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Autore: fool_dynosaur    16/05/2020    0 recensioni
Felix è un ragazzo affetto da una rara sindrome che lo obbliga ad auto-isolarsi dalla società dopo la tragedia della sua famiglia. Tutta la bella vita che il ragazzo si era creato la stava calpestato da solo.
Molly è una ragazza universitaria dalla stanza incasinata e il cuore puro. Ciò che aveva cambiato la sua vita era uno strambo tipo taciturno.
Un giorno per puro caso, la solita curiosità della ragazza la spinge ad avventurarsi nel mondo offuscato del ragazzo, cercando di tirarlo fuori dall'annegare nei suoi stessi rimpianti.
-
( Questa è un’opera di fantasia, qualsiasi referenza al mondo reale è puramente causale. )
Genere: Romantico, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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C a p i t o l o
T r e



 

Killing Me



 

Felix aspettò che il padre arrivasse, rimanendo a testa bassa. La cartella che fu posata sul tavolo poco dopo lo risvegliò dai suoi pensieri. Sull’etichetta c’era il suo nome, e ciò lo fece diventare dubbioso. Suo padre lo incoraggiò ad aprirla e così fece. Ben aveva sempre pensato che suo figlio non sarebbe mai stato pronto ad accettare la realtà. Forse nessuno sarebbe mai stato pronto ad accettare consciamente di soffrire di una sindrome. Il figlio smise di respirare appena lesse le prime righe.

Con l’espressione sindrome del pesce rosso si intende un particolare atteggiamento di colpa e compassione in seguito ad un evento che traumatizza il soggetto.

Deglutì, guardando suo padre davanti a sé come se cercasse qualche indizio.

“Pensi io sia malato?!”

La voce ferita di Felix fece stringere gli occhi al padre.

“Leggi prima.”

Fece uno sbuffò con il naso ma lo ascoltò, tornando con lo sguardo sul foglio. Felix sapeva; non era malato. Non lo era mai stato, quello che gli altri dicevano erano cavolate e si sentiva ferito dal fatto che suo padre credesse a loro.
 

Difficoltà nelle relazioni con persone dopo il trauma;
 

Bea entrò nella stanza quasi buttando giù la porta nonostante Ethan avesse provato a fermarla.

Ti licenzi?” - chiese con gli occhi umidi.

Felix non la guardò nemmeno, firmando in fretta la rottura del contratto di lavoro. La mora spalancò la bocca, avvicinandosi al collega e scuotendolo per le spalle.

Ma sei pazzo?! Ci avevi detto che amavi questo lavoro, che avevi lottato per poter lavorare in uno dei migliori bar di Savannah e ora te ne vai? Adele non avrebbe voluto; mi prendi per il culo?”

Felix la spinse via poco delicato, iniziando a tremare subito dopo. Il soltanto sentirla nominare sentiva un groppo in gola e le immagini nell’obitorio gli tornarono in mente. Scosse la testa con violenza, guardando la ragazza con odio. Fu la prima volta che Bea lo vide in modo diverso, come se fosse un’altra persone. Era anche l’ultima volta che lo vide. Ethan provò a fermarlo prima che lasciasse la stanza; l’amico si bloccò davanti al suo braccio teso che impediva il suo proseguimento e lo guardò.

Vorremo tutti che rimanessi.”

Ma Felix non lo fece. Furono le ultime parole che Ethan gli rivolse, l’ultimo sguardo che si scambiarono prima che il castano si isolasse. Da allora, le giornate al Bubble Bar erano diventate monotone, stancanti e tristi. Felix era quello che serviva i clienti in modo rapido ed efficace, giocava con i bimbi regalandogli qualche caramella, interagiva con le persone e faceva battute al momento giusto, dando quell’allegria che un bar doveva avere. Ma quando quel raggio di sole dagli occhi piccoli se ne andò, i clienti abituali iniziarono a chiedersi dove fosse finito, il locale era caduto in momenti di imbarazzo o silenzio totale quando dovevano pulire e chiudere. Se in qualsiasi momento Felix avesse deciso di tornare, sicuramente Mario lo avrebbe accolto a braccia aperte.

 

Strinse il foglio nelle mani, continuando a leggere ciò che diceva. Non poteva essere vero; non era affetto da nulla soltanto perché aveva lasciato il lavoro.

 

Persistente senso di colpa in qualsiasi azione il soggetto compi;

 

Appena Molly scivolò Felix si alzò dalla panchina correndo sul ponte. Il panico iniziò a salirgli e confondergli le idee. Aveva provato a tendergli una mano ma si spaventò e la ritrasse subito. Lisa e sua sorella erano morte in quella maniera? Affogate senza che nessuno tendesse loro una mano per salvarle? Lui si stava comportando come quei altri, non stava dando l’aiuto che avrebbe voluto. Maledì se stesso nonostante non stesse muovendo un muscolo, paralizzato com’era. Quando il pescatore aiutò la ragazza e la tirò su, Felix sentì un’altra fitta di angoscia. Era colpa sua se era caduta in acqua e non aveva provato a salvarla. Quanto era stupito? Quanto doveva far pena a Molly in quel momento.

 

Commiserazione nei propri confronti;

 

Provava vera compassione nei suoi stessi confronti. Eppure non aveva mai pensato al suicidio. Perché, infondo non serve a nulla no? Nonostante tutte le volte che se lo chiedeva, ogni volta che ci provava davvero falliva. Spesso si tirava da solo dei schiaffi insultandosi. Non riusciva a compiere nemmeno un gesto così semplice a detta sua. Se non aveva più nessuno, e nessuno che volesse un essere come lui, come poteva respirare ancora?

 

Frequenti attacchi di panico;

 

Eccessivo interesse per i pesci rossi;

 

Mancanza di ricerca spontanea di divertimenti, interessi, o obiettivi;

 

Difficoltà del soggetto nell’ammettere la sindrome.

 

Felix lanciò il foglio con un ringhiò, per poi alzarsi e calciare via la lampada poco distante.

“Non sono malato!” - urlò senza fiato.

Il suo viso divenne rosso, stringendo i pugni. Ben ammise a se stesso di aver fatto un passo falso.

“Nessuno ha detto ciò figliolo.”

“Ah no?! - raccolse il foglio da terra e lo sbatte con forza sul tavolo, facendolo tremare. - E quello che c’è scritto qua? Dati gli accertamenti medici e psicologici possiamo affermare che suo figlio, Felix Allen, nato il 28 aprile 1995 a Savannah, Georgia, abbia subito un trauma in seguito alla mancanza della madre e della sorella nell’incidente di Arcadia. 

“Felix...”

“No, è tutta colpa vostra! Me lo avevi promesso. - Si strozzò con la propria saliva e tossì, sfregandosi il viso bagnato dalle lacrime con la manica del maglione - Ti ricordi, mh?! Mi dicesti che sarebbero tornate! Felix figliolo, andrà tutto bene. Mi dicevi che erano a casa, che stavano bene solo per farmi tornare. Non sono malato!”

Il signor Ben provò ad avvicinarsi al figlio, ma si allontanò minacciandolo.

“Chiamo Molly?”

Per un attimo il ragazzo si bloccò, guardando il padre da dietro la manica del maglione, poi fece una smorfia disgustata.

“Che dovrebbe importarmene?!”

Sbuffò stanco della situazione, prese il giubbotto e uscì di casa. L’anziano sospirò e raccolse il foglio da terra, stirandolo un poco.
 

Molly prese un altro popcorn dal sacchetto nel cappuccio della felpa indossata al contrario, camminando lentamente verso il soggiorno di casa sua. La signora Davis era da poco uscita per andare dai vicini.

“Grande mamma, ho la febbre e tu vai dai Stevens...”

Alzò il pugno in aria con sguardo annoiata, sedendosi sul divano. Il campanello suonò poco dopo, e la ragazza smosse la testa verso la porta facendogli cadere la ciocca bionda davanti agli occhi.

“Aspetti un attimo, sto morendo.” - urlò in modo nasale.

Il campanello riprese a suonare in modo più isterico, accompagnato da continui pugni sulla porta. Molly quasi scattò in piedi, avendo un capogiro. Pensò che fosse sua madre e avesse dimenticato le chiavi. Tossì arrivata alla porta, aprendola subito. Felix posò le mani sulle guance della ragazza guardandola da ogni angolazione possibile, facendole aumentare il mal di testa. Fece dei versi di disapprovazione, mettendo le sue mani fredde sopra quelle del ragazzo.

“Stai bene? Ti sei fatta male? Passiamo al pronto soccorso?”

Sentì tutto in modo un po’ ovattato come se avesse i tappi alle orecchie, ma sorrise.

“Eh? Perché?”

Molly lo guardò negli occhi, notando che fossero rossi e irritati, ma non pensò molto al perché. A causa della febbre si sentiva debole e la sua mente collaborava poco.

“Hai appena detto che stai morendo.”

“Ti stai preoccupando per me?”

Felix le lasciò il viso facendo una smorfia.

“No.”

Lei fece una piccola risata alzando gli occhi al cielo.

“Va bene, ti credo.”

La ragazza si fece da parte per farlo entrare ma il castano scosse la testa. Arrossì prima di parlare.

“Stavo passando di qua quindi ho bussato. Vado a fare una passeggiata.”

“Vengo anche io.” - disse subito, alzando la mano come se fosse a scuola.

Felix le prese la mano e poggiò l’altra sulla fronte, negando con la testa.

“Hai la febbre.”

Sbuffò allontanandosi di qualche passo.

“Va bene, sto a casa se mi dici perché hai pianto.”

Il ragazzo sgranò gli occhi, toccandosi il viso bollente. Sospirò come se si stesse liberando di un problema.
 

Difficoltà nell’affrontare o parlare del trauma;
 

“Va bene, vestiti.”

Molly annuì un po’ triste, salendo le scale. Amava uscire fuori ma per quella volta avrebbe preferito rimanere dentro non per la febbre, ma per sentire ciò che affliggeva l’amico. Sapeva che non avrebbe detto nulla, il suo carattere chiuso aveva la meglio. Nonostante ci fosse il sole si mise un maglione leggero e la felpa blu, abbinata ai suoi jeans neri preferiti e le sneakers bianche.

 

Ben aprì lentamente la porta, facendo segno a Molly di fare piano; la ragazza annuì entrando in casa e togliendosi le scarpe in fretta, ma uno starnuto la tradì.

“Come mai mi ha chiamata signor Allen?” - sussurrò seguendolo verso il salone.

L’anziano si sedette, stringendo la cartella nelle mani.

“Felix sta dormendo, e oggi ho provato a parlargli del suo problema, ma… non l’ha presa molto bene.”

Provò a sorridere ma gli venne quasi da piangere. Aveva fatto un passo errato di cui se ne sarebbe pentito per sempre. Felix aveva pianto di nuovo davanti a suo padre, gli aveva urlato contro alcuni dei suoi errori più imperdonabili. Per se stesso almeno.

“Questa è la sua cartella clinica. Qualche giorno dopo il riconoscimento dei corpi, ho mentito dicendogli che dovevamo fare una visita nel vecchio ospedale per parlare della tragedia. Ha perso la fiducia in me dopo di quello, e ha smesso di parlarmi come un tempo. Per una parte ne sono ferito, dall’altra un po’ meno perché sono riuscito a sapere cosa aveva mio figlio. Essendo che era una persona molto solare e vivace si è notato subito che qualcosa non andava.”

“Non capisco perché abbia chiamato me.”

“Nemmeno io ne sono certo; ho già fatto molti passi falsi, ma prova a capirmi Molly. Sono un padre, ho perso due delle persone più importanti della mia vita, e quella che mi è rimasta è appeso ad un filo. Penso, anche se non ne sono sicuro, che tu possa aiutarlo. Non so cosa tu gli abbia detto il giorno della fiera, ma lo vedo cambiare. Lentamente, con qualche difficoltà o negazione, ma vedo qualcosa di diverso.”

La castana strinse i pugni, nascondendo il viso dietro i capelli. Sapeva di essere un tipo di persona molto sensibile, piangeva anche agli annunci di soccorso per gli animali quando gli vedeva in televisione, ma aveva come l’impressione che chiunque di fronte ad una persona sofferente per un figlio si sarebbe commossa. Alzò una mano passandola in mezzo ai capelli per allontanarli dal viso. Sorrise al signor Ben, annuendo con la testa.

“La dottoressa tempo fa mi aveva detto di convincerlo ad andare da uno psicologo di fiducia, ma non ne ha voluto sentir parlare. Nemmeno del gruppo di sostegno.”

Molly lesse i fogli un po’ stropicciati, sorridendo qualche volta.

“Signor Allen. l’ho detto a me stessa, a Loreen e lo dirò adesso a lei: le prometto che cercherò con tutte le mie forze di far tornare Felix com’era un tempo.”

“Ti chiederei perché, ma in questo momento mi sono stancato delle domande.”

Già, anche lei si chiedeva perché. Alzò le spalle posando la cartella sul tavolo.

“Istinto.”


 

“Com’era Adele?”

Felix alzò gli occhi al cielo senza farsi vedere dalla ragazza, continuando a guardare fuori dalla finestra.

“Era una ragazzina appena maggiorenne dai capelli biondi tinti e le ciocche arancioni. Aveva una voce bassa rispetto alle sue amiche ed era molto calma, quando voleva.”

Bea si intromise, posando sul tavolo i the e i muffin. Molly le sorrise ringraziando, e la cassiera fece un piccolo inchino ricambiando. Per un attimo Felix la guardò, sospirando per la frustrazione.

“So cosa cerchi di fare. - disse poco dopo. La castana alzò lo sguardo con la bocca piena, sgranando leggermente gli occhi. Pensò se fosse possibile che Felix avesse capito che voleva rubargli un pezzo di torta. - Ti ho sentito ieri parlare con mio padre. Non ho nulla, io sono normale.”

Spostò la ciocca bionda dietro l’orecchio, ingoiando la metà di torta che aveva mangiato in un boccone.

“Ah quello. Quanto sei scemo Fè? Sappiamo tutti che sei normale.”

Il castano sbatté leggermente la mano sul tavolo, facendo spostare la visuale di Molly su di essa. Fece un sorriso imbarazzo, alzando una spalla per intenerirlo.

“Non chiamarmi in quella maniera. E se sapete che sono normale, allora smettetela di parlare di quella stupida sindrome!”

Bea gli guardò da dietro il bancone, non sapendo se intervenire o meno. Se Ethan non avesse avuto il giorno libero forse la risposta l’avrebbe avuta. La castana si voltò e le fece cenno con la mano.

“Vuoi unirti a noi?”

La mora sgranò gli occhi, abbandonando la spugna per i bicchieri nel lavandino. Il ragazzo soffocò con il the, iniziando a tossire e battersi la mano sul petto. Bea si morse il labbro, scuotendo la testa.

“No, qui ho un cas-”

“Va bene.” - rispose Felix.

Martedì sera, di un fine aprile poco caloroso dal solito, Molly sedeva a tavolo con una cassiera ferita dal comportamento di un ex amico e un ragazzo affetto dalla sindrome del pesce rosso, ridendo dei vecchi ricordi che la mora raccontava. Felix rimaneva in silenzio, ascoltando le parole della ragazza ricordando gli anni scorsi.
 

Vieni ad un gruppo di sostegno Felix. Ti aiuterà.”
 

Alzò gli occhi al cielo continuando a tagliare in pezzettini piccoli il muffin.

“Ah, e ricordo ancora come se fosse ieri il giorno che Adele è venuta per festeggiare i diciotto anni.”

Felix si morse la lingua, prendendo un respiro profondo.

“Sua madre gli aveva permesso di tingersi i capelli ed era così felice. Era una ragazza bellissima.”

“Lisa era una brava madre...”

Il ragazzo si alzò dal tavolo posando delle banconote accanto a Bea. Uscì dal locale senza dire nulla, mentre Molly lo seguiva con lo sguardo. Si alzò anche lei, ringraziando la mora prima di correre fuori dal locale. Raggiunse il ragazzo cercando di stargli a passo.

“Felix, che ti è preso?”

I passi del ragazzo aumentarono e Molly dovette quasi correre.

“E’ per quello di cui parlavamo? Forse siamo state un po’ inopportune ma io volevo sol-”

“Cosa? Non ti è già bastato entrare in casa mia? Nella mia vita?!”

La ragazza si bloccò, guardandolo in maniera un po’ spaventata. Aprì la bocca per rispondere, ma l’amico fece un ghignò incrociando le braccia al petto.

“Tu cosa vuoi da me?”

“Voglio aiutarti! Sicuramente Adele o Lis-”

“Non le conosci! - urlò poco distante da lei, terrorizzandola. - Non le hai nemmeno mai viste! Non puoi giudicare qualcuno che non conosci. Hai mai visto gli occhi azzurri di Adele? O il sorriso di mia madre? Sei come mio padre, un’egoista del cazzo.”

“Sarà pure che non le conoscevo, che sono egoista e tutto quello che vuoi; ma Felix, se tu non ci dici nulla come pretendi che io le conosca? Dici di essere normale, di non avere quella sindrome. Allora rispondi: cosa ti blocca dal parlarne, eh?”

“Tu dicevi di aver perso il padre, d’aver sofferto. Eppure non mi comprendi, perché reagisci come tutti gli altri: dimentichi! Pensi che tuo padre sia felice di sapere che tu l’abbia dimenticato?”

Molly inclinò leggermente la testa da un lato e poi l’altro, stringendosi i gomiti nelle mani. In pochi attimi erano saltate fuori troppe domande che la stavano confondendo. Felix davvero credeva che fosse un’egoista? O che non lo capisse?

“Tu non hai mai visto mio padre. Non puoi dire che io l’abbia dimenticato solo perché non ne parlo in modo ossessivo come te. Fè, ci tengo a te, quindi per favore, vieni-”

“Ad un gruppo di sostegno, eh? - fece una risata quasi da maniaco, scombinandosi i capelli più di quanto già non lo fossero. - Vedi? Non capisci. Vuoi solo buttarmi nella fosse dei leoni come mio padre e aspettare che guarisca da una cosa che nemmeno ho. Ti odio Molly Davis, così come tutte le persone che mi credono malato e che hanno ucciso la mia famiglia.”

La ragazza deglutì, sentendosi colpita al cuore. Fece un sorriso amaro e guardò per terra.

“Okay. - sussurrò facendo un passo indietro per arrendersi. - Non ha senso stare accanto a qualcuno se ti odia no? Mi dispiace.”

Si girò e a passi veloci si allontanò. Felix la guardò, non capendo bene cosa fosse successo.

“Hai fatto bene. La odi, no?”

Si voltò e iniziò a camminare verso casa sua. Sbatté la porta e fece a passi pesanti le scale. Sbuffò entrando in casa e andò in camera sua senza salutare. Suo padre pensò fosse per l’affronto di quella mattina, e fu per quello che rimase in silenzio, continuando a lavare i piatti. Si sedette per terra appena chiuse la porta e ci si appoggiò stringendosi le gambe.

“Che dovrei fare mamma?”

Si cambiò lanciando i vestiti sulla sedia della scrivania, buttandosi sul letto dopo e spostando la testa verso la finestra.

Quella notte era come se fosse tornato a quel periodo. Non riusciva a chiudere occhio senza pensare ai suoi sbagli. Rivedeva lo sguardo triste di Molly, quello deluso di sua madre e non faceva altro che pentirsi di quello che aveva detto. Avrebbe voluto chiamarla per chiedere scusa e poter finalmente addormentarsi. Trovava rilassante parlarle la sera, era come se non si sentisse solo. Non si rendeva conto più nemmeno che era al buio, come se non ne avesse più la paura di un tempo. Forse si annoiava a parlare con Molly perciò riusciva ad addormentarsi. Scosse la testa; sapeva che non era per quello. E allora per cosa? Si girò tra le coperte, per poi scalciarle via. Non aveva il coraggio di chiamarla, sentiva che qualcosa lo bloccasse dal prendere il cellulare.

 

Non aveva mai vissuto un mercoledì primaverile più noioso di quello. Loreen si rotolò nel letto. A Philadelphia stranamente faceva più caldo.

“Starai ancora per molto lì, sorellona?”

“Mh, fino a settembre Molly. La nonna sta molto male rispetto a quello che pensavamo.”

Il suo sospirò si sentì e l’umore di Molly precipitò ancor di più.

“Mi dispiace tanto.”

Loreen alzò le spalle con un mezzo sorriso.

“Tranquilla. Lì come va? Aspetta, non dovevi andare al porto?”

Molly si morse il labbro superiore come ogni volta che si sentiva sotto pressione, asciugandosi una lacrima sfuggita al suo controllo.

“Tutto okay, è solo che mia madre ancora non mi lascia uscire perché sono raffreddata.”

“Riprenditi presto, non voglio iniziare il penultimo anno senza di te come l’anno scorso.”

“L’anno scorso è stato un incidente.”

“Mh. Per prendere un gatto da un albero sei caduta e ti sei rotto un braccio. Se non fossi salita lì sù saresti rimasta intera.”

“Ma… - la ragazza boccheggiò per un attimo, sapendo che l’amica avesse ragione. - Stava piangendo, era spaventato!”

“Miagolava Molly, come tutti i gatti.”

La più piccola sbuffò sorridendo, appoggiando la schiena contro la ringhiera del balcone. Con la coda dell’occhio notò qualcosa di famiglia.

Felix alzò lo sguardo nello stesso momento. Il respirò di lei si bloccò, soprattutto nel vedere che tra le mani aveva la boccia con il pesce rosso che aveva presso due settimane prima. Era molto distinguibile dato che era di un colore arancione chiaro ed una pinna mancante. Per un attimo le sue pupille si dilatarono, sentendo un vuoto doloroso allo stomaco. Voleva davvero buttare anche l’unica cosa che poteva fargli ricordare? Si alzò subito in piedi.

“Scusa Loreen, ti richiamo.”

L’amica guardò il cellulare che segnava la chiamata interrotta. Alzò un sopracciglio un po’ sconvolta dal modo di fare dell’amica.

“Felix!” - urlò incurante dei vicini o dei passanti.

Il ragazzo la ignorò, continuando la sua solita strada. Il dolore insolito di Molly aumentò, facendola sospirare. Mise una mano all’altezza del cuore, come se stesse provando a lenire il dolore che sentiva. Lasciò la sua camera e scese di fretta le scale. Tossì infilandosi la felpa. La signora Davis apparì dalla cucina, facendole prendere uno spavento.

“Hey, ragazzina. Non esci vestita così.”

Molly si girò guardandola strano.

“Hai solo una maglietta leggera e la felpa; sei seria? Vuoi di nuovo avere la febbre?”

“Mamma per favore...”

Crystal le indicò le scale senza parlare.

“Ho vent’anni mamma!”

“Sei in casa mia, corri.”

“Sapevo di dover accettare la proposta di Loreen e vivere al dormitorio.”

Crystal alzò gli occhi al cielo. Risalì in camera prendendo un maglione sopra la maglietta, indossando la felpa sulle scale. Salutò la madre poco prima di uscire, iniziando a correre verso il porto. A causa del maglione e il raffreddore rallentò un po’, fermandosi per tossire. Il suo cuore accelerò appena superò i cancelli del porto. Felix guardò le onde calme e l’acqua cristallina del mare, poi il piccolo pesce. Fece una smorfia. Non era molto sicuro di quello che stava facendo, non voleva davvero buttare Adelisa nel mare. Pensava che liberandosi di lui, magari, si sarebbe liberato anche del ricordo di Molly. Ma era convinto di quella teoria?

“Felix!” - gridò la ragazza, bloccandosi per riprendere fiato.

Tossì nuovamente, sentendo i polmoni bruciare. Il ragazzo si girò a guardarla, mentre la ragazza scoppiò a piangere. Aumentò la presa sulla boccia del pesciolino, sentendo una strana fitta al cuore.

“Mi dispiace, okay? Perdonami. Sono entrata nella tua vita senza un perché, ho preteso troppo e ti ho fatto soffrire più di quando eri solo. - Chinò leggermente la testa, cercando di asciugarsi le lacrime - Perdonami; non buttare quel pesciolino. Se davvero ti fa schifo, dallo a me e ti prometto che non ti disturberò mai più.”

Le lacrime della ragazza erano state il secondo colpo.

“Sono uno stupido.” - sussurrò, ma non riuscì a muoversi di un passo.

Era come se fosse congelato sul posto, aveva le idee confuse e si sentiva molto strano. Strizzò gli occhi un attimo, poi cadde a terra. Molly alzò il viso appena sentì il vetro della boccia rompersi. Spalancò la bocca e si avvicinò al ragazzo appena svenuto, inginocchiandosi di fronte a lui.

“Felix?!”

Il pesciolino rosso saltellava accanto ai cocci della boccia rotta disperato. La ragazza lo prese tra le mani e lo buttò in mare.

“Duecentocinquanta.” - disse in fretta, posando le mani sulle spalle del ragazzo per scuoterlo.

Si guardò in giro sperando di trovare qualcuno, poi prese il telefono e compose il numero del signor Ben.

“Ah, signore, mi aiuti. - pianse di nuovo, accarezzando la guancia del ragazzo mentre una lacrima finì sulla sua fronte. - Felix è svenuto e non so che fare.”

Ben sbatté le palpebre più volte, capendo solo dopo quello che Molly aveva detto.

“Eh?”

 

“E’ normale signore. - Il dottore fece un piccolo sorriso, rimettendo la penna nella tasca del camice. - E’ un sindrome del pesce rosso, no? E’ normale che affrontando ricordi passati o emozioni forti svenga.”

Ben sospirò per il sollievo, guardando la figura addormentata del figlio sul lettino.

“Non si preoccupi. Partecipando ad un gruppo di sostegno o ad uno psicologo privato, entro un paio di mesi dovrebbe sentirsi meglio. Sicuramente quando le hanno diagnosticato questa sindrome le avranno consigliato di rinchiuderlo nell’ospedale psichiatrico vero?”

“Il fatto è che mio figlio non lo accetta, perciò non vuole fare nulla. Non volevo lasciarlo in quel posto. Lui non è veramente malato.”

“E’ per il suo bene signor Allen. Provi a convincerlo, Felix ha davvero un problema che va affrontato prima che diventi pericoloso.”

“P-pericoloso? Come può essere pericoloso?”

L’uomo in camice sospirò.

“E’ mai scappato di casa? Ha mai aggredito verbalmente qualcuno? E’ stato aggressivo durante gli attacchi di panico?”

Ben si sentì un po’ perso di fronte a quelle domande.

“Ehm… non fino ad un punto pericoloso.” - mentì.

“Significa che è ancora in tempo. I problemi meglio prevenirli che curarli.”

Dopo che il dottore lasciò la camera il signor Allen spostò una delle sedie posate al muro di fronte la porta e la portò accanto al letto. Si sedette scuotendo la testa.

“Cosa devo fare con te Felix?”

Incrociò le braccia al petto e rimase in silenzio, finché il ragazzo non strizzò gli occhi, aprendoli poco dopo. Mosse lentamente le mani, sentendosi perso. Si ricordava di essere al porto, non in una stanza di ospedale. Si allarmò subito, alzandosi a sedere. Ben si svegliò dal sonno e lo guardò subito.

“Hey, figliolo.”

Si girò verso il padre, mettendosi una mano sulla fronte. Notò il giubbotto posato ai piedi del letto; e ricordò quello che era successo.

“Devo… devo andare.”

Si alzò dal letto e prese il suo giubbotto verde di fretta, indossando le convers senza nemmeno allacciarle. Ben si mise in piedi chiamando Felix un paio di volte, rinunciando quando ormai era lontano dalla sua vista. Rimase sbalordito dal suo atteggiamento, ricordando le parole del dottore.

Dall’altro canto Felix correva sulle strade della città sentendo le gambe far male. Era da tantissimo tempo che non correva in quella maniera. L’ospedale centrale di Savannah era quasi fuori città, e non aveva nemmeno un soldo per prendere un taxi. Arrivato davanti la porta ci si poggiò contro riprendendo fiato. Deglutì appena, iniziando a suonare il campanello come un forsennato.

Dentro la casa, Crystal grugnì, spostando la testa dall’altro lato del cuscino.

“Vacci tu!” - urlò, facendosi sentire da Molly che sbuffò.

Si alzò dal letto sbadigliando e si mosse lentamente verso le scale. Il campanello le fece salire i nervi.

“Sì sì, arrivo.”

Nonostante le sue parole il campanello continuò.

“Ah, smettila prima che ti… oh.”

Aprendo la porta riconobbe subito Felix. Le vene un colpo al cuore e si fermò guardando per terra.

“Mi dispiace Molly. - Si morse il labbro non sapendo come continuare la frase. La ragazza rimase a testa bassa per nascondere il suo sorriso. - Ho sbagliato nel dirti quelle cose, sono stato uno scemo. Perdonami.”

“Mi hai letteralmente detto di odiarmi, come faccio a credere ora a quello che dici?”

“Andrò al gruppo di sostegno.”

Molly alzò la testa di scatto, guardandolo come se ciò che avesse detto fosse quasi una cosa impossibile.

“Davvero?”

Felix sospirò annuendo subito dopo. La ragazza batté le mani sorridendo e l’abbraccio d’istinto, stringendolo a sé con forza. Per un attimo il ragazzo rimase senza parole, impietrito dal gesto.

“Ho pensato di non sentirti mai più.”

Infossò il viso nell’incavo del collo del ragazzo e quasi pianse per la felicità. Non sapeva se fosse per il fatto che stesse bene o che avesse accettato la sua proposta.

“Verrò con te. Ti accompagnerò le prime volte, mh?”

Gli strinse la mano con occhi speranzosi, ed il suo sorriso fece quasi intenerire Felix. Prese un respiro profondo e fece un sorriso anche lui. Molly rise dato che sembrava più una smorfia che un sorriso. Gli diede uno schiaffo leggero sulla guancia.

“A proposito, non eri all’ospedale?”

 

 

 

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