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Autore: Andy Black    19/05/2020    0 recensioni
[an Unravel Me universe story] - [AVVERTIMENTO: se non avete letto Unravel Me questa storia potrebbe essere di difficile comprensione];
[White - Sapphire Birch - Yvonne Gaabena - altri]
Chiaramente, come nella storia precedente, i personaggi sono OOC. La vicenda è ambientata sei mesi dopo le vicende di Unravel Me. Dal primo capitolo:
- Non c’è? In che senso?
- Presidentessa... - titubò Whiteley. - Stamattina non si è presentato, in atelier. Eppure dovevamo discutere della nuova collezione.
- Lo so, ragazzina, lo so. La mia domanda però è: per quale fottutissimo motivo non stai consumando il cordless e il tuo orecchio destro nel tentativo di rintracciarlo?
- L-lo-lo faccio subito...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sapphire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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Against Me

Quando tutto cade.






 
Hoenn Bluruvia, 19 giugno 20X1


Sentirono la voce della civiltà qualche ora dopo. Avevano raccolto le proprie cose, si erano risistemate, rivestite, ripulite dalla crema in eccesso perché “non è esteticamente accettabile presentarsi in pubblico con la protezione sul viso, non siamo più ragazzine”, e avevano buttato la plastica dei cracker e la buccia delle mele che avevano consumato durante la traversata. Si erano poi spostate verso l’interno della nave e avevano sceso le scalette che le avrebbero portate sulla piattaforma inferiore. Lì c’erano poche persone, molti erano autotrasportatori che facevano ritorno sui loro camion, fissando con occhi interessati Petra e Sapphire.
- Non li guardare. Andranno via. – disse la prima, categorica, fissando dritto davanti a lei, mentre la rampa d’attracco si abbassava e lentamente inondava di luce dorata i loro visi. Sapphire si voltò verso l’amica, così seria e compunta, mentre allungava il collo e inarcava le sopracciglia.
- Perché non dovrei guardarli, scusa? Io sono qui e loro sono lì.
- Perché sono camionisti. Quella gente non porta mai a niente di buono... – aveva ribattuto l’altra, repentina. – E poi puzzano, e sono sudati. E sono abituati a... diciamo, compagnia femminile del tutto differente da quella che potresti offrire tu. Sei una donna elegante e raffinata, tu.
- Non proprio... – ridacchiò l’altra, mentre la rampa d’attracco si abbassava. Il sole s’inseriva lento in quel garage buio, andando a colorare i volti delle due ragazze. Sapphire strinse gli occhi, sentì poi Petra rispondere.
- Sei una donna. Quindi sei elegante e raffinata... hai questo potenziale già dentro di te. Dobbiamo un po’ lavorare su quest’aspetto.
- Fanculo ogni aspetto, Petra. Non mi ha cambiata quel finocchio e non lo farai di certo tu...
- Ti prego... – sbuffò l’altra, piegando le labbra in una smorfia. – Non lo chiamare in questo modo. Mi infastidisce che parli male di lui... Non dovresti parlare male della gente.
- Tu non ti sei fatta problemi a paragonare i camionisti agli uomini di Neanderthal, tesoro...
- Non ho mai detto una cosa del genere.
- Il mio ex aveva movenze e comportamenti da drag queen, con quei profumi puzzolenti e...
- Ora invece stai parlando male delle drag queen.
- Fanculo, Petra.

Pochi secondi dopo misero piede a Bluruvia. La zona del porto era stata ristrutturata cinque anni prima, dopo che un violento maremoto aveva distrutto gran parte delle ultime banchine, le più vecchie; era stato tutto sistemato e il pontile di cemento aveva sostituito la debole piattaforma galleggiante in plastica, ormai ingrigita dal tempo.
Rudi ci teneva alla sicurezza.
- Non lo vedo... – diceva Sapphire, alzandosi sulle punte e riparando la visuale dal sole con la mano. – Hai detto che sarebbe venuto Rudi? Cioè, proprio Rudi?
Petra sospirò, incrociando le braccia e rimanendo col collo allungato. L’espressione senza emozioni che portava sul viso non tradiva in alcun modo la sua confusione.
- Sì, aveva detto che sarebbe venuto lui. Forse avrà mandato qualcun altro, o forse... non so.
- Perché non lo chiami un attimo?
- Perché non voglio fare la figura della cretina, nel caso fosse venuto a prenderci e io non lo vedessi.
Sapphire la guardò con sufficienza, mentre l’altra aguzzava la vista, alzandosi sulle punte e lanciando gli occhi più lontano che potesse. Cercò Rudi sulla sinistra, lungo la stradina che portava alla meravigliosa chiesetta costruita interamente in pietra bianca, senza trovarlo, e poi guardò anche a destra, oltre la grossa statua al centro del porto, dov’erano parcheggiati diversi minitaxi, che non erano altro che fatiscenti veicoli a tre ruote, più stretti delle automobili, sicuramente più agili, a rappresentare gli unici mezzi di trasporto in grado di passare attraverso gli stretti vicoletti della città.
- Non lo vedo. Ora lo chiamo io... - rispose Sapphire, cercando con la mano il cellulare nella borsa, perdendo forse troppo tempo nel farlo e pensando che invece di buttarlo a casaccio in quel fossato profondo quanto l’oceano avrebbe potuto cominciare a infilarlo nel taschino interno di quella hobo di pelle bianca, un po’ sdrucita, sgualcita dal tempo.
- Va bene. Va bene, chiamalo tu.
Poi un clacson le fece sobbalzare entrambe, che erano davanti alla passerella di sbarco e uno di quei camionisti dalla fronte sudata urlava loro di levarsi dalle palle.
- Vedi come sono, i camionisti?! – sbraitò Petra, camminando un paio di metri avanti, tirandosi l’altra per il braccio, che intanto aveva lo sguardo perso nel vuoto e l’orecchio sul telefono.
- Rudi. Sono Sapphire. Sapphire Birch. Siamo al porto, Petra aveva detto che saresti venuto a prenderci...
- No! – esclamò l’altra, spalancando gli occhi e poi portando una mano davanti alla bocca. – non dirgli che sono stata io! – continuò, a bassa voce.
- Sì, va bene, è che abbiamo le valigie e... ah, siamo state anche fortunate, quindi... perfetto. Dov’è? Destra, destra, sinistra, dritto. Chiedo a Serge. Va bene. Va bene, sì. Sì, la traversata è andata bene, nessun problema, non abbiamo trovato mare grosso. Va bene. Va bene. Sì, va bene... va... va bene, a dopo.
Petra la guardava confusa. La vide gettare di nuovo il telefono in borsa e sospirare.
- Va bene? – le chiese. – Che ha detto?
- Voleva che andassimo in spiaggia.
- Direttamente?! Ma abbiamo le valigie e dobbiamo fare il check-in e...
- Mi hai sentita, no?
- Sì, hai detto mille volte che andasse bene qualcosa...
- Sì, e lui mi ha detto di avviarci all’albergo vicino alla Palestra, il...
- Golden Sand, sì. L’ho visto su Trip Advisor e non mi sembra niente male, ha addirittura una discesa privata sulla spiaggia, e lì la sabbia è bianca e il mare è cristallino e...
- Doveva chiamarsi White Sand, allora. – ribatté Sapphire. – Voglio andare a fare un bagno, sbrighiamoci.
- ... e dicono che sia un posto perfetto per raccogliere le conchiglie.
- E muoviti!

Camminarono per quei vicoletti stretti e caratteristici, accarezzando le pareti delle case, tutte rivestite in porosissimo tufo, che lasciava sulle dita polvere giallastra destinata a volare via, quando si pulirono le mani. Sapphire lo fece sul pantaloncino, Petra su di un fazzoletto. Di tanto in tanto i loro sandali scivolavano sulla superficie liscia dei vecchi sampietrini, levigati dal tempo e dalla pioggia che, in quelle strade tutte in pendenza, scendeva a valle.
Le persone sembravano felici, lontane dalla frenesia che popolava le strade di Ferrugipoli, metropoli in cui viveva Petra. Lei stessa non riusciva a capacitarsi della rilassatezza dipinta sul volto di quelle persone.
- Qual era la strada? – domandò poi quella, nascondendo il viso sotto la tesa del cappello.
Un treruote dal parabrezza opaco e dalla carrozzeria color ocra si avvicinò frontalmente alle due, che furono costrette a salire un piccolo gradino che portava all’ingresso di casa di qualcuno, scavato interamente nella pietra. Si strinsero l’una all’altra col calore che le avvolgeva, guardarono l’uomo nel veicolo che sorrideva e si portarono di nuovo sulla strada.
- Cosa hai detto? – aveva chiesto Sapphire, sbuffando.
- Ti ho chiesto quale fosse la strada.
- Destra, destra, sinistra e poi dritto. L’albergo si chiamava...
- Goldsand. Sabbia d’oro, con discesa su spiaggia...
- Con sabbia bianca.
- Lo hai già detto, Sapph. – rispose Petra. Poi si fermarono in uno slargo, mentre una coppia di anziani pescatori discuteva sul perché un certo Omar avesse effettivamente dovuto fare quello che aveva fatto. La Capopalestra si guardò attorno, poi si voltò e poggiò gli occhi sull’amica.
- A destra c’è questa scalinata. Ma è una discesa...
- Beh, qui siamo più in alto... Considerato che l’albergo ha una discesa su di una spiaggia di sabbia bianca, e ci tengo a rimarcare questo particolare, immagino che dobbiamo scendere. Più saliamo più andiamo sulla montagna.
- Credo anche io.
- Cazzo... – sbuffò Sapphire, detergendosi il volto dal sudore. – Ho fame...
- È un buon segno... - sorrise l’altra. – Vuol dire che sei viva.
- Non sei per niente divertente. Anzi... - sbuffò. Petra la guardò avanzare rapida, tirandosi il trolley fino all’ombra di un grande platano dal tronco venoso, alto più di dieci metri. La Capopalestra la vide appoggiare la mano sulla corteccia intagliata da qualche coppia d’innamorati. Levò il sandalo, lasciò che una grossa pietra cadesse e lo infilò nuovamente.
- Mi faceva male... non ce la facevo più... - aveva detto, col volto paonazzo e sudaticcio. Raccolse i capelli castani tra le mani e li legò, in un codino alto, seppur leggermente più lungo di quelli a cui era abituata. Deterse la fronte col polso, sgranò gli occhi blu come il cielo che avevano sulle teste e si guardò attorno.
- Non ricordo più la strada. – aveva ribattuto Petra, raggiungendola.
- Destra, destra, sinistra e poi dritto. Abbiamo già voltato una volta e destra e quindi... - fissarono entrambe l’incrocio, quindi si rimisero in marcia, guardando dritto e riuscendo a scorgere una grande costruzione a forma di vela, interamente in vetro e acciaio, che imperava maestosa sulle acque splendenti della costa di Bluruvia.
- Eccolo!
- Ha scelto proprio un due stelle... – osservò sarcastica Sapphire, beccandosi la successiva occhiataccia di Petra.
- Ti chiedo solo di rilassarti. Smettila con questi atteggiamenti da strega, ti prego...
La prima fissò l’altra negli occhi rosati e annuì, storcendo le labbra.
- Hai ragione, ma non mi sento più me stessa da troppo tempo. E ciò che stiamo facendo mi sta destabilizzando.
La maestra si bloccò, levando gli occhiali da sole e stringendoli tra le dita, con una mano stretta contro il petto, e l’altra lunga e pesante accanto al fianco. Un soffio di vento le spinse il vestitino contro il corpo sottile.
- Che intendi? – domandò, battendo leggera le palpebre.
Sapphire si limitò a sbuffare e a guardare in basso. Era stanca di aprire la porta verso l’interno di se stessa.
- Intendo che la mia quotidianità è cambiata fin troppe volte, durante questi due anni. Prima avevo un uomo accanto, e lo amavo, poi l’ho visto andare via... e poi ho cominciato una relazione a distanza, e tutti che mi dicevano che non funzionano mai, e sapevo pure che avessero ragione ma non volevo che fosse così...
- Lo amavi, è normale che tu ti senta così.
- Ma non è così! Non è normale che io stia così! – ribatté ad alta voce. Un uomo su di uno scooter rimase a guardarle per un rapido attimo, prima di procedere oltre. – E tu che cazzo guardi...
- Vediamo di non finire sui giornali...
Sapphire sospirò, passando una mano sudaticcia nei capelli, di quel castano chiaro che tendeva a tuffarsi nel biondo, con l’estate.
- A me da fastidio... - fece, riprendendo a camminare.
- Cosa?
- Che una persona abbia tutto questo potere su di me. Che finisca per decidere come io debba stare senza fare neppure più parte della mia vita. È assurdo!
Si era arrabbiata, Petra invece sorrideva. Stava tornando a galla quella parte di lei.
- Hai ragione.
- Lo so, che ho ragione, cazzo!
- Devi imbrigliare questa situazione e gestirla al meglio.
- Devo andare ad ammazzarlo di botte! – urlò furibonda, con le lacrime che involontariamente erano scese. L’altra la guardò, afferrandole il braccio e sospirando.
- Stai ferma e smettila di fare queste scenate in pubblico. Tieni... - fece, scavando nella grossa borsa e tirando fuori un pacchetto di Kleenex. – Tienilo, possono sempre servire.

Non impiegarono molto tempo a raggiungere l’albergo. La struttura era sopraelevata rispetto alla spiaggia, i cui ombrelloni dorati spiccavano sulla sabbia totalmente candida. Sapphire vedeva Petra allungare l’occhio verso i bagnanti, e avrebbe giurato di vedere le sue labbra pronunciare un “eccolo”, se non fosse stata troppo distratta dalla sfarzosità dell’ingresso: una serie di gradoni lunghi e bassi, ricoperti di marmo nero e inserti in oro, veniva accompagnata ai lati da schiere di ibischi, passiflore e plumerie, dal profumo morbido e dai colori vivissimi. Arrivarono in cima alla scalinata e un facchino dal volto devastato dai buchi dell’acne ma dal sorriso meraviglioso le accolse. Indossava una divisa verde petrolio, con piccoli particolari dei taschini e del colletto dorati. Risaltavano in maniera eccessiva i guanti bianchi, che stringevano un carrello portavaligie.
- Buongiorno, signore. Posso aiutarvi con i bagagli?
Sapphire fece cenno di no e avanzò, mentre Petra gli sorrise gentilmente e lo congedò con un no, grazie. Entrarono nella hall, con l’aria condizionata che soffiava sulle pelli accaldate delle ragazze e su quelle lucide e marroni dei divanetti e delle poltroncine poco prima del bancone degli alcolici, dove un bartender col papillon rosso faceva volteggiare uno shaker davanti a due ragazze dai capelli rossi e dai pareo fin troppo trasparenti.
- Un po’ di buon gusto, per l’amor del cielo... - sbraitò Petra, seguendo l’amica, indirizzata in conciergerie. Ad attenderle c’era un uomo che indossava un sorriso bonario e compiaciuto, con lo stesso papillon del bartender ma almeno trent’anni in più. Serge, c’era scritto sulla targhetta dorata.
- Buongiorno. Come posso aiutarvi?
- Faccio io. – s’inserì rapida la Capopalestra di Ferrugipoli, scivolandole davanti. Sapphire sbuffò, e mentre la sentiva parlare riuscì a darsi uno sguardo attorno. Pensò che il bartender fosse davvero carino, ma continuava a sorridere a quelle due rosse mezze nude. Aveva messo il cervello a folle e aveva cominciato a guardare meglio l’uomo, dalla barba ispida e bionda e dai profondi occhi azzurri. Nonostante la divisa fosse elegante e il papillon aumentasse la superficie coperta, riuscì a vedere parte di un tatuaggio che sarebbe dovuto essere assai esteso fuoriuscire da colletto della camicia. Prese a immaginarlo senza divisa, senza quel gilet attillato, soprattutto senza papillon: doveva essere bello accarezzare quel tatuaggio, che magari scendeva lungo il collo, e più giù, sul petto.
Lo riguardò, bello e abbronzato, e appena i loro sguardi s’incontrarono, appena i loro occhi si unirono, come il cielo faceva col mare, d’improvviso quella che era barba dorata divenne pelle liscia e levigata, e i lineamenti nordici e solidi dell’uomo s’ammorbidirono subito.
Stentava a crederci ma anche le iridi di quello, dapprima dello stesso colore delle sue, mutarono e diventarono rosse, come rubini illuminati dal sole, e una cicatrice, poco al di sopra, deturpava la fronte candida, coperta da ciuffi corvini.
E rideva e scherzava con quelle due donne con le natiche al vento.
- Dammi un documento. – la interruppe poi Petra.
Sapphire sbatté le palpebre, il biondo continuava a guardarla, la vedeva confusa e spaesata.
- Sì... - aveva risposto lei, gettando le mani nella borsa senza però mai staccare gli occhi dall’uomo.
- Sì, un attimo... è un po’ confusa... – sorrise ancora la Capopalestra, spintonando delicatamente l’amica. – Forza! Ti serve una mano?!
Sapphire rinvenne.
“Devo rilassarmi. Devo seriamente rilassarmi”, pensò abbassando poi gli occhi verso la borsa. La mano affondò tra i fazzoletti usati di prima e qualche carta di caramelle, il cellulare, e una quantità oscena di monetine da dieci centesimi, che a contarli avrebbe recuperato almeno tre dollari. Trovò quel grosso portafogli di pelle bordeaux, prese la carta d’identità e la mise sul bancone. Il concierge le sorrise cordiale e la prese, poggiandola sul banco e sedendosi poi alla postazione computer accanto a lui.
- Birch... Sapphire, Albanova. E... ecco, perfetto. Registrate...
- La prenotazione dovrebbe essere stata effettuata da Rudi in persona.
- Sì, ha chiesto di riservarvi la migliore suite disponibile, anche se attualmente è occupata da qualcun altro... - fece, stirandosi il gilet addosso.
- Chi? – domandò poi Petra, molto incuriosita. Vide l’uomo chiudere gli occhi lentamente e sospirare.
- Non posso dirvelo. Ma ho comunicato personalmente a chi di dovere di preparare la stanza numero la cento.
- Proprio la cento?
- Proprio la cento.
- Hai sentito! – esclamò Petra, in direzione di Sapphire. – Ci ha riservato la stanza numero cento!
La donna annuì, non riuscendo a carpire neppure in maniera minima parte di quell’entusiasmo.
Serge si voltò verso la grande bacheca di legno che aveva alle spalle e poi prese la chiave magnetica. Questa aveva un piccolo portachiavi semisferico di quello che sembrava ottone, consumato dalle mille mani che l’avevano toccato. La poggiò sul banco e sorrise nuovamente.
- Micheal, che avete avuto già modo d’incontrare alla porta, vi accompagnerà alla stanza.
- Molte grazie. – annuì Petra, vedendo poi il ragazzo afferrare i trolley per le maniglie e depositarli sul carrello. Attese che entrambe fossero pronte ad andare, prima di annuire e d’inclinare leggermente la testa.
- Se avete terminato, potete seguirmi verso l’ascensore.
Non se lo fecero ripetere due volte; camminarono sul parquet dell’ingresso e raggiunsero l’ascensore, già aperto. Il ragazzo attese silenzioso che le due salissero, quindi schiacciò il pulsante 10 sulla tastiera e, non appena si chiusero le porte, una versione MIDI di Come Get To This prese a suonare dagli altoparlanti. Sapphire rimase in silenzio, ancora turbata per ciò che era successo precedentemente. Combatté l’istinto di prendere una delle Marlboro che aveva nascosto in borsa e accenderla proprio lì, in quel momento, avvelenandosi il fegato nel dover chiedere a se stessa di aspettare.
Sapphire odiava aspettare.
Odiava profondamente l’attesa. Non serviva ad aumentare il desiderio, snervava e basta, e aveva capito da qualche settimana a quella parte che i suoi nervi avevano bisogno di una tregua, perché stavano sventolando bandiera bianca.
E insomma, li stava ascoltando: vacanza, spiaggia, era lì per quello.
Le porte si aprirono, il giovane spinse il carrello in avanti e le ruote cigolarono fino a quando la moquette bordeaux non attutì il rumore. Tutt’intorno l’aria era fresca e il profumo di pulito aleggiava prepotente. Le luci calde illuminavano eleganti il corridoio ogni paio di metri tramite elegantissimi applique in acciaio, fissati alle parete candide. Tra le porte vi erano appesi quadri minimalisti, che Sapphire non riusciva ad apprezzare allo stesso modo di Petra, la quale li fissava sorridente.
- È un luogo di classe, questo, vero? – chiese.
- Già.
- Adesso che ti prende? No, aspetta, me lo dirai in stanza.
- Voglio solamente andare a fare un bagno e addormentarmi al sole, Petra. Di tutto il resto non m’interessa.
L’altra storse le labbra e sospirò.
Micheal si fermò davanti alla penultima porta sulla sinistra, strisciò la card nel lettore e la serratura diede loro il benvenuto con uno scatto, dopodiché lasciò che Petra abbassasse la maniglia ed entrasse. Furono inondati dalla luce esterna, in quella suite che pareva più un appartamento di un grattacielo di Ciclamipoli.
Ma non aveva quella vista. La Capopalestra si avvicinò lentamente al grosso finestrone che aveva di fronte, stringendo con una mano la borsa e levando il cappello con l’altra.
- In... incredibile. Vero, Sapph? – chiese, sorridente, voltandosi.
Quella si limitò ad annuire alcalina, prendendo il trolley dal carrello e gettandolo sul letto.
- Sarà un piacere passare il tempo con te... – rispose quella, mentre Micheal poggiò per terra il suo bagaglio, facendo un passo indietro.
- Prima o poi mi passa... – sbuffò la ragazza, aprendo la zip della valigia, per poi cominciare a scavare tra i vestiti e tirare fuori un bikini celeste, poi sbottonò i pantaloni e li abbassò, rimanendo in costume davanti al facchino, che la fissava interdetto.
Petra sbatteva le palpebre, confusa, mentre Sapphire si voltò verso l’uomo, aggrottando la fronte.
- Beh? Vuoi davvero vedermi nuda? Puoi andare.
Micheal voleva la mancia, Petra l’aveva capito ma Sapphire non sembrava aver colto.
- Il fatto che mi sia levata i pantaloncini significa che sto per spogliarmi, quindi prendi il tuo carrellino fatto di merda e sparisci.
Quello spalancò gli occhi e arrossì immediatamente, balbettando qualche scusa, prima che l’altra gli si avvicinasse e gli posasse venti dollari tra le mani.
- Scusala, non riesce ancora a gestire bene la distanza da casa...
- Grazie, signora. Buona permanenza...
Si chiuse la porta alle spalle e Sapphire trovò finalmente il momento per levare slip e reggiseno, rimanendo totalmente nuda davanti all’altra, che la fissava, profondamente contrariata.
- Ti sembra il modo?
- Il modo di cosa? Dovevo spogliarmi davanti a lui, scusa?
- Siamo in un posto di classe! I facchini si aspettano delle mance per ciò che fanno!
- Non glielo pagano, lo stipendio?
- Sì! Ma è così che funziona ed è così che faremo!
Rimase col costume tra le mani, mentre l’altra s’impegnava a non guardarla, non riuscendo a nascondere il disagio che provava.
– E vestiti... – fece.

Venti minuti dopo affondavano i piedi nella sabbia candida e bollente della spiaggia dell’albergo. Il profumo del mare veniva trasportato dalla brezza che baciava i loro visi, portando fresco e salsedine. Sapphire camminava alle spalle di una Petra perfetta e sorridente, con indosso il suo bikini bianco, lo stesso cappello e gli stessi occhiali che indossava precedentemente e una lunga camicia bianca.
- Rudi! Siamo qui! – urlò, agitando la mano e voltandosi verso l’altra, che cominciò a sistemare le proprie cose su di uno dei lettini liberi. Il mare quel giorno era calmissimo e il Capopalestra di Bluruvia dovette limitare la propria voglia di surfare, sfruttando quel tempo libero per fare un po’ di manutenzione della tavola a riva, inginocchiato sul bagnasciuga. Sentendosi chiamare si voltò subito, sorridendo e alzandosi in piedi.
- Ci ha viste... smetti di agitare quella mano...
- Oh, mamma...
L’uomo prese ad avvicinarsi sorridente, affondando i piedi nella sabbia e tirando i capelli celesti all’indietro. Questi, ricci com’erano, ricadevano lunghi sulle spalle abbronzate.
- Ragazze. Ce l’avete fatta, alla fine. – fece, mostrando un sorriso smagliante.
- Sì, siamo qui... – disse Petra, cercando di nascondere dietro agli occhiali scuri lo sguardo che stava dando ai pettorali e all’addome tonico del collega dal bermuda blu.
- Spero non vi siate perse tra i vicoli...
- Non è stato difficile, no. – rispose ancora quella, aderendo col corpo sul suo in quello che doveva essere un abbraccio di saluto. Sapphire vide le mani di Rudi cingere la vita stretta dell’altra, quindi sbuffò.
- Sei bagnato! – esclamò quella, ridendo. – L’acqua è fredda.
- Oggi è meravigliosa. E c’è anche Sapphire! Mi fa piacere vederti! – disse poi quello, avvicinandosi e salutandola con lo stesso abbraccio. La donna fu meno affettuosa e si staccò subito dalla stretta.
- Anche a me. Vado direttamente in acqua.
E lasciò entrambi lì, camminando inesorabile fino a quando l’acqua non le raggiunse il collo. Quelli si guardarono confusi.
- Ancora non l’ha superata, eh? – domandò l’uomo.
- No. È il motivo per cui siamo qui: rilassarci e dimenticare Ruby.
- È molto più strana del solito.
Petra levò gli occhiali e li poggiò sulla sua sdraio.
- Se non sbraita e urla volgarità a casaccio è più strana del solito, sì.
Rudi ridacchiò.
- Beh... spero riesca a trovare un po’ di pace, qui...
– Lo spero anche io...
   
 
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