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Autore: crazyfred    16/05/2020    4 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 - Me e te, insieme

 

 






Le feste natalizie erano trascorse, così come le celebrazioni per il nuovo anno. La vita, a San Candido, tornava a scorrere tranquilla. Le casette di legno dei Mercatini in centro erano state smontate, le luci e le decorazioni non illuminavano più le strade e le case, i turisti non scendevano più a valle per il passeggio, ma limitavano ad affollare le piste ed i resort in alta quota.
Anno nuovo, vita nuova: sembrava essere il mantra di tutta la compagnia. In particolar modo di Emma, piena di vita e nuovi propositi; la giovane etologa aveva, infatti, iniziato a mettere in piedi un nuovo progetto da proporre al Comune: far avvicinare i bambini, sia quelli del paese e quelli della comunità di migranti che abitavano nello SPRAR, alla fauna dei boschi limitrofi, attraverso lezioni frontali, lavoretti manuali di gruppo e naturalmente lunghe passeggiate nei boschi; Francesco aveva approvato da subito la sua iniziativa, da marito, che aveva ritrovato la Emma solare e un po' matta dei loro primi incontri, e da Comandante della Forestale, perché significava accompagnare la comitiva per i boschi come guida e scorta. Lui, che come proposito dell'anno nuovo aveva deciso di dedicare quanto più tempo poteva a sua moglie, aveva trovato il modo perfetto; naturalmente le aveva fatto promettere di non strapazzarsi troppo e di tenerlo sempre aggiornato, senza fare, come al suo solito, l'eroina in solitaria.
Lavorare insieme, anche solo per stilare una relazione o tracciare una mappa, li riportò indietro ad un paio di anni prima, quando Emma si trasferì a San Candido per studiare sul campo, da dottoranda, i branchi dei lupi che popolavano quell'area delle Dolomiti. Anche Francesco, come Emma, era approdato da pochi giorni sulle sponde di quel lago, che ora era diventato letteralmente la loro casa, quando, per uno strano scherzo del destino, Francesco si trovò a salvarle la vita a seguito di una bravata: lei non sapeva nuotare e, ciò nonostante, aveva deciso di provare a fare un bagno nel lago. Francesco, quando ci ripensava, ancora scuoteva la testa, incredulo e divertito. Ricordava come se fossero passate solo poche ore quel primo incontro, quella ragazza che a lui era sembrata sciroccata, ma che lo aveva travolto con il suo sorriso e con quella luce che le veniva da dentro. Non potevano sapere, allora, che lei avrebbe restituito il favore in più di un'occasione, prendendolo per i capelli e tirandolo fuori da quel baratro fatto di solitudine e dolore, in cui era sprofondato a seguito della morte di suo figlio. Lui si sentiva sempre in dovere di salvare tutti, per compensare il peso della colpa che sentiva addosso come un macigno, credendosi esclusivamente responsabile della tragedia accaduta al figlioletto. Senza accorgersene, però, lei aveva salvato lui; lei che era malata, lei che rischiava la vita ogni singolo giorno, lo aveva spinto a rischiare, a vivere, perché ne vale sempre la pena. "Bisogna lottare" lo aveva spronato, in lacrime "e bisogna andare avanti". 
E lo stava facendo: lottava, ogni giorno, per lasciarsi i fantasmi alle spalle, andando avanti, facendo riaffiorare solo i bei ricordi, anziché le tragedie e gli incubi. Con Emma al suo fianco, tutto era più semplice.
 Con l'avvicinarsi dell'ultimo controllo post operatorio però … non proprio l'ultimo, perché regolarmente avrebbe dovuto farne, ma era quello cruciale, l'aria in casa Neri si era fatta alquanto tesa. La voglia di liberarsi di quel macigno definitivamente, l'attesa per il responso sulla fattibilità di una gravidanza per Emma e la paura che ci fossero delle complicazioni, avevano reso i due un po' scostanti. Complice anche una lieve influenza, Emma teneva Francesco a distanza, più di quanto lui desiderasse. Aveva persino voluto andare da sola a fare i prelievi e gli altri esami prescritti dal neurochirurgo. Alle rimostranze di Francesco, aveva risposto con delle scuse un po' balorde, che avevano messo l'uomo un po' all'erta. Terrorizzata com'era dagli aghi, nonostante ormai fosse avvezza alla pratica clinica, non avrebbe mai affrontato quella tortura da sola, se non costretta.
Il giorno della visita, all'orario concordato, Francesco andò in caserma di mattino presto, in borghese, per sistemare alcune disposizioni per la giornata ma, all'orario concordato con la moglie, lasciò tutto e scese le scale della caserma per aspettarla nel parcheggio. Emma già l'aspettava. Si vedeva da lontano un miglio che era agitata: passeggiava avanti ed indietro di fianco alla sua auto, giocherellando con il portachiavi, nervosamente. "Emma" la chiamò, andandole incontro. Lei azzerò la distanza, abbracciandolo forte. In quell'attimo tutti i sospetti e le paure di Francesco svanirono. Sentirla vicina, sentire che aveva bisogno di lui, gli rimetteva sempre l'anima in pace.
Mentre si mettevano in auto, Vincenzo si buttava giù per le scale a capofitto, sbracciandosi per richiamare l'attenzione del forestale "France'! Francesco!" strillò. Affannato dallo sforzo atletico, poco consueto per il Commissario, avvisò l'amico e collega che c'era stato il ritrovamento di un cadavere sulle piste da sci sotto la parete nord del Picco del Vallandro, su una pista rossa. Era quindi necessario che la forestale lo accompagnasse in quota con i suoi mezzi.
"Chiedi a Valeria" rispose Francesco. "Ma come?" chiese stupito il commissario "non sei tu quello che quando c'è un omicidio è sempre il primo ad arrivare sul luogo del delitto e puntualmente mi togli pure la soddisfazione di risolvere il caso?"
"Non questa volta" ribatté, lasciandosi scappare un leggero sorriso "devo accompagnare Emma in clinica … ultimo controllo"
Rientrato in auto spiegò la situazione ad Emma. La donna, per tutta risposta, lo invitò ad accompagnare Vincenzo.
"Ma che stai dicendo?" domandò stupito. "Ti dico di andare, tranquillo … guido piano e sto attenta, promesso"
"Non c'entra niente la guida … o meglio non è solo per questo" ribatté l'uomo, cercando di trovare una logica nelle parole della moglie "non possono non starti vicino oggi. Non voglio lasciarti da sola". Non voleva dirlo ad alta voce, ma tanto si erano capiti comunque. Se fossero arrivate brutte notizie, Francesco non si sarebbe mai perdonato di non essere stato lì, vicino a sua moglie.
"Non succederà nulla di male, vedrai" rispose lei, fiduciosa, pizzicandogli la guancia"e poi non voglio vederti imbronciato perché devi farti aggiornare da Vincenzo anziché essere in prima persona sul caso".
Adesso l'uomo era quasi sul punto di offendersi e arrabbiarsi. C'era stato un periodo in cui il lavoro era diventata la sua ossessione, lo aiutava a scaricarsi la mente dai pensieri e dalle preoccupazioni che la sua vita gli dava, ma non c'era altro posto in cui volesse essere in quel momento, se non affianco alla donna che amava e che aveva bisogno di lui; tuttavia quelle parole furono pronunciate con quel suo sguardo un po' birichino e a tratti seducente, a cui Francesco non sapeva resistere. Morale della favola, Emma riuscì ad avere la meglio e ad andare da sola a Padova, a tre ore d'auto di distanza, lasciando Francesco nel panico più totale. Vincenzo si pentì ben presto di averlo interpellato, aggrappandosi con tutte le sue forze alla maniglia d'appiglio e chiedendo la grazia alla Madonna di Pompei: la sua guida "sportiva", infatti, era peggiore del solito; avrebbe anche vomitato, se non fosse stato troppo impegnato a cercare di rimanere in vita. Una volta in quota, d'altronde, il capo della forestale non fu particolarmente d'aiuto. Con la pessima ricezione del cellulare, passò metà del tempo alla radio, per accertarsi se per caso Emma avesse lasciato messaggi per lui in caserma.
Come se non bastasse, a rendere il suo umore da nero a nerissimo contribuì anche sua moglie: invece di aggiornarlo costantemente, la donna decise di lasciargli solo qualche breve vocale informandolo dell'arrivo e della ripartenza, senza specificare l'esito del consulto, risolvendo, alla sua richiesta di maggiori dettagli, con un laconico "ne parliamo a casa". La cosa lo faceva stare sulle spine. In quelle condizioni, mentalmente fuori uso per il lavoro, tornò a casa prima. Sperò che sfogarsi con la legna da tagliare e preparare la cena lo avrebbero distratto. Tuttavia non riusciva togliersi dalla mente il pensiero di quello che Emma avrebbe potuto riferirgli e di certo non erano buone nuove se lo aveva liquidato così freddamente. Sperava non facesse sciocchezze ed era quasi sul punto di chiedere a Martino di tracciare il GPS del suo cellulare quando, quasi alle nove di sera, Emma non era ancora rientrata. Catastrofico com'era, non poteva che immaginare scenari apocalittici … ma, mentre indugiava in ipotesi e in strategie di problem solving, sentì il cigolio della porta d'ingresso che annunciava il ritorno di sua moglie. L'anticipò nell'aprire la porta del cucinino "Emma, Dio mio dov'eri? Mi hai fatto morire di paura!!!" esclamò, abbracciandola forte.
"Sì lo so perdonami" si scusò lei, stampandogli un bacio sulle labbra "ma mentre ero di ritorno sono passata davanti alla casa- famiglia e non ho saputo resistere, sono andata a trovare Leo". Leonardo era, come molte cose e persone nella vita di Emma e Francesco, un fulmine a ciel sereno, catapultato al momento sbagliato e nel modo sbagliato. Come se il destino non avesse già giocato abbastanza brutti scherzi ai due, per un certo periodo di tempo avevano creduto che fosse figlio di Francesco e della sua prima, defunta moglie, Livia. Francesco le attribuiva alla sua memoria il rispetto che si deve alla madre del proprio figlio, ma non si poteva dire che la donna lo avesse trattato con lo stesso riguardo, quando era in vita. Fin quasi all'ultimo lo aveva ingannato, insultato, persino incolpato della morte del loro figlio che era stata solo uno sfortunato, terribile incidente. Quando lui ed Emma si stavano avvicinando li aveva denigrati, nonostante la loro unione fosse finita da tempo, per poi allontanarli e mettersi tra loro, al solo scopo di controllarlo. Fino all'ultimo lo aveva raggirato, inventandosi l'esistenza di un secondo figlio, concepito poco prima della morte di Marco. Scoperta la verità su Leonardo, frutto di una relazione di Livia con Kroess, Francesco aveva iniziato a dubitare tutto di quello che le aveva detto. Non c'era ormai più modo di scoprire la verità, anche Kroess era morto ed anche lui, come Livia, aveva alle spalle una storia di bugie ed inganni. Come poteva fidarsi?! Leonardo, però, non aveva colpe, non era giusto che pagasse per i reati e le colpe dei genitori. Affidato di nascosto alle cure di genitori adottivi neo-nazisti e assassini, si era ritrovato, solo, in una casa-famiglia. Le sorelle adottive mandate da una zia in Germania e Klaus, il fratello adottivo, maggiorenne, era rimasto a San Candido, a prendersi finalmente un diploma dopo che il padre lo aveva allontanato dalla scuola. Ma non era veramente suo fratello, l'adozione era stata illegale e non poteva occuparsi di lui, per quanto gli volesse bene.
Francesco, per quanto consentito, avevano iniziato a prendersi cura di lui: non perché Kroess glielo avesse chiesto, in punto di morte, né per le preghiere tra le lacrime di Ingrid, sua madre adottiva che gli voleva bene sinceramente, ma perché era per sempre il fratello del suo Marco e non lo avrebbe mai lasciato solo. Emma naturalmente aveva compreso la situazione e aveva accompagnato Francesco in questo percorso: non era facile occuparsi di un bambino che si è trovato senza genitori da un momento all'altro, genitori il cui marcio non aveva potuto comprendere. Era solo un piccoletto di 4 anni, che viveva tra le montagne e i cavalli del padre e che amava giocare con i fratelli e andare a spasso nei boschi. Come dirgli chi erano i suoi genitori adottivi e che quelli veri non erano tanto meglio? Per adesso, si limitavano ad andare a trovarlo più che potevano, portandolo a spasso, facendogli passare più tempo che potevano con loro, in attesa che un giudice valutasse la migliore soluzione possibile.
"E allora? Non devi dirmi niente?" incalzò Francesco. "Sì, perdonami …" sospirò Emma, poggiando borsa, giaccone e malloppo di carte sulla poltrona di fronte alla grande porta-finestra che affacciava sulla terrazza "è andato tutto bene, come previsto." "Sicura?" chiese Francesco, titubante. Era troppo tranquilla, stranamente placida. Le altre volte, quando uscivano dalla stanza del neurochirurgo era tutta risate, abbracci e baci, era una lotta tra i due per contenere la sua euforia in luogo pubblico. Invece questa volta, per quanto i suoi occhi sembravano sinceri e luminosi come quelli di chi riceve buone notizie, Emma era inspiegabilmente distaccata, come se fosse andata ad un appuntamento in banca anziché ad una visita neurologica. Francesco temeva che stesse mentendo, anche solo per proteggerlo. "Sicura sicura?" ripeté, sollecitandola. "Ma siiiì!" lo rassicurò, tendendogli una carezza "Sono solo stanca…". Gli sorrise, porgendo la cartella clinica, seppur distrattamente, impegnata a cambiarsi in più comodi abiti da casa "Queste sono tutte le analisi, leggi tu stesso i referti". Forse doveva smettere di preoccuparsi inutilmente, si disse Francesco, mentre provava a dare un senso a quei fogli di analisi specialistiche. Forse era veramente solo una questione di stanchezza, d'altronde aveva dovuto fare un viaggio di ben sei ore tra andata e ritorno; doveva incominciare ad essere meno apprensivo con lei e meno severo con sé stesso. Emma, mentre Francesco scorreva con attenzione tutti i referti, si era messa a sbirciare sotto la pentola fumante in cucina, visto che l'odore l'aveva avvolta appena aveva messo piede in casa. Zuppa d'orzo e speck, la sua preferita.
"E quindi?" domandò Francesco; non voleva metterle pressione, ma al contempo era un desiderio che entrambe avevano, non se l'erano mai nascosto, perché nasconderselo proprio in quel momento. "Quindi cosa?" replicò lei.
"Adesso possiamo iniziare a pensare di avere un bambino?"
Emma sorrise, abbassando lo sguardo, tra l'imbarazzato e il divertito, mentre portava i piatti sul piccolo tavolino che Francesco aveva sistemato di fianco alla stufa. Emma adorava come lui aveva sistemato la palafitta, pratica ed essenziale, come erano loro. Si ricordava ancora il magazzino che aveva trovato quando si era avventurata di nascosto a sbirciare quella che una volta era la casa del suo amico Pietro. Era inciampata tra i remi di una vecchia barca e un kayak. Richiamato dai rumori, Francesco accorse all'interno. Francesco, ancora Francesco, sempre Francesco. Due anni dopo, quello stesso magazzino era diventato la loro garçonnière. Prima o poi doveva succedere, ma le sarebbe dispiaciuto lasciarla.
Alla sua risposta affermativa, Francesco la incalzò, avvicinandosi pericolosamente: "anche subito?", la voce profonda e calda. Emma lo scrutò, interdetta e sorpresa dalla reazione di suo marito. L'ultima volta che aveva avuto uno sguardo simile posato su di lei, come di chi ti sta mangiando con gli occhi, Francesco era tornato in palafitta fradicio per un temporale, non stavano neanche insieme, e a fatica era riuscita a controllare la tentazione di saltargli addosso. Ma non sarebbe stato da loro se fosse successo, se ne sarebbero pentiti entrambe ed avrebbe rovinato tutto quello che loro erano insieme. Quando erano insieme, d'altronde, entrambi cercavano dolcezza, romanticismo, forse un leggero trasporto … non di certo la foga, energica come una fiamma viva, ma veloce nell'ardere come un foglio di carta. Ma, del resto, non si può dire che la loro fase da luna di miele era conclusa. 
"Signor Neri!" lo riprese fintamente, giocando con l'orlo della maglietta di suo marito "cosa ha intenzione di fare? La prego di elaborare il suo concetto di subito…"
Francesco non se lo fece ripetere due volte. Con un movimento repentino, prese Emma in braccio e tra le risate la fece allungare sul letto. "Cos'è … adesso non sei più stanca?!" ironizzò lui, portandosi sopra di lei. Le pagliuzze dorate che impreziosivano i suoi occhi verdi, avevano invaso completamente i suoi iridi, come oro colato. Emma ci si sarebbe persa in quegli occhi da cerbiatto.  "Scemo!" protestò, tra le risate, tirandogli un debole scappellotto, ma tirandolo verso di sé.
La cena, in tavola, era decisamente destinata a freddarsi.
 
Nonostante Emma avesse, di fatto, tentato di fugare ogni paura dalla mente di Francesco, in lui persisteva il dubbio che la moglie gli stesse nascondendo qualcosa. Benché sembrava che la giovane avesse finalmente metabolizzato l'esito negativo delle analisi e quindi la sua guarigione, rendendola particolarmente di buon umore, c'erano dei momenti in cui sembrava distratta, sovrappensiero. La situazione privata, di conseguenza, non aiutava Francesco sul luogo di lavoro.
L'esame autoptico aveva confermato l'ipotesi di omicidio ed era venuto fuori che la vittima, noto albergatore della zona, non solo era dedita al bracconaggio, ma era anche implicata in un traffico illegale di selvaggina. La presenza del Comandante Neri e della sua squadra nelle indagini, dunque, si erano rivelata ben più del solito aiuto al commissario e un diversivo alla routine dell'ex militare prestato alla Forestale, diventando ben presto un filone investigativo collaterale non meno importante.
Nel corso di un briefing con il Magistrato, Nappi notò quanto Neri non fosse presente e propositivo come al solito, ma si limitasse all'esposizione del rapporto come fosse il compitino delle elementari fatto a casa da leggere in classe.
"Tutto bene, France'?" gli domandò, mentre erano in auto, di ritorno da Bolzano. Era sicurissimo, Vincenzo, che qualcosa non andasse: la guida di Francesco era stranamente pulita e soprattutto conforme ai limiti di velocità. Ma dall'amico non arrivò nessuna risposta. "Ora … io lo so che a te piace fare al gioco del silenzio, ma a me no … quindi trova un argomento di conversazione, perché dobbiamo passare 1 ora e mezza in quest'auto insieme. E il calcio nun te piace, di sport invernali nun ce capisc na mazza… vogliamo parlare di femmine?! Che ne so…di Emma?!"
"Perché vorresti parlare di Emma?" domandò il forestale, svegliato dal suo torpore e allertato da questa strana richiesta.
"Eh, e perché secondo te? Perché quando stai strano guarda caso c'è sempre Emma di mezzo. O mi sbaglio?"
No, non si sbagliava. "Sono preoccupato." Spiegò, telegrafico. E quando mai?, avrebbe voluto rispondere Vincenzo, ma valutò che non fosse il caso di essere così duro, sebbene fosse dell'opinione che, per il bene che i due si volevano, si facevano davvero sempre troppi problemi. "Che c'è? La visita dell'altro giorno non è andata bene?"
"No, no, è andata benissimo." "Ah! Mi fa piacere! E che dicono per quell'altra questione?" La questione erano i bambini, ovviamente. La grande questione che teneva banco nei pettegolezzi in pausa caffè e nel chiacchiericcio delle comare della parrocchietta. Sì, anche a San Candido le perpetue non si facevano mai i fatti loro. Secondo Vincenzo era una mutazione genetica che colpiva chiunque occupasse quell'incarico. "Che non c'è problema…semaforo verde" spiegò Francesco. "Bbuono!....e allora, che ré? France' non mi dire che t'ha già sfiancato perché così mi deludi. N'ommene grande e grosso comm'a te messo k.o. da nu fatte ginnico?!"
Francesco non poté far a meno di ridere alla battuta del suo amico. Era stato difficile costruire un rapporto tra i due, così solare Vincenzo, perennemente imbronciato Francesco. L'uno ligio al dovere e alle regole, l'altro sempre pronto ad andare contro i protocolli se il fine lo giustifica. A differenza del Comandante precedente, per cui Vincenzo nutriva un timore reverenziale, l'essere coetanei aveva dato a Vincenzo l'intraprendenza di imporsi alle continue intrusioni di Francesco nelle sue pertinenze. Risultato: avevano iniziato a collaborare quotidianamente. Le doti investigative del comandante della forestale erano risultate indispensabili e poi, con il tempo, il loro rapporto si era tradotto in qualcosa di più di una semplice stima professionale. Erano diventati fratelli. In particolar modo, Francesco era stato presente, pur rispettando spazi e silenzi, quando Eva aveva lasciato Vincenzo da solo con la bambina ancora nel nido del reparto di Maternità. Senza troppe parole gli aveva mostrato come cavarsela nelle piccole cose di ogni giorno per quanto, e questo Vincenzo non osava nemmeno immaginarlo, la cosa potesse fargli male e far riaffiorare ricordi belli quanto dolorosi. Ecco perché il commissario, pur non essendo particolarmente fortunato in amore, era stato vicino al suo amico e alla sua compagna, vedendo nascere il loro sentimento e vegliandoli da lontano.
"Non lo so Vincenzo, è come se mi stesse nascondendo qualcosa"
"France', so femmine…ci nascondono sempre qualcosa, per noi maschi sono esseri misteriosi, a prescindere"
Vincenzo lo sapeva bene. Persino sua figlia, 11 mesi di rotolini di ciccia sulle gambette e guanciotte rosa sapeva nascondergli le cose. Un sorrisino, un versetto buffo e ti eri già dimenticato che ha fatto rovesciare tutta la purea di piselli oppure aveva colorato il bagno con i trucchi che Isabella puntualmente lasciava in giro.
"Scherzi a parte" proseguì "cosa ti fa pensare che ti stia nascondendo qualcosa"
"Ripeto…non so…è strana, a volte è di buon umore, dolce, simpatica e magari il giorno dopo è imbronciata e anche assente … e quando è così non posso fare a meno di pensare che ci sia qualcosa che non va"
"Ma perché dovrebbe esserci qualcosa che non va…se dovesse esserci qualcosa che non va per ogni volta che una persona si sveglia con la luna storta…"
Francesco inchiodò l'auto in una frenata repentina. Vincenzo nemmeno si era accorto che erano entrati in una stazione di servizio. "Sì, ma non tutti sono sopravvissuti ad una operazione al cervello con annessa emorragia cerebrale, Vincenzo" sbottò l'amico, slacciando la cintura e fiondandosi fuori dall'auto per fare benzina. Nell'uscire sbatté energicamente la portiera del suo fuoristrada, infastidito dalle parole di Vincenzo. Il commissario si morse la lingua per quello che aveva appena detto; si sentiva terribilmente mortificato per aver fatto passare i problemi di salute di Emma per semplici sbalzi d'umore. Aveva visto la paura negli occhi di Francesco, il terrore, non tanto di rimanere di nuovo solo, quanto piuttosto di perdere la sua principale ragione di vita. L'aveva visto prendere a calci un malcapitato distributore automatico quando gli dissero che l'aneurisma si era rotto durante l'intervento, provocando un'emorragia cerebrale e che forse non ce l'avrebbe fatta a superare le prime 24 ore dopo l'operazione, l'aveva visto piangere crollando a terra quando al sesto giorno di coma, Emma non dava segni di miglioramento e gli si era aggrappato al collo, piangente come un bambino e l'aveva raccolto da terra, stremato. Voleva solo un briciolo di felicità per i suoi amici, voleva vederli sorridere come quando Francesco l'aveva chiamato al telefono per dirgli che Emma si era risvegliata, come quando era tornata finalmente a casa o come quel giorno che lui e Francesco l'aspettavano dentro la piccola chiesetta di montagna dove si erano detti quel sì tanto sudato. Non chiedeva altro.
Rientrato in auto, Francesco non aveva ancora smaltito il disappunto per le parole di Vincenzo. Dal canto suo sapeva di essere troppo impulsivo, di non essere spesso in grado di ascoltare, ma credeva che Vincenzo avesse un po' più di giudizio e di rispetto nei confronti di quello che avevano passato.
"Scusa" sentì la voce sommessa dell'amico, sinceramente rammaricato, mentre una mano gli si posava sulla spalla, a scuoterlo. "Sono sicuro che non è niente, vedrai, magari è solo un malanno di stagione oppure questioni … come dire … ormonali. Fidati di lei"
Annuì, accennando ad un sorriso. Lo faceva, ogni giorno; anche quando gli era costato grande fatica, quando fidarsi di lei significava accettare che c'era più del 50% delle probabilità di perderla.
 
Circa una settimana dopo, una domenica sera, Francesco aveva invitato Emma fuori a cena. Il giorno dopo sarebbero stati 3 mesi dal loro matrimonio. Il forestale non amava mettersi in ghingheri, il suo concetto di eleganza era traducibile in jeans e camicia bianca il più delle volte. Fargli indossare l'abito scuro, il giorno delle nozze, fu per Emma un'impresa non indifferente; riuscì a raggiungere un accordo soddisfacente permettendogli di lasciare la cravatta nel cassetto.
Da buon lupo solitario, Francesco detestava i locali affollati nel weekend, le comitive di amici che scolavano birra guardando la partita in tv, le pettegole che si guardavano intorno per giudicare questa o quella mise e, naturalmente, i tavoli con i bambini. Piagnucolanti, urlanti, scorrazzanti. Non aveva nulla contro i bambini, anzi solo il cielo sapeva quanto ne volesse uno, ma la combinazione con i ristoranti non gli andava proprio giù. Per questo preferiva rimanere nella sua bella casa sul lago: nessun ristorante al mondo poteva competere in quanto a panorama, lo chef era più che discreto e il prezzo impareggiabile. Ma il suo motto era "non privare Emma di nulla". Quello che voleva lui importava relativamente; Emma amava socializzare, stare in mezzo alla gente e lui si sacrificava volentieri per lei, esattamente come lei, per lui, rinunciava a tanti svaghi e comodità che una vita di città garantiva.
"Avanti…dillo, dillo!" lo provocò Emma mentre, mano nella mano, guidava Francesco sul sentiero che conduce verso la palafitta. "Cosa?" chiese lui, divertito. "Lo sai" rispose lei.
"E va bene" sbuffò, sconfitto "non è stata una cattiva serata. Ma.."
"Ma cosa?" borbottò lei, indispettita che lui potesse contraddirla. Era stata davvero una bella serata e le seccava da morire che Francesco non le desse ragione per non darle soddisfazione.
"Ma solo perché c'eri tu" replicò, sornione, arrivati sul pontile. Francesco la prese per la vita e la strinse a sé con quel sorriso che le faceva dimenticare dove si trovasse e quale fosse il suo nome, che gli illuminava il volto anche a notte fonda. Emma strinse le sue braccia attorno alle spalle del marito e senza neanche pensarci, le loro labbra si incontrarono, i sorrisi ancora stampati su di esse. Quelli erano i momenti che Emma preferiva, quando sentiva che Francesco si liberava da ogni sua catena interiore, pur stretto tra le sue braccia, quando tutto il resto attorno a loro cessava di esistere. C'erano solo loro e il loro amore che li faceva sentire grandi e forti come le montagne che li circondavano.
Mentre erano persi nel loro mondo, il cellulare di Emma iniziò a squillare. Staccandosi, seppur contro voglia, Emma controllò il telefono. Era una sveglia. Era mezzanotte. "Buon meseversario, marito!" risero. "Buon meseversario, moglie. Dove eravamo rimasti?" la provocò, tentatore.
"Da nessuna parte … vieni con me" disse, spingendolo letteralmente dentro casa. Francesco era divertito e perplesso allo stesso tempo. Amava la vitalità che Emma sapeva trasmettere, l'energia che sgorgava da ogni poro della sua pelle. Ed era contento che quell'ombra dei giorni passati sembrava essere come un brutto sogno, che viene spazzato via dalla sveglia del mattino.
Emma lo fece sedere sul letto, andando verso la cucina. Francesco la sentì armeggiare tra cassetti, sportelli e stoviglie e fu tentato di alzarsi e sbirciare, ma lei lo conosceva bene e gli intimò di non alzarsi da lì. Tornò con una tortina con una candela a forma di 3, accesa. Sotto al piatto, un pacchetto.
"Emma! Avevamo detto niente regali …" "Sssh" lo zittì "tu mi hai portato a cena fuori e io offro il dolce…e non ti preoccupare per il regalo, diciamo … che è per tutti e due"
Francesco non era convinto dalla scusa, ma se la fece andar bene, con Emma aveva imparato a sforzarsi di non averla vinta, perché non capitava mai. Spensero insieme la candela e, messa via la torta, Emma gli porse il pacchetto. Era cubico, color sabbia, molto leggero, un nastro di raso bianco che intrappolava nel fiocco una piccola pergamena. Difficile dire cosa ci fosse all'interno.
Sciolto il fiocco, Francesco stava per aprire la scatola quando Emma gli fermò repentinamente la mano "prima il biglietto", accennando alla pergamena. Francesco obbedì, forse un po' stordito, ma ancora più curioso.
 
Dopo il temporale, esce sempre l'arcobaleno. Auguri a noi.
 
Il cuore di Francesco si fermò per un istante, il respiro gli si strozzò in gola. La calligrafia era quella elegante e delicata di Emma, ma la frase era straordinariamente simile a quella che diceva sempre Marco quando era triste. Lo prese come un segno, doveva esserlo, non era sicuro di aver mai raccontato ad Emma quella storia del temporale. Guardò la moglie, seduta sul bordo del letto, una gamba penzoloni. Tremava e si mordeva il labbro.
"Che hai?" le domandò, colpito, interrogandosi su cosa ci fosse nel pacchetto. "Niente" scosse la testa; gli disse solo "Apri", incitandolo.
Francesco aprì la scatola. Immediatamente gli occhi gli si riempirono di lacrime e non era sicuro di aver visto bene. Sì, decisamente la frase era un segno, una benedizione dall'alto. Francesco non era particolarmente credente, aveva un'idea tutta sua, e molto incostante, sulle questioni teologiche, ma c'erano delle volte in cui sentiva che c'era qualcosa, qualcuno, a vegliare su di lui. Una buona stella, un angelo custode, uno spirito dei boschi…chiunque fosse, qualunque fossero stati la sua forma ed il suo nome, ora lo sentiva particolarmente vicino.
Era un paio di scarpine bianche fatte all'uncinetto, minuscole.
"Sei … sei …"
Emma annuì, finendo per lui la frase, con quella parola che gli si era fermata in gola "…incinta"
Emma si sentì leggera, finalmente libera da quel peso che portava dentro in gran segreto dal giorno dell'ultima visita in ospedale. I sospetti crescevano con il passare dei giorni, man mano che aumentavano anche i sintomi, ma finché il medico non lesse il referto dal laboratorio analisi - che lei non aveva avuto i coraggio di leggere - non si era data alcuna speranza, nonostante la disattenzione di una notte, perché conosceva fin troppo bene la spossatezza, i giramenti di testa e la nausea che la sua patologia poteva creare, così come gli effetti collaterali dei farmaci che aveva dovuto prendere. Riuscire a tenere il segreto e comportarsi come se nulla fosse era stata l'impresa più ardua e non era sicura di esserci riuscita. Anzi, era quasi certa di aver spaventato a morte Francesco e si sentiva una stronza per averlo fatto aspettare ben 10 giorni, ma voleva che fosse un momento speciale, da ricordare per sempre. Ed ora era di fronte a lei, lo sguardo bagnato dalle lacrime, il sorriso di chi ci sperava ma forse ci non credeva veramente, e, se lo conosceva bene, di chi forse pensava anche di non meritarselo un dono simile.
"è…è vero…è tutto vero?" balbettò lui. Stentava a crederci, forse stava sognando davvero, eppure quelle labbra che poco prima lo avevano baciato, e le braccia che gli si erano strette forti al collo e le mani che aveva stretto erano vere, erano come dovevano essere, non un'ombra nella notte. Era il sogno più grande eppure in quel momento dubitava, quasi sperava non fosse vero, aveva bisogno di tempo, di sentirsi pronto. No, non pronto per diventare padre, quello non lo si è mai davvero. Ci si butta, si sbaglia e si cerca di farlo sempre di meno. Solo più pronto a ricevere la notizia.
"Sì, è tutto vero". Emma, la sua Emma, era ancora di fronte a lui, ma non tremava più. La guardò, commosso. La vide bellissima, radiosa come solo le madri riescono ad esse. Quando erano riusciti per la prima volta ad affrontare l'argomento lui le aveva detto che lei era una madre quanto lui era un padre e che la presenza fisica o meno di un figlio non faceva la differenza, contava solo l'amore che si provava per la propria creatura. Ma ora che la vedeva davanti a lui, ricolma di vita, di una vita che per metà era anche sua, capiva quanto le sue parole di allora, per quanto vere sulla carta, erano fumo di fronte alla potenza di una creatura che cresce dentro di sé. Che è me e te, insieme … pensò. E lui si sentiva inadeguato di fronte a lei, perché non era riuscito ad amare il loro angelo pienamente per quel poco tempo che era stato concesso loro. E si sentiva inadeguato di fronte a quel piccolo miracolo che stava avvenendo di fronte a lui, perché solo pochi mesi prima non era riuscito ad abbandonarsi ad un sì che sarebbe dovuto essere la risposta più semplice e naturale. Le si gettò addosso, dolcemente, appoggiando il suo viso al ventre.
Emma accolse quell'abbracciò come fosse stato un fiume di parole. Il suo Francesco non era mai stato un uomo di grandi parole e sapeva anche quanto gli costassero fatica i gesti eclatanti, quelli che riuscivano ad arrivare solo un attimo prima che fosse tardi. Ma aveva imparato, il tempo, l'esperienza e le batoste gli avevano fatto capire che doveva agire e doveva aprirsi con la persona che amava, non importava quanto gli costasse. Se l'amava davvero doveva aprirsi a lei. Accolse quell'abbraccio facendo scorrere le mani tra i suoi capelli. Quante volte aveva sognato quel momento, negli ultimi giorni, ma nessuna delle sue proiezioni era stata tanto perfetta e magica. Sentiva quello che lui sentiva, provava quello che lui provava, le parole erano superflue.

 

 

 



Angolo dell'autrice

Carissimi! Eccomi qui con un nuovo capitolo di questa mia ideale "sesta stagione" di Un Passo dal Cielo. Spero che vi stia piacendo. Mi piacerebbe che lasciaste un commento, perché per me è importante capire se sto andando nella giusta direzione.
Qui vi lascio una piccola precisazione su un dettaglio del capitolo. La scelta della frase di Emma: ho pensato di farle dire dell'arcobaleno perché tradizionalmente i bimbi che nascono dopo un aborto spontaneo sono chiamati "bambini arcobaleno". Mi sembrava un dettaglio carino da sottolineare. Chissà come andranno le cose ora e quale sarà la reazione degli amici. 
A presto!


 

Federica

   
 
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