri: il garage e il piccolo capanno degli attrezzi non erano ancora stati  rivoltarli da cima a fondo.
Uscendo in fretta dal bagno con il cuore in subbuglio, prese le scale al volo.
< Papà? > mormorò la sua voce dal fondo del corridoio.
Sonic si bloccò di colpo al primo gradino fatto. Lo stomaco fece una doppia capriola e un leggero capogiro lo fece incollare al corrimano. Pregò con tutto il suo essere che quella voce non fosse solo il frutto delle sue speranze e dei suoi desideri. Si girò lentamente cercando di non aspettarsi nulla, non voleva rimanere illuso da quell’abbaglio uditivo. Probabilmente era stata la sua mente debole a fargli sentire la voce caramellosa del suo figlioletto. Infatti, quando si girò e se lo trovò in piedi accanto allo stipite della porta, non riuscì a crederci.
Il bambino aveva un occhio cerchiato di blu ed i capelli spettinati avevano catturato grumi di polvere di vecchia data. Gli sembrò di vedersi attraverso uno specchio. Gli occhi verde evidenziatore lucidissimi e carichi di sofferenza lo scrutarono incerti e sbigottiti, con la stessa intensità di chi non crede a quel che vede. Ma quel dubbio durò poco, iniziando a piangere come un disperato, il riccetto tese le braccia indifeso al ragazzo.
< PAPA’! Sei venuto a prendermi! > gridò con voce chiara e limpidissima mentre la felicità più vera si insinuava nel suo piccolo cuore.
A Sonic tremarono le gambe e si sentì così sollevato e felice nel vederlo quasi sano e salvo che rischiò di buttare qualche lacrima. Papà: l’aveva chiamato esattamente così. Con due falcate lo raggiunse e inginocchiatosi per raggiungere la sua altezza, lo avvolse e lo strinse tra le braccia con foga. Il neo papà affondò la testa negli aculei blu respirando polvere e  grumi di pulviscolo, ma in quel momento gli importava gran poco. Suo figlio era lì, vivo, vegeto e soprattutto vivo! Non poteva desiderare nulla di più.
< Justin! Ma dov’eri? Ti ho cercato ovunque! Ma certo che sono venuto a prenderti tesoro mio! Come stai? Stai bene? Ti fa male? Ti ha fatto qualcos’altro oltre all’occhio? > domandò a raffica controllando con un’occhiata le condizioni del piccino. Il riccetto si asciugò con il dorso della mano gli occhi umidi e scosse brevemente la testa,
< no, torniamo a casa però! Non voglio più stare qui! > mugolò circondando il collo del padre con le braccine. 
La voce acuta e terrorizzata risuonò nelle orecchie dell’adulto facendolo preoccupare. Alzandosi in piedi se lo caricò tra le braccia, l’occhio gonfio cerchiato da una macchia blu lo fece rabbrividire, sapeva benissimo quanto faceva male.
< Certo che torniamo, non appena la mamma arriva, intanto usciamo di qui, ok? >
< Va bene. Avete fatto la pace tu e la mamma ora che sei diventato il mio papà? > domandò con la solita innocenza il bambino incollato a lui. Sonic strinse a sé il piccino e lo guardò allibito,
< c-chi te l’ha detto? >, credeva infatti che, poco prima, l’avesse chiamato in quel modo perché il piccolo lo sentisse  o lo desiderasse, non certo perché conoscesse i fatti accaduti quella mattina. Gli occhi verde evidenziatore lo fissarono felici, cercando di capire se fosse contento o meno di quella notizia,
< Jason. Quando siamo arrivati qua ed io mi sono svegliato, ha spiegato quello che è successo al telefono. E’ per questo che continuavate a litigare tu e la mamma? > domandò con grandissimo acume. Trovandosi in difficoltà in una risposta tanto delicata, decise di rimandare con una scusa per poter parlarne con sua madre e decidere che strategia utilizzare.
< Più o meno. Quando torneremo a casa io e la mamma ti spiegheremo tutto per bene. Intanto andiamo prima che si riprenda > rispose scendendo al piano terra con un po’ di agitazione. Temendo di trovarselo davanti, Sonic lasciò il bambino sulle scale dietro di lui e controllò il salotto che risultò completamente vuoto.
Con i sensi in allerta e continuando a controllare il bambino, si portò con estrema attenzione in cucina e finalmente lo vide: Jason era seduto malamente su una sedia con le mani premute sulla testa.
Alla sua vista, il riccio digrignò i denti e si alzò in piedi tenendosi ben aggrappato al tavolo. Nonostante le braccia tremassero dallo sforzo di mantenersi in piedi, Jason appariva ancora un grosso pericolo: lo sguardo carico di rabbia lanciava fulmini e saette. Sonic non poté che essere felice di vederlo in quello stato: se avesse iniziato un nuovo attacco non sapeva se sarebbe riuscito a tenergli testa.
Senza aggiungere parole, che non servivano in quel momento, il blu decise di smammare il prima possibile da quella casa. Voltandogli le spalle, recuperò il piccolo e uscì a gran velocità dalla porta principale. Con il cuore finalmente alleggerito, a grandi falcate si allontanò dalla casa scavalcando il cancelletto con agilità.
Justin, stretto al petto, aveva circondato il collo del ragazzo con le braccia e aveva sepolto la testa sulla sua spalla, ancora spaventato da quello che era successo. Gli occhi, umidi dalle lacrime, sembravano due grandi smeraldi.
Padre e figlio, visti da fuori, erano molto caratteristici in quel piccolo paese, catturando molte occhiate dai passanti che incrociavano lungo il marciapiede. Attenzioni che innervosirono l’adulto più di quello che già era. Le mani arrossate dal sangue avevano completamente insudiciato la maglia del piccolo e la pelle esposta gli bruciava a causa dei frammenti di vetro parzialmente conficcati. Ma, fortunatamente,  nessuno sembrava aver ancora notato quel dettaglio insolito.
Dopo aver messo tra Jason e loro quanta più distanza possibile, i due si sedettero affianco su una delle panchine che costeggiavano il marciapiede. Sonic respirò profondamente e dopo aver calmato i battiti si rivolse a Justin.
< hai … hai sentito altro al telefono? > domandò cercando di apparire il più rilassato possibile. In verità lo stomaco minacciava di rigettare fuori qualcosa anche se non aveva più toccato cibo da quella mattina.
Il riccetto, con un occhio che sembrava una mongolfiera dipinta di viola, lo guardò dubbioso sforzandosi di ricordare.
< No, non ho sentito più niente mi pare. Quando arriva la mamma? > domandò a sua volta con tono ricco di desiderio. L’adulto sbatté le palpebre perplesso, Justin si comportava con straordinaria naturalezza nonostante la “ novità” del giorno. E questo lo preoccupava, forse non ne era felice e manifestava in quel modo i suoi sentimenti. < La mamma dici? A dire il vero non ho idea di dove sia  al momento. Di sicuro non è ancora arrivata in paese ma provo a chiamarla ugualmente > rispose con franchezza un tantino confuso. Il bambino annuì e si toccò con estrema attenzione l’occhio dolorante.
Il telefono squillò per poco: Amy rispose subito,
< Dio! Finalmente! L’hai trovato? >  il tono di voce era un mix tra la disperazione e la speranza.
< Si, l’ho trovato e sta bene > rispose asciutto Sonic, ora che Justin era salvo dentro di sé sentiva nuovamente crescere la rabbia di quella mattina.
< Oh mio Dio! Grazie al cielo! Dove siete? Passo subito a prendervi, sarò lì tra una mezzoretta di questo passo > esclamò emozionata con le lacrime agli occhi.
Sonic, sebbene condividesse la stessa felicità per aver trovato il piccino, non riusciva a sopportare l’idea di dover condividere il viaggio con lei. Non aveva voglia di fingere davanti al piccino che tutto andasse a meraviglia.
< Ok > replicò silenzioso, chiuse la chiamata e tornò a sorridere al piccolo.


Amy arrivò mezz’ora dopo, come promesso, parcheggiando malissimo a causa dell’impazienza che provava per riabbracciare il figlioletto. Uscì fuori dall’auto di volata, rischiando di venir investita a causa della sua disattenzione e corse forsennata fino alla panchina su cui i due ricci erano seduti.
Justin balzò a terra e corse a sua volta tra le braccia della madre, la quale lo raccolse tra le braccia e lo strinse a sé con adorazione.
< Jus! Oh tesoro, scusami, sarei dovuta arrivare in tempo! Mi dispiace così tanto! > balbettò emozionata la ragazza.
< Mamma! Oh non ti preoccupare! Papà mi ha salvato! > esclamò con gioia cercando lo sguardo del padre. La riccia si irrigidì e guardò Sonic completamente sorpresa da quella rivelazione.
Il diretto interessato si affrettò a spiegare.
< gliel’ha detto Jason. Sa tutto > rispose mantenendo sempre un tono di voce asciutto e leggermente infastidito.
La ragazza non rispose e sorrise forzata al piccino stretto tra le sue braccia.
< Va bene, ne parleremo più tardi. Ma intanto partiamo, non voglio restare qui nemmeno un secondo di più > esortò sollevandosi in piedi.
Justin, appeso alle sue dita, allungò l’altra mano verso Sonic con un sorriso smagliante, come se tutto quello che era accaduto fino a quel momento fosse stato solo un sogno.
Il blu, però, con enorme dispiacere e orgoglio, non prese la mano del figlioletto che assunse un’espressione perplessa. La ragazza, sentendo la resistenza che il figlioletto le dava, si girò incuriosita fissando prima l’uno poi l’altro.
< Sonic? Non vieni con noi? > lo richiamò Amy ritornando con i pensieri a quella mattina. Iniziava già a capire cosa stava accadendo. L’adulto indietreggiò di un passo fingendo una naturalezza completamente assente.
< No, devo smaltire un po’ di … cose > rispose vago non degnandola di un’occhiata. La rosa restò in silenzio per qualche secondo, dispiaciuta da quella situazione di merda.
< Va bene. Ci vediamo quando torni, spero di poterti parlare all’ora > replicò con tono glaciale. Justin si agitò come un pesce fuor d’acqua,
< ma … io voglio che torni con noi! > esclamò nervosamente non capendo perché i due genitori si comportassero in modo così drastico.
Amy sorrise forzata,
< lui va a piedi, arriverà prima di noi così ci avvertirà se ci sono pericoli lungo la strada > inventò di sana pianta raccogliendolo da terra. Justin si zittì e guardò speranzoso Sonic, pregando che si scrollasse quell’aura tanto cupa e tornasse in sé per andare con loro.
L’adulto sorrise brevemente al piccino mentre si allontanava in braccio alla ragazza.
Per quanto gli dispiacesse, tutta quella strada sarebbe stata un’autentica tortura in quel momento. Non la sopportava, non poteva sedersi accanto a quella che gli aveva nascosto il figlioletto per quattro anni. E la cosa peggiore era che non aveva voglia di chiarire nuovamente, la delusione era troppa questa volta, non sarebbe più riuscito a riallacciare i rapporti con lei. Non dopo questo.


Tornati a casa, Amy si occupò della melanzana viola del figlioletto. Da una parte era felice, sapeva con certezza assoluta che quella era l’ultima ferita che il suo ex infliggeva al piccolo. Dall’altra, temeva per quello che sarebbe successo da lì a breve: Sonic era giustamente incazzato nero e stavolta non era come tutte le altre volte. Sentiva il muro che si era instaurato tra loro e temeva che stavolta non sarebbe stata in grado di valicarlo. E di quello era terrorizzata.
Tutto quel gran daffare per riunire la piccola famigliola non sarebbe servito a niente.
Comunque non aveva più importanza ormai, Sonic non era ancora tornato e loro, o meglio, lei doveva andarsene. Dopo aver preparato una veloce cena la riccia iniziò subito a preparare le valigie.
Blaze si era resa disponibile per ospitarli nonostante fosse stata avvisata in tarda serata e di questo la riccia ne era felicissima e più che riconoscente. Voleva che quella forma di ospitalità durasse pochissimo: al massimo qualche settimana, non voleva approfittare della gentilezza della cugina.
Justin, che in quel momento era sdraiato sul divano a guardare cartoni, era confuso: ora che conosceva la verità sul padre non aveva la minima intenzione di andarsene: voleva vivere con lui e con la madre. Aveva passato l’intero viaggio in macchina a fare domande su Sonic e a fantasticare la vita che li attendeva e non aveva intenzione di rinunciarci.
Amy piegò un altro paio di pantaloni e li infilò con cura meticolosa in una borsa da viaggio riflettendo sul fatto che avrebbe dovuto iniziare a cercarsi un lavoro il prima possibile.
< Jus? Preferisci il completo rosso con il drago o quello blu a righe? > domandò indecisa su quale portare via, già adesso iniziavano ad accorciarsi, tanto valeva farlo scegliere al piccolo. Justin apparì come un fantasma al suo fianco facendola sobbalzare, a volte persino lei dimenticava della sua velocità anormale. Guardando attentamente i due outfit proposti dalla madre iniziò a grattarsi la spalla nervoso.
< dobbiamo proprio andare? > domandò con evidente dispiacere. Amy sospirò e lo prese in braccio pazientemente.
< sì Jus > rispose scostandogli i lunghi aculei dalle spalle.
< Sonic non vuole esserlo? > mormorò a bassa voce,
< certo che si! Te l’ho già detto tesoro, Sonic è felicissimo di essere tuo padre! >
< ma perché non è qui allora? E perché dobbiamo andare via se lui è felice? > attaccò nervoso mentre una piccola vena sul collo iniziava a pulsargli.
Amy non si sorprese di quella reazione e cercò di rispondere in modo esauriente e concreto. Un sospiro profondo le uscì dal petto prima di aprire bocca.
< Dobbiamo andare via perché io e lui abbiamo in un certo senso litigato. E per me sarebbe molto scortese rimanere qui e approfittare della sua gentilezza. Ma ti posso assicurare che tu e lui vi vedrete come sempre > rispose sbrigativamente preferendo non toccare quell’argomento. Justin  la guardò con gli occhioni spalancati,
< no mamma! Non possiamo andarcene! Papà vuole tanto bene anche a te! Dovete fare la pace! > esclamò con voce acutissima scivolandogli dalle braccia e atterrando perfettamente sul pavimento.
Amy si spazientì, non volendo approfondire quel tema tentò di arginare il problema.
< ma certo che faremo pace. Ma dobbiamo dargli un po’ di tempo! > sbottò alzando la voce nervosa.
Justin si acquietò un po’, ma guardando a terra si oscurò e una piccola lacrima gli rotolò dall’occhio colpito.
< però non è giusto > balbettò asciugandosi la gota con il dorso della mano.
La ragazza venne assalita dai sensi di colpa: il figlioletto intristito gli strinse il cuore, soprattutto perché aveva terribilmente ragione. Se lei avesse parlato prima, tutto questo non sarebbe mai successo, anzi, forse, in quell’esatto momento, loro tre sarebbero andati a festeggiare come una vera famiglia e Sonic sarebbe rimasto al suo fianco.
Il ragazzo le mancava terribilmente e la paura di averlo perso completamente l’angosciava più di qualsiasi altra cosa.
Con un peso nel cuore gli si inginocchiò di fronte e lo guardò dritto negli occhi, identici a quelli del padre.
< Justin? Se … se vuoi puoi rimanere qui con lui per un po’, non è necessario che tu venga con me > esclamò con enorme difficoltà pregando che la risposta fosse “no”. Si fidava ciecamente di Sonic ma l’idea di staccarsi da lui per giorni interi la faceva impazzire. Il riccetto alzò gli occhi sorpreso e ci pensò un po’. L’idea non gli piaceva moltissimo, odiava dover rinunciare all’uno o all’altro. Staccarsi da sua madre per stare con Sonic non gli sembrava giusto, come non gli sembrava il contrario.
< No, se vai via tu vengo anch’io > borbottò abbattuto come mai era stato.

Spazio autrice: Salve! Come state? Ecco un nuovo capitolo, qualsiasi correzzione o consiglio è ben accetto! A presto!
Baci.
Indaco
  
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