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Autore: JAPAN_LOVER    17/05/2020    0 recensioni
Gregor Startseva è il giovane allenatore di 34 anni della nazionale maschile di pallavolo, con una lunga serie di successi alle spalle.
Proprio mentre è intenzionato a godersi le meritate vacanze estive, all'indomani di un trionfo che è valso ai suoi ragazzi la medaglia d'argento, viene convocato dalla Federazione sportiva per un nuovo incarico: guidare ai mondiali 12 ragazze a una settimana dagli esordi.
Tra numerosi punti oscuri e mille difficoltà, deve imparare a gestire una squadra di ragazze che non conosce. A suo modo, ognuna gli darà del filo da torcere e, in particolare una, Lucia, la capitana, rivelerà nutrire un'inspiegabile avversione nei suoi riguardi.
La medaglia è fuori dalla portata di mano, ma riuscirà Gregor a domare le sue 12 leonesse e a tornare a casa, senza rovinare molto la sua luminosa carriera?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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HANAMI IN PIENA ESTATE
(Seconda parte)

 

LUCIA

CLICK! CLICK! CLICK!
"La Tokyo Tower è una torre panoramica e per telecomunicazioni, situata nel quartiere di Shiba-Koen di Minato a Tokyo. Costruita nel 1958 e alta 333 metri, la torre è la seconda struttura artificiale del Giappone, e la ventitreesima più alta del mondo...ah, però...!"

Con un certo interesse, ascolto Startseva leggere ad alta voce le curiosità contenute ai margini della cartina turistica, mentre impugno la macchina fotografica e do sfogo alla creatività con i miei scatti.
CLICK! CLICK! CLICK!
"Le due fonti di reddito principale della Tokyo Tower sono il turismo e l'affitto di postazioni per antenne-radio televisive. La struttura è dotata di due punti di osservazione: l'Osservatorio principale e l'Osservatorio speciale, mentre alla base della torre vi è il Foot Town, un edificio di quattro piani che offre ai visitatori svariate attrazioni – continua il mio coach – Lucia, che ne dici, ti andrebbe di salire sulla torre e visitare l'Osservatorio?" 
CLICK! CLICK! CLIK!
"Sì, certo!" rispondo, distogliendo lo sguardo dal mio ultimo soggetto immortalato.
Startseva lancia un'occhiata incuriosita al display della mia Nikon.
"Sembra interessante! Posso dare un'occhiata?"
E io decido di mostrargli tutte le foto della torre scattate finora. Vado piuttosto fiera della mia personale tecnica fotografica, e mostro sempre con un certo orgoglio i miei scatti.
"Ma sei bravissima! – è l'esclamazione piena di stupore di Startseva – queste tue foto sono davvero stupende!"
Faccio scorrere lentamente le immagini sul display della macchina fotografica, molte delle quali sembrano l'una il perfetto duplicato dell'altra per via dell'impostazione sullo scatto multiplo di prova. Il mio coach non si perde neanche una sequenza, e devo ammettere che il suo sguardo colmo di ammirazione mi inorgoglisce davvero molto.
"Amo molto la fotografia...!" dico un po' timidamente.
Cerco di vincere così l'imbarazzo di quei complimenti e di avere Startseva nuovamente così vicino, a un palmo dal mio viso.
Appena le fotografie della torre finiscono e lasciano posto a quelle scattate nei giorni scorsi insieme alle mie compagne, lascio ricadere la Nikon assicurata saldamente al mio collo.
"Hai una tecnica molto particolare, da vera professionista, sai? Mi piace molto"
Startseva si riferisce alla caratteristica di frapporre tra il soggetto e l'obiettivo una cornice tutta naturale, che sia un fiore o un ramo, così da sfocare questi in primo piano o l'obiettivo stesso. Questo è un po' il marchio distintivo delle mie fotografie.
"Beh, sì...diciamo che è una mia caratteristica quella di incorniciare naturalmente i soggetti – rispondo – qual è la sua tecnica, coach Startseva?"
"Chiamami Gregor e dammi dei tu...almeno per oggi... non sono poi molto più vecchio di voi" sorride.
Per quanto sia bello e conciliante il sorriso stampato sul volto di Startseva questa mattina, l'idea di ridurre ulteriormente le distanze tra noi mi mette un po' a disagio. Dubito che riuscirei mai a rivolgermi a lui, apostrofandolo con del tu.
"Beh, ecco, io non sono così bravo – afferma lui, accennando un po' di imbarazzo – anzi, direi che non lo sono affatto!"
Così dicendo, mi mostra attraverso il display della sua Canon alcune fotografie scattate a Rio de Janeiro un mese prima, durante la sua ultima trasferta per i mondiali della categoria maschile. Il sorriso imbarazzato di Startseva mi diverte, e un po' mi scalda il cuore. Allora esiste davvero qualcosa che non gli riesce! Lo scopro umano, quasi accessibile, lui che è sempre così glaciale e imperscrutabile. Evito di sorridere troppo davanti ai suoi scatti un po' sfocati e dall'inquadratura decisamente mal centrata, ma è innegabile che la sua fotografia è ben lungi dall'essere regolata da un'affinata tecnica.
"Queste sono state scattate durante i mondiali di Rio di quest'anno, vero?"
"Sì..." e un sorriso orgoglioso e nostalgico gli illumina quei lineamenti marcati.
Le sequenze mostrano una città esotica, vitale e movimentata. Me l'immagino proprio così Rio: una città da vivere dall'alba al tramonto in compagnia della mia fedele Nikon, e dal tramonto all'alba con un caipirinha fresco in mano.
In realtà, so per certo che Startseva non abbia vissuto la sua trasferta esattamente così.
Ma immagino che a un certo punto, un po' come ha fatto con noi ragazze, abbia ceduto alle richieste dei suoi atleti e si sia concesso un giro tra le vie della città sudamericana.
So che probabilmente il Cristo Redentore, Gregor deve averlo visto solo dall'angolatura delle sue fotografie, dalla terrazzina del suo hotel o dalla spiaggia.
Le foto che lo ritraggono in allegria insieme a Mirko e al resto della squadra per le strade di Rio mi suggeriscono l'idea di un gruppo unito e affiatato. Startseva, giovane com'è, si confonde tra i suoi ragazzi e quasi sembra uno di loro. Improvvisamente, mi torna alla mente il calore con cui Mirko lo ha salutato a Milano, la sera prima della nostra partenza per il Giappone: un'altra dimostrazione della fiducia e dell'affetto che lega Startseva alla sua squadra.
Nel vedere le foto del mio allenatore insieme a Mirko, attendo con un po' di timore che da un momento all'altro risalga il magone, quella morsa allo stomaco che mi ha tormentato negli ultimi mesi, e provo un indescrivibile sollievo nel constatare che rivedere quel volto non turba più la mia serenità.
"Come vedi, nel caso fallissi come allenatore, chiaramente non ho un futuro come fotografo! – ironizza Startseva – su, adesso andiamo a trovare il modo di salire in cima alla torre!"
Sorrido e seguo il mio coach fino ai piedi della Tokyo Tower, dove un'enorme struttura cubica a quattro piani si erge alla base della torre, il Foot Town. Accedendovi attraverso l'apertura delle porte automatiche, ci ritroviamo in una vasta area costellata da una grande varietà di negozi e attrattive: boutique, ristoranti, negozi di generi alimentari, ma anche piccoli musei e gallerie.
"Wow! – esclamo – sembra quasi di essere in un grande centro commerciale!"
"Vero...!" conviene Startseva, mostrando il mio stesso stupore.
Rubo qualche scatto d'ambiente, mentre ci dirigiamo verso i gli ascensori. Lasco volentieri che sia Startseva a fare da guida e a occuparsi di come raggiungere l'Osservatorio. Lo osservo, mentre cerca sul tabellone le indicazioni in inglese, con la sua solita calma e santa pazienza.
"Mhm...per salire direttamente all'Osservatorio Principale ci conviene prendere l'ascensore centrale!"
E io guardo con un po' di timore alla scatola di lamiera, decisamente più grande rispetto a quella dell'Hotel Hinata dove alloggiamo. Nonostante insieme a noi entrino altri sette visitatori, mi fa un certo effetto prendere quell'ascensore insieme a lui. Siamo gomito a gomito, e per tutto il tragitto gli occhi grigi di Startseva rimangono attenti sulla cartina. Insondabile com'è, mi chiedo se anche lui senta ancora addosso l'eco della tensione di stamattina, quando eravamo bloccati in ascensore. Una tensione assolutamente palpabile in quel momento di imbarazzo e di incertezza.
Usciamo dall'abitacolo, e per me è un po' come tornare a respirare. L'Osservatorio occupa uno spazio piuttosto ampio, i visitatori non sono molti, e tutto sembra assolutamente pulito e ordinato. Ci avviciniamo alla vetrata, e la visuale che ci si apre davanti è la panoramica di Tokyo vista a 360 gradi. Uno spettacolo mozzafiato: i grattacieli e palazzi affollano la capitale alternandosi con qualche piccola aree verde, mentre in lontananza il mare lambisce le coste, formando la bellissima baia.
"Tokyo è davvero uno spettacolo vista da quassù!" esclama Gregor.
"Già...è bellissima!"
Mi godo ancora un po' il panorama circostante, e poi impugno nuovamente la Nikon per qualche nuovo scatto. Da quassù non posso certo servirmi della mia tecnica, non ho appigli per ricreare le mie adorate cornici, ma sono sicura che usciranno comunque delle belle foto, considerata la vista non può essere diversamente.
Accanto a me, Startseva fa altrettanto, poi con un dito indica qualcosa sulla destra:
"Guarda, quello deve essere il Monte Fuji!"
Ci spostiamo sull'altro versante dell'Osservatorio, dove è possibile ammirare meglio la montagna che domina sulla città, la cui cima rimane incantevolmente innevata tutto l'anno.
Le foto col Monte Fuji sullo sfondo sono particolarmente belle, un po' come tutti gli spettacoli in cui ciò che di più suggestivo offre la natura si fonde con il meglio che riesce a creare la mano dell'uomo.
Una mano di Gregor mi sfiora delicatamente il braccio.
"Guarda in basso!"
Seguo il suo sguardo e vedo, sotto i nostri piedi, una finestra incastonata nel pavimento. Rapita com'ero dalla vista, non mi ero minimamente accorta di questo curioso spiraglio, che dà proprio sul tetto del Foot Town e sulla strada. Punto l'obiettivo della macchina fotografica sulla finestrella. Il mio coach si affretta a spostarsi, nel rendersi conto che i suoi piedi offuscano un po' la visuale panoramica.
"Oh, perdonami!"
"No...! – gli intimo – si rimetta pure come prima..."
E per un lungo attimo i miei occhi nocciola chiaro si incontrano perfettamente nei suoi grigissimi. Gregor obbedisce, posizionando di nuovo i suoi piedi sulla finestrella in maniera del tutto speculare ai miei.
CLICK! CLICK!
C'è la giusta centratura e una perfetta simmetria nelle foto che ho appena scattato: le sue scarpe blu e le mie nere incorniciano perfettamente la finestra panoramica che dà sulla parte sottostante della Tokyo Tower. Quindi, mostro soddisfatta l'esito della mia creazione a Startseva, che commenta con un fischio di apprezzamento.
"Molto bella, poi potrei averne una copia?"
"Certamente! – gli assicuro – va bene se gliela mando sulla sua mail?"
Proprio io che mi sono sempre dimostrata ostile nei suoi confronti, adesso non riesco a rivolgermi a lui senza dargli rispettosamente del lei.
"Certo, ti ringrazio molto!"
E realizzo di aver appena scattato la prima foto di me e Startseva assieme, una foto che per giunta ritrae i nostri piedi. Lo trovo curioso e divertente, se penso che la nostra prima foto assieme sarebbe sicuramente stata una fotografia di gruppo con tutta la squadra per la stampa e per la federazione, se solo stamattina non avessimo perso quel treno.
Gregor si stiracchia e ammira ancora un po' il panorama che ci si staglia maestoso davanti, oltre quelle grandi vetrate, e poi mi propone:
"Comincio ad avere una gran fame, sai... Ti va se ci fermiamo adesso per la pausa pranzo?"
Lancio un'occhiata all'orologio e noto con stupore che sono già passate le 13,30. È incredibile come da quassù si perda del tutto la cognizione del tempo.
"Sì, sono d'accordo...!" rispondo.
Sento improvvisamente un leggero languorino, e mentre Startseva si avvale della sua cartina informativa, io comincio a consultare Google alla ricerca di un posto buono e abbordabile nelle vicinanze. È risaputo che Tokyo è una città piuttosto cara, ma so che consultando le mie fidate applicazioni, posso trovare facilmente un buon ristorante a due passi e con ottimo rapporto qualità-prezzo.
"Cosa preferisce mangiare?" gli domando, così da ristringere il campo di ricerca.
Mi sorprende molto la varietà di ristorazione che offre questo quartiere, particolarmente turistico e commerciale. Gregor abbandona la sua fidata cartina informativa e mi si avvicina, per dare un'occhiata al sito che sto consultando.
"Mhm, non ho preferenze! Consigliami tu!"
Scorro sulle varie opzioni, avendo cura di filtrare quelle con i più alti feedback.
"Questo sembra molto allettante!" suggerisco, indicando un ristorante di cucina tradizionale.
Il ristorante si chiama Ryokan e possiede cinque stelle feedback su cinque. Noto che dalle foto il locale sembra molto accogliente e le pietanze davvero deliziose.
"Ottima scelta!" è il commento del mio coach.
Startseva dà il suo consenso con un sorriso e il solito suo cenno di apprezzamento col capo.
Così volgiamo un ultimo sguardo lontano sulla città, prima di imboccare l'ascensore e lasciare l'Osservatorio.
Spero di aver fatto una buona scelta, Startseva è rimasto in silenzio e ha lasciato che scegliessi io il ristorante in cui pranzare assieme. Scopro che la compagnia del mio coach non è affatto sgradevole: è un tipo molto curioso e instancabile, sempre aperto a qualsiasi proposta. Gregor non si lamenta mai e, a dirla tutta, un tipo come lui incarna proprio il mio compagno di viaggio ideale.
 

GREGOR

Dopo qualche minuto di cammino giungiamo al Ryokan, che ha tutto l'aspetto del tipico ristorante giapponese, con la sua insegna in ideogrammi kanji e lanterna rossa ben esposta all'esterno. Questo locale si trova in uno stretto vicolo interno, in un punto davvero nascosto nell'area metropolitana e caotica di Shibuya.
Entrando al suo interno, un profumino davvero invitante mi invade le narici e stuzzica ancora di più il mio appetito.
Come da indicazioni riportate sul cartello, ci togliamo le scarpe da tennis e le rimponiamo nell'apposita scarpiera accanto all'ingresso. Noto con un sorriso che neanche Lucia ha esattamente un piede di fata con il suo 41, mentre io necessito di almeno un 46. Ci vuole un po' per individuare i nostri numeri, ma finalmente riusciamo a trovare e a indossare le ciabatte con cinturino a infradito.
Non lo avrei mai detto, ma queste ciabatte sono incredibilmente comode. Non sarebbe una cattiva idea comprarne un paio prima di tornare in Italia, inoltre potrebbero essere anche un souvenir molto apprezzato da mia madre.
Mia madre...accidenti...! – Mi sono completamente dimenticato di rispondere al suo ultimo messaggio. Travolto dagli eventi e completamente assorbito dalla gara, non le telefono dal primo giorno che sono arrivato in Giappone. Prometto a me stesso che staserà rimedierò, una volta rientrato in hotel, magari con una videochiamata.
Veniamo ricevuti da un giovane cameriere dal viso tondo e dagli occhi a mandorla, che con modi piuttosto ossequiosi ci fa accomodare in un angolo piuttosto appartato. Spesso incontro un po' di difficoltà a interagire in inglese con i giapponesi, per via del loro marcato accento nipponico e del mio probabilmente troppo italiano, tuttavia alla fine ci riesco.
Adesso io e Lucia siamo seduti l'uno di fronte all'altra. Consultiamo i menù, e ancora mi sembra incredibile ritrovarmi a trascorrere una mattinata pacifica e spensierata insieme a lei. Quando questa mattina in hotel ho realizzato che l'ascensore si fosse bloccato, ho subito capito che probabilmente avremmo perso il treno per Kyoto. Per questo motivo ho esortato il mio amico Paolo a precederci in stazione, perché probabilmente era l'unico modo per salvare l'escursione... almeno per loro.
Lucia ci è rimasta male, doveva tenerci parecchio a quella gita, glielo si leggeva negli occhi quando mi è toccato darle la spiacevole notizia nella hall dell'albergo. Ci tenevo molto a tirarla su, per questo motivo che le ho proposto di accompagnarmi in questo giro turistico per Tokyo.
E non è stata affatto una cattiva idea perché adesso ci ritroviamo l'uno di fronte all'altra, in un tradizionale ristorante giapponese, circondati un'atmosfera decisamente intima e raccolta, senza essere avvolti dal solito clima pesante e ostile della palestra. Forse perché oggi io non sono il coach Startseva e lei la giocatrice Capparelli, ma siamo solo Gregor e Lucia, due ragazzi come tanti che cercano di trarre del buono da questa disavventura. 
La verità è che mi fa uno strano effetto stare solo con lei, avverto ancora una certa tensione intercorrere tra noi, ma questa volta non si tratta di una sensazione negativa...solo strana. È piacevolmente strano che io e Lucia chiacchieriamo serenamente di curiosità, di interessi comuni o di qualsiasi altra cosa esuli il mondo della pallavolo e della rassegna mondiale che stiamo vivendo.
"Ho letto sulle recensioni di questo locale che qui è molto consigliato il ramen – mi informa Lucia – credo che lo ordinerò!"
"Ah, sì...?"
Mi piace molto il ramen ma, sebbene fortunatamente non faccia poi tutto questo gran caldo, non ho molta voglia di mangiare del brodo.
"Io credo invece che mi butterò sui ravioli al vapore – dico, valutando ancora il menù – con cosa vogliamo accompagnare queste pietanze?"
Mi chiedo con curiosità se Lucia sia più un tipo da birra o da vino.
"Forse con del vino rosso – mi risponde, accarezzandosi pensosa il piccolo mento – o lei preferisce il bianco, coach?"
"No... ottima scelta, sono molto curioso – dico, rivolgendole un sorriso – sulla riserva facciamoci consigliare dal cameriere!"
Una volta scelto, comunico le ordinazioni che comprendono un primo e due secondi a testa. Probabilmente è un po' troppo, ma la piccola disavventura di stamattina e la lunga camminata ci hanno messo decisamente appetito.
Il cameriere ci porta subito l'acqua e il vino. Io degusto subito quest'ultimo e devo ammettere che è davvero ottimo.
Lucia non tocca ancora il suo calice, poggia i gomiti sul tavolo e raccoglie fra le mani il suo bel viso. Ogni tanto la vedo spostarsi una ciocca ribelle dietro le orecchie e guardarsi un po' attorno, verso l'ambiente forse un po' piccolo ma decisamente accogliente. Siamo nell'unica sala del locale, con l'atmosfera piuttosto raccolta e con piccoli spazi privati riservati a ciascun tavolo.
Di tanto in tanto, i nostri occhi si incrociano, scambiandosi un sorriso di circostanza ma non per questo meno autentico. Ormai ho imparato a conoscere una per una le mie atlete, e so che Lucia è un tipo impulsivo, assolutamente incapace di fingere. Ma se da un lato questa sua limpidezza d'animo ha potuto costituire un punto di forza per la squadra, dall'altro ha condannato per molto tempo il nostro rapporto professionale a continui contrasti.
Fin dall'inizio, Lucia è stata la mia spina nel fianco, la leonessa da conquistare. Mi sono chiesto a lungo come fosse saltato in mente a Pandolfi di nominare capitano proprio lei, una ragazza così impudente e con un simile caratterino; ma poi ho visto nei suoi occhi la tenacia, la determinazione, la forza e la grinta con cui incita e sostiene le sue compagne. Ho visto il suo attaccamento alla squadra e ho capito che la maglia numero dieci non poteva che indossarla lei. È stato difficile per noi accettarsi, abituarsi l'uno all'altra è stato un percorso lento e faticoso ma sento che questa volta ce l'abbiamo fatta.
Intanto i nostri telefoni non hanno smesso un attimo di vibrare. Nell'attesa che arrivino le portate, Lucia estrae dallo zaino il suo cellulare, e così anche io mi concedo di tirarlo fuori dalla tasca per ingannare il tempo.
Naturalmente si tratta delle ragazze. La chat è letteralmente invasa da foto e commenti che condividono sul gruppo della palestra. Fra le tante foto, ne compare anche qualcuna buffa e imbarazzante di Paolo che lo ritrae nel vano tentativo di mangiare una banana in santa pace o, nelle foto di gruppo, agghindato da dietro con delle corna. Sempre tremende, sempre irriverenti, sempre così...adorabili!
"Sembra che si stiano divertendo molto" commenta Lucia, recuperando i messaggi non letti dal suo dispositivo.
I suoi occhi nocciola sono assorti sullo schermo, e penso con un po' di rammarico che in questo momento lei preferirebbe trovarsi lì con loro, insieme a tutte le sue compagne, piuttosto che con me, il coach rompiscatole.
Sbuffo a questo pensiero.
"Oh, sì... anche Paolo si sta decisamente divertendo!"
Riesco così a strapparle una risata. Adesso quelle profonde iridi nocciola affondano nelle mie grigie e acuminate, con calore e una leggerezza mai provate prima. 
Quel bel sorriso dipinto sul suo volto e la timidezza con cui poi distoglie lo sguardo, posandolo nuovamente sul cellulare, riescono a scaldarmi il cuore. Perché in fondo anch'io sono un timido, ma avendo avuto molto a che fare con la stampa e i riflettori ho imparato a dominare la mia timidezza. Lucia è ancora nel fiore dei suoi anni, probabilmente è all'apice della sua carriera, ha ancora molta strada davanti e quello che è riuscita a conquistare alla sua giovane età è davvero molto ammirevole.
"Camilla la pensa sempre, coach!" sussurra poi lei, lanciandomi una breve occhiata.
"Come...?"
Con il pollice scorro nel gruppo, fino a trovare la foto di un dolcetto dall'aspetto invitante, inviato proprio da Camilla, insieme al messaggio Coach Startseva, questo è per lei!!
Un sorriso che proprio non riesco a trattenere mi si allarga sul volto.
"Sembra un muffin, vero? – domando – i suoi sono dannatamente buoni!"
"Già – conviene lei, divertita – Camilla e la sua fissazione per i dolci...!"
Prima di decidermi a riporre via il cellulare, mi ritrovo a soffermarmi su alcune foto di Camilla. Vederla sorridere felice e spensierata in questo modo mi infonde un grande sollievo. Sembrano così lontani quei primi tormentati giorni di allenamento insieme, quando in palestra regnava sovrana quell'atmosfera carica di tensione e diffidenza.
"Camilla è entrata pienamente nel ruolo, ha la stoffa della vera campionessa! Per i progressi che ha fatto in così poco tempo è davvero una forza della natura!" ed è il cuore gonfio di orgoglio che parla per me.
Forse non dovrei lasciarmi andare a questo tipo di commenti con una mia giocatrice, nel pieno della competizione, ma questa riflessione è sorta spontanea sulle mie labbra. Sono certo che in questo mondiale, a prescindere da quale sarà l'esito, Camilla sarà la mia vittoria più grande.
"Sì, concordo – afferma Lucia – con i suoi palloni, Camilla riesce a variare molto il gioco, come se avesse sempre fatto la palleggiatrice!"
E io concordo perfettamente con lei.
"Già! L'abbandono di Pandolfi e della vostra compagna ha gettato molto scompiglio nella squadra – osservo – ma in compenso sono contento che abbia dato a Camilla l'opportunità di scoprire il suo potenziale, e magari la possibilità di esplorare nuove strade in futuro!"
"Lei conosce il nostro vecchio allenatore?"
"Sì, Pandolfi è stato il mio primo allenatore, all'inizio della mia carriera nella pallavolo professionista – rispondo, tornando con i ricordi a molti anni fa – all'epoca militavo nella Milano Powervolley, ma solo dopo un anno lui è stato chiamato ad allenare la nazionale"
Gli occhi di Lucia mi scrutano adesso in maniera indecifrabile, il suo viso si incupisce. Improvvisamente sento che qualcosa non va. Ho come la sensazione che il lavoro, invadendo i nostri spazi, riuscisse a sconvolgere questo piacevole equilibrio creatosi tra noi, e io non voglio assolutamente che questo avvenga. Almeno non oggi, non adesso che finalmente la sento così vicina.
In mio soccorso arriva provvidenzialmente il giovane cameriere, portando con sé tutte le nostre ordinazioni. I nostri occhi sono sulla tavola ricolma improvvisamente di ciotole coloratissime piene di prelibatezze.
Il giapponese congiunge le mani con modi cerimoniosi, e noi con garbo di riflesso lo imitiamo.
"Itadakimasu!" sussurra il giapponese, prima di dileguarsi.
Non ci vedevo più dalla fame, si può dire che il cibo sia arrivato nel momento più propizio. Inforco le bacchette e mi concentro sui miei gustosissimi ravioli, mentre Lucia fa lo stesso con il suo ramen brodoso. Un mugolio soddisfatto le sfugge, mentre sgrana gli occhi per la sorpresa.
"Ė davvero ottimo...!" sorride arrossendo, e io la ricambio compiaciuto.
Una pacifica quiete accompagna il nostro pasto, e io spero con tutto me stesso di non aver rovinato in qualche modo ciò che di bello stavamo costruendo assieme.
Alla fine, con mia grande sorpresa, è proprio Lucia a spezzare il silenzio.
"Coach, vorrei scusarmi ancora una volta con lei...!"
"Mhm... – mi affretto a dire, ingurgitando il mio ultimo raviolo e ripulendomi con il tovagliolo – non è necessario!"
Lucia manda giù l'ultimo sorso del suo brodo e scuote la testa con decisione.
"La verità è che per me è stato un periodo particolarmente stressante. Negli ultimi giorni a Milano, tra i preparativi per la partenza, la tensione per le nuove competizioni, Mirko... ero veramente provata da mille emozioni – e penso davvero che questa volta ti stia parlando con il cuore in mano, vorrei dirle che non è necessario parlare di faccende così private, ma rimango in silenzio ad ascoltarla – aveva visto bene, sa? Io e Mirko stavamo insieme fino a qualche mese fa..."
Poso le bacchette e mi specchio in quelle calde pozze nocciola che sono i suoi occhi.
"Mi dispiace molto essermi dimostrato indiscreto quella sera, non era affatto mia intenzione essere così indelicato!" affermo con tutta sincerità, riferendomi alla nostra ultima sera a Milano.
"Ma lei non lo è stato affatto! E so che non sta bene parlare di faccende personali, ma ci tengo molto a scusarmi con lei e a tentare di spiegarle cosa mi sia preso quella volta – dice timidamente – qualche mese fa ho scoperto che Mirko mi ha tradita e ci siamo lasciati. Questo fatto in sé non è un dramma, se da bambina non avessi vissuto con difficoltà la separazione dei miei genitori, per il tradimento di mio padre e il suo abbandono. Lo so che non è una valida giustificazione, ma in un momento di preparazione fisica e mentale in vista di una competizione agonistica così importante, la tutta storia di Mirko mi ha destabilizzata emotivamente. Ma un capitano che si rispetti, non dovrebbe lasciarsi sconvolgere in questo modo, non dovrebbe lasciarsi influenzare dalle emozioni come ho fatto io...e lei decisamente non meritava un simile trattamento, e io non dovevo permettermi in nessun caso a mancarle di rispetto!"
Le sue parole sono un fiume in piena che mi travolgono. Davanti a simili rivelazioni l'immagine di ragazza viziata e capricciosa viene inevitabilmente meno, e lascia posto a un'immagine di Lucia vera e autentica: lasciando posto alla ragazza e non alla campionessa.
Sento come mia la difficoltà di Lucia nel parlare questioni così delicate, a cui io per tantissime ragioni non posso essere indifferente.
Forse rimango troppo a lungo senza parole, perché vedo lei distogliere nuovamente lo sguardo imbarazzata, abbassarlo sulla sua tempura di gamberi, e abbozzare un tenue sorriso:
"Mi dispiace, probabilmente non dovevo tirare fuori questioni così intime e private...!"
"No, non è questo...!" mi affretto a risponderle e di riflesso allungo una mano per poggiarla sulla sua, come a volerla trattenere, come se da un momento all'altro potesse di nuovo sfuggirmi.
A quel breve contatto fisico, sento una scarica di adrenalina attraversarmi la colonna vertebrale, e immediatamente ritiro la mano. Come se scottasse, come se sapessi di aver osato troppo con questo gesto.
Comprendo perfettamente il suo stato d'animo e apprezzo davvero che si sia lasciata andare a queste confidenze, perché in fondo nessuno meglio di me sa quanto può far male un ricordo.
"Credimi, Lucia, tutto questo per me ha perfettamente senso – e intendo ripagare la sua sincerità con altrettante sincerità – è assolutamente normale che tutti questi fattori, tutti questi cambiamenti abbiano finito per destabilizzarti in un momento stressante come questo. Anche io ho trascorso un momento molto buio nella mia vita, che mi ha sconvolto fino a farmi perdere il controllo delle mie stesse azioni. Dieci anni fa, un incidente in moto mi ha portato via la mia fidanzata, e alla guida c'ero io. Lei si chiamava Vittoria"
"Santo cielo – lascio Lucia senza parole – mi dispiace moltissimo!"
"Il punto è che anche io ho commesso errori, mi sono chiuso – le spiego in sostanza – ero nel pieno della mia carriera agonistica e ho cominciato a bere molto spesso e a fare uso di sostanze. Niente di troppo forte, visti i controlli antidoping a tappeto che fanno nel nostro sport, ma ho commesso anche io delle sciocchezze in passato, che tornando indietro sicuramente non rifarei. La mancanza di Vittoria mi faceva male e così anche tutto ciò che mi ricordava lei, portandomi a fare azioni che in una condizione normale mai avrei commesso".
"In questo momento i miei problemi sembrano sciocchi drammi adolescenziali!" sorride Lucia, imbarazzata.
"Sbagli a pensarla così – le dico, sincero – il dolore non è mai sciocco, e la nostra reazione ad esso non è mai razionale, soprattutto quando la ferita pulsa ancora nelle vene. La vita è davvero imprevedibile, non possiamo farci niente. Guardaci, siamo qui a chiacchierare delle nostre vite davanti a dell'ottimo cibo giapponese...noi che fino a ieri, sembravamo l'uno la nemesi dell'altra..."
E così, le strappo forse il più bel sorriso che abbia mai visto illuminare un viso di donna. Professionale come cerco sempre di essere, non avevo mai considerato Lucia o una delle tue atlete da questo punto di vista, nemmeno Giulia che sembra la più sensuale e vivace tra le mie ragazze. 
Rivelandosi, Lucia ha svegliato qualcosa dentro di me, forse perché siamo più simili di quanto non avremmo mai osato immaginare. Alla nostra giovane età, abbiamo già visto il peggio di questa vita – l'abbandono, la paura, il lutto – ma, nonostante tutto continuiamo a sorridere e a inseguire i nostri sogni. Non so a cosa somiglia questo sentimento che sento nascere lentamente dentro di me, se somigli più all'ammirazione, alla simpatia o all'affetto.
"Grazie...!" sussurra lei, piena di gratitudine.
Le rispondo strizzandole un occhio e rivolgendole un sorriso. Sono io a esserle profondamente grato per essersi aperta al dialogo, dandomi modo di fare altrettanto.
Finalmente sto per concedermi di passare al secondo, alla mia prelibatissima anguilla marinata quando sento vibrare insistentemente il cellulare nella mia tasca.
Non si tratta di un messaggio, alzo gli occhi al cielo e mi decido a tirare fuori il telefono.
Il display indica una chiamata da parte di mia madre, alla quale non posso proprio sottrarmi.
"Scusami, ma devo proprio rispondere!" prego Lucia, di perdonarmi per la scortesia.
"Non si preoccupi..." mi esorta lei, continuando il suo pasto.
Non faccio in tempo ad aprire la chiamata, che mia madre mi si avventa bruscamente, e devo ammettere non senza ragione.
"GREGOR!! POSSIBILE CHE NON SI RIESCA MAI A RINTRACCIARTI?"
"Perdonami – tento di giustificarmi – sono stati giorni parecchio impegnativi..."
"SEI DALL'ALTRA PARTE DEL MONDO, NON DELLA CITTÁ! IL MINIMO CHE TU POSSA FARE Ė ALMENO UNO SQUILLO, UN QUALSIASI SEGNALE GIUSTO PER FARMI CAPIRE CHE STAI BENE...!"
Mi sfugge una risata, la mia povera mamma ha ragione. Anche io sarei molto in pensiero al posto suo, sapendola in un luogo straniero così lontano.
"Avrei dovuto telefonare, hai ragione...! Ma dimmi, come stai?"
La sento respirare e inspirare profondamente dall'altro capo.
"Io sto bene, tesoro – finalmente abbassa la voce – ero così preoccupata, come sta andando la gara? State tutti bene?"
"Sì, stiamo tutti bene, e anche la gara procede discretamente, siamo già passati alla seconda fase!" le dico, senza spostare un attimo gli occhi dalla ragazza di fronte a me
.
Lucia si è raccolta discretamente in sé stessa, maneggiando con abilità quelle bacchette e degustando la sua ricca porzione di insalata di alghe.
"Bravissimi, sapevo che ce l'avreste fatta a superare il primo turno...le ragazze sono contente?"
"Oh, sì, certo – sorrido dentro di me – in questo momento sono tutti a Kyoto, avevamo organizzato questa gita di un giorno ma sfortunatamente io e Lucia siamo rimasti chiusi in ascensore, e ci è toccato rimanere qui in città. In questo momento stiamo pranzando assieme in un ristorante molto carino"
Sento un silenzio decisamente troppo prolungato dall'altro capo.
"Lucia...? Il capitano della squadra...?"
"Sì, proprio lei..." dico, provando un certo imbarazzo alla nota troppo entusiasta di mia madre.
Anche Lucia in quel momento solleva gli occhi un po' perplessa, evidentemente sentendosi chiamata in causa.
"UH! LA MIA PREFERITA!!"
"Sì, mamma – sospiro – ci sentiamo con più calma, d'accordo? Magari questa sera, quando rientro in hotel!"
"D'accordo tesoro, ma non dimenticare di telefonarmi – brontola lei – e salutami tanto Lucia!"
Sto per chiederle perché mai dovrei salutargliela dal momento che non ha mai conosciuto nessuna delle mie atlete, ma cerco di tagliare corto con questa telefonata che sta prendendo toni decisamente pericolosi.
"Lo farò!" prometto, con estremo imbarazzo prima di riagganciare.
Mentre ripongo nuovamente il cellulare nel taschino, Lucia inarca un sopracciglio, trattenendo a stento una risata.
"Ti saluta mia madre!" le dico, con la stessa fatica con cui avrei sputato un grosso rospo trattenuto in gola.
"Grazie... molto gentile e simpatica la tua mamma!" sorride Lucia, un po' intenerita e un po' divertita.
"Sì, le piace troppo chiacchierare!" commento acido.
Perché è stato un po' come ammettere che ho parlato molto con mia madre di loro, e soprattutto di lei. Ogni volta che quella peste mi faceva arrabbiare, ogni volta che mi faceva perdere la pazienza, ogni volta che mi faceva sputare bile amara, le persone con cui solitamente riuscivo a sfogarmi erano mia madre e Paolo, naturalmente.
"Non immaginavo fosse così divertente parlare con lei..." afferma Lucia, con un tono al contempo dolce e canzonatorio.
Ed è la cosa più simpaticamente impudente che mi abbia mai detto.
"Ah, nemmeno io!" ribatto, fintamente offeso.
E riesco così a strapparle uno di quei sorrisi raggianti capaci di far innamorare. 
 

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NdA: Ciao, rieccomi tornata con il nuovo capitolo che avevo promesso. Spero che vi piaccia questa piccola svolta, che ancora non è del tutto conclusa ;) Lucia e Gregor hanno finalmente raggiunto il loro equilibrio...e non so se vi siete accorti (perché né l'uno e nell'altro, presi dal momento ci hanno fatto caso), ma Lucia ha già ridotto la distanza con suo coach dandogli finalmente del "tu" (oltre che aprendosi "quasi del tutto").

Buona lettura e buona domenica! ;)

 

   
 
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