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Autore: Stella cadente    19/05/2020    4 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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48.

 
 
Dopo l’annuncio di Merman – già dopo la prima volta che il Preside aveva accennato alla morte di Eris Goddess – Claude Frollo si era isolato da tutti, per indagare personalmente, alla larga dagli sguardi indiscreti. Come quello di Hans Westergård, per esempio; il dormitorio maschile vibrava di energie oscure già dalla fine del primo semestre, era riuscito a sentirlo da quando aveva trovato tutto quello che era necessario trovare per capirci qualcosa. Un pezzo di ghiaccio visibilmente maledetto, che non aveva avuto il coraggio di toccare, e – nel dormitorio femminile – delle pietre fatte di buio e luce. Avevano vibrato di energia, non appena ci si era avvicinato, dando origine ad un campo di magia dalle sfumature dorate che lo aveva fatto tremare.
Se n’era andato subito, ma non si era reso conto che qualcosa lo stava inseguendo.
 
L’ombra sembrava ormai perseguitarlo da mesi. Era come un parassita, lo accompagnava nel sonno, durante le lezioni, durante lo studio. Gli faceva vedere scenari di distruzione: persone bruciate su un rogo, malattie, il Mondo Magico che si trovava al collasso e una ragazza con dei folli occhi azzurri, con un’abilità singolare e distruttiva.
Il ghiaccio. Scaturiva dalle sue braccia con una potenza sorprendente, macchiandosi di sangue senza che la ragazza avvertisse il minimo rimorso. Guardava tutti con i suoi occhi vuoti e freddi come il suo potere, che spiccavano sul suo volto pallido e spigoloso da regina.
Sentiva tutte le sue emozioni che gli venivano scagliate nel petto: rabbia, desiderio di vendetta, dolore. E Black che sapeva – perché lo sapeva – che avrebbe potuto sfruttare tutto questo a suo favore, perché era questo che era indispensabile, quando si trattava di rituali alchemici.
L’energia.
 
Aveva preso ben presto consapevolezza di che cosa fosse quell’ombra: un ologramma, una proiezione di Black, evidentemente destinata ad interagire con chiunque fosse entrato a contatto con le pietre, che funzionavano come...
Come degli horcrux.
Magia nera, molto oscura e molto potente, utilizzata anche da Lord Voldemort in persona. Un pezzo di anima di Black era collegata a quei cristalli simili a onici, anche se non potevano esserlo. Claude non riusciva a ricordare quale genere di pietra fosse nera con delle venature gialle, che sembravano scorrervi all’interno come rivoli di lava.
L’Ombra era sottile, alta, con un volto affilato ma senza occhi, naso e bocca: un manichino fatto di fumo, che però riusciva a trasmettergli tutto ciò che era necessario sapere. Aveva iniziato a parlare, e finalmente aveva dato un senso agli appunti di Alchimia che aveva preso forsennatamente – per anni, per quello che era sempre stato puro interesse di uno studente modello. Erano bastate poche settimane per capire quale fosse la maledizione che era stata gettata su Hogwarts.
La pietra filosofale. Era questo il centro di tutto, ciò che Black anelava con disperazione. Era per questo che il Rituale andava avanti, per creare la pietra dell’immortalità e riportare indietro altri phoboi – phoboi che c’erano prima, che un tempo erano forti ma ora non lo erano più.
Lo aveva visto, nelle sue visioni.
Black che, in un tempo lontano, parlava a delle figure che sembravano divine, perfette, quasi irreali nella loro bellezza. Come se non fossero neanche esseri viventi, bensì statue immutabili.
 
C’era una donna dalla pelle scura con un paio di corna che scaturivano dai capelli castani; una bambina con i capelli fulvi e gli occhi chiari; un uomo dal naso piccolo e il volto d’alabastro, affiancato da un altro con la mascella squadrata e il volto coperto di tatuaggi; ed infine, altre due donne, una con dei tratti asiatici e l’altra dai capelli bianchi come la neve.
«È necessario fare qualcosa, per il bene del Mondo Magico» disse, deciso di fronte a quell’inquietante commissione che lo guardava con occhi freddi. Il luogo in cui si trovavano non gli era familiare: somigliava alla Camera dei Segreti di Hogwarts, ma era evidente che non fosse quella. I soffitti erano più alti, e la costruzione somigliava più ad una sala delle riunioni ricavata da una caverna, piuttosto che ad una stanza nascosta in un altro edificio.
«Non possiamo farlo, Elias» replicò la donna con i capelli bianchi, scrutandolo con i suoi occhi rosso sangue. «Il Mondo Magico e quello babbano sono vicini, ma sempre nettamente separati. Il nostro intervento non può oltrepassare un certo limite.»
«Concordo» disse l’uomo che sembrava una statua. Le iridi viola si mossero su Black, che sostenne il suo sguardo imperterrito. «Non possiamo assecondare la nostra pietà, fratello. La pietà non è un sentimento che gli Antichi possono permettersi di provare.»
E la rabbia che si agitava nel corpo di Black, il sentimento di rivalsa che c’era nei confronti di chi sottraeva vite al Mondo Magico di continuo.
Quando avvertì quell’emozione, quella rabbia cocente e che sapeva di disperazione, capì.
La caccia alle streghe.
 
Erano scomparsi, tutti. Indeboliti, si erano ritirati, e non erano più intervenuti – ove possibile – nel Mondo Magico. Ma perché?
Quell’Ombra lo aveva gettato in una spirale di immagini, e Claude si era ritrovato, in breve tempo, a non saper distinguere più tra presente e passato. Quando si ritrovava, aveva impresso le immagini che aveva visto sulle pergamene, e quei disegni sembravano guardarlo minacciosi dalla carta, istantanee di un’epoca oscura e a cui lui – a cui nessuno di loro – apparteneva. Abbassò lo sguardo su quello che aveva fatto più di recente: il disegno lo guardava dal foglio, buio come le emozioni che si portava dentro.
Aveva tracciato un cerchio con la piuma, tanti cerchi concentrici che formavano un’unica immagine, come un vortice che si stagliava di fronte ai suoi occhi e che lo voleva risucchiare. Una sagoma femminile stava in piedi, i capelli lunghi che ricadevano sul suo fisico sottile. Sembrava osservare il cerchio con occhi distanti e persi. Davanti a lei c’era un’altra sagoma, alta e magra, stavolta maschile.
E a Claude sembrò di capire subito chi fosse, come se qualcuno glielo avesse sussurrato.
Pitch Black.
Non fu quel dettaglio, comunque, a farlo rabbrividire.
Sotto al vortice che aveva disegnato, nell’immagine aveva preso forma anche un corpo umano, completamente sfigurato da terribili ferite, ma il mago e la ragazza sembravano non farci caso.
Anzi, erano come compiaciuti.
Quell’Auror che lo aveva interrogato, alla fine, lo aveva scoperto. Non si era fidata di lui sin dall’inizio, lo aveva visto bene nei suoi occhi nocciola indagatori, ma fu quasi certo che non si aspettasse minimamente quello che avrebbe trovato nel dormitorio giorni dopo, quando suo fratello era stato ucciso.
Claude, ormai, si sentiva distante anni luce dal ragazzo che era prima: era sempre stato ambizioso, serio, cinico; non aveva mai avuto, in realtà, dei buoni rapporti con il suo gemello – soprattutto da quando era iniziata la scuola. Lo aveva sempre trovato talmente impulsivo da sfiorare l’ottusità, ma non avrebbe mai pensato che si sarebbe andato ad immischiare con la Magia Nera.
E lui non si era mai accorto di niente.
Avrebbe tanto voluto sapere le dinamiche della sua uccisione, ma non aveva avuto il coraggio di dire altro, quando quell’Auror gli aveva detto che suo fratello era stato trovato sfigurato.
Come la sagoma del disegno.
Non aveva avuto il coraggio di dire niente, mentre lo portavano via. Forse Black gli aveva lanciato addosso una maledizione, e qualunque alibi non sarebbe servito ad evitare Azkaban.
Forse era così che doveva andare.
Dopo qualche giorno in una cella, come se fosse un pericoloso criminale, lo avevano condotto al Dipartimento di Indagini sugli Incantesimi Oscuri, al Ministero. Era stata la stessa Auror di quella volta – la signorina Campbell – a farlo, guardandolo a volte di sottecchi, come si farebbe con un malato mentale. Sapeva di non avere un bell’aspetto: il viso affilato si era come ingrigito, gli occhi scuri spenti da tutto ciò che aveva visto in quei mesi. L’Ombra era entrata a far parte di lui, e niente aveva più importanza, perché quella aveva distrutto tutto quanto. E poi c’era quella Grifondoro, Esmeralda...
Lo aveva guardato perplessa, quella volta, quando lo avevano prelevato da Hogwarts. Come se avesse capito che lui si aspettava che accadesse. In effetti, era così: ha perfettamente senso, aveva pensato; l’Ombra – la proiezione di Black – ha fatto in modo che gli Auror percepissero la magia oscura che mi era rimasta addosso, così da togliermi di mezzo prima che diventassi scomodo.
E adesso si trovava lì, davanti al signor Chateaupers, il Ministro del Dipartimento Indagini, che lo studiava con i suoi occhi piccoli e neri.
«Dopo delle attente ricerche su documenti precedenti riguardo a Pitch Black, siamo giunti alla conclusione che lei, signor Frollo, sia l’unico superstite – a parte coloro che sono stati scelti – alla magia nera che si è abbattuta su Hogwarts» iniziò, con voce seria ma non minacciosa. «Pertanto, suppongo che lei possa essere in grado di dirci qualcosa su questo caso. Come previsto, è rimasto qualche giorno in carcere, per aver mentito circa le sue scoperte. Tuttavia, adesso il periodo che doveva trascorrere ad Azkaban è terminato.»
Fece una pausa, in cui lo fissò dritto negli occhi, come per dargli spazio per parlare. Forse si aspettava una reazione sollevata, visto che in pratica lo stava dichiarando libero.
Claude, però, lo guardò soltanto.
«Abbiamo esaminato i disegni da lei fatti, quando era sotto incantesimo presumo.» Adesso il signor de Chateaupers aveva un’aria apprensiva. «E ci hanno fatto capire cosa sia realmente la figura che molti maghi prima di noi, nei secoli, hanno cercato di identificare, senza mai riuscirci appieno. Gli studi che sono stati fatti sono approssimativi, a quanto pare.»
«Cosa vorrebbe dire?» fece il ragazzo, con voce piatta.
«Abbiamo sempre pensato che, chi si faceva chiamare Pitch Black, nel corso degli anni, fosse una persona diversa ogni volta. Ma sbagliavamo. Non erano maghi differenti che si facevano chiamare così, quelli che si sono succeduti nel tempo. Erano tutti la stessa persona» quasi la scandì, quella frase. «E questo ci porta ad un’unica conclusione: quell’Ombra – quella che lei ha visto – è l’ologramma di una creatura antica quanto il Mondo Magico, contro cui non possiamo nulla. Possiamo solo sperare che il suo intervento attuale non causi troppe perdite.»
Quelle parole si scagliarono brutalmente su Claude Frollo, che rimase con sguardo assente, come se fosse rimasto congelato. Giorni di analisi dei suoi disegni – di quello che aveva visto, provato, sentito – e non si poteva fare nulla? Gli stavano dicendo di attendere e basta?
«Non si può proprio contrastarlo?»
Il Ministro aveva quasi le lacrime agli occhi. «No. Mi dispiace.»
La signorina Campbell gli mise una mano sulla spalla – una mano piccola e fredda, ma che si serrò leggermente in un timido gesto di conforto. «Secoli fa, quella creatura ha suggellato l’importanza della sua esistenza nel Mondo Magico, durante la caccia alle streghe in Scozia. Lo ha fatto con l’Alchimia, cambiando l’equilibrio che già esisteva e creandone un altro» concluse de Chateaupers, con tono grave.
I roghi, le malattie... ecco perché quelle visioni.
«E la ragazza?»
Il Ministro si scambiò uno sguardo cupo con l’Agente Campbell.
«So che la ragazza del disegno che ho fatto sotto incantesimo è reale. È comparsa nelle mie visioni. Una ragazza con i capelli rossi e delle abilità sul ghiaccio. Come Elsa Arendelle» disse, come per incitare de Chateaupers ad andare avanti.
«Si chiamava Iris Hale» disse allora il Ministro, con tono cauto. «Dopo averla vista nei suoi disegni, abbiamo cercato nell’archivio storico dell’epoca della Caccia. Le profezie tramite le sfere di cristallo erano molto in voga, allora… ed abbiamo recuperato una profezia che era destinata a lei. Diceva che qualcosa l’avrebbe condotta sul suo sentiero, su quello che avrebbe sentito essere compatibile con la sua anima. E così, infatti, è successo.»
La ragazza che guardava il vortice di buio, davanti alla figura scheletrica e vicino al corpo umano sfigurato. Impassibile, concentrata solo su di lui che la guardava.
Era lei.
Silenzio.
«Non so cosa rappresenti con esattezza il disegno che ha fatto, signor Frollo. È rimasto poco, dell’epoca della Caccia. Ma qualunque cosa sia, è accaduta molto tempo fa, e riguarda un uso terribile della magia. In ogni caso, basandoci su quello che abbiamo» fece una pausa, come per assicurarsi che il ragazzo stesse metabolizzando quello che stava ascoltando. «Black ha cercato di ripetere quello che ha fatto nel 1648. Ha di nuovo messo in atto lo stesso procedimento, anche se per un motivo diverso. E ci è riuscito.»
Claude avvertì un fischio nelle orecchie.
«Sta semplicemente finendo quello che aveva iniziato.»
«Quando potrò tornare ad Hogwarts?» chiese il ragazzo; si sentì uno stupido, ma aveva bisogno di sapere.
Stavolta fu la signorina Campbell a parlare. «Quando il conflitto sarà finito. Non c’è altro modo. Indipendentemente da quale sarà l’esito, lei deve rimanere qui finché il nuovo equilibrio non sarà cominciato. Almeno sarà in salvo.»
Claude annuì e basta, senza replicare. Ma il suo pensiero andò d’istinto ad Esmeralda.
Sperò di poterla rivedere, perché ora non era più così sicuro che sarebbe successo.
 
 
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Provo dei sentimenti contrastanti, nei confronti di questo capitolo. Da un lato mi piace, perché lo trovo vagamente inquietante, e perché un po’ risponde ad alcune domande (per esempio, ci dà più info su questa Iris Hale che è già stata menzionata più di una volta, e si intravede uno stralcio che ha come protagonisti gli Antichi: finalmente li visualizziamo e capiamo quanti sono e come si comportano tra loro, anche se per poco) e un po’ ne solleva delle altre (Black ha messo in atto il procedimento per un motivo diverso, l’ultima volta: quale sarà? Che cosa è andato storto, facendo sì che ci fosse qualcosa da portare a termine? E soprattutto: perché sono tutti d’accordo, impassibili di fronte a questo terribile evento?).
Dall’altro lato, invece, non so... mi sembra un po’ scialbo, privo di carattere, anche un po’ breve. Nel senso che non succedono grandi cose, è più un capitolo transitorio che serve a capire cosa succederà dopo. Spero che, in ogni caso, vi sia piaciuto.
Alla prossima!
Sara





philippe garrel | Tumblr


Sapeva di non avere un bell’aspetto: il viso affilato si era come ingrigito, gli occhi scuri spenti da tutto ciò che aveva visto in quei mesi. L’Ombra era entrata a far parte di lui, e niente aveva più importanza, perché quella aveva distrutto tutto quanto. 
  
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