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Autore: T612    20/05/2020    0 recensioni
È scientificamente provato che anche l’organismo apparentemente più perfetto al mondo – con tutte le contraddizioni del caso e le implicazioni scomode delle singole parti – può raggiungere il collasso, basta trascurare un singolo tassello infinitesimale per far strada ad un’infezione così ramificata da poter raggiungere ogni singolo centimetro dell’ospite, spingendo l’anima a ribellarsi ad un corpo asmatico, psicotico e tachicardico.
È semplice, è basilare… è Anatomia, per risolvere il problema basta solo sapere dovere incidere ed intervenire. L’unico dilemma è il chi tiene il bisturi dalla parte del manico.
[Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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QUARTA PARTE - ANIMA

 

TRACOLLO: Cura
Periodo di pausa prolungata da lavoro, instaurare un dialogo con una persona fidata.





 

«Ci sei? Stammi dietro, non perderti.» afferma James addossandosi repentino contro la parete, sporgendosi con la testa sul corridoio adiacente per sporgersi a controllare che non ci fossero guardie in arrivo, facendo cenno a Clint di continuare a seguirlo. 

«Ti sono dietro, ma tu corri il doppio di me.» annuncia l'arciere venendo afferrato per la cinghia della faretra inciampando sui propri passi, mentre James gli impedisce di schiantarsi contro il muro perché troppo impegnato a rifilargli una ramanzina tentando di guardarlo negli occhi. «Chi sarebbero i tizi che dobbiamo salvare?» 

«Tizi a cui devo la mia sopravvivenza… e devo ringraziare per aver garantito quella di Natalia.» ammette James tradendo una vaga nota di astio nella voce all'idea di dover essere grato ad Alexei, scartando quel pensiero focalizzandosi sulla missione in corso. 

Raggiungere l'Accademia era stato facile, scalare le mura fino alla finestra di sua moglie un po' meno – considerato che James doveva barcamenarsi con un braccio soltanto –, riepilogando il compito di ognuno una volta dentro le mura e dividendosi in due squadre una volta varcata la soglia. Natasha aveva promesso di attirare i Capi restanti in laboratorio, dove aveva posizionato l'innesco delle cariche e li aspettava con i trofei ed una Yelena rediviva, nel mentre Steve e Sharon si sarebbero occupati di slegare le cadette dai loro letti, un compito nettamente meno arduo di dover superare la zona delle celle e far uscire i due prigionieri… cosa che forse si sarebbe potuta evitare se solo Natasha non avesse ordinato a Mikhail di "disinnescare" Epsilon Red con una pallottola nel cranio appena il doppio di Yelena era stato completato, facendo scattare gli allarmi dell'intera struttura mentre Ursus veniva incarcerato e la piccola siberiana si dava alla macchia rintanandosi da qualche parte in attesa della sorella. 

«Sei pronto?» chiede James cercando una conferma negli occhi di Clint, ormai giunti all'ultimo corridoio percorribile e riuscendo a contare tre sentinelle a testa da tramortire, sorridendo complice quando l'uomo sfila dalla faretra due frecce-lacrimogeni e le scaraventa manualmente il più lontano possibile da loro facendole impattare contro il pavimento, disperdendo volute di fumo biancastro mentre si buttano nella mischia a suon di pugni. 

«Tutto okay?» chiede James puntellandosi alle ginocchia un paio di cazzotti e sei guardie svenute dopo, mentre l'allarme inizia a suonare a sirene spiegate segnalando l'intrusione, chiedendosi di sfuggita se la colpa per aver attirato l'attenzione fosse sua e di Clint o di Steve e compagna. «Non ci resta troppo tempo, stando ai calcoli di Natalia abbiamo dieci minuti prima di essere raggiunti dal plotone di esecuzione… ammesso e concesso che stiano arrivando tutti qui e non alle camerate.»

«Allora diamoci una mossa, qual è la cella?» replica Clint pragmatico, indicando la fila interminabile di porte blindate che si affacciavano sul corridoio, ognuna con un tastierino numerico installato sopra le maniglie. «Non abbiamo il tempo di scardinare tutte… e mi auguro tu conosca i codici.»

«Non mi serve conoscere i codici.» ribatte James sfilandosi la tracolla del fucile nuovo e crivellando di proiettili il primo tastierino, facendo saltare la maniglia della porta con un clangore decisamente assordante. «Non ho troppi proiettili, tu bussa alle porte di sinistra, io a quelle di destra. Tre colpi secchi.»

Clint si limita ad annuire iniziando a tempestare di pugni le porte blindate, aspettando ogni volta un paio di secondi sull’uscio in attesa di una possibile risposta, bloccandosi quando James arriva a metà corridoio e la porta in metallo appena percossa vibra sotto i colpi di uno dei due prigionieri, arretrando di un paio di passi mandando in corto il tastierino, facendo cenno all’arciere di dargli una mano a scostare la porta a spallate fino a ritrovarsi a faccia a faccia con Mikhail.

«È-… è un orso.» annuncia Clint sgomento venendo palesemente ignorato da entrambi quando, una volta superata la sorpresa iniziale, Ursus si lascia andare ad un bramito di gioia e lo stritola un abbraccio che gli toglie il terreno sotto i piedi. «Perchè è un orso?»

«Mikhail, non mi sembra il momento adatto per spezzarmi qualche osso.» tenta di protestare James evitando di cibarsi della pelliccia dell’amico per sbaglio, rinunciando a ricambiare la stretta con l’unico arto a disposizione. «Puoi rimettermi a terra, per favore?»

«Scusa-... scusami.» afferma Mikhail con tono dispiaciuto, disarticolando ufficialmente la mandibola di Clint quando lo sente parlare una lingua a lui comprensibile.

«Sembrava impossibile che non conoscessi l’orso…» mormora l’arciere recuperando un filo di voce, gli occhi ancora spalancati mentre articola una sottospecie di richiesta di delucidazioni. «Buck… cosa… come? È-… è un orso… che parla.»

«Ovvio che parla, Mikhail era umano una volta.» scrolla le spalle James indicando distrattamente il diretto interessato con un gesto svogliato della mano, mentre Clint avanza di un passo e porge una mano per stringergli la zampa avallando ogni titubanza, presentandosi a vicenda. «Ora che i convenevoli sono stati fatti, in che cella hanno rinchiuso Shostakov?» 

«Perché il nome mi è familiare?» indaga l'arciere mentre l'orso bruno indica una porta ad un paio di metri di distanza dalla propria, crivellando di proiettili il tastierino nel mentre tentando di ottimizzare i tempi. 

«Perché è il tizio che si è sposato Natalia prima di me.» afferma James spiccio desiderando non dilungarsi troppo su quel dettaglio non gradito, beandosi della risata di Ursus quando Clint replica con innata insofferenza se era proprio necessario salvare Alexei dopo tutto ciò che aveva combinato ai tempi della Stanza Rossa, obbligandosi ad ignorarlo mentre finiva di aprire la porta della cella a spallate. 

«Era anche o-... oh.»

«CLINT!» sbraita James allibito quando Alexei, dopo essere impallidito notevolmente ed aver perso la voce nel vedersi davanti lui e non Natasha, si piega in due ed arretra di un passo quando Barton lo carica a testa bassa e gli piazza un pugno micidiale allo stomaco. 

«Lui sarebbe…?» chiede in russo Mikhail alle sue spalle, ridendo sguaiato cadendo seduto a terra portandosi le zampe alla presunta altezza dello stomaco, dopo aver indicando Clint con un cenno del capo. 

«Mio cognato.» replica James in lingua sforzandosi di trattenere la risata che spinge per manifestarsi sul suo volto, limitandosi a bearsi delle imprecazioni colorite di Shostakov in lingua slava in risposta all'offesa, discussione che potenzialmente avrebbe potuto protrarsi ancora più a lungo se solo l'arciere avesse capito una singola parola detta dal Guardiano. 

«Mi piace tuo cognato.» afferma Mikhail asciugandosi le lacrime agli occhi, puntandogli un artiglio contro curioso. «Me la aspettavo da te una reazione del genere

«Non ne vale la pena.» scrolla le spalle James avanzando a passo sicuro oltre Clint, allungando la mano in direzione di Alexei per aiutarlo a raddrizzarsi, ricevendo una espressione di profondo scetticismo che sottintendeva una palese richiesta di spiegazione al gesto inatteso. «Tra cavie ci si aiuta… e tu non sei una minaccia, non più.»

Alexei si limita a guardarlo stranito, abbassando lo sguardo leggermente con fare rassegnato nell’udire la sua ultima specifica, chiedendosi probabilmente se a situazioni inverse lui avrebbe reagito con la medesima cordialità di facciata. James era consapevole che sarebbe stato infinitamente più facile odiarlo, aveva passato una buona parte della sua permanenza nella Stanza Rossa a farsi corrodere le viscere dalla gelosia, ma in quel preciso istante – libero, consapevole delle proprie facoltà mentali e con una fede dorata a sbatacchiare contro il proprio sterno ad ogni passo – provava solo una pena immensa per ciò che Alexei era diventato… un fantasma di sé stesso, nulla a che vedere con la marionetta della grande Madre Russia né con la sua copia carbone sbiadita di cui aveva letto solo nei fascicoli del KGB ed appreso dai pochi racconti di sua moglie sull'argomento, un'ombra tra le ombre dello stesso Castello in cui aveva voluto rinchiudersi di proposito. 

James non  avrebbe voluto conoscerlo quel poco che bastava per non doversi curare troppo di ciò l'uomo poteva o meno pensare sul suo conto – su ciò che la figura idealizzata del temibile Soldato d'Inverno rappresentava ancora per lui, l'incarnazione vivente di una maledizione che si era costruito da solo –, per la sua incapacità stessa nel notare come l'astio che Alexei provava nei suoi confronti si celasse sottopelle insieme alla diffidenza… ma non era la parte peggiore, il vero problema erano tutti quelle azioni volontarie o meno seminate negli ultimi sessant'anni, le quali avevano un peso maggiore di quello delle semplici parole che non si erano mai rivolti.

James avrebbe voluto provare qualsiasi altro sentimento che rasentava la civiltà pur di non doversi sentire grato, tollerando già a fatica la semplice indifferenza, chiedendosi nel profondo dell'animo dove sarebbe Natasha senza l'intervento tardivo del Guardiano, se esistesse un motivo razionale o affettivo per aver taciuto ai Capi gli scempi di Berlino che l'uomo era finito per scoprire durante la convivenza con sua moglie, se ci fosse un perché non aveva mai approfittato della capsula criogenica per cecchinarlo attraverso il vetro, interrogandosi se a Shostakov rimanesse un brandello di anima abbastanza grande per rendere credibile il fatto che si fosse preso cura di Kobik fino a quando non l'aveva fatta uscire da quelle stesse mura senza ottenere per sé un qualunque vantaggio. Forse, se lui e Alexei si fossero conosciuti in circostanze e tempi diversi, sarebbero potuti diventare amici… senza l'obbligo di lottare per due fazioni opposte e senza la volontà di difendere o appropriarsi di Natalia, eletta a premio ambito per amore o per riscatto, alimentando una rabbia cieca che nonostante tutto aveva visto sempre e comunque James come vincitore indiscusso. 

«Le bambine-…» si schiarisce rumorosamente la voce Shostakov, spezzando l'aria tesa che li circondava denunciando l'esigenza di portarle in salvo ora che aveva assaggiato un brandello di libertà lui per primo.

«C'è già qualcun altro che si sta occupando delle bambine.» lo interrompe James riscuotendosi risoluto, mettendosi a capo della fila invitando gli altri tre uomini a stare al suo passo. «Dobbiamo muoverci, mia moglie ci aspetta in laboratorio.»

«Dovevi proprio sottolinearlo?» brontola Alexei insofferente alle sue spalle, calpestando la sua ombra mentre Mikhail li guida lungo i corridoi attraverso una scorciatoia, percependo la risata soffocata dell'orso bruno che si sforza di non infierire troppo sulla situazione in corso. 

«Era fondamentale.» ghigna James con la sua miglior faccia da schiaffi impressa sul volto, prendendosi una piccola rivincita posando lo sguardo azzurro ghiaccio sul Guardiano Rosso, liquidando una qualunque obiezione o pretesto per ribattere a tono con una scrollata di spalle. «Forza, non abbiamo tempo da perdere.»

 

***

 

Alexei segue James in silenzio lungo il corridoio, i passi forzatamente leggeri per evitare le guardie e raggiungere il laboratorio il più velocemente possibile, appiattendosi contro il muro ad ogni cenno dell'uomo quando udiva dettagli sonori che lui non era in grado di percepire… il Soldato d'Inverno aveva ancora le sembianze di un automa nel fisico – era armonioso, silenzioso e diligente, incarnando tutte le caratteristiche che Alexei non era mai riuscito ad assimilare e fare proprie in maniera speculare –, tuttavia il Guardiano Rosso riscontrava un errore di fondo ogni volta che  soffermava al pensiero di aver davanti "James" per due secondi di troppo, la vera vittima sconosciuta con il quale aveva scambiato più parole di quante pensava ai tempi di Mosca – sensazione che andava ben oltre la manica sinistra vuota, nonostante quel dettaglio lo rendesse solo ancora più grottesco e lampante. I piedi del "Soldato" li stavano scortando, ma era James ad avere in mano le redini della mente, dettaglio fondamentale e caratterizzante che emergeva in ogni emozione senza filtri che attraversava il volto dell'uomo, in ogni sguardo apprensivo rivolto al suo seguito, in ogni gesto istintivo non calcolato… tic psicotici, respiri trattenuti, labbra morsicate e gentilezze disinteressate – come il gesto inconcepibile di offrirgli una mano amica, per esempio.

Alexei si sentiva sotto giudizio, come se a James potesse importare qualcosa di ciò che lui poteva dire o fare per giustificare torti vecchi di decenni, nonostante fosse consapevole che non c’era nulla di più vero del contrario… irritandosi per il come nonostante tutto ciò che era successo non lo considerasse degno della sua attenzione, arrovellandosi le viscere per dimostrargli di avere tempra e spina dorsale contrariamente a ciò che il Soldato d'Inverno poteva pensare, obbligandosi tuttavia a far sfoggio della medesima maturità macerando risentimento in un silenzio teso che non osava spezzare a causa di quel senso di colpa che gli pungolava lo stomaco in sordina. 

«Abbiamo recuperato tutti?» esordisce James mettendo piede in laboratorio ed individuando a colpo d'occhio Natasha, accerchiata da una Yelena rediviva, Rogers, Carter e uno stuolo di bambole assassine, voltandosi tempestiva appena sente la voce del marito richiamarla a discapito della cacofonia di allarmi e guardie armate in avvicinamento che li stordivano. 

«звезда моя...» lo saluta la donna, incappando con lo sguardo su di lui, ghignando ironica indicandoli divertita quando realizza che James si trovava a meno di due metri di distanza dalla sua persona e nessuno dei due era segnato da ferite più o meno gravi di varia entità. «Non vi siete ammazzati a vicenda? Fantastico!»

«Ho i miei buoni motivi per non farlo.» ribatte James spigliato, incontrando la donna a metà via, intrappolando le dita tra i suoi capelli per un veloce bacio a fior di labbra, incatenando lo sguardo nel suo. «Tu, tutto okay?» 

James ha un modo strano di porle una domanda così semplice ed Alexei, che è stato addestrato appositamente per imitarlo in ogni sua più piccola parte, non può fare a meno che studiarlo… è insolito nel modo in cui le sfiorava le spalle per assicurarsi che non tremino, nell'angolo della bocca sollevato in un sorriso enigmatico a tratti preoccupato, nel modo in cui si guardano – riflettendosi a vicenda nelle pupille dell'altro per scovarne i segreti dell'universo, unicamente per ritrovarsi entrambi nell'esatto centro del loro micro-cosmo imperfetto – con una intensità tale da rendere l'aria circostante elettrostatica, come se sulle labbra di entrambi fosse impressa la promessa che l'uno poteva essere "okay" se lo era anche l'altro. 

Alexei poteva affermare con assoluta certezza che non c'era stato nemmeno un singolo istante in cui la donna aveva guardato lui in quel modo – di certo lui non era mai riuscito a guardare negli occhi Natasha con lo stesso grado di venerazione ed amore incondizionato, all'inizio della farsa nuziale non era stato emotivamente in grado di manifestarlo, a differenza dell'ultimo paio d'anni quando al contrario si era sentito semplicemente troppo in colpa per riuscirci. 

«Non ho finito di collegare le cariche, non ho avuto il tempo-...» cerca di scusarsi Natasha spezzando l'idillio, porgendo l'arto di metallo tirato a lucido al marito, allungando le dita a sollevargli il bordo della manica in suo aiuto quando James si riattacca la protesi al moncherino senza troppe cerimonie, rinunciando a terminare la propria giustifica all'arrivo del plotone di esecuzione che li circonda, pronti a dar battaglia sotto la guida di un Usenko imbufalito.

«Ti copro io, non preoccuparti.» Alexei lo sente annunciare in risposta prima che scoppi ufficialmente il finimondo. 

Il rumore del piombo e l'odore della polvere da sparo fanno da sottofondo molesto al Capitano Rogers quando inizia a sbraitare ordini vari sul come farli uscire tutti dalla Dark Room vivi e interi, nello stesso istante in cui Alexei si ritrova con un paio di pistole in mano donategli da una Yelena determinata che si palesa davanti ai suoi occhi insieme al corteo di bambine, avvertendo la voce di James levarsi dal mezzo della calca in aiuto al fratello per coordinare l'evacuazione. «Belova, mi servi fuori da qui, non voglio che ti crolli il soffitto in testa!» urla il Soldato d'Inverno sbracciandosi in mezzo alla mischia per indicarle l'uscita, venendo inghiottito nuovamente dalla ressa quando le guardie avanzano riducendo le distanze, obbligandolo a mettere da parte il fucile per prestarsi ad una lotta corpo a corpo che prevedeva una Vedova Nera incollata alla schiena, rimasta bloccata in una coreografia mortale che la distoglieva dal portare a termine il proprio lavoro di innesco. 

«Ursus, falle strada!» grida Alexei a sua volta prendendo l'iniziativa, facendosi largo tra la mischia con furia crescente a pistole spianate, puntando deciso alle centraline di denotazione quando si rende conto di essere l'unico con ancora sufficiente libertà di movimento. «'Tasha, cosa devo fare?! Come collego le cariche?!» 

«Improvvisa!» strepita la donna in mezzo alla ressa, il fiato corto e i riflessi pronti che le impedivano di concedergli una spiegazione più articolata di quella fornita, schivando un paio di affondi nel mentre fino ad arrampicarsi sul pannello di comando, ritrovandosi a fianco del tizio che l'aveva preso a pugni mezz'ora prima. 

«Ti copro le spalle, tu fa quello che devi fare.» lo informa Barton scrutandolo con la coda dell'occhio, continuando imperterrito a far piovere frecce sui loro assalitori che tentavano invano di raggiungere la loro postazione sopraelevata. «Se c'è un qualsiasi problema, parla in una lingua comprensibile che lo riferisco agli altri.»

Alexei si limita ad annuire, dandogli le spalle mentre apre il pannello delle centraline, studiando l'operato di Natasha e cercando di capire fino a che punto dei loro piani concordati si fosse spinta… Mikhail gli aveva riferito che la donna nell'ultimo mese aveva seminato esplosivo in giro per tutto l'edificio, posizionando una quantità sufficiente capace di sgretolare ogni singolo pilastro portante, ricollegando pian piano l'attivazione di innesco collettiva ai quadri del laboratorio. 

«Belova è fuori.» annuncia l'arciere rendendolo partecipe delle notizie riferite via auricolare, mentre Alexei continua a trafficare con il pannello limitandosi a calcolare mentalmente che era passato un quarto d'ora dall'inizio dello scontro, stimando una percorso di cinque minuti di marcia se si escludevano una ventina di ragazzine a seguito, un'orda di oppositori ai cancelli ed il vantaggio di un grizzly pronto a sbranare chiunque si imbattesse in una delle sue scorciatoie. «Tu a che punto sei?» 

«Ci sto lavorando.» lo liquida Shostakov con aria diffidente, ancora sospettoso per via del mezzo pestaggio e la sua rapida risoluzione, stranito dalla collaborazione inattesa da parte dell'intera combricola convocata da Romanov… avrebbero dovuto odiarlo, invece erano tutti lì a giocare per la stessa squadra, ma ciononostante Alexei era dell'idea che si sarebbe sentito più a suo agio a nuotare in mezzo agli squali. «Non riesco ad impostare il timer…»

«Il che vuol dire…?» chiede preoccupato il suo interlocutore, con un tono tale da urtargli i nervi in modo fastidioso, come se i suoi continui tentativi infruttuosi di ricalibrare l'innesco a più di trenta secondi non bastassero… facendosi prendere dall'ansia quando Alexei realizza quali erano le uniche due possibili opzioni che gli erano state concesse. 

«Che non riesco ad impostare il timer, mi sembra di aver parlato in inglese…» bestemmia tra i denti il Guardiano Rosso facendo un rapido calcolo dei pro e dei contro nell'intraprendere la via più scellerata, in una replica scorbutica che finisce solo per acuire la sua determinazione, obbligandosi ad un respiro profondo prima di concedere a Barton una risposta civile. «Dovete andarvene tutti ora, se premo il pulsante ci seppellisco tutti… resto io, voi andate.»

«Ci deve essere un altro modo...» mormora Clint spaesato quando metabolizza l'informazione ricevuta, scontrandosi contro il suo cenno di negazione ed obbligandosi a riferire la notizia ai compagni d'armi. 

«Shostakov!» urla James dal fondo della bolgia ormai ridotta all'osso, spingendo Alexei a sporgersi dalla grata e cercarlo con lo sguardo, trovandosi un indice furioso puntato contro che lo minacciava di non osare a far nulla che potesse aggiungere altri pretesti che avrebbero obbligato l'uomo ad abbassarsi a ringraziarlo sulla tomba, mentre Natasha lo placa tempestiva per il braccio sano e solleva lo sguardo annacquato su di lui mormorando qualcosa. 

«Nat chiede se non c'è davvero nessun'altra soluzione.» riferisce Barton donando una voce al labiale della donna, scuotendo energicamente il capo in risposta per farsi vedere da tutti i presenti anche a quella distanza, scontrandosi con quattro paia di occhi allibiti e un solo sguardo color smeraldo comprensivo… Alexei trova buffo il come Natasha fosse arrivata a guardarlo con un sentimento simile all'amore sul fondo delle iridi solamente quando lui aveva deliberatamente deciso di essere arrivato al capolinea. «Deve esserci…»

«No, non c'è.» afferma Alexei risoluto con un sorriso all'angolo delle labbra in risposta, trattenendosi dal scoppiare incoerentemente a ridere nel vedersi concretizzare davanti agli occhi una previsione realistica oltremodo datata, illudendosi di udire la risata argentina di Tania Belinsky che lo invitava a raggiungerla dall'altra parte del varco. «È sempre stata questa.»

 

Budapest, 1989 - un crollo imminente

 

«Da dove arrivi?» la interroga Alexei quando Tania Belinsky fa la sua comparsa alla caffetteria dove si sono dati appuntamento, prendendo posto sul tavolino, spogliandosi del cappotto che abbandona sullo schienale della sedia.

«Mosca, sono solo di passaggio, ho un treno per Praga tra un paio d'ore… hai qualcosa per me?» ribatte la donna senza perdere tempo in convenevoli inutili, dipingendosi un sorriso innocente sulle labbra, assecondando la sua richiesta sfilando dalla ventiquattrore una busta contenente qualche documento secretato e il contratto di compravendita fresco di stampa di un appartamento in centro città.

«Sei fortunata, Petrovich ha firmato stamattina.» sorride fiero Alexei mentre le dita della mora si chiudono ad artiglio sul plico offertole, facendolo sparire all'interno della propria borsa alla velocità della luce, aspettando che la cameriera prenda le ordinazioni di entrambi per proseguire con i loro discorsi. «Prima o poi pensi di dirmelo dove hai costruito l'Archivio?» 

«Non allargarti Shostakov, l'Archivio esiste anche per colpa tua… devi guadagnartele, le coordinate.» afferma Tania sorridendo candida, arrotolandosi la punta della treccia sull'indice tradendo un tic nervoso, un labile preambolo ad uno sguardo che arde al solo pensiero di ciò che stanno costruendo alle spalle dei padroni. «Tu invece da dove arrivi?» 

«Siberia.» la informa l'uomo mangiandosi le ultime lettere tra i denti, svicolando con lo sguardo puntandolo alla borsa della donna appesa allo schienale della sedia, indicandola con un cenno del mento. «Ci sono delle nuove reclute, hanno tolto il Soldato d'Inverno dalla criostasi per addestrarli… aggiungi anche questa informazione ai tuoi preziosi taccuini?»

«Bravo, prendimi in giro… così le coordinate te le sogni.» lo minaccia scherzosamente la donna sfilando una agenda dalla borsa, fingendo di segnarsi un appuntamento di lavoro nel mentre che la cameriera deposita due tazze di espresso al loro tavolo. «Per questo Petrovich ti ha scelto come scorta?» 

«Temono che la mia presenza sia fonte di… brutti ricordi per il loro amato Soldatino, sono stato spedito qui a proteggere mio suocero dato che non posso mettere piede a Mosca.» le spiega l'uomo con una scrollata di spalle, lasciando intendere una domanda implicita nell'affermazione appena espressa. 

«Carino come continui a definirlo "suocero" nonostante tutto.» lo ridicolizza Tania portandosi la tazza alle labbra per celare un sorriso, finendo per cedere ed aggiornarlo con ciò che si stava perdendo lontano da casa. «Hanno assoldato una nuova marionetta anche a Mosca…»

«Ligia al dovere?» deduce Alexei dal tono infastidito della donna vedendola annuire in risposta, cercando di strapparle qualche altra informazione rilevante.

«Terribilmente. Yelena Belova è brava… tanto quanto la Zarina a momenti, può diventare un problema.» si sbottona l'Agente Belinsky tracciando il bordo della tazza con l'indice, sospirando rassegnata sollevando lo sguardo su di lui, concedendogli l'unica risposta che Alexei voleva sentirsi dire. «Natalia si sta svegliando… non ha ancora un volto o un nome, ma a modo suo ha iniziato a cercarlo.»

«Quante probabilità ci sono che scopra che l'hanno internato in Siberia?» indaga Alexei contraendo le dita contro la tazza, obbligandosi a dosare la forza per non frantumarla, preoccupato all'idea di un intoppo di fronte al fatto che le nuove pedine in gioco non erano esattamente amichevoli o propense a ragionare di testa propria in generale. «Se si azzarda a raggiungerlo…»

«Non è stupida, Shostakov.» lo placa Tania con espressione scettica, giocherellando con il bordo della bustina dello zucchero in un tic nervoso malcelato. «È spavalda, quindi conoscendola farà qualcosa di molto peggio… troverà il modo di attirare l'attenzione.»

«Non è spavalda, deve essere fuori di testa se progetta di andare a Berlino e farsi beccare mentre butta giù il Muro di persona…» commenta Alexei diminuendo il tono della voce per non farsi sentire da orecchie indiscrete, notando come lo sguardo dell'Agente Belinsky si illumini a giorno nel dichiarare la sua deduzione corretta, mordendosi il labbro preoccupata e limitandosi ad annuire confermando le sue ipotesi, sbuffando incredulo in risposta. «Tanto vale darle un nome e voltarsi dall'altra parte mentre butta giù la porta della caserma in Siberia, Belinsky. Non puoi lasciarglielo fare.»

«Non ho chiara una cosa… ti stai preoccupando per lei o per la tua divisa?» ribatte Tania a bruciapelo con tono vagamente seccato, inchiodandolo con uno sguardo insofferente mentre Alexei non fa segreto della propria espressione indignata per l'accusa appena proferita. «Oh non fare quella faccia, lo sa tutto il Dipartimento che se il Muro crolla ti depongono… hai peccato di negligenza ultimamente.»

«Almeno puoi far finta di non esserne così compiaciuta?» sbotta Alexei piccato ustionandosi la gola con un generoso sorso di caffè, tentando inutilmente di svincolare con lo sguardo nella speranza di trovare il coraggio di farle il verso. «Lo sa tutto il Dipartimento che se il Muro crolla ti promuovono, hai saputo giocare le tue carte meglio di me.»

Tania Belinsky nasconde un sorriso di scuse dietro il bordo della tazza mentre Shostakov si abbandona esausto contro lo schienale della sedia, tamburellando distratto contro il bordo del tavolo, il cervello inceppato in quella previsione terrificante non troppo lontana dalla realtà dei fatti. Alexei era consapevole che il giorno in cui aveva permesso ai Capi di internarlo al Cremlino fasciandolo nella divisa del Guardiano Rosso, era stato anche il giorno in cui aveva fornito loro un tallone d'Achille trasformando Natalia in merce ricattabile, acconsentendo alle peggiori tragedie pur di mentenerla in vita… non era del tutto sicuro che la vita della sua ex moglie valesse quella di centinaia di altre persone, ma se in qualche modo le sue azioni potevano servire ad alleviare in parte quelle sofferenze che le aveva inflitto non ci pensava due volte ad eseguire il richiesto. Forse con il proprio operato poteva sperare in una riduzione della pena, ma Alexei non poteva fare nulla in quei casi in cui Natalia incappava su un ricordo labile e seguiva la scia di quel fantasma a cui aveva giurato amore eterno, incurante se ciò poteva avere delle ripercussioni sulla propria condanna o su quella di chi vedeva la propria vita appesa a un filo ad ogni suo errore di programmazione… erano in molti al Cremlino a vivere alla giornata, cooperando insieme nella tacita missione di tenere separati i due amanti ponendo la sopravvivenza collettiva al di sopra di quel legame che aveva assunto sfumature leggendarie con il passare degli anni, ma a discapito di tutti i loro sforzi il Soldato e la Zarina ciclicamente ricordavano abbastanza da iniziare a cercarsi, riducendo inconsapevolmente la vita ad un inferno in Terra a tutti i loro garanti. 

«Mi uccideranno.» mormora Alexei di punto in bianco, lo sguardo perso in contemplazione del liquido nero che cambia improvvisamente punto di ancoraggio per mettere a fuoco i lineamenti della donna. «Per mano dei Capi, del Bastardo o di Natalia… l'unica cosa di cui sono certo ormai è che morirò accoltellato per tutti i crimini che ho commesso.»

«È qui che ti sbagli, Shostakov.» lo placa Tania, scrollando le spalle in un gesto di noncuranza. «Nessuno si prenderà la briga di ucciderti, ti sei già condannato da solo.»

L'Agente Belinsky trattiene un sorriso all'angolo delle labbra, risparmiandosi l'elenco di tutte le sue malefatte compiute prima e dopo il matrimonio con Natalia – la gelosia nel non essere riuscito a piegare la donna-trofeo promessa al suo volere, scoprendo che l'amore con cui lo lusingava per dovere era in realtà riservato ad un altro, serbando rancore e consegnando i due amanti per ripicca, acconsentendo a sposarla per "rimetterla in riga" imparando a camminare nelle scarpe del Soldato pur di trattenerla al suo fianco, vedendosela strappare via dalle braccia il giorno in cui il Fantasma era riemerso dalla Siberia per reclamare ciò che era suo di diritto –, mettendo in luce quel senso di colpa che continuava a corrodere le viscere di Alexei di fronte alla consapevolezza di essersi scoperto devoto della Zarina contro ogni regola o previsione, rendendo ridicole agli occhi di Tania le sue lamentele in merito a quella prigione che aveva contribuito personalmente a progettare e nella quale si era rinchiuso a forza quando i Capi l'avevano congedato presentatogli il conto. 

«Puoi affermare di odiare il Soldato quanto vuoi, ma ciò non ti ha fermato dal aiutarmi.» sottolinea la donna ricordandogli chi dei due teneva il coltello dalla parte del manico in quella trattativa, recuperando il cappotto abbandonato contro lo schienale della sedia su cui era seduta. «Che ti piaccia ammetterlo o meno, sai bene quanto me come andrà a finire questa storia.»

«Moriremo martiri.» sfiata Alexei in un brontolio sommesso, tirando le somme dichiarando le proprie ovvie conclusioni. «Non che avessimo altra scelta...»

«Ce l'abbiamo Shostakov, tra eseguire gli ordini e saldare il debito, hai scelto di pareggiare i conti con la Zarina e il Soldato.» sentenzia la donna chinandosi a posargli un bacio sulla guancia, prendendosi la libertà di arruffargli i capelli con fare scherzoso. «Solo che tu per farlo, a differenza mia, hai anche deciso di concludere l'opera impiccandoti con la corda che ti sei costruito da solo.»

«Sei insopportabile, Belinsky.» ammette Alexei ricambiando il bacio di saluto, allegando nella concessione anche una blanda ammissione di colpa. «Ti saluto Mikhail, se lo vedo.»

«Digli che mi manca.» ringrazia tacitamente la donna, svicolando il velo liquido dello sguardo sfruttando la scusante di dover recuperare la borsa, controllandone il contenuto un'ultima volta. «Tu invece, chiamami se trovi altro materiale… interessante. Ti saluto Natalia?» 

«No… piuttosto dille che non è l'unica a caccia.» rivela Alexei complice, rassegnato alla propria sorte e ormai votato alla causa della donna. «Non ha ancora un volto o un nome, ma a modo suo la sta cercando… e fammi un favore Belinsky, tenta di non farti uccidere quando decideranno di attirare l'attenzione.»

«La stessa cosa vale per te, Shostakov.» lo saluta la donna dirigendosi verso la porta d'uscita mentre un piccolo sorriso fa capolino da sopra la sua spalla. «Di questo passo, ci vediamo dall'altra parte del Muro.»



 

Gli ultimi cinque minuti di vita del Guardiano Rosso non sono né memorabili, né banali… sono cinque minuti in cui l'aria profuma di polvere da sparo, trascorsi a fronteggiare impavido un plotone d'esecuzione sottonutrito per garantire la fuga a tre americani, al Bastardo senza patria e alla donna a cui aveva portato via quasi tutto, alla quale era finito per dedicare anima e sangue pur di ripagare quel debito che si trascinava dietro da più di sei decenni. 

La non-vita del fantasma che porta il nome del fu Alexei Shostakov inizia con un'esplosione, un cumolo abnorme di macerie e un mucchietto di ossa carbonizzate… mentre fuori, salva e al sicuro, Natasha si concede il lusso di riprendere a respirare, stringendo la mano di James aspettando che la polvere si assesti sulla carcassa di una piovra troppo stanca per cambiare di nuovo maschera. 

 

***

 

Lo Zephir-One si poteva considerare al pari di un mini-appartamento con le ali, Natasha doveva ammettere che non le sarebbe dispiaciuto troppo doverci vivere sopra, se ovviamente non si considerava quel perenne dondolio quasi impercettibile che aveva l'incredibile potere di scombussolarle lo stomaco ogni qualvolta che non sedeva alla cabina di pilotaggio, stringendosi nella maglietta extra-large di James passabile per pigiama, trascinandosi fino alla cuccetta di quest'ultimo trovandola inspiegabilmente vuota. 

«Ehi.» la sorprende la voce dell'uomo alle sue spalle coprendo il rumore della chiusura della porta scorrevole, voltandosi a fronteggiarlo ritrovandosi con un paio di barrette energetiche sotto il naso. «Non mangi nulla da ore… queste dovrebbero aiutarti con la nausea.»

«Ricordami perché non sto guidando io.» lo interpella Natasha prelevando una barretta dalle mani del marito, scartandola ed addentandola riluttante senza opporre alcun tipo di resistenza, lasciandosi cadere seduta sul materasso con aria esausta. 

«Sei in piedi da tre giorni 'Tasha… nessuno di noi desidera schiantarsi al suolo perché tu rischi un colpo di sonno al primo crollo psicotico.» ribatte paziente James con tono conciliante, sedendosi al suo fianco scartandole anche il secondo snack, porgendoglielo con fare invitante. «Hai bisogno di mangiare… e dormire, любовь моя

Natasha sbuffa infastidita addentando la barretta svogliata, spiando il sorriso macchiavellico di James quando di alza in piedi ed inizia a sprimacciare il cuscino con relativa calma, sollevando la coperta di colpo facendola scivolare sul pavimento di malagrazia, osservandolo divertita dal fondo della moquette mentre James si infila sotto le lenzuola addossandosi con la schiena contro il muro. 

«Se ci stringiamo ci stiamo tranquillamente in due.» propone suo marito invitante di fronte alla sua richiesta di delucidazioni, picchiettando a palmo aperto sulla porzione libera del materasso singolo. «Conosco quello sguardo, hai un disperato bisogno di coccole che non sei intenzionata a chiedermi.»

«Ne va della mia reputazione, lo sai.» si presta al gioco Natasha, spolverandosi i pantaloncini dalle briciole prima di raggiungerlo sotto le coperte, incastrandosi alla perfezione tra le braccia di James usando la spalla sana come cuscino, intrecciando le gambe tra le sue in un blando tentativo di scaldarsi i piedi ed avvertendo la mano di metallo circondarle la vita e spingerla verso il centro del letto per impedirle di cadere oltre il bordo, concedendosi un lungo respiro profondo prima di strofinare la punta del naso contro quella dell'uomo in un timido contatto. «Ehi…»

«Ehi.» replica James sporgendosi per posarle un bacio sulla fronte, piegando il braccio destro sotto la curva del suo collo, sfiorandole la spalla scoperta in punta di dita disegnando piccoli cerchi concentrici. «Va meglio?»

Natasha apprezza in silenzio la scelta delle parole espresse, rabbrividendo appena nel percepire il tocco dei polpastrelli di suo marito che le accarezzano la pelle, reprimendo al contempo quel tumulto interiore a cui era restia a dare un nome… specchiandosi nello sguardo di James riconoscendo in fondo alle pupille quella medesima scintilla, convincendosi che affrontare quel non detto che aleggiava tra loro era più facile da gestire se veniva espresso dalle parole dell'uomo e non dalle proprie. 

«Fammi entrare nella tua testa, звезда моя.» lo supplica Natasha, riuscendo a leggere nelle labbra di suo marito le stesse domande che le affollavano la testa, stringendosi ancora di più nel suo abbraccio cercando del contatto umano. «A cosa stai pensando?» 

«Avremmo dovuto seppellirlo…» mormora James abbassando lo sguardo, ritenendo superfluo specificare il soggetto, tradendo una punta di rimpianto nel modo in cui la mano di metallo freme abbandonata alla base della sua schiena. 

«Non è rimasto nulla da seppellire…» concede Natasha allungando una mano a tracciargli il profilo della mascella, tentando di dissolvere la propria tristezza posando un bacio casto sulle sue labbra, sforzandosi di sorridere conciliante. «Lo SHIELD sta ripulendo, se trovano le sue ossa hanno promesso di dircelo.»

James annuisce restio, indugiando con le dita sulla sua spalla prima di riprendere la sessione di coccole, tremando sotto il corpo di Natasha sopprimendo un brivido che gli fa chiudere le dita ad artiglio contro la sua pelle, inspirando a fondo sciogliendo la lingua per confessarle di non sapere da dove iniziare con quel discorso che idealmente avrebbe dovuto farla stare meglio, considerati i suoi sentimenti contrastanti ed ancora irrisolti in merito all'argomento. 

«Non so come devo sentirmi a proposito, l'ho odiato per così tanto tempo che ora mi fa... strano l'idea di doverlo ringraziare.» ammette James con riluttanza, cercando una risposta sul fondo delle iridi di Natasha, la quale prende tempo sistemandogli un ciuffo ribelle dietro l'orecchio… sforzandosi di sorvolare sui capelli fuori taglio e la barba sfatta da due giorni che erano indice lampante dello stato d'animo dell'uomo, scavandole inconsapevolmente una voragine nel petto e rivoluzionando radicalmente la disposizione dei suoi organi interni quando si concede di pensare che "sì, è davvero finita", avvertendo un velo liquido ricoprirle le pupille verde foresta mandando in allarme James, spingendolo ad aumentare la stretta nella morsa composta dalle sue braccia. 

«Se ti aiuta a dormire, consolati che non l'ha fatto per te.» ammette Natasha con riluttanza abbassando lo sguardo, avvertendo la fronte di James collidere con la propria in una blanda fonte di conforto. «Tu sei solo un beneficiario collaterale.»

«Lo so… sei tu quella che passerà le notti in bianco d'ora in poi.» ammette restio, iniziando a percorrere la lunghezza del suo braccio in punta di polpastrelli, mordicchiandosi le labbra prima di aprir bocca e sondare il terreno, cercando di comprendere la natura del velo liquido contenuto nel suo sguardo. «L'hai mai amato? Nel vero senso della parola, intendo.»

«Non quanto te, se è questo che mi stai chiedendo.» lo rassicura Natasha con un sorriso, dimenandosi tra le sue braccia sopprimendo l'istinto di darsi alla fuga, grata del fatto che continuassero entrambi a mantenere il soggetto della conversazione senza nome, sospirando rassegnata quando James insiste per ricevere una risposta. «Non lo so, звезда моя... credo di aver amato l'idea di lui, non lui

Se Natasha non avesse una reputazione da difendere era convinta, senza ombra di dubbio, che non le sarebbe costato nulla ammettere ad alta voce che la confusione genuina che attraversava i lineamenti di James in quel preciso istante lo rendeva adorabile – non perché fosse tenero, ma per la consapevolezza di tenerlo in pugno al punto da potersi permettere di giocare con le sue emozioni se desiderava farlo, chiedendosi per l'ennesima volta in sei decenni di domande a vuoto cosa diavolo dovesse aver fatto per essere meritevole di averlo nella sua vita –, allungando nuovamente le dita ad aggiustargli le ciocche ribelli, rilassandosi visibilmente nel compiere quel semplice gesto. 

«Dovresti raderti… e tagliarti i capelli.» azzarda Natasha tentando invano di cambiare discorso, ricevendo uno sbuffo in risposta ridacchiando di conseguenza, sentendosi afferrare per la vita scivolando verso il centro del letto, ritrovandosi schiacciata sotto il peso di James con i suoi gomiti puntati ai lati della testa, allungando le dita a sistemargli le ciocche che ora gli cadevano davanti agli occhi, continuando imperterrita nel proprio depistaggio. «Mi piacciono in entrambi i modi, ma ora hanno davvero una misura insulsa… non sono abbastanza lunghi per raccoglierli, né abbastanza corti per-...»

«Ti fermo qui, okay?» la placa James inchiodandola con lo sguardo, scendendo in picchiata contro le sue labbra rubandole l’ossigeno per qualche secondo, per poi puntellarsi su un gomito in un blando tentativo di imporsi scrutandola dall’alto e costringendola a fornirgli la risposta che stava ancora aspettando, facendola cedere consapevole di non potergli negare nulla di fronte al suo sguardo da cane bastonato. «любовь моя...»

«Okay… mi piaceva l’idea di avere una parvenza di vita normale. La cosa peggiore che poteva succedermi era perdere l’autobus per tornare a casa o affettarmi un dito mentre cucinavo la cena… cose del genere.» confessa Natasha rasentando la sua blanda definizione di "romanticismo", sentendosi mancare l'aria inghiottendo sillabe a vuoto che denunciano la perdita di equilibrio al di fuori della propria comfort-zone, supplicando silenziosamente James di accorrere in suo aiuto per salvarla dai suoi sentimenti fuori controllo. «Lo so che Alexei era solo un tuo surrogato… ma la vita che avevamo-...» 

«La vita che avevate è quella che noi due all'epoca non ci potevamo permettere… la versione che prevedeva una bella casa, una famiglia e un lavoro in cui nessuno dei due rischiava di tirare le cuoia un giorno sì e l'altro pure.» riassume James con aria affranta, cancellando l'ombra cupa dallo sguardo mentre si perde a pettinarle i boccoli cremisi con le dita ricambiandole il favore, chinandosi a posarle un bacio all'angolo della bocca che punge contro la sua pelle per colpa della barba ancora in fase di ricrescita. «Ti piacerebbe come vita?» 

«Mi piacerebbe provarla per un po'... nel senso di vacanza, fantasticherie a parte continuo a pensare che noi due non saremo mai pronti per la vera pensione.» annuncia Natasha con timidezza sospetta, lasciando implicita la domanda in merito a cosa poteva riservare loro l'universo da quel momento in poi. «Tu cosa pensi, звезда моя?» 

«Penso che per il resto del mondo tu sei ancora morta…» afferma James aprendo uno spiraglio positivo su quella vacanza ipotetica, elencando i presupposti adatti per attuarla. «Penso che al momento non siamo ricercati in Europa… e penso anche che ho consegnato le dimissioni allo SWORD e c'è una bimba di quattro anni e mezzo che mi aspetta alla Fattoria.»

«Ci aspetta alla Fattoria.» lo corregge la donna, sorridendo complice, lasciandogli intendere di non aver cambiato idea in merito all'adozione con scarso preavviso, incupendosi di colpo assalita dai dubbi quando un sospetto terribile le chiude lo stomaco in una morsa. «E se non le piaccio?» 

«Le piaci già… e lo sai.» la rassicura James posandole un secondo bacio pungente sulla clavicola, un terzo contro la curva del collo che le provoca un'ondata di solletico ed un quarto in corrispondenza della fossetta sulla guancia, indugiando sulle labbra donandole un sorriso. 

«Davvero, fammi un favore e tagliati almeno la barba. Punge.» ridacchia Natasha ottenendo uno sbuffo esasperato in risposta, infilando l'indice nella fede che pendeva dal collo di suo marito trascinandolo verso il basso, cancellando a suon di baci le nuvole temporalesche che gli scurivano lo sguardo, sporgendosi a sussurrargli un rimprovero scherzoso all'orecchio. «звезда моя non sono in pericolo solamente le mie guance, ma anche quelle di Kobik.»

«Oh fantastico, se la metti così… è il tuo modo di dirmi che d'ora in poi la userai come incentivo contro di me?» indaga James reprimendo una risata, allontanandosi dalla traiettoria del bacio per strofinare la guancia ruvida contro la sua, facendola ridere e beccandosi un rimprovero che lo scongiurava di non iniziare a comportarsi come un bambino capriccioso, cedendo arrendevole senza troppi drammi o moine ruotando su un fianco ritornando alla posizione iniziale. «Domani mattina la taglio, promesso.»

Natasha sorride, accoccolandosi meglio contro il petto di suo marito, circondandogli la vita con un braccio, stringendosi ancora di più nel suo abbraccio per scaldarsi – e per non cadere dal materasso, un rischio concreto considerato che la sua schiena costeggiava pericolosamente il bordo –, rilassandosi sotto il tocco dei polpastrelli di James che iniziano a percorrerle il braccio in punta di dita dalla spalla al gomito in una carezza delicata… assaporando il brandello di pace ed accarezzando l'idea lusinghiera che quell'istante, volendo, poteva durare in eterno. 

«E se non sono tagliata per fare la mamma?» sussurra preoccupata Natasha ad un passo dal sonno, mantenendo gli occhi chiusi e limitandosi a percepire il respiro esitante di James, che stringe la presa alla base della sua schiena e replica con un tono di voce talmente calmo da infonderle sicurezza e fiducia cieca. 

«Perché tu pensi che io sia tagliato per fare il papà?» la interroga l'uomo retorico, ponendo entrambi sullo stesso piano e con il medesimo livello di probabilità di combinare un disastro, lasciando implicito il suggerimento di gettarsi in balia dell'improvvisazione. 

«Il tuo istinto paterno batte il mio istinto materno cinque a uno…» insiste Natasha, gli occhi ancora chiusi e le dita artigliate spasmodicamente al fianco di James, assillata dal pensiero morboso che di solito quando lei desiderava troppo intensamente qualcosa finiva sempre per rovinare tutto combinando qualche cazzata – dopotutto con lui ne progettava tre e ne attuava dieci una dopo l'altra, in un bisticcio continuo condito da molti drammi dai risvolti tragicomici –… e non voleva bruciare le proprie carte, non con Kobik, nel modo più assoluto. 

«Natalia tu sei una mamma fantastica, solo che ancora non lo sai.» afferma James senza nessun tipo di dubbio a colorargli la voce, ciecamente fiducioso nella sentenza appena proferita… e per una qualche strana ragione Natasha gli crede, crogiolandosi in quella rassicurazione sentita, sciogliendosi sotto il contatto caldo delle labbra di suo marito quando si posano contro la sua fronte in un dolce bacio della buonanotte. «Dormi ora, sta tranquilla… non vado mai più da nessuna parte senza di te, любовь моя





 

Commento dalla regia:

Se siete giunti fin qui vorrei ringraziarvi, sia chi ha lasciato un commento, sia i lettori silenziosi che si sono limitati ad aggiungere questa storia alle proprie liste. Grazie, davvero.
Riguardo alla trama è palese che questo sia un punto di svolta, ignoro il come abbiate potuto prendere la dipartita di Alexei o quali siano i vostri pensieri in merito a Kobik e i due casi umani che ora si ritrova come genitori (se desiderate lasciarmi un commento per farmi sapere la vostra è cosa gradita)... va da sé che queste ultime modifiche sono state scritte di mio pugno, la trama fumettistica assegna ben altro destino a Kobik, Alexei è ancora miracolosamente vivo (ignoro pure io secondo quale logica, Mamma Marvel non l’ha spiegato ancora) e James e Natasha sono ancora ben lontani dal convolare a nozze (o semplicemente riallacciare i rapporti, fumettisticamente parlando sono ancora in rotta, ma ciò non significa che si stiano facendo ancora una corte pietosa a vicenda).
In ogni caso, personalmente ho finito gli argomenti con cui ampliare questa storyline… e noi ci “risentiamo” tra una settimana per l’epilogo ;)
That's all folks!
_T :*

   
 
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