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Autore: MaxB    17/05/2020    5 recensioni
Ossessionata dalla saga de La Passe-Miroir, non riesco a pensare ad altro da settimane.
E ho bisogno di approfondire alcune scene dei primi tre (e spoiler del quarto) volumi.
Ci saranno missing moments, scene descrittive relative a Thorn, soprattutto alla sua infanzia, e immersioni nei dialoghi tra Ofelia e Thorn, per come me li immagino io. Ed eventuali scene mancanti che ci starebbero bene.
Per possibili spoiler sul quarto volume verranno dati avvisi in cima alla pagina.
Aggiornamento irregolare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Attenzione: si avvisano i gentili lettori che il capitolo si è animato e mi è sfuggito di mano.
Letteralmente. Probabilmente in questa prima parte non capirete nemmeno quale parte del primo libro volevo approfondire. Nemmeno nella seconda parte, a dire il vero, perché ho il sospetto che quello che volevo trattare sarà un 5% del totale. E pensare che non sapevo nemmeno da dove iniziare... va be', il titolo è comunque un indizio (La slitta). E poi ci sono molti riferimenti agli albori...
L'ho dovuto dividere perché sta diventanto troppo lungo e la cosa sinceramente mi piace.
Consideratelo una specie di missing moment in cui loro sono sposati, Thorn è stato riabilitato, le minacce sono state sconfitte (?) e Thorn non è scappato quindi la gamba rotta è stata subito curata e non necessita di armature di sostegno.
Spero vi piaccia, grazie a chi leggerà^^


9. Le traineau

Ofelia prese un profondo respiro e si immerse nello specchio della camera, racimolando tutto il coraggio che aveva. Emerse con la testa nell’armadio pieno di cappotti dell’Intendenza, dove così tante volte si era recata in passato, per parlare con Thorn indossando i panni del valletto di Berenilde. Ricordi che sembravano risalire ad una vita precedente, ma di cui voleva sfruttare alcuni cavilli per ottenere ciò che voleva.
Sarebbe stato più facile, conveniente e proficuo parlarne a casa, in salotto, in sala da pranzo, in camera? Certamente. Dove aveva deciso di affrontare il discorso, lei? Nel suo ufficio, in pieno orario di lavoro e di visite, senza riguardo per il buon costume e senza invito. Thorn era preso fin sopra i capelli con un censimento annuale non specificato di cui Ofelia non aveva capito lo scopo; l’unica cosa che aveva afferrato era che la presenza del marito a casa era più scarsa del solito: talvolta non rientrava nemmeno per dormire. Quanto meno si sforzava di chiamarla per avvisarla dei ritardi o delle assenze, ma la cosa cominciava a diventare pesante ad Ofelia. Le sembrava quasi che avessero avuto più tempo a disposizione per loro quando erano solo dei fidanzati, e lei non era innamorata, per giunta.
Se l’unico modo per parlargli e vederlo era quello di recarsi da lui, lo avrebbe fatto.
Con la testa e il busto nel suo armadio, sputò il pelo di una pelliccia che le si era infilato in bocca e bussò con le dita inguantate sul legno dell’anta, ovviamente chiusa. La sciarpa si dimenava, a metà tra i due lati dello specchio, per nulla a suo agio. Non ottenendo risposta, bussò più forte. Questa volta udì chiaramente il rumore dei tacchi di Thorn che si avvicinavano, l’apertura repentina del mobile, e poi un occhio metallico e stretto a fessura fece capolino tra due cappotti, puntando dritto al suo viso. Ofelia, bloccata dallo sguardo gelido di Thorn, non notò nemmeno l’arcata sopraccigliare severamente contratta, la mascella rigida e la bocca sottile stretta a trattenere una smorfia. Non sembrava particolarmente felice di vederla.
Con un solo cenno del capo le fece capire che avrebbe dovuto aspettare. Chiuse l’anta, questa volta accostandola e basta, e si allontanò. Ofelia ne approfittò per uscire del tutto dallo specchio e si mischiò alle pellicce, lieta del tepore che cappotti e spazio angusto emanavano. Nell’ufficio di Thorn faceva sempre freddo.
Quando un’altra voce, sempre maschile, si frappose a quella del marito, Ofelia si rese conto che Thorn stava ricevendo qualcuno. Pessimo tempismo. Non poteva aspettarsi qualcosa di meglio, comunque, dal momento che si era presentata senza invito. Rimase in paziente attesa, cercando di carpire qualcosa dal discorso che i due uomini stavano intrattenendo.
- Mi state dicendo di no?
- Precisamente – confermò Thorn, lapidario, la voce più grave e la erre più scricchiolante del solito.
Ofelia lo conosceva abbastanza bene da percepire che l’individuo seduto con ogni probabilità di fronte a lui non gli andava particolarmente a genio.
- Esigo delle motivazioni – berciò lo sconosciuto, con una voce nasale e stridula che fece storcere il naso ad Ofelia.
Arrischiò un’occhiata discreta dalla fessura dell’anta. Seduto sulla sedia davanti alla scrivania di Thorn c’era un funzionario in redingote che assomigliava ad un grasso pinguino stravaccato più che ad un nobile. Aveva il viso rubicondo e un bottone della camicia in procinto di saltare in un occhio dell’intendente, che se n’era accorto e lanciava occhiate di scoraggiamento alla pancia prominente dell’interlocutore. Ad Ofelia non suscitava una gran simpatia.
- Ho urgenza di chiudere questa conversazione priva di buonsenso, ma ricca di fesserie e ridicolaggini. Davvero mi state chiedendo perché non coadiuvo una legge che caldeggi la poligamia o una che giustifichi un marito infedele invocando come scusa un amore smisurato per il sesso femminile?
L’uomo divenne paonazzo, ma di rabbia, non di imbarazzo. – Proprio così! Siamo uomini, intendente, dotati di carne, sangue e impulsi, una legge che prevede una sola moglie è restrittiva e nuoce alla salute sia del marito che della consorte. Mina la salute del matrimonio e la libertà di ognuno.
Ofelia vide Thorn dallo spiraglio, rigido come uno spaventapasseri, alto e magro quanto l’uomo di fronte a lui era basso e grasso. – La libertà di ognuno consiste nello scegliere se sposarsi o meno. Il matrimonio implica una sola moglie e una progenie. Un atteggiamento diverso sarebbe disdicevole.
- Devo ricordarvi, intendente, che voi siete nato proprio perché il vincolo matrimoniale è stato trasgredito?
Ofelia rabbrividì. Thorn aveva finalmente rivolto il suo sguardo serio e inflessibile verso il funzionario dalla lingua lunga, e ciò che albergava nei suoi occhi era ben lontano dal divertimento, dal cameratismo o dall’indulgenza. Le narici leggermente dilatate, la fronte aggrottata fino a far congiungere le sopracciglia, la mascella così contratta che Ofelia giurò di averlo sentito digrignare i denti: Thorn era infuriato. Carico d’odio.
Non si prese la briga di rispondere a quell’attacco privo di tatto. – La risposta è no, non prenderò minimamente in considerazione una simile legge. Significherebbe anarchia, immoralità, corruzione e perdita di valore per il sacro vincolo matrimoniale.
Il sacro vincolo matrimoniale… Ofelia non credeva che Thorn lo considerasse addirittura sacro. Sicuramente non era abbastanza romantico da considerarlo un legame d’amore indissolubile ed eterno, che legava due cuori. Le veniva da ridere al solo immaginare Thorn con certi pensieri: era un tale paradosso!
Il nobile con la pappagorgia ringhiò e sputacchiò nel tentativo di palesare il suo malcontento. – Ve ne pentirete intendente, vedrete cosa vi farò.
Thorn appoggiò i gomiti sul tavolo, e nel farlo la giacca da intendente che indossava, la giacca che portava al di sotto e la camicia si tesero, lasciandogli scoperta la pelle dei polsi e dell’inizio degli avambracci. Su entrambi spiccavano le lunghe e bianche cicatrici che Ofelia conosceva così bene… e amava così tanto.
Il funzionario ammutolì quando le vide, quasi che Thorn gli avesse puntato una pistola contro.
- Non vi conviene minacciarmi, sarebbe solo fiato sprecato. Ringraziate solo che non avvisi vostra moglie della discussione appena avvenuta.
L’ometto se ne andò indignato, borbottando. – Avete troppo potere, mi consulterò con gli altri e vedrete cosa vi faremo passare.
- Al contrario, il potere non è troppo quando ben amministrato. Non si parla di potere, inoltre, ma di capacità di giudizio e discernimento, caratteristiche di cui la maggior parte di voi è sprovvisto. Chiudete la porta alla vostra uscita.
La porta la sbatté, invece di chiuderla.
Ofelia vide Thorn fare un altro cenno di attesa verso l’armadio, verso di lei, e sollevò il ricevitore del telefono.
- Dovete far attendere le visite programmate fino a mio ordine. C’è stato un contrattempo. No, niente di grave. Non devo essere disturbato per nessun motivo fino ad allora.
Thorn riattaccò. Ofelia intuì che aveva parlato con il consigliere, poco distante dal suo ufficio. L’intendente si alzò dalla sedia e andò a chiudere la porta del suo studio con la chiave, prima di recarsi verso l’armadio. L’approssimarsi della sua figura imponente le tolse tutta la luce, e la visuale di Ofelia si fece nera.
Thorn le aprì l’anta e scostò le giacche per permetterle di uscire. Ofelia non s’illudeva certo che il suo fosse un gesto galante: sapeva semplicemente quanto fosse facile cadere per una come lei, così aveva tolto di mezzo ogni possibile fonte di inciampo. La precedette alla scrivania e tolse di mezzo calamaio e inchiostro, memore di una delle visite in cui Ofelia aveva combinato la sua, macchiando tutto il legno a causa di un gesto brusco.
Ofelia si sedette sulla sedia, adattata alla misura di Thorn, per cui non toccava nemmeno terra con i piedi. Lui la fissava con lo sguardo truce dall’altra parte della scrivania, i gomiti ossuti appoggiati al legno e il mento appuntito adagiato sulle mani intrecciate. Si era fatto crescere il pizzetto modellandolo col rasoio per dargli la forma di un’àncora. Bizzarro, che si fosse sistemato la barba proprio come quando si erano conosciuti da poco. Ofelia doveva chiedergli proprio una cosa pertinente a quel passato.
- Come mai sei qui?
Ofelia si riscosse, per nulla intimidita dal suo tono freddo e inquisitorio.
- Devo chiederti una cosa.
Non aveva senso andare tanto per il sottile, con lui.
Thorn increspò le sopracciglia più di prima, il suo sguardo si fece distante.
- Non potevi chiedermelo per telefono? O aspettare che rientrassi?
- Non gradisco il dialogo telefonico. Se possibile vorrei ancora guardare in volto il mio interlocutore. Quanto alla seconda domanda, si dà il caso che mio marito non dorma a casa da due notti, avvisandomi sempre all’ultimo.
Sebbene non avesse mai avuto intenzione di utilizzare un tono accusatorio, sul finire della frase la sua voce aveva assunto quella sfumatura: lo stava involontariamente incolpando.
Ofelia non si soffermò a pensare a quando, appena fidanzati, una situazione matrimoniale di quel tipo le avrebbe fatto solo piacere: un marito sempre al lavoro, che tornava a caso di rado e spesso dormiva fuori. Il quadro ideale, per lei, che non voleva avere nulla a che fare con doveri coniugali, chiacchiere da consorti e quant’altro, tanto meno con uno come Thorn. Impensabile, come si fosse evoluta la situazione. Quel quadro di solitudine e lontananza dal marito le appariva tutto fuorché attraente. Thorn le mancava. Le mancava addormentarsi con il suo corpo caldo al fianco, le mancavano i baci che le rubava, le carezze estremamente dolci che le riservava quando erano soli. Le piacevano persino i loro silenzi complici, il suo modo di parlare diretto, schietto, senza fronzoli, la sua mancanza di ipocrisia e la sua sconcertante onestà.
Si era perdutamente innamorata di Thorn, e le mancava.
Lui increspò ancora di più la fronte, corrugando il viso così tanto che le due estremità delle cicatrici parvero toccarsi. Si irrigidì, si appoggiò allo schienale della sedia, e lasciò cadere le braccia in grembo, in modo misurato.
- Ti ho già spiegato perché mi assento. Tornerei a casa se potessi, mi pare di averlo detto chiaramente.
- Lo so, non voleva essere un’accusa.
La sciarpa si agitò attorno al suo collo, impaziente che Ofelia facesse la sua richiesta.
- Cosa devi chiedermi? – la incalzò Thorn, quasi avesse letto i muti movimenti della sciarpa. – Ho diversi appuntamenti che si stanno accalcando, non puoi proprio aspettare?
La parte egoistica di Ofelia si ribellò, saggiando l’idea di prendergli più tempo del previsto. Poi però tornò in sé e, lungi dall’essere meschina, si sentì solo trascurata.
- Vorrei affrontare subito l’argomento, dato che non so quando sarà la prossima volta che ti vedrò.
Thorn non riuscì a nascondere una piccola smorfia, ma per il resto non mutò espressione. – Non mi sembra il caso di essere così…
- Ti ricordi le richieste che ho avanzato prima che ci sposassimo? – lo interruppe, leggermente spazientita.
Come al solito, Thorn ripeté: - Io non dimentico mai nulla.
Ofelia sostenne il suo sguardo. Non dimenticava mai nulla grazie alla sua portentosa Memoria, certo, ma aveva la minima idea di quale fosse la richiesta a cui alludeva?
- Allora? – la sollecitò, ancora.
- Ah, visto che ti ricordavi, pensavo avessi capito – disse causticamente.
Thorn si lisciò i capelli già perfettamente pettinati. – Mi ricordo ogni tua richiesta, ma a quale fai riferimento di preciso, e perché? – cedette alla fine.
Ofelia cercò di trattenere un sorrisino soddisfatto.
- Mi riferisco a quello che ti ho chiesto quando sei stato attaccato, qui all’Intendenza, e io sono venuta a farti visita a tarda notte.
Un lampo nei suoi occhi fece capire ad Ofelia che Thorn aveva ben presente la situazione cui faceva riferimento.
- Hai avanzato più di una richiesta – fu lui a ricordarle, senza indugi.
Con Thorn non c’erano mai esitazioni, mai “credo che”, “forse”, “penso di”, “magari”. Le sue parole erano come lui: dirette come la traiettoria di una freccia, e spesso altrettanto pungenti.
- Sì, e mi sono da poco resa conto che, sebbene tu mi avessi concesso tutto quello che ho chiesto, non ne hai rispettata una.
Thorn le si avvicinò di nuovo, sporgendosi sul tavolo allungando l’infinita colonna vertebrale. Negli occhi sembrò vibrargli la sfida. Lui non dimenticava mai nulla e ottemperava sempre alle sue promesse.
- Non mi risulta.
- Ti avevo chiesto di poter vedere il mondo esterno.
Thorn annuì col mento, una sola volta. – Sì, perché, testuali parole, alla lunga credevi di non essere più in grado di distinguere le illusioni e la realtà. La mia risposta è stata…?
Presa in contropiede, Ofelia vacillò. Anche la sciarpa si agitò, stizzita, mentre gli occhiali si tingevano di un insofferente grigio smorto. Non ricordava le parole esatte, non era quello il punto.
- La mia risposta è stata – riprese Thorn, dopo il suo silenzio senza responso, - che te lo avrei concesso, perché l’inverno stava finendo e le temperature erano di nuovo in aumento.
- Sì, è vero… - bofonchiò Ofelia, cercando di riportare la conversazione sui binari che voleva lei. Thorn era troppo bravo a guidare i discorsi e ad averla vinta con la sua parlantina sciolta. – Ma…
- Hai aperto lo studio di lettura fuori da Chiardiluna, infatti. Hai trascorso un mese a Sabbie d’Opale, alle terme, con tutta la tua famiglia. Abbiamo addirittura visitato il circo insieme.
Fine del discorso. Non aggiunse altro. Ofelia avrebbe voluto dirgli che aprire lo studio di lettura non equivaleva a visitare il mondo esterno, e che non poteva asserire che avevano visitato il circo insieme come se fosse stata una piacevole gita programmata. Era stato un caso, nulla più, conclusosi addirittura con un attacco a loro danno. In ogni caso, riguardo alla permanenza a Sabbie d’Opale non sapeva proprio come ribattere. Gli occhi da sparviero di Thorn però la impalavano, bloccandole le parole in gola come batuffoli di cotone.
Fu di nuovo Thorn a prendere la parola in seguito al suo attonito e confuso silenzio. – In cosa, dunque, non avrei rispettato la concessione?
Ofelia strinse le mani l’una nell’altra, cercando di trattenersi dal morderne le cuciture. Non ci riuscì, e la punta del mignolo le finì in bocca. – Sì, è vero, l’hai rispettata, ma… non ho davvero visto il mondo esterno.
- A cosa ti riferisci quando parli di mondo esterno?
- Mi piacerebbe andare fuori dalle mura, nella distesa innevata dei boschi, dove non c’è proprio la minima traccia di illusione. O di civiltà e cortigiani.
Thorn la guardò attentamente, come se lei gli avesse appena chiesto una tazza di caffè, di spogliarla lì sulla scrivania o di prepararle un’aeronave per tornare su Anima: la sua espressione non cambiava, ma lui stava cercando di capire se fosse seria o meno.
Valutando il fatto che si era data la briga di raggiungerlo nel suo ufficio, che gli stava facendo “perdere tempo” e che sembrava sulle spine e nervosa, quello che chiedeva doveva essere innegabilmente vero, non una pretesa faceta.
- Lì fuori è pericoloso – sancì, lapidario, senza spostarsi di un millimetro. – Non posso lasciare che tu vada da sola nei boschi, a vagare. O scortata da tua zia. A fare cosa, poi?
- Volevo che tu venissi con me.
L’ammissione lo colpì come l’intera conversazione non era riuscita a fare per tutto quel tempo. Thorn batté le palpebre, sollevando poi le sopracciglia, facendogli separare e allungare entrambe le cicatrici.
- Io devo venire con te nei boschi?
Ofelia annuì, sicura che la voce non le avrebbe retto.
- Per quale motivo? E quando, per giunta? Non ho un attimo libero.
- Thorn, non abbiamo nemmeno avuto una luna di miele vera a propria. Non ti prendi mai una vacanza, anzi, credo sinceramente che tu ignori il significato di questo vocabolo.
- So cos’è una vacanza – rispose lui, piccato.
- Non è questo il punto. Non siamo mai restati da soli, nemmeno una volta.
- Cosa vorresti dire?
- Mia zia vive con noi. Abbiamo vissuto per lungo tempo con tua zia. Vorrei davvero che ci prendessimo due giorni per noi. Rallentare, soprattutto tu. E potresti prenderla come il mantenimento di una promessa, non come una vacanza.
Thorn rimase in silenzio, se attonito o di riflessione, Ofelia non avrebbe saputo dirlo.
Alla fine espirò. Nemmeno lui stesso si era reso conto di aver trattenuto il respiro.
- D’accordo – concesse. – Tre giorni fuori dalle mura, lontani dall’arca sospesa a mezz’aria, dalla corte, da casa nostra, dalle nostre zie. La cosa ti aggrada?
Ofelia trasecolò, la sorpresa la fece tossire. Thorn non si scompose mentre lei diventava paonazza; era abituato a certe scene, sapeva quando doveva preoccuparsi e quando poteva rimanere al suo posto, imperturbato.
- Tre giorni? Davvero? Io e te?
Ofelia era esterrefatta. Thorn cedeva sempre con lei, non le aveva mai negato nulla, questo doveva riconoscerglielo, ma che accettasse così in fretta… e per un giorno supplementare, oltretutto! Per una vacanza, poi? Così su due piedi…?
Qualcosa non tornava.
- Si dà il caso che si stia avvicinando la scadenza di alcune pratiche per cui mi servono dei dati da parte dei guardacaccia. Loro sono restii a raggiungermi qui, pertanto l’accordo è che mi facciano trovare i documenti che mi servono debitamente compilati e che io li prelevi. È un buon accordo, loro sono soddisfatti e io risparmio un terzo del tempo. Un giorno in più posso sprecarlo fuori dalle mura, per analizzare le pratiche e verificare che i dati siano corretti e completi.
Ah, ecco dov’era la fregatura.
- Quindi mi porterai con te mentre lavori? – chiese, irritata.
Thorn si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra tonda che capeggiava sopra il divanetto logoro. Parlò come se non avesse nemmeno sentito il suo commento offeso. – Partiremo all’alba e nel pomeriggio andrò dai guardacaccia. Il giorno successivo potremo fare quello che vuoi, hai carta bianca. Purché tu non mi chieda di andare a caccia. Vista la tua naturale capacità di attirare catastrofi, non mi sorprenderei se un branco di Bestie gravide ci accerchiassero per sbranarci. Fortunatamente sono in letargo ora. Il terzo giorno finirò il giro dei guardacaccia e nel pomeriggio ripartiremo per essere a casa per la notte.
Ofelia era stupita, e si meravigliò che Thorn avesse ancora il potere di lasciarla senza parole, dopo tutto quel tempo. – Dove dormiremo?
- I Draghi hanno un avamposto nel cuore della foresta, non troppo lontano dai rifugi dei guardacaccia, che utilizzavano come luogo di raduno prima e dopo le battute. Ci tenevano il necessario, qualche abito di ricambio, ma ci sono anche stanze per dormire, gabinetti e cucine. Non è molto grande, è formato da ambienti separati e spartani. Non credo però che tu intenda fare una gita di benessere in qualche località di lusso, o sbaglio?
Il tono di Thorn sul finire del discorso era diventato sarcastico, Ofelia ne era certa.
Alzò il mento, anche se lui non poteva vederla, quasi a sfidarlo. – Difatti. Bene allora, fammi sapere quando sarà la partenza.
Thorn si voltò di nuovo verso di lei, avvicinandosi senza fare alcun rumore. Per quanto fosse alto, difficile non notarlo, il suo passo era felpato, sinuoso. Ofelia cercò di sostenere il suo sguardo, anche se lo perse quasi subito, lassù in alto.
Era arduo anche cercare di mostrarsi reticente, dal momento che aveva ottenuto ciò che voleva. Anche qualcosa di più. Era andata lì per fargli una proposta che lui avrebbe difficilmente accettato, e invece aveva già programmato il viaggio, e per un giorno più del previsto! Sebbene fosse per due terzi un viaggio di lavoro, Ofelia contava di poter raggiungere il suo scopo il secondo giorno di permanenza, quando avesse avuto campo libero su cosa fare.
Non aveva intenzione di andare in gita, come Thorn aveva insinuato. Il suo intento era un altro, che la assillava da molto tempo, e finalmente avrebbe potuto testare la sua teoria. Non restava che aspettare.
- Partiremo tra otto giorni precisi. È tutto?
Quanta freddezza! Lui e i suoi modi da intendente anche nel programmare una vacanza.
Ofelia distolse lo sguardo per non farsi venire il torcicollo, e si alzò, dirigendosi verso l’armadio per tornare a casa.
- Sì, è tutto.
Doveva ringraziarlo? Decise di no, visto il suo scarso entusiasmo. Non si aspettava che fosse felice all’idea, ma nemmeno così apatico. Come al solito.
- Allora devo farti io una richiesta.
Le sue parole la colsero così di sorpresa che la sciarpa le si annodò più stretta attorno al collo, rischiando di farla soffocare, e i suoi piedi inciamparono su loro stessi. Ofelia si aggrappò all’armadio per non cadere.
- Cosa?
- Segreto professionale. Immagino tu abbia sentito la conversazione intrattenuta con quel funzionario appena sei arrivata. Non mi illudo che tu non abbia origliato. In ogni caso, ciò non toglie validità alla discussione, coperta dal segreto professionale. Devo chiederti di non farne parola con nessuno. Nemmeno con tua zia.
Ofelia stava per ribattere che non avrebbe potuto raccontare ad un accidenti di nessuno quella conversazione, ma poi pensò alla zia Roseline, che sarebbe stata incuriosita e scandalizzata dal tenore della richiesta del nobile, e a Renard, che si sarebbe fatto una bella risata.
Allora annuì, mostrandosi disposta ad ascoltarlo. – Non ne farò parola con nessuno, lo giuro. A proposito, però, penso che tu abbia… preso la decisione migliore.
- L’unica decisione. Un matrimonio si basa sul rispetto, se avessi acconsentito non avrebbe avuto senso come istituzione.
Ofelia annuì, per nulla sorpresa dal suo pragmatismo. Poi trattenne a stento una risata. – In effetti non ti ci vedo proprio a spiegare a tutta la corte che hai approvato una legge sulla base del tuo amore e di quello del genere maschile in generale per le donne.
Thorn si accigliò, per nulla divertito. – Una mi basta. Dovrebbe essere così per tutti.
Quelle parole la scaldarono dentro, tingendole lievemente gli occhiali di un rosa pallido. Fece per voltarsi, ma lui la richiamò.
- Ofelia?
Le sembrò di tornare indietro di alcuni anni, quando loro erano ancora fidanzati, lei era un valletto e si incontravano solo lì, nel suo ufficio. Si voltò, puntando gli occhi verso il suo pizzetto ad àncora, dal momento che gli occhi erano troppo in alto. Invece calarono in fretta su di lei, rapendola nella sua ombra, baciandola con urgenza, senza delicatezza o tenerezza. Il contatto durò a lungo, e quando si separarono avevano entrambi il fiato corto.
- Rincaserò domani sera…
La voce di Thorn era ferma, ma quasi incerta verso la fine della frase. Rimpianto, forse?
Ofelia annuì, per nulla sorpresa, infilandosi nell’armadio e successivamente nello specchio. Ne uscì nella loro camera, a casa, ancora con il respiro frammentato.
Era così difficile leggere Thorn, nonostante tutti quegli anni. Cosa voleva dire quel bacio? Era un contentino per indorarle la notizia che non sarebbe rientrato nemmeno quella notte? Una promessa per la loro piccola vacanza imminente? Un modo per scusarsi? Il tentativo di dirle con un contatto che le mancava e che l’amava?
Probabilmente era solo un ghiribizzo, non doveva interrogarsi troppo. Thorn non era troppo complicato.
Sorrise al pensiero paradossale. Thorn era assieme la persona più semplice e complessa che avesse mai conosciuto, anche se lui avrebbe affermato il contrario: quella più imprevedibile e ingestibile era lei, non lui.
Uscì dalla stanza per andare a parlare con la zia Roseline. Le tornò in mente la richiesta del funzionario e le scappò quasi da ridere, cosa che fece sussultare la sciarpa, che si muoveva felice come un’onda di mare.
No, aveva giurato, doveva tenere la bocca chiusa. Pensò fugacemente ad Archibald, chiedendosi se avrebbe approvato la proposta.
Forse no, dato che non era sposato e aveva tutte le donne che voleva.
Possibile che Thorn fosse l’unico uomo fedele in tutto il Polo?
In soggiorno, però, trovò Renard insieme alla zia Roseline, e il sorriso fulgido che le rivolse la fece pensare ad un caminetto sorridente.
No, Thorn non era l’unico. Sia lui che Renard le permettevano di avere ancora un briciolo di fiducia negli abitanti del Polo.
 
Thorn la svegliò la mattina della partenza che fuori era ancora buio; lo sarebbe stato ancora per diverse ore, a dire il vero. Erano le primissime ore del mattino.
- Se mi avessi avvertito che ci saremmo dovuti alzare così presto sarei andata a letto prima – bofonchiò Ofelia a mezza voce, camminando per la stanza intenta a vestirsi e sistemare le ultime cose.
Thorn non aveva nemmeno un bagaglio vero e proprio. Un po’ come quando era andato a prenderla su Anima, una vita prima. I sensi di nostalgia e di dejà-vu aumentavano, in quel periodo. Aveva ancora il pizzetto curato, non si era sbarbato del tutto. Se però fisicamente erano simili ai loro stessi di quando erano fidanzati, non si poteva dire lo stesso della loro personalità. Erano cambiati così tanto in quegli anni…
- Ti ho invitata a farlo più volte, ieri sera. Come sempre, non mi hai voluto ascoltare – sibilò lui, parlando piano per non svegliare gli altri.
Nessuno dei due si rendeva conto che la loro camera, oltre ad essere enorme e ben insonorizzata, era alquanto lontana dalla camera della zia e ancora più distante dagli alloggi della servitù. Ad entrambi però sembrava quasi di disturbare la quiete esterna parlando a voce alta.
Ofelia si avvolse con stizza la sciarpa attorno al collo, dopo aver finito di allacciarsi i bottoni del vestito. Era anch’esso grigio, come quello che aveva indossato per conoscere Thorn la primissima volta. Questo però, invece di essere sciatto e vecchio, era un dono di Berenilde, semplice ma elegante, e al tempo pratico. Ofelia doveva riconoscerle di saper sempre azzeccare l’abito giusto, fondendo il bisogno di Ofelia di comodità e il suo di buongusto.
- Sei una donna di corte, moglie dell’intendente, per tutti i Draghi! Devi presentarti come si deve! – le aveva detto quando glielo aveva tirato dietro senza tante cerimonie.
Un regalo apprezzato, sicuramente. Non presentato ottimamente, ma da Berenilde era già tanto ricevere un pensiero.
Ofelia continuò a borbottare sommessamente. Agguantò la pelliccia più calda che aveva da dentro l’armadio e se l’appoggiò al braccio, prendendo con la mano libera la piccola valigia da viaggio. Una cosa che lei e Thorn avevano in comune era l’essenzialità. Avevano sempre portato via poche cose, ovunque fossero diretti.
Quando gli si avvicinò con l’intenzione di uscire dalla stanza, Thorn schioccò la lingua, contrariato. La bloccò sulla porta. La superò, si diresse al suo armadio e, nonostante indossasse un cappotto pesante, ne agguantò un altro. Poi prese anche quello di Ofelia in un movimento rapido ed efficiente e si appropriò di entrambi i loro bagagli. Si avviò nel corridoio senza aspettarla.
- Aspetta! – bisbigliò Ofelia, cercando di raggiungerlo, sperando di non inciampare da qualche parte. La sciarpa, assonnata, le strinse il collo, in una chiara richiesta di tacere e lasciarla riposare. – Perché due cappotti?
Thorn non le rispose, o forse non la sentì, fatto sta che si ritrovarono fuori dalla porta di casa in un baleno. La carrozza li aspettava. Thorn controllò l’orologio da taschino in una frazione di secondo: erano in perfetto orario.
Ofelia provò a porre di nuovo la domanda, ma Thorn le fece capire senza tanti giri di parole che doveva tacere e salire sul veicolo. Peccato che Ofelia non fosse proprio donna da stare zitta.
Attese comunque che la carrozza si mettesse in movimento prima di incalzarlo.
- Allora?
Non aggiunse altro, per metterlo alla prova. E infatti Thorn rispose senza bisogno che lei riformulasse la domanda, facendole capire che l’aveva sentita benissimo la prima volta.
- Misura previdenziale. Temo che avrai freddo con quel semplice pellicciotto. Credo che sia più utile come asciugamano che come cappotto.
Ofelia inarcò le sopracciglia. – Me l’ha regalato tua zia.
Cosa, nel suo armadio, non era stato regalato da Berenilde? O fatto comprare da Thorn dietro ordine di Berenilde? Per fortuna Ofelia era riuscita a salvare i suoi vecchi capi d’abbigliamento prima che la zia facesse piazza pulita del sul “orribile guardaroba da zitella”. Aveva anche aggiunto che la zia Roseline, seppur vedova e in là con gli anni, si vestiva meglio di lei.
- Giustappunto. Mia zia bada più alla forma che alla sostanza. Fidati, non ti proteggerà per nulla quel giubbottino che indossi.
Ofelia era stanca, si era alzata prima di quanto avesse mai fatto, era stufa di discutere e punta sul vivo. Gli avrebbe fatto vedere quanto l’avrebbe tenuta al caldo quel capo di vestiario. Più per orgoglio personale che per affezione a quella pelliccia.
- Vedremo – disse allora, prima di chiudere gli occhi, sfinita nonostante si fosse appena svegliata.
Prima di abbandonarsi al sonno, comunque, avrebbe potuto giurare di aver visto un lampo divertito tra la fessura delle palpebre di Thorn.
 
Arrivarono al fossato di Città-cielo che il sole era già alto. Probabilmente era quasi l’ora di pranzo. Ofelia aveva saltato la colazione e moriva di fame, ma non l’avrebbe mai ammesso con Thorn. Sembrava quasi che lui non dovesse mangiare mai, e sperò che il suo stomaco non la tradisse gorgogliando.
Ad attenderli sul muraglione c’era Jan, il guardacaccia che aveva incontrato la prima volta che era venuta, insieme a due slitte e ai mastodontici cani simili a cavalli. Bestie addomesticate.
- Buongiorno mio signore! È da molto che non ci si vede, spero sia in ottima salute. Il nostro ultimo incontro purtroppo risale a quello spiacevole incidente della sua famiglia e…
- Buongiorno – lo interruppe Thorn, laconico, passandogli i bagagli.
Se non altro Ofelia era riuscita ad ottenere quello, dai suoi modi bruschi: che quantomeno salutasse. Per il resto, restava il burbero intendente con poco riguardo alla forma e alla cordialità. La sciarpa, che la pensava come lei, frustò l’aria.
- Siamo davvero onorati della sua visita, se volesse intrattenersi una sera con me e mia moglie ci farebbe solo piacere. Preparerà il…
Il guardacaccia si interruppe quando Ofelia emerse da dietro Thorn. Possibile che fosse così piccola e insignificante da passare inosservata?
- La dama di compagnia della vostra illustre zia? La state riportando da dov’è venuta, mio buon padrone?
Ora che Ofelia aveva capito meglio la gerarchia del Polo, che all’inizio aveva fatto tanto fatica ad afferrare, si rese conto che la deferenza del guardacaccia era comunque eccessiva. Che fosse perché viveva isolato da tutti? In ogni caso, la inteneriva il modo in cui trattava Thorn, senza ipocrisia, con vera ammirazione, come pochi facevano al Polo.
Poi si rese conto di ciò che aveva detto. Riportarla dov’era venuta?
Con stupore si rese conto che in effetti l’uomo non poteva sapere chi fosse. La prima volta che l’aveva incontrata lei era stata spacciata per la dama di compagnia di Berenilde. La seconda volta, quando Jan aveva riferito la sorte dei cacciatori nel salotto di Chiardiluna, Ofelia era effettivamente con la madama, anche se non in qualità di sua accompagnatrice. Nessuno, del resto, gli aveva rivelato la verità.
- No, è mia moglie, mi assisterà per il tempo che passerò qui.
Senza altre spiegazioni Thorn salì sulla prima slitta, quella dov’erano caricati anche i loro bagagli leggeri, e attese il via libera per lanciarsi giù dalla muraglia.
Ofelia lo guardò inorridita. Se n’era andato da solo? Possibile che si comportasse ancora come agli albori, senza nessun riguardo per lei?
Jan doveva pensarla allo stesso modo, perché la guardò imbarazzato.
- Mia signora moglie del mio padrone, vogliate seguirmi, prego.
Il guardacaccia la condusse alla sua slitta, dove Ofelia si sistemò come tanto tempo prima. Lui esitò prima di partire. – Insomma vi siete innamorati. Congratulazioni agli sposi. È successo al servizio della meravigliosa madama Berenilde, giusto?
Ofelia annuì, esitante. Se Thorn non si prendeva la briga di spiegare la vera storia dietro al loro matrimonio, di certo non l’avrebbe fatto lei.
Prendendo il suo muto assenso per timidezza, Jan scosse la testa e impugnò le briglie, lanciandosi nel vuoto.
La discesa, per quanto breve, fu orribile. Il pellicciotto largo le si sollevava ovunque, facendo entrare neve e spifferi gelidi. La picchiata le fece passare la fame, rendendola grata di avere lo stomaco vuoto. Gli occhiali rischiarono di volarle via e la sciarpa la strinse fin quasi a soffocarla, come se il collo di Ofelia fosse un maniglione antipanico.
Aveva il fiato corto quando atterrarono nello spiazzo di neve levigata di fronte a casa di Jan. Il fiato di Ofelia si condensava in enormi nuvolette e lei tremava dalla testa ai piedi, asciutta ma estremamente nuda in quella distesa bianca.
Thorn, efficiente come sempre, aveva già scaricato le loro valigie e, appena la vide, le andò in contro. Il guardacaccia la aiutò a scendere; Ofelia lo ringraziò con lo sguardo come poté: aveva le gambe che la reggevano poco. Thorn la agguantò prima che cadesse, rimettendola ritta e aspettando a mollarla finché non fu certo che fosse stabile. Poi le tolse in un solo gesto sinuoso il pellicciotto, che lanciò sulla slitta di Jan, e la coprì col suo enorme cappotto di riserva.
Inutile a dirsi, Ofelia si sentì subito meglio, e avvampò per quell’ammissione personale. Thorn non infierì, non fece nemmeno un commento, un sospiro, un movimento con le sopracciglia, ma non fu necessario: i suoi occhi esprimevano benissimo il concetto.
Te l’avevo detto.
Ofelia riacciuffò lo stesso la pelliccia e, dietro lo sguardo perplesso di Jan, seguì il marito. Poi si bloccò, quando vide che in realtà Thorn non era affatto diretto verso l’entrata della casa del guardacaccia, sulla cui soglia aspettava la moglie. No, stava procedendo dritto verso un bosco.
- Thorn? – lo richiamò lei, allarmata.
- Mio buon signore, è in arrivo una tempesta, dove avete intenzione di andare?
Thorn fece loro la cortesia di fermarsi, ma non si girò. – Proprio perché sta arrivando una tempesta è il caso che io e mia moglie ci affrettiamo verso il nostro alloggio.
- Quale alloggio? – si intromise la moglie di Jan, più diretta e meno pomposa del marito.
Ofelia doveva ancora capire se la sua schiettezza le piacesse o meno. Non aveva dimenticato i commenti che aveva fatto all’arrivo lì di sua zia e di lei stessa.
- L’avamposto dei Draghi è ufficialmente di mia proprietà da quando il sire Faruk ha riconosciuto il mio rango. Dormiremo lì.
- Ma è sperduto nel nulla e non viene acceso un fuoco da anni! Dubito addirittura che sia ancora in piedi! – esclamò il guardacaccia, stupito.
- Ho le mie fonti. L’avamposto è al sicuro, intatto, e ci ospiterà. Ora, se volete scusarci, vorrei arrivarci prima della tempesta, e tornare da voi in tempo per sbrigare le nostre faccende.
Ofelia capiva poco di quella situazione, ma il “se volete scusarci” di Thorn le era chiaro: doveva seguirlo. Senza fiatare gli camminò dietro, sollevando il più possibile le ginocchia nella neve alta. Dopo pochi minuti aveva il fiatone e non aveva più freddo, ma era esagerato aspettarsi che avesse caldo. Thorn, al contrario, era rimasto in giacca, con sotto solo la camicia inamidata, e portava tutte le loro cose. Sembrava a suo agio nel gelo quanto lei lo era accanto ad un camino, con la sciarpa al collo.
Ad un certo punto si fermò ad aspettarla.
- Quanto meno, gli stivali che porti sono adatti.
Ofelia aveva appena cominciato la vacanza e già non ne poteva più. Di tutto, lui compreso. – Quanto dista questo avamposto sperduto e inutilizzato da anni? Non ho intenzione di dormire all’addiaccio, sappilo.
L’occhiata che Thorn le lanciò era indifferente, ma la sua mano si alzò e si avvicinò al suo viso. Esitò, e poi la ritrasse, come se non avesse mai nemmeno compiuto quel movimento.
- Non farci caso, l’alloggio è in perfetto stato, te l’ho già detto.
- Non mi pare – borbottò lei.
- Me lo ricordo io. Comunque mancheranno dieci minuti a piedi. Con il tuo passo, forse quindici.
Infastidita, Ofelia fece per superarlo, ma Thorn la trattenne per la spalla. – Meglio che faccia strada io. Non si sa mai cosa potrebbe piombarti davanti in un posto come questo. Non tutte le Bestie sono in letargo.
Ofelia rabbrividì, ma non per il freddo. Lasciò che lui riprendesse a camminare e lo seguì in silenzio. Le sembravano già passati ben più di quindici minuti quando, superato un albero enorme, si trovarono di fronte un’enorme baita di montagna che poteva fungere da residenza di lusso.
Alla faccia dell’avamposto.
- I Draghi si trattavano bene, eh? – commentò, stupita.
Thorn la precedette sulla soglia della prima porta. L’avamposto era interamente in legno e pietra, con il tetto coperto di neve, ma il vialetto era sgombro e ripulito. Non sembrava affatto un luogo abbandonato da anni. Era stato costruito in base a canoni rigorosi di simmetria, cosa che fece subito capire ad Ofelia perché Thorn avesse insistito per alloggiare lì. Sembrava che il complesso fosse strutturato su due piani, il primo e quello a terra, e che ci fossero in realtà alloggi distinti e accessibili solo tramite la porta d’ingresso dedicata. Ofelia ne contò otto in totale.
Thorn confermò i suoi sospetti. – Quando il clan era in auge, i Draghi risiedevano qui per le vacanze, durante l’anno, o prima o dopo la caccia. Ogni ramo aveva il proprio alloggio riservato, ma sul retro c’è un piccolo caseggiato con la sala da pranzo comune, dove si riunivano per gozzovigliare o festeggiare la caccia abbondante.
Ofelia rabbrividì di nuovo, questa volta per il freddo. Si affrettò a seguire Thorn.
Quando lui premette un interruttore e l’intera casa si illuminò, non riuscì a reprimere un sospiro di sollievo. C’era la corrente. E non solo.
A sinistra dell’entrata c’era un enorme camino, il cui scopo era sicuramente quello di riscaldare l’intera casa; di fronte c’era un divano che sembrava nuovo, ben tenuto e decisamente comodo. Dalla parte destra c’era la cucina spartana dotata di tutte le suppellettili del caso e un bancone che doveva fungere da tavolo. Dietro c’era un piccolo antro, forse un gabinetto, di fianco alla scala che portava al primo piano.
- Di sopra ci sono le camere e un altro bagno – la informò Thorn, posando le borse sul bancone.
Ad Ofelia parve troppo alto per lei. E le parve anche che il tono di Thorn fosse più… dolce. Meno inflessibile, più che altro.
- Quante volte sei stato qui?
Quella era solo la prima di una lunga sfilza di domande.
- Una sola, quando avevo sei anni e tre mesi. All’epoca i miei famigliari mi odiavano già, ovviamente, ma Godefroy e Freya… non ancora.
Ofelia si sorprese di non dovergli cavare di bocca le parole, per una volta. E che parlasse di sua spontanea volontà della sua infanzia e del suo rapporto con i due fratellastri. Lei gli aveva rivelato da lungo tempo di aver letto i dadi, nascosti nel suo cappotto, molto tempo prima, ma non era stato facile farlo aprire in proposito e farsi raccontare la storia minuziosamente. Aveva dovuto essere molto persuasiva…
- Loro due e Berenilde mi hanno tenuto nascosto qui mentre cacciavano. La zia aveva accampato la scusa di voler venire un giorno prima per non affaticarsi troppo, visto che era appena rimasta incinta, e noi quattro abbiamo passato il giorno prima della caccia e quello dopo qui. Padre Vladimir si è fatto vedere solo per uccidere le Bestie, poi è tornato a Città-cielo. Gli anni successivi ha preteso che arrivassero tutti insieme, e io non sono più potuto venire. Già all’epoca lo infastidivano le proposte controcorrente di mia zia.
- Era l’alloggio di Berenilde, questo?
- Sì. Di sopra ci sono la camera padronale e tre stanze singole. Abbiamo dormito tutti e tre qui.
Ofelia sapeva che non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma lesse tra le righe.
Abbiamo dormito tutti e tre qui… ed è uno dei più bei ricordi che ho.
Gli si avvicinò e, con la porta ancora aperta, lo abbracciò da dietro, premendogli la testa contro le scapole.
- Devi proprio andare? – gli chiese sommessamente.
Tutto il livore era passato, ora che era arrivata a destinazione voleva solo riposarsi e passare del tempo con Thorn.
Lui si voltò e, impacciato come al solito, nonostante gli anni di matrimonio, la strinse a sé, rigido come uno spaventapasseri. Le sue strette non erano morbide o calorose, ma Ofelia amava le sue lunghe braccia attorno a sé, il battito del suo cuore contro l’orecchio e l’oscurità che la inghiottiva quando lui la imprigionava.
- Sì – rispose semplicemente. – L’abbiamo utilizzata come scusa per stare qui tre giorni, ma devo davvero lavorare, non era una bugia. Andrò dal guardacaccia e verrò a prenderti questa sera per la cena, poi torneremo qui. Altrimenti puoi venire con me subito, ma temo ti annoieresti lì tutto il pomeriggio.
Ofelia non ci pensò due volte. – Ti aspetto per questa sera. Ma non ci sarà una bufera?
Thorn esitò. – Non dovrebbe durare fino a tardi. In ogni caso, anche se dovessi metterci più del previsto, non uscire per nessun motivo, resta in casa, al sicuro. Con la tua attrazione per…
- Se lo dici un’altra volta te la scateno contro io, una bufera.
Thorn sbuffò dal naso, e Ofelia non capì se fosse un tentativo soppresso di risata. In ogni caso, il suo umore era davvero cambiato da quando erano arrivati lì. Si era risollevato.
Pensò di bersagliarlo con le domande che premevano per uscire, ma forse era il caso che si sbrigasse prima che la tempesta iniziasse ad infuriare.
- Vado. A dopo, allora.
Ofelia sapeva di non avere la forza fisica necessaria a trattenere un uomo come Thorn, ma aveva altri mezzi. Quel saluto freddo quanto la neve all’esterno non le piaceva per nulla, soprattutto visto il poco tempo che avevano avuto l’uno per l’altra in quel periodo.
Si alzò sulle punte e gli afferrò i lembi della giacca per avvicinarlo a sé e baciarlo. La risposta di Thorn fu immediata: le sue dita si insinuarono, con qualche difficoltà, tra i ricci annodati e gelati di neve, la sua bocca si fece sicura, urgente, insaziabile, e Ofelia fu contenta di rimanere a casa quel pomeriggio: per colpa della lingua e dei denti di Thorn, sapeva che le sarebbero rimaste le labbra gonfie per un po’. Lui la afferrò con disinvoltura e la fece sedere sul bancone dietro di sé, forse troppo alto per lei, ma non per lui. Per una volta fu il suo turno di guardarla dal basso, mentre lei sorrideva contenta di quella nuova inversione di ruoli. Lo attirò ancora una volta a sé, però Thorn si staccò poco dopo, con un gemito sommesso di protesta.
- Devo andare.
La lasciò lì, senza nemmeno guardarla, nascondendole la profondità dei sentimenti che albergavano nei suoi occhi da falco. Il suo lungo naso si chinò verso il camino, le sue lunghe braccia si tesero verso i fiammiferi e le sue agili e lunghe dita accesero un fuoco con pochi e abili gesti. La casa sembrava essere stata abitata fino al giorno prima, altra domanda che Ofelia voleva porre a Thorn.
Quando il fuoco crepitò e prese vita stabilmente, Thorn annuì a se stesso e prese la valigetta da lavoro, pronto ad uscire senza nemmeno il cappotto. Poi si avvicinò di nuovo ad Ofelia e la baciò dolcemente, a lungo, facendole percepire con un solo, morbido contatto quanto gli costasse uscire. Si fermò nel momento in cui Ofelia si fece più audace.
Si chiuse la porta alle spalle e la lasciò ferma, con le labbra umide e le gambe che frustavano l’aria, seduta sul bancone, con la sciarpa irrequieta e insoddisfatta che si stringeva e si allargava attorno alle spalle e al collo di Ofelia. Il fuoco che ardeva nell’enorme camino non l’avrebbe mai scaldata come aveva fatto Thorn con un solo bacio.
Sospirando, si accinse a far passare quel pomeriggio.
Era ora di esplorare la casa.
 
Non ci mise molto, a dire il vero, a fare il giro della piccola baita.
La cucina e il piccolo salotto erano a vista, e aveva già più o meno inaugurato il bancone da pranzo. Di fianco alla scala c’era un piccolo bagno con una doccia, tutto molto stretto e funzionale. Più che di Berenilde, quella casa gli sembrava decisamente nello stile spartano e minimalista di Thorn.
Al piano superiore le stanze erano piccole, tre singole e quella padronale, un po’ più grande, dotate tutte di armadi. Quella matrimoniale dava sul retro e aveva il camino e un bel balcone sospeso sul giardino innevato. Poco distante c’era una casupola lunga quanto l’avamposto, ma più bassa, e Ofelia si chiese a cosa potesse servire. Il bagno di quel piano era decisamente più grande, anche se non quanto quello che avevano a casa, ma era dotato di una vasca da bagno.
Ofelia si tolse gli stivali e portò le borse in camera, decidendo di non disfarle. Sarebbero stati lì davvero poco tempo e non le servivano grandi cose e ricambi. Poi scese al piano inferiore e si sedette sul divano, accostando i piedi infreddoliti al fuoco. Avrebbe dovuto accenderlo anche in camera, per scaldarla, così si recò di nuovo di sopra e lo animò, infondendo nei ciocchi di legna il suo disperato bisogno di calore. Avvamparono subito.
Thorn aveva i suoi metodi, lei anche.
Quando tornò giù si ricordò della costruzione dietro casa, così si infilò nuovamente gli stivali e il cappotto e fece per uscire. Fiocchi di neve grossi quanto il suo pugno fluttuavano nell’aria, così determinati da farle credere che fossero pesanti come sassi invece che leggeri come batuffoli di cotone. Decise di darsi una mossa prima che la tormenta le facesse perdere completamente l’orientamento, nonostante i due edifici fossero a non più di qualche centinaio di metri di distanza. Trovò le porte chiuse e le finestre sbarrate, un po’ come nel resto delle entrate dell’avamposto.
Tornata in casa, si spogliò di nuovo e, infreddolita, si sedette direttamente davanti al fuoco. Si tolse i guanti e mosse le dita davanti al camino, sentendo il calore penetrarle direttamente nel sangue. Si stava sciogliendo come un fiocco di neve e la cosa le era molto gradita. Quando smise di tremare si rimise i guanti e si alzò, ma inciampò nei bordi del vestito e ricadde a sedere. Appoggiò la mano a terra per non sbattere il naso, la mano in cui il guanto era infilato solo per metà, e involontariamente lesse lo spesso e morbido tappeto, pulito e profumato come se fosse stato appena comprato.
Una marea di emozioni e punti di vista diversi, di donna, bambino, ragazzo, uomo, giovane adulto la invasero, facendole perdere il contatto con la realtà. Ritrasse la mano quasi subito, ma non abbastanza da impedire alle sensazioni altrui di vorticarle nel petto come un boccone di difficile digestione.
Se solo avesse smesso di leggere un attimo prima… sperava che qualcuno avesse disinfettato il tappeto dopo quello che Berenilde e suo marito avevano…
Paonazza, si allontanò da lì e si raggomitolò sul divano. Si sentiva rilassata e in pace dopo tanto tempo, un po’ nostalgica, in ricordo di tutte le gite in montagna che aveva fatto da piccola con la sua famiglia; anche se il gelo del Polo faceva passare il freddo di Anima per una semplice brezza autunnale.
Cullata dal fuoco, dal vento che ululava fuori dalle mura di casa e dalla notte pressoché insonne, si addormentò.
  
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