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Autore: Mikaori    17/05/2020    0 recensioni
Qual era l'utilità razionale, nel preservare il ricordo di quella sofferenza emotiva? Perché era costretto a fare i conti con la sua incapacità di estirpare in toto i sentimenti?
Eppure, anche se non v'era risposta scientifica, a quella triste collezione si erano aggiunti gli occhi di Molly non più incollati su di lui. Distanti, freddi, così diversi da quelli ingenuamente luminosi che Sherlock aveva imparato ad apprezzare col tempo.
Realizzò in quel momento che un mondo senza Molly, la sua solita Molly, appariva ancora più insensato della sua stanza del dolore.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Molly Hooper rivide la luce del sole dopo sessantaquattro giorni, sei ore e circa dodici minuti.
Sherlock aveva scandito il tempo di quella prigionia col suo solito fare maniacale ma, stavolta, dietro quella precisione che sfiorava il robotico c'era qualcosa di profondamente umano: il senso di colpa.
Ad ogni angoscioso ticchettio dell'orologio, il consulente investigativo osservava il battito del proprio cuore prender corpo e scivolare nella stanza del Mind Palace che apparteneva di diritto alla patologa, dove andava ad infilarsi tra la sciarpa a righe multicolor e il camice inamidato dai lembi perennemente svolazzanti.
Una metafora potente, avrebbe commentato un sentimentalone come John: la volontà di rinunciare ad una parte del proprio soffio vitale così da tenerlo in caldo per una persona importante.
No, non solo importante.
La più importante di tutti.
 
« Molly. »
 
Non riuscì a pronunciare il suo cognome, come era solito fare.
La voce fu assorbita dalla visione di quelle guance scavate, che rendevano il viso della dottoressa ancor più minuto di quanto fosse in genere.
Gli ci volle qualche istante anche per procedere col consueto check up rapido: pupille dilatate, a causa dell'esposizione improvvisa ad una luminosità elevata, occhiaie scure, segno di due mesi di riposo inadeguato, labbra livide, forse per il freddo pungente che superava fin troppo facilmente la barriera della camicia color topo.
Sherlock la avvolse nel suo Belstaff scuro, constatando che Molly aveva perso dai tre ai cinque chili. Un'enormità, sul suo fisico esile.
 
« Molly, sei ferita? »
 
Lui, col suo occhio clinico, aveva già constatato la presenza di diverse ecchimosi e di un taglio sul palmo destro, oltre alle prevedibili irritazioni da sfregamento sui suoi polsi.
Dallo stato della pelle, si poteva verosimilmente dedurre che quel pazzo psicopatico di Moriarty l'avesse tenuta legata per tutto il tempo della sua detenzione.
 
« Molly? »
 
La giovane scosse il capo, tenendo lo sguardo fisso su un punto dinanzi a sé. Fu quel dettaglio a far fuggire tutti i battiti che restavano nel petto di Sherlock verso la stanza mentale adiacente a quella di Molly: la camera del dolore.
Quella porta veniva aperta così di rado che si potevano chiaramente osservare i granelli di polvere che oscuravano la lucentezza della maniglia; Sherlock non riusciva a comprendere perché il suo Mind Palace si ostinasse a tenere in piedi quella stanza, ove riecheggiavano i guaiti di Redbeard, gli insulti rozzi dei compagni di scuola e quelli più sottili, ma sempre incisivi, di ogni dipendente di Scotland Yard che non fosse Lestrade.
Qual era l'utilità razionale, nel preservare il ricordo di quella sofferenza emotiva? Perché era costretto a fare i conti con la sua incapacità di estirpare in toto i sentimenti?
Eppure, anche se non v'era risposta scientifica, a quella triste collezione si erano aggiunti gli occhi di Molly non più incollati su di lui. Distanti, freddi, così diversi da quelli ingenuamente luminosi che Sherlock aveva imparato ad apprezzare col tempo.
Realizzò in quel momento che un mondo senza Molly, la sua solita Molly, appariva ancora più insensato della sua stanza del dolore.
 
« Ci aspetta una macchina di Mycroft. Ce la fai a camminare? »
 
La donna annuì impercettibilmente, ma Sherlock decise comunque di avvolgerle un braccio intorno alla vita.
Per sostenerla, si disse: gli effetti dello shock erano sempre imprevedibili, e la patologa non aveva bisogno di aggiungere delle contusioni da svenimento al suo quadro clinico già precario.
Eppure, quando Molly poggiò la guancia tumefatta contro il suo costato, Sherlock capì che la scelta di tenerla vicina serviva più a lui che a lei, e fu un atto di intuizione che con la ragione aveva ben poco da spartire.
 
« Molly... mi dispiace. »
 
Per tutto.
Per le prese in giro sul rossetto, per il pacco natalizio sbeffeggiato, per i doppi turni, per le manipolazioni, per quel "ti amo" che ancora gli corrodeva il sangue, a ripensarci.
Era stata l'ultima crudeltà, sebbene non volontaria, ai danni della patologa.
 
« Mi dispiace davvero. »
 
E a Molly, evidentemente, quella sincerità arrivò: si accinse a sollevare il viso verso quello del detective, prima di sparire nell'abitacolo dell'auto.
 
« Ha sorriso. »
 
Constatò Sherlock, del tutto pleonasticamente, come un Anderson qualsiasi. Eppure, nonostante la banalità della riflessione, tutti i battiti perduti lasciarono il Mind Palace e tornarono a pompargli nel petto, con prepotenza.
E si ritrovò a sorridere anche lui.
 
___________ nda. La storia si colloca in un futuro non ben specificato successivo agli avvenimenti della quarta stagione, dove Moriarty è ancora vivo e trova il modo di vendicarsi di Sherlock attraverso il rapimento di Molly. Ci tenevo a sottolinearlo perché per me il villain per eccellenza è e sarà sempre Moriarty (non me ne voglia Eurus) ma quella famosa scena che ormai noi Sherlolly conosciamo a memoria è troppo bella per essere ignorata. Un abbraccio!
  
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