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Autore: N e v e r l a n d 91    18/05/2020    2 recensioni
[Dall'ultimo capitolo:]
La matita che teneva tra le mani sembrava essere una HB, lo capiva dalle strisce verdi e nere che ne dipingevano il legno. La mano che la sosteneva era più robusta della sua, pressava il polpastrello del pollice contro il legnetto e lo sfregava lentamente verso il basso, fino a toccarlo con la punta dell’unghia per poi ritornare in su, di nuovo con il polpastrello. Se non fosse stato limitato dalla sua stessa mente Dean si sarebbe permesso di giudicare quei movimenti quasi erotici, nella loro genuinità. Continuava ad osservarli con una sorta di ipnotico vincolo, dato dalla sua concentrazione e dall’assimilazione delle nozioni spiegate. Era così intensamente estraniato dal mondo che si era permesso di osservarlo senza il timore di essere beccato, fino a quel momento.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Crowley, Dean Winchester, Gabriel, Michael, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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I



22 Gennaio 1999

2:05 PM

Michael non poté trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo e nemmeno cercò di farlo. Quando Dean gli aveva parlato del suo piano di privare il resto della squadra degli abiti e nasconderli nello spogliatoio delle ragazze aveva pensato che scherzasse, o quantomeno sperato che la sua follia non sarebbe poi arrivata al limite dell’espulsione.
Ora che si trovava in piedi e senza mutande, comprese che quando Dean Winchester aveva in mente qualcosa nulla poteva riuscire a smuoverlo dal desistere. Specialmente il buon senso, di cui evidentemente era privo.
A qualche passo da lui Nick, appena uscito dalla doccia, cercava gli indumenti poggiati sulla panchina solo pochi minuti prima. Stessa cosa per il resto della squadra che ancora non aveva capito che l’unica persona assente era la causa di quell’imbarazzante scambio di sguardi confusi.
Il biondo dai penetranti occhi glaciali si avvicinò all’uscita e schiuse la porta quanto bastò a controllare la situazione in corridoio. Il cambio dell’ora doveva suonare a breve e non avrebbero avuto il tempo di sgattaiolare oltre il corridoio per controllare nel bagno di fronte.
Poteva aver mentito Dean, lo faceva sempre.
« Giuro che stavolta lo ammazzo.»
Sibilò Nick, accompagnando la sua voce con il rumore sordo d’un pugno contro l’armadietto, privato anche degli asciugamani.
« Come se risolvessi qualcosa. »
Rispose Benny,  mentre la fronte coperta dalla scomposta ciocca corvina lasciava colare piccole gocce d’acqua che cercava di tamponare malamente con il palmo della mano.
In quello spogliatoio la pazienza era virtù di pochi e alle volte Michael si sentiva l’unico in grado di controllare il testosterone.
« Dovremmo aspettare che la campanella suoni.»
Asserì il biondo, allungando una mano verso lo zaino viola che stranamente non era stato preda del quoterback.
«Arriverò in ritardo a lezione di algebra.»
«Da quanto ti interessano i voti?»
Zack e Rafael risero, esprimendo complicità verso Benny. Nick in tutta risposta scoccò la lingua contro il palato  e ricercò l’appoggio di Micheal che però puntava lo sguardo verso la porta, come un felino pronto a scattare qualora Dean decidesse di desistere da quel piano suicida.
«Mi interessano.»
«Come gli interessano i ragazzini del primo… »
Incalzò Rafael mentre avvolgeva la maglia sporca dall’allenamento appena terminato attorno alla vita, Benny arricciò il naso con disgusto per quel gesto ma evitò di commentarlo.
«Ma che cazzo dici?»
Nick lanciò la saponetta contro Rafael ma colpì il mobile alle spalle degli altri due, mancando il bersaglio come spesso gli capitava anche sul campo.
«Che intendi, Raf?»
Lo incalzò Benny, ottenendo in risposta un mutismo selettivo da parte dei tre. Il protagonista di quel pettegolezzo scosse il capo e poggiò la schiena contro le mattonelle della doccia, ancora appiccicaticce per via del sapone che aveva da poco lavato via dal corpo.
Poté percepire lo sguardo di Michael ma lo ignorò di proposito, gli occhi del biondo erano saettati dalla porta a lui subito dopo le parole di Rafael. Sapeva che lo stava puntando e incrociare le braccia attorno al petto non sarebbe bastato a distanziarsi da quegli occhi perforanti.
«Niente, si diverte a tormentare i ragazzini. Fa il bulletto con i nuovi!»
«E’ sempre attorno al Winchester più piccolo, io la chiamo compensazione. Non riesce a battere il più grosso in campo e si sfoga con lo sfigatello.»
«Occhio Raf, se Dean ti sente prendere in giro suo fratello finisce male. »
«Non credo sia qui, Benny. In caso lo fosse finirebbe male per lui visto che mi sto asciugando con una maglia zuppa di sudore.»
Zack rise, dando al compagno di bravate un colpetto col gomito per incitarlo a chiudere la bocca.
«State un po’ zitti. Ho tempo per prendere il posto di Winchester, tempo e pazienza. Quindi chiudete il becco e non rompete le palle!»
«Baci tua madre con quella bocca, Nick?»
«No, la tua.»
La saponetta tornò al mittente e colpì Nick alla spalla, che in tutta risposta la lanciò verso il water facendo un canestro perfetto.
«Valla a riprendere ora, Rafael.»
Il messicano sollevò la mano esponendo in tutta risposta il dito medio. Nick schiuse le labbra per appropriarsi ancora una volta dell’ultima parola ma il trillare della campanella gli impedì di emettere alcun suono, lasciando che i pensieri rimanessero appesi in attesa, pronti a formulare una via d’uscita da quelle dichiarazioni imbarazzanti.
Intanto Michael riorganizzava le idee, sbirciando di tanto in tanto fuori dal corridoio, in attesa del momento più propizio per evadere da quella gabbia.

***

2:30 PM

Dean sospirò, mollemente adagiato sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto. A Kansas City quando pioveva l’infrangersi dell’acqua contro la finestra era come lo schiocco d’una freccia nell’imbottitura bianca e rossa del bersaglio; ci si fermava ad ascoltarla per ore, al riparo dai boati e dalla caoticità della folla. Il biondo dalla perenne abbronzatura californiana adorava la silenziosa solitudine che ne scaturiva, ruggito e tuono danzavano armonicamente attraverso lo spartito scomposto d’un quartetto di fiati che soffiava tra i rami e tamburellava contro i cruscotti delle auto parcheggiate fuori dalla scuola. Il tutto andava in totale contrasto con lo scrosciare dei fogli sulla scrivania in mogano verde del professor Davis, il cui riecheggiare nell’aula somigliava più al rumore molesto delle scarpe sportive contro l’erba sintetica del campo da football e si trasmutava nel clangore della sconfitta e quella Dean poteva percepirla chiaramente. Gli era stata concessa un’ultima possibilità nei test di algebra ed ogni fibra del suo essere era consapevole d’averla persa.
Il preside Ketch avrebbe dovuto intercedere ancora una volta affinché il professor Davis mantenesse nei limiti la sua media, permettendogli così di partecipare alla semifinale di campionato. Non potevano permettersi di perdere il loro quoterback migliore in un momento tanto delicato e il preside ne era consapevole.
«Ben fatto Hannah, A+ come sempre.»
La mora a due banchi di distanza sorrise con una compostezza quasi fastidiosa, Dean arricciò il naso cercando di controllare ogni fibra del suo corpo affinché impedisse ai bulbi oculari di roteare verso l’alto ed esprimersi così al suo posto. Si scompose, dilatando le ginocchia e molleggiando sulla gambe posteriori della sedia in attesa del verdetto.
« MacLeod,  devi comprendere meglio i radicali. Per il resto… bene come sempre.»
Davis lasciò uno dei fogli sul banco del ragazzo dai capelli corvini, il quale dopo averlo afferrato voltò lo sguardo verso Dean. Certamente non poté aspettarsi che anche quello dell’altro fosse indirizzato a lui, convinto della sua perenne distrazione. Eppure quegli occhi verdi lo puntavano e l’espressione seriosa sul viso esplicava chiaramente i suoi pensieri.
Qualche giorno prima infatti aveva chiesto al moro di raggiungerlo a casa sua per studiare, necessitava di ripetizioni di algebra e sapeva per certo che da solo non ce l’avrebbe fatta. Crowley aveva rifiutato senza pensarci troppo perché quell’atteggiamento arrogante lo metteva a disagio e quel modo fervente d’utilizzare lo sguardo lo irritava non poco.
Scostò quindi il viso e tirò su gli occhiali, tornando a puntare la macchia di gesso giallo all’angolo della lavagna, certamente più piacevole degli occhi verde chiaro del Winchester.
«… Dean, credo che quest’anno salterai buona parte del campionato.»
Nonostante quel velo di falso dispiacere nella voce del professore, Dean contrasse i muscoli della mascella, costringendo i molari a sfregare tra loro per qualche secondo, causandogli una fitta dolorosa all’altezza delle orecchie.
«Andiamo signor Davis, non può darmi una F! Ho bisogno almeno di una C, la squadra conta su di me!»
«Allora avresti dovuto essere così previdente da non deluderla.»
«Non le costa nulla aiutarmi.»
«Ti avevo proposto un’alternativa.»
«Un’alternativa irrealizzabile.»
Le dita del ragazzo andarono a tamburellare freneticamente contro la formica verde del banco, mentre l’altra mano sfregava la cerniera della giacca sportiva Blu e bianca.
«Winchester, io non posso fare favoritismi solo perché fai parte della ‘squadra di football’.»
Dean sbuffò una risatina nervosa.
«E’ una specie di vendetta perché quando andava al liceo veniva bullizzato dagli atleti della ‘squadra di football’
Il modo in cui il biondo evidenziò la sua appartenenza a quella che per un ragazzo del liceo era una condizione gerarchica favorevole lasciava trasparire una certa alterigia, che venne amplificata dallo sguardo dello stesso, affilato come la lama d’un coltello orientale. La classe tacque, lasciando che quel momento restasse sospeso tra sospiri di stupore e sguardi sconcertati. Il professore dal canto suo appariva rilassato, fermo nella sua posizione autorevole. Dalla sua espressione statuaria si poteva arguire il disappunto e quella scintilla di pungente fastidio che trovò sfogo in un leggero incresparsi del naso.
Il ragazzo dai capelli corvini ad un banco di distanza si schiarì la voce, nella sua mente quel gesto avrebbe in qualche modo distratto la classe da quell’imbarazzo molesto, eppure la scena del professore di algebra zittito da un intoccabile Winchester difficilmente sarebbe passata in secondo piano.
«Al preside Ketch non piacerà.»
Aggiunse Dean sfidando l’uomo dal basso, con una boria degna del suo nome.
«Al preside Ketch potrà non piacere ma a me non interessa affatto. Ti dirò di più caro Winchester, vista la lingua lunga e la completa mancanza di rispetto verso i tuoi insegnanti, questo pomeriggio lo passerai in punizione. »
La matita tra le dita del professore prese a roteare tra i polpastrelli mentre con calma s’avvicinava alla scrivania per tornare a dedicarsi alla lezione. Il ragazzo evitò di commentare, limitandosi ad arricciare il naso e voltare lo sguardo verso le scarpe nere di Crowley.
Si chiese perché dovette capitargli proprio quello sfigato egoista di fianco e cosa aveva fatto di male in quella vita per meritarsi tante persone pedanti attorno.
La sedia su cui dondolava tornò a poggiare su tutte e quattro le gambe e i gomiti a tastare il banco verde, con il pollice sfilò l’anello d’acciaio dalla forma quadrata che gli aveva regalato suo padre e prese a sfregarlo contro il banco.
Mentre occupava l’ora restante a disegnare piuttosto che ascoltare la lezione si convinse che passare il pomeriggio in punizione sarebbe stato meglio che incrociare Michael e gli altri dopo il tiro che gli aveva lanciato e la loro assenza in aula era la riprova che il suo piano fosse andato a buon fine.


Nel pomeriggio ciò ch’era stato un boato incessante d’acqua e tumulti fulminei s’era ora trasmutato in una sorta di placida quiete, pronta a calmare anche i cuori più irrequieti. Il cielo era ancora coperto da ampie nubi scure ma il grigiume che ne scaturiva donava quella calma confortante in cui Dean poteva crogiolarsi a discapito del logorante silenzio.
Se il biondo avesse avuto il senso delle iperbole avrebbe di certo saputo riconoscere un parallelismo tra il suo stato d’animo e l’andamento climatico di quella giornata, ma Dean non amava la poesia o forse credeva di non poterla amare, troppo impegnato ad essere ciò che  avrebbe dovuto e dentro quell’essere, sparire.
Lasciò che lo zaino scivolasse dalla sua mano al pavimento e tornò a sedere su una sedia troppo dura per poter essere comoda.
In aula v’erano solo tre studenti e lui li conosceva tutti. Ciò non significava fossero amici, tutt’altro. Il massimo dei rapporti scolastici che il biondo instaurava altro non era che echi distorti degli interessi che avrebbe dovuto avere.
Lui amava giocare a football, amava bere, fare festa e trangugiare hamburger. I ragazzi come lui avevano uno scopo e degli obiettivi, primo tra tutti la popolarità e nella popolarità non era concesso concedersi. C’erano solamente Dean ed il suo gruppo, il resto delle conoscenze non era altro che insalata decorativa ai lati d’un Hamburger; futile, evitabile.
Lasciò scivolare la guancia lungo il braccio e fece in modo che la nuca venisse sostenuta dal polso. La stanchezza iniziava a farsi sentire e gli occhi faticavano a restare aperti. Il professore li stava ignorando completamente, dedicando tutta la sua attenzione al cellulare che probabilmente riproduceva un video.
Proprio nel momento in cui Dean stava per chiudere le palpebre il rumore della maniglia cigolante dell’aula di cucito lo riportò alla realtà, costringendolo a sollevare lo sguardo verso la porta, senza però cambiare la posizione in cui era accomodato.
Il volto d’un ragazzo castano spuntò appena attraverso la mezza apertura, cercava il professore con lo sguardo e non appena l’ebbe trovato fece un passo in avanti, lasciandosi la porta socchiusa alle spalle. Tra le mani aveva un foglio di carta, Dean affilò lo sguardo convinto quasi che a quella distanza sarebbe riuscito a leggere cosa vi fosse riportato.
«Stavo cercando delle informazioni.»
La sua voce era profonda, troppo profonda per un ragazzo del liceo. Lo sguardo verde di Dean cercava di comprendere a cosa fosse dovuta la presenza di quel tipo strambo nell’aula in cui venivano scontate punizioni, visto che evidentemente non era lì per il loro stesso motivo.
«Si, dimmi tutto.»
«Stavo cercando la segreteria ma… non riesco a capire in che punto si trovi. Il professore con la tuta blu mi ha indirizzato qui.»
Il professore con la tuta blu? Ma che diavolo stava dicendo quel cretino?
Una mezza risatina femminile costrinse Dean ad interrompere quel contatto visivo. Meg cercava di trattenersi dal prenderlo esplicitamente in giro, fallendo miseramente.
Dean tornò a lui, aveva uno sguardo confuso ma allo stesso tempo d’un intensità che non riuscì a spiegarsi. Riconobbe un accento dell’est e comprese che doveva essere straniero.
«Probabilmente parli del bidello.»
Intervenne il professore, ammonendo Meg con uno sguardo rassegnato. Gli occhi del ragazzo passarono da lui a lei. Ora chinava il volto, probabilmente si chiedeva cosa ci fosse di divertente nelle sue parole e a giudicare dalla sua espressione, doveva essersi risposto che la causa di tanta ilarità provenisse dal suo accento.
«Meg ti accompagnerà in segreteria molto volentieri, vero Meg?»
«Per allontanarmi da qui, posso accompagnarlo anche in paradiso!»
Rispose prontamente la ragazza, masticando una gomma in modo fin troppo esplicito per passare inosservato. Dean tornò ritto sulla sedia, bloccando con il palmo il cammino della ragazza.
«Posso andarci io, prof. Devo consegnare dei file al preside.»
«Figurati Winchester, chi pensi che ci creda? »
Taci, Meg.
Il professore scosse il capo troppo in fretta, impedendogli di argomentare quella bugia e facendo cenno a Meg e al ragazzo di uscire. La mora obbedì ma non prima d’aver mostrato il medio a Dean mentre l’altro si limitò a guardarlo ancora con quell’espressione confusa sul volto. Gli portava alla mente quell’uccellino che suo fratello Sam aveva salvato a sei anni; la stessa smarrita agitazione.
Sam s’era prodigato a nutrirlo per settimane, aveva cercato di aiutarlo a riprendere a volare fino a quando suo padre non l’aveva trovato e fatto sparire. Dean non gli aveva mai chiesto in che modo.
La sensibilità di Sam a volte spaventava suo padre e per lui commettere delle stronzate era lecito. Come era lecito per Dean non fare nulla e lasciare che un bambino di sei anni soffocasse tra lacrime disperate notte e giorno.
Era per il suo bene, si diceva John.
Era suo padre e lui lo amava, ma a volte era troppo duro. Spesso litigavano e Sam ci finiva in mezzo.
Non aveva mai dimenticato quell’uccellino e tutto il tempo che gli aveva dedicato, Sam era solo un bambino e ci aveva creduto, ma il padre non l’avrebbe capito.
La verità in quel momento era più semplice; Dean avrebbe voluto uscire da quella stanza ed ogni occasione sarebbe stata buona per farlo. Quel ragazzo poteva essere la scusa perfetta eppure gli era sfuggita.




 

___________________________________
 

Primo capitolo, mi rendo conto sia piuttosto breve ma cercherò di rimediare con i prossimi!!
Se vi piace o avete delle correzioni costruttive commentate pure con una recensione!
Buona lettura!

 


 

  
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