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Autore: MissRosalie42    17/05/2020    0 recensioni
La cosa più importante da sapere su Sam è anche l'unica che nessuno conosce. Il ragazzo può vedere i fantasmi.
Nulla di particolarmente esaltante, per lui. Può vederli e parlare con loro da sempre, ci è abituato.
Quando però si trasferisce in una nuova casa e la trova infestata da un ragazzo morto alla sua età pochi anni prima, le cose cambiano.
Sam sarà costretto ad affrontare tutto ciò che lo spaventa e che aveva sempre evitato: la sua famiglia, le sue insicurezze, i suoi sentimenti. A quale prezzo imparerà ad essere se stesso?
Genere: Drammatico, Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12. Correre dei rischi

Sam trascorse metà del weekend buttato sul letto di Brandon ad ascoltarlo suonare, con la compagnia saltuaria di Amy Beth.
Nell’esatto momento in cui rimasero da soli per la prima volta dopo il ballo, il musicista entrò in modalità gossip.
Dalla sua solita poltrona, guardò Sam dritto in faccia con occhi carichi di aspettativa.
“E allora?” domandò.
“Cosa?” chiese Sam, genuinamente all’oscuro.
“Tu e Carter.”
“Puoi chiamarlo Thomas?”
“Non sono abituato.”
“Abituati.”
“Oh, significa che parleremo di lui più spesso?”
Ci mancava poco che cominciasse ad ammiccare.
“No” rise Sam. “Anche perché non c’è nessun ‘me e Carter’.”
“Cosa ti ha detto ieri sera?”
Sam lo aggiornò sull’intromissione del padre con la faccenda del tutoring. “E ha solo detto che…” arrossì. “Ha detto che vuole che continuiamo a vederci, anche se non abbiamo più la scusa delle ripetizioni.” Poi, di fronte al sorriso radioso di Brandon, si sentì in dovere di aggiungere: “Ma non credo significhi chissà cosa. Non in quel senso, almeno.”
“Ma sei scemo?!” esclamò l’altro, esasperato.
“Magari vuole solo essere mio amico. Anche tu volevi solo essere mio amico.”
“Sì, ed è per questo che ti ho detto che volevo essere tuo amico, senza inventare scuse per vederti, senza guardarti come se volessi mangiarti, senza sciogliermi come un gelato al sole ogni volta che sono in tua presenza, senza passare l’intera serata di San Valentino a fissarti e sorriderti come un pesce lesso.”
“Thomas non ha mai fatto nessuna di queste cose!” esclamò Sam.
“Ecco perché tu e mia sorella andate così d’accordo. Siete entrambi ciechi di fronte alla realtà” scosse la testa e si abbandonò allo schienale della poltrona.
“Dai…” Sam si strofinò il naso con una mano, coprendosi la faccia, ancora imbarazzato (e sconvolto) da quel malinteso tra lui e Amy Beth.
“Anzi, a ben pensarci, siete completamente diversi. Lei vedeva solo quello che voleva vedere, e tu fingi di non vedere quello che ti spaventa.”
“Non sono spaventato da Thomas.” Sam si sentì punto sul vivo.
“Ah, no?” Brandon incrociò le braccia.
Ok, forse un po’ sì. Anzi, forse più di ‘un po’’.
La verità era che Sam era terrorizzato a morte.
E se a Thomas fossero piaciuti davvero i ragazzi? E se fosse stato davvero interessato proprio a lui?
Sam non aveva idea di come ci si comportasse in una situazione del genere. Non sapeva neppure flirtare! Bastava vedere che casino aveva combinato con Amy Beth.
“È solo che… Brandon, io non so come ci si comporta in questi casi.”
“Quali casi?!”
“Quando ti piace qualcuno… e quando forse quel qualcuno ricambia.” Distolse lo sguardo. “Non so se hai notato, ma sono piuttosto indietro rispetto a tutti i ragazzi del mio anno.”
“Non dire stronzate” replicò l’amico.
“Non capisci.”
“Capisco che ti sottovaluti.”
“Non ho mai neanche… non ho mai neanche baciato nessuno.” Sam si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie.
“E quindi? Neanche io, prima di ieri sera.”
Sam sollevò lo sguardo. “Davvero?”
“Già” rise Brandon.
“Beh, comunque è diverso. Non si tratta solo di baciare qualcuno. Se tu provi a baciare una ragazza, o la inviti a uscire, e lei ti rifiuta… è umiliante, certo, ma non è… pericoloso.”
“Che vuoi dire?” Adesso l’espressione di Brandon era tornata seria.
“Per me non si tratta solo di rischiare un rifiuto, per me c’è in ballo molto di più. Non rischio di esporre solo i miei sentimenti e di vederli calpestati. Cosa succede se abbiamo completamente frainteso l’atteggiamento di Thomas, e lui racconta in giro che io ci ho provato con lui? Riesci a immaginare cosa succederebbe se tutta la scuola scoprisse…” abbassò la voce. “…che sono gay? E quanto in fretta lo scoprirebbero anche gli insegnanti e i miei genitori? Prima di ieri non ero neppure mai riuscito a dirlo a voce alta ad anima viva.”
Ma ad anima morta sì.
Brandon si morse le labbra.
“Hai ragione” rispose.
“Ho paura” confessò Sam.
“Questo lo capisco” disse Brandon. “Ma non mi piace pensare che magari stai rinunciando a qualcosa di bello solo perché non puoi rischiare.”
“Già. Il mondo va così.”
“Il mondo fa schifo” commentò Brandon.
E su quelle parole la signora King bussò alla porta per chiedere ai due ragazzi se volevano tè e biscotti.
 
L’altra metà del weekend, invece, Sam la trascorse chiuso in camera sua.
Perlopiù disegnò e chiacchierò con Maxwell.
Il fantasma si fece raccontare tutto sul ballo. Era seduto a mezz’aria sul letto, Sam invece era alla scrivania.
“Mi dispiace per quello che è successo con Amy Beth” disse Max. “Non riesco neppure a immaginare come dev’essere. Se Sarah si fosse innamorata di me penso che sarei impazzito.”
“Oddio, no. ‘Amore’ mi sembra una parola grossa.” Sam si strinse nelle spalle. “Lei dice che va tutto bene tra noi, ma secondo me è ancora un po’ risentita. Non solo con me, ma anche con se stessa.”
“Si rimprovera di essersi illusa. Credo sia normale.”
“Anche io. Ma sono sicuro che le cose si aggiusteranno e torneranno come prima.”
Sam era davvero fiducioso su questo. Era già abbastanza incredibile che una ragazza come Amy Beth avesse una cotta per lui, non sarebbe stato difficile dimenticarlo e continuare a considerarlo solo un amico.
“E come ti senti adesso che lei e suo fratello sanno la verità?”
Questa era una domanda difficile alla quale rispondere.
“Da un lato sono contento, mi sento libero, sollevato. L’idea di non dover più soppesare ogni parola quando parlo con loro è la miglior sensazione del mondo.” Lui e Max si sorrisero. “Però mi spaventa l’idea che ci sia qualcuno che lo sa e che prima o poi potrebbe usarlo contro di me.”
“Ma non puoi vivere la vita senza rischiare mai, neppure una volta” replicò Max. “Hai delle buone ragioni per fidarti dei tuoi amici, e se loro dovessero tradirti, non sarà colpa tua.”
“Però ne pagherò io le conseguenze.”
Max non disse nulla, perché effettivamente non c’era niente da dire, il ragazzo aveva ragione.
“Sono comunque contento di poter essere me stesso almeno con loro. Soprattutto con Brandon” continuò Sam.
“Brandon è la tua Sarah” disse Max, sorridendo.
Anche Sam sorrise per quel paragone, e pensò che a Brandon sarebbe piaciuto.
 
Lunedì pomeriggio, dopo aver salutato Brandon e Amy Beth all’angolo della strada, Sam si ritrovò a bussare alla porta della casa accanto a quella in cui aveva vissuto Aidan Ellis.
Guardava in continuazione in quella direzione, come se stesse facendo qualcosa di male e temesse di essere scoperto. Come se qualcuno da quella casa potesse affacciarsi e urlargli ‘io so che tu sai cosa è successo ad Aidan!’.
Pensieri ridicoli, eppure non vedeva l’ora che gli aprissero la porta per nascondersi a possibili sguardi dei vicini.
Fu accontentato in fretta.
“Ciao!” esclamò una ragazza, aprendo la porta con un sorriso. “Tu devi essere Samuel.” E gli porse la mano.
Il ragazzo gliela strinse. “Sam” precisò subito. “Isabella?”
“Sì, sono io. Entra pure.” Si fece da parte, e Sam avanzò nell’ingresso della villetta.
Isabella non doveva avere più di vent’anni, aveva i capelli neri legati in una coda di cavallo e indossava una tuta sportiva dall’aria molto costosa.
Lo condusse in un salotto arredato in uno stile che ricordava gli anni settanta.
“Accomodati” gli disse, precedendolo.
Sam la seguì docilmente e si fermò di colpo quando vide che, sul divano, era seduta Sarah Burke. In carne e ossa.
L’aveva vista abbastanza spesso nelle ultime settimane. La ragazza abitava proprio di fronte casa Robertson e usciva tutti i giorni per andare a lavorare, quindi era impossibile non vederla. Tra l’altro, camera di Sam affacciava sulla strada principale, ed era proprio la ragione per cui era la stanza preferita di Maxwell.
“Scusa l’intrusione” disse Sarah, guardando il ragazzo. “Sono passata solo per lasciare dei documenti, vado via subito.” Si alzò e porse la mano a Sam, che la strinse debolmente. “Sarah Burke. Sono la tua dirimpettaia, ma non credo siamo mai stati presentati ufficialmente.”
“Sam Robertson.”
Sarah risedette sul divano e si dedicò di nuovo alla cartellina medica che aveva momentaneamente abbandonato sul tavolino.
“Dovrebbe esserci tutto.” Alzò lo sguardo su Isabella. “Di’ a tua madre che se ha bisogno di qualche delucidazione può telefonarmi o fare un salto direttamente. Domani ho il giorno libero.”
“Perfetto, grazie!” rispose la padrona di casa.
Ci furono i saluti, poi finalmente Sam e la sua nuova tutor iniziarono a studiare, anche se la concentrazione del ragazzo scivolava via ogni cinque minuti.
Isabella frequentava il college a Londra e si era diplomata con il massimo dei voti alla Walker un paio di anni prima. Era una brava insegnante, paziente, chiara e precisa. Ma Sam non riusciva a non pensare a quanto avrebbe preferito essere con Thomas in quel momento, e non riusciva neppure a smettere di rimuginare sul breve incontro con Sarah.
Aveva raccolto su di lei quante più informazioni possibili senza sembrare uno stalker maniaco, e le aveva già riferite tutte a Maxwell.
Viveva da sola perché i suoi genitori si erano trasferiti in campagna, era laureata in medicina e lavorava nell’ospedale in centro città, lo stesso dove lavoravano i genitori di Sam. Non era sposata, non aveva neppure un fidanzato (a meno che non lo tenesse nascosto) e ogni tanto capitava che andasse a pranzo dai King.
Gli sarebbe piaciuto conoscerla meglio, ma non era riuscito ancora a trovare l’occasione giusta.
 
Quando finalmente arrivò il giovedì, Sam stentò a crederci. Aveva appena trascorso i tre giorni più lunghi della sua vita.
A scuola aveva dovuto sopportare fin troppe battute sul ballo. Quanto aveva pagato per convincere Amy Beth a essere la sua dama? O magari si era messo a piangere davanti a lei per farle compassione? L’aveva drogata? Doveva essere stata roba pesante, neppure un filtro d’amore poteva essere sufficiente.
Amy Beth aveva cercato di prendere le sue difese, ma ovviamente nessuno era interessato ad ascoltare la verità.
“Mi dispiace” gli aveva detto la ragazza. “Non avevo idea che sarebbe stato così.”
Sam non aveva risposto. Per lui non era stata una sorpresa, subiva quel tipo di trattamento da tre anni e mezzo, ormai. Prima o poi si sarebbero stancati. La cosa più brutta era vedere quando fosse dispiaciuta lei di essere l’involontaria causa di quelle battute.
Come se non bastasse, Sam era riuscito a incontrare Thomas solo di sfuggita, quindi non vedeva l’ora di sedersi accanto a lui durante il club di Storia.
Come al solito non parlarono molto nell’ora di attività, ma a fine giornata si incamminarono insieme.
Thomas respirava molto lentamente e profondamente, forse per il freddo, mentre Sam stringeva al petto l’album da disegno. Non lo aveva infilato nello zaino perché sperava che Thomas gli chiedesse di nuovo di dare un’occhiata ai suoi disegni, e stavolta lo aveva riempito di alcune delle illustrazioni più belle che aveva realizzato nelle ultime settimane, facendo ben attenzione a evitare ritratti.
“Quindi… hai un nuovo tutor?” gli chiese Thomas, con un leggero sorriso, appena varcarono il cancello scolastico.
“Sì. È una ragazza che abita dalle mie parti. Frequenta il college” rispose Sam, spostando l’album da un braccio all’altro, cercando di attirare l’attenzione su di esso.
“Ti trovi bene?”
“Direi di sì.”
“Sono contento.”
“Preferivo studiare con te, però” gli sfuggì. Fissò con insistenza il marciapiede mentre entrambi continuavano a camminare in silenzio per un po’.
“Ho sentito che sabato sera inaugurano un nuovo pub in centro” disse infine Thomas. Sembrava nervoso.
“Sì, lo so. Brandon non sta nella pelle, pare che sia a tema rockband, o una cosa del genere.”
L’altro rise. “Rockband o una cosa del genere” lo scimmiottò.
“Ehy, che vuoi? La musica non è il mio elemento. Mai che aprissero un pub a tema cubismo o puntinismo.”
“Quindi non vuoi proprio metterci piede? Io pensavo di fare un salto per vedere com’è” commentò Thomas, senza cogliere l’ennesimo tentativo di Sam di spostare l’argomento sul suo album.
“Parli come se avessi scelta. Brandon ci trascinerà tutti a quest’inaugurazione.” Dopo un attimo di pausa aggiunse: “Ti va di venire con noi?”
Thomas gli sorrise, e si fermò. In parte perché erano giunti all’incrocio di strade in cui avrebbero dovuto separarsi, in parte perché voleva guardarlo negli occhi.
“In realtà… speravo che tu volessi venire con me. Volevo chiederti… se ti andava di andarci insieme. Tu e io. Non in gruppo.”
Sam rimase pietrificato. Thomas gli aveva appena chiesto apertamente di uscire.
Non aveva più scuse, non c’erano più dubbi. In quel momento, adesso, doveva decidere.
Nascondere la testa sotto la sabbia, o rischiare?
“Do-dovremmo fingere di non… di non vederli?” tentò. “Brandon e gli altri, intendo.”
“Giusto, idea stupida” disse Thomas, distogliendo lo sguardo. “Scusa. Diment-”
“No!” esclamò Sam, e quasi gli scivolò l’album dalle mani. “Non… non è un’idea stupida.” Non riusciva a guardarlo negli occhi. Rischiare non era il suo forte, avrebbe avuto bisogno di tempo per iniziare a farlo a testa alta. “Solo che… non penso si possa fare questo sabato. Ma-magari, il prossimo?”
Thomas rimase a guardarlo in silenzio per un po’. Sam era un fascio di nervi, rosso di imbarazzo dalla testa ai piedi.
“Non voglio aspettare un’intera settimana per uscire con te” rispose allora, usando tutto il coraggio che aveva, perché ormai le maschere erano cadute. Mise in moto il cervello, e Sam quasi poté vedere la lampadina che si accendeva accanto alla sua tempia. “Domani. Dopo le lezioni. Mi piacerebbe portarti in un posto. Ti prometto che ti piacerà.”
Sam si strinse l’album al petto come uno scudo. Non poteva credere a quello che stava succedendo.
“D’accordo” gli disse.
Si salutarono semplicemente sorridendosi, e Sam quasi percorse di corsa la strada che lo separava da casa sua.
 
Il giorno dopo, durante la pausa prima dell’ultima lezione, Brandon si precipitò all’armadietto di Sam.
“Nervoso?”
“Sto impazzendo.”
“Ottimo!” esclamò l’amico, su di giri.
“Me ne torno a casa, non ci vado.”
“Dovrai passare sul mio cadavere.”
“Lo farò!”
“Ma per favore, in uno scontro con me non resisteresti nemmeno dieci secondi.”
Sam richiuse di scatto l’armadietto.
“Brandon, sono serio. Non sono mai stato così nervoso in vita mia. Mi viene da vomitare.”
“Lo dici tutte le volte che succede qualsiasi cosa.” Gli mise un braccio intorno alle spalle e iniziarono a camminare lungo il corridoio. “Non sei più credibile. Che dico ai tuoi se li incrocio e mi chiedono dove sei?”
“Che mi sono fermato da Isabella come al solito. A lei ho detto che restavo a scuola, sono riuscito a chiamarla stamattina prima di uscire. Spero solo che non faremo tardi.”
“Io spero di sì” ammiccò Brandon.
“Oddio. Oddio. Cosa sto facendo?!”
“Stai andando a un appuntamento.”
“Non è un appuntamento. È un’uscita.”
“Sam. Sarà la serata più bella della tua vita. Fidati di me.”
Il ragazzo annuì. Maxwell gli aveva detto la stessa cosa, anche se con un sorriso malinconico, e non entusiasta come quello di Brandon.
 
Si incontrarono al cancello della scuola.
C’era anche Rose, e anche lei augurò a Sam di trascorrere una bella serata, anche se lui non le aveva spiegato la natura dell’uscita. Non aveva idea di come avrebbe potuto prenderla. D’altra parte, quella ragazza veniva letteralmente da un’altra epoca, con una mentalità ben diversa.
“Andiamo?” chiese Thomas, con un sorriso nervoso.
Sam annuì e fece strada, anche se non aveva idea di dove stessero andando esattamente.
Furono circondati da altri compagni di scuola per un po’, proseguendo per la solita strada, poi, all’incrocio in cui di solito si dividevano, Thomas lo condusse lungo la via che prendeva sempre lui.
Stavolta Sam non aveva l’album da disegno e all’improvviso sembrava essersi dimenticato come camminare da persona normale. Infilava le mani nelle tasche del giubbotto, poi in quelle dei pantaloni, poi stringeva gli spallacci dello zaino, e poi ricominciava da capo.
“Dove stiamo andando?” domandò. Thomas non era mai così silenzioso e la cosa lo innervosiva.
“È una sorpresa” rispose l’altro. “Ma giuro che non ti sto portando in un posto isolato per ucciderti. Andiamo in pieno centro città.”
In qualche modo riuscirono ad avviare una conversazione, anche se erano entrambi agitati, e dopo un po’ parlare divenne sempre più naturale.
Arrivarono davvero in centro, dove era pieno di gente, i negozi erano aperti. Diventò più difficile chiacchierare, perché dovevano evitare in continuazione altre persone sui marciapiedi.
Oltrepassarono un paio di pub, e anche il cinema. Sam stava iniziando a pensare che volesse portarlo a vedere un film, invece Thomas continuava a camminare a passo deciso e lui lo seguiva curioso.
Svoltarono in alcune strade laterali e a un certo punto Thomas si fermò.
“Eccoci” disse.
Erano davanti ad una Galleria che Samuel conosceva abbastanza bene, perché spesso ospitava delle mostre d’arte e lui e Mindy cercavano di non perdersene neanche una.
“Questa?” domandò Sam, indicando la porta d’ingresso sbarrata. “È chiusa.”
“Inaugurano una mostra nei prossimi giorni.”
“Sì, lo so. Tra dieci giorni. Sull’Impressionismo.”
Thomas fece un largo sorriso. “Ovvio che lo sai.”
“Non capisco” replicò Sam, sorridendo anche lui, perché l’espressione di Thomas era contagiosa, ma era davvero confuso.
“Vieni con me.”
Sam lo seguì sul retro dell’edificio.
Thomas estrasse un paio di chiavi e aprì una porta laterale.
“Cosa stai facendo?!”
“Apro la porta” spiegò Thomas, facendosi da parte per dargli la precedenza.
“Questo lo vedo, ma come fai ad avere le chiavi?!” sussurrò Sam, varcando la soglia.
“Buonasera!” salutò una voce.
Sam sussultò per lo spavento e Thomas scoppiò a ridere. Era entrato anche lui e adesso si stava richiudendo la porta alle spalle.
“Buonasera, Jack” salutò.
Ci fu una breve presentazione con il trentenne in divisa che li aveva accolti, Jack, ovvero il custode della Galleria. Consegnò a Thomas un pacchetto e indicò loro la strada da percorrere per arrivare alle sale espositive.
I due ragazzi ringraziarono e si inoltrarono nei corridoi semi bui e deserti.
“Vuoi spiegarmi?!” chiese Sam, che adesso era su di giri.
“Mia sorella lavora qui” disse Thomas, mentre avanzava a passo sicuro. “I quadri sono quasi tutti già a posto, anche se probabilmente prima dell’apertura ufficiale faranno qualche modifica.”
Quando arrivarono nella prima sala fiocamente illuminata, Thomas fece il segno di un pollice in su verso un angolo del soffitto, e improvvisamente tutte le luci si accesero.
“Grazie, Jack” mimò Thomas, scandendo bene le parole con le labbra, verso quell’angolo di soffitto dove adesso Sam poteva vedere chiaramente una telecamera di sicurezza.
Sam si guardò intorno a bocca aperta.
La sala era quasi completamente allestita. Molti quadri erano già alle pareti, altri erano in alcune teche appoggiati su dei tavoli al centro della stanza, in attesa di essere liberati. Sui tavoli e sulle panche per i visitatori erano sparpagliate le targhe dei quadri che non erano ancora stati affissi. Qua e là c’erano scatoloni e attrezzi, e si sentiva un fortissimo odore di vernice fresca.
Dopo aver fatto un giro su se stesso per osservare ciò che lo circondava, Sam si voltò a guardare Thomas.
“Sei sicuro che possiamo stare qui?” domandò, con un sorriso talmente largo da lasciar intendere che non gli importava davvero la risposta.
Thomas rise compiaciuto per lo stupore e la meraviglia che leggeva sul viso dell’altro. “In teoria non potremmo, ma in pratica né Evelyn né Jack ci tradiranno. Ovviamente dobbiamo stare attenti a non fare danni, ma sono sicuro che non hai intenzione di strappare la tela di un Monet originale.”
Lasciarono i giubbotti e le giacche della divisa scolastica su una panca.
“Stavo pianificando di chiederti di venire qui con me durante l’apertura ufficiale, se la serata al pub non ti avesse scoraggiato ad aver a che fare con me per i prossimi cento anni” confessò Thomas.
Per Sam era sconvolgente scoprire che Thomas non solo gli aveva chiesto un appuntamento, ma addirittura aveva fantasticato su una seconda uscita.
“Beh, di certo non mi lamenterò del cambio di programma” replicò, rosso in viso.
Cominciarono ad esplorare la sala.
Sam era completamente rapito dai quadri.
Ogni tanto spiegava a Thomas qualcosa che sapeva su un dipinto senza neppure leggere la targhetta, altre volta non conosceva l’opera o l’autore e cercavano di capire quale delle targhette sparse in giro gli appartenesse.
Thomas non lo aveva mai visto così in vena di chiacchiere, quindi non lo interrompeva mai, anzi, a volte gli faceva anche qualche domanda. Chiedeva cosa gli piacesse di più di ogni quadro, o se lo avrebbe appeso in camera sua. Ogni tanto dava anche la sua opinione, soprattutto quando Sam la chiedeva, ma per la maggior parte del tempo lasciava parlare lui.
Dopo un’ora avevano visitato due sale, e Thomas aprì il sacchetto che gli aveva consegnato Jack.
“Evelyn lavora anche in un negozio di caramelle” disse.
Sam immerse la mano nel sacchetto e ne estrasse una liquirizia.
“Grazie.”
“Di niente. Ho pensato che ci sarebbe venuta fame a un certo punto.”
“Mi riferivo a questo.” Sam fece un passo indietro e allargò le braccia. “È… un sogno.”
Aveva davvero gli occhi che gli brillavano, e non riusciva a smettere di sorridere.
“Te lo avevo detto che ti sarebbe piaciuto” replicò Thomas, che come Sam aveva avuto per tutto il tempo il sorriso stampato in faccia.
Si guardarono negli occhi.
Sam non aveva mai desiderato così tanto baciarlo come in quel momento, ma non si avvicinò, anzi, fece un altro passo indietro.
Non aveva abbastanza coraggio. Era così insicuro che persino in quel momento era assalito dal dubbio che stesse fraintendendo tutto.
Thomas avvertì il nervosismo, e si allontanò ancora di più, guardando il quadro successivo.
“E di questo? Che mi dici?”
Riprendendo il controllo di sé, Samuel lo affiancò di nuovo e ricominciò a dare prova di quanto l’arte fosse la sua materia preferita.
Un’ora dopo erano fuori, perché il turno di Jack stava per finire.
“Ti va di cercare un pub e cenare?” chiese Thomas, quando furono di nuovo sulla strada principale.
Sam guardò l’orologio che aveva al polso.
“In realtà, dovrei tornare a casa” rispose, con la morte nel cuore.
Thomas dovette capire che non era una scusa per liberarsi di lui. “Posso accompagnarti fino a casa, allora?”
Sam gli sorrise. “Se non ti scoccia.”
“Nient’affatto.”
Parlarono ancora della mostra, e di quelle precedenti che Sam e Mindy avevano visto insieme. Thomas raccontò che Evelyn aveva iniziato a lavorare alla Galleria subito dopo il diploma, l’anno precedente, ma che era un lavoro saltuario e quindi per la maggior parte del tempo faceva la commessa in un negozio di caramelle. In entrambi i casi Thomas era fortunato, perché poteva visitare le mostre in privato e non rischiava mai un calo di zuccheri.
Sam si chiese se la sorella di Thomas sapeva che quella che aveva aiutato ad orchestrare non era una semplice uscita tra amici ma un appuntamento.
Ma lo era davvero?
Per Sam era ancora fin troppo surreale.
Arrivarono davanti casa di Sam e si fermarono fuori al cancello.
Tutte le luci delle stanze che affacciavano sul giardino erano spente. C’era un vago bagliore proveniente dalla finestra della sua camera, ma Max non sembrava vicino al vetro.
“Ringrazia tua sorella per tutto” disse, con le mani in tasca, guardando per terra. Non aveva idea di come quella serata si sarebbe conclusa. Si sentiva in imbarazzo a dire qualsiasi cosa. “E grazie anche a te. Non so davvero cosa dire.”
“Sono contento che sia stata una bella serata anche per te” disse Thomas, spostando il peso da un piede all’altro.
“È stata perfetta.”
Finalmente entrambi si guardarono.
Lentamente, Thomas si sporse verso Sam e gli diede un bacio leggero sulla guancia, quasi all’angolo della bocca.
Trattenendo il respiro, quasi incredulo di quello che aveva appena fatto, si tirò indietro e mormorò: “Buonanotte.”
Sam era rimasto pietrificato da quel gesto, ma prima che l’altro potesse voltarsi e probabilmente iniziare a correre via, si schiarì la voce.
“Ci vediamo domani insieme agli altri all’inaugurazione?” domandò. “Al pub sul rock e quella roba lì” sorrise.
Anche Thomas sorrise. “Ci vediamo domani” confermò.
 
Quando aprì la porta e mise piede in casa, prima ancora di riuscire a richiudersi la porta alle spalle, si sentì sollevare di peso.
Qualcuno lo sbatté contro il muro dell’ingresso e con un calcio richiuse la porta.
“SAM!” urlò la voce di sua madre, e il ragazzo, ancora frastornato, sentì i tacchi della donna scendere le scale.
La figura che lo teneva per il giubbotto in punta di piedi contro il muro era ovviamente suo padre.
Adesso mi spieghi cosa cazzo ho appena visto” sussurrò l’uomo con rabbia.
“RICHARD!” urlò la signora Robertson. “Lascialo andare!”
Anche Mindy si precipitò fuori dalla cucina e si bloccò sulla soglia quando vide la scena, con il terrore negli occhi. Scambiò uno sguardo allarmato con la madre di Sam.
E un istante dopo, accanto al ragazzo, c’era la figura luminescente del fantasma.
“La ragazza… la tutor. È venuta qua per parlare con loro” disse Max in fretta. “Sanno che hai mentito e non eri da lei. Ma non so cosa…”
Impotente, terrorizzato, Maxwell fissava il signor Robertson senza capire a cosa si stesse riferendo in quel momento, perché fino a due minuti prima era in camera di Sam a leggere, e non si era accorto che il padre del ragazzo era alla finestra del salotto, nascosto nell’ombra, quando Sam e Thomas era arrivati davanti alla casa.
Il signor Robertson rafforzò la presa sul giubbotto di Sam e gli diede un’altra spinta contro il muro.
Spiegamelo!” urlò, con voce così rabbiosa che Mindy fece un passo verso di loro, ma la padrona di casa la fermò.
“Richard, lascialo andare” disse Barbara Robertson, cercando di mantenere un tono di voce calmo e controllato. Sembrava che stesse avendo a che fare con un rapitore, e in quel momento Sam si sentiva proprio un ostaggio.
“Non finché tuo figlio non mi spiega che cos’ho visto” sputò lui, con tutto il veleno che aveva in corpo. “Perché mi sono sicuramente sbagliato, vero?” Spinse ancora di più Sam contro il muro. “O forse adesso vuole dirmi che non solo è stupido, ma anche frocio?”
In altre circostanze, o in una serata diversa, Sam avrebbe negato fino allo sfinimento.
Ma adesso, completamente terrorizzato, letteralmente con le spalle al muro, dopo aver assaporato per la prima volta l’ebbrezza di un momento che non credeva nella vita gli sarebbe mai stato concesso…
Tantissime volte si era comportato da codardo con suo padre, assecondando il genitore anche a costo della propria sofferenza.
Era stanco.
“Sì” disse, con voce ferma. Aveva la tachicardia e le lacrime agli occhi, questione di pochi secondi e sarebbero scese inesorabili. “Sì!” ripeté. “Lo sono!”
Momentaneamente ubriaco di un coraggio che non credeva di possedere, non si era reso conto di cosa avrebbe significato una risposta del genere.
Il padre allontanò il braccio, pronto a colpire.
La madre e Mindy provarono a fermarlo, ma erano troppo lontane. Maxwell invece lo intercettò con entrambe le mani.
Non aveva abbastanza forza per bloccarlo, ma deviò il colpo e lo depotenziò.
Invece di colpire il naso di Sam, le nocche colpirono lo zigomo.
Il signor Robertson perse la presa sul figlio, confuso da ciò che era appena successo.
Sam, accecato dal dolore, si ritrovò senza sapere come sul pavimento, tra le braccia di Mindy. Sua madre, invece, era vicino al telefono, con la cornetta sollevata.
Con l’altra mano aprì la porta d’ingresso.
“Esci immediatamente oppure chiamo la polizia” disse, respirando a fatica, spaventata. Anche lei aveva le lacrime agli occhi.
Il signor Robertson era confuso, e arrabbiato, e tentò di avventarsi contro sua moglie, ma stavolta Max aveva anticipato la sua mossa. Si era messo davanti alla madre di Sam riuscì a dare un pugno al viso all’uomo prima che potesse arrivare a lei.
Non fu un colpo forte, non avrebbe fermato neppure un bambino, ma la sorpresa e la confusione compensarono.
Il signor Robertson si guardò intorno, smarrito, furioso. Ma per lui non c’era niente da vedere, lì. Non c’era nessuno.
Fuori!” urlò la moglie.
Mindy nel frattempo aveva aiutato Sam a sollevarsi e lo stava trascinando in salotto.
Mentre il ragazzo finalmente si sedeva sul divano, toccandosi la guancia pulsante di dolore, si sentì la porta d’ingresso sbattere.
Un istante dopo la madre fece irruzione in salotto, seguita da Max.
La donna si gettò sul figlio e scoppiò a piangere sulla sua spalla.
   
 
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