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Autore: boh__    20/05/2020    0 recensioni
Kaonashi è un personaggio controverso, simboleggia quel lato dell'essere umano consumato dall'idea dell'accumolo di ricchezza, nella quale riconosce l'unico mezzo per raggiungere una stabile felicità, così lo descrive lo stesso Miyazaki.
Dal testo:
Ti ricordi di me? Dovresti.
Una domanda mi poneva spesso questa voce, una domanda sicuramente importante, eppure quello che ricordo io è solo la mia costante, triste risposta: no. Mi pareva spesso di offendere quella voce con le mie risposte, ma non vi potevo porre rimedio, di ricordi ne avevo tanti, tuttavia partivano dal mio primo incontro con Chihiro, e quando provavo a scusarmi, senza sapere per cosa, quella voce si faceva più bassa fino a scomparire.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando hai iniziato?

Non lo so. Non me ne sono accorto.

 

Ho quasi finito anche questo maglione, la lana è morbidissima, terrà caldo alla vecchia strega. Ora che ci penso è sempre stata vecchia, da quando l’ho conosciuta io, ma lo è di più adesso, comincia ad avere vuoti di memoria, si muove più lentamente. Sono passati tanti anni da che Chihiro mi ha lasciato qui. Mi ha salvato, sapevo che dovevo seguirla.

 

Quanto hai detto?

Cent’anni.

Sicuro?

Sì, adesso percepisco lo scorrere del tempo, il passare delle stagioni, la vita, la morte e tutto quello che c’è in mezzo.

Ma proprio tutto?

 

È un bel maglione: lilla, il colore preferito dalla vecchia, e l’ho reso prezioso. Sì, è ricco, ho intrecciato con la lana morbida dei fili dorati, luccicano dell’incanto con il quale la vecchia strega ha nobilitato la paglia che spesso mi chiede di filare, le piacerà.

-Da quando ti sei schiarito così? Sei pallido, caro. Ti senti bene? Forse hai bisogno di mangiare, hai fame?- no, non avevo fame. Sentivo però un nodo in gola, doloroso, strano.

Non ricordavo più dove fosse la mia gola, ma la sentivo, sigillata, dolorante, i muscoli tesi: un nodo in gola.

La vecchia aveva ragione, stavo cambiando, le punte delle mie dita si erano schiarite, dapprima erano diventate grigie, poi bianche. Inizialmente avevo temuto di stare svanendo, ma prima che me ne potessi accorgere al cambiamento del colore si era aggiunto dell’altro. Difficile spiegarlo, era come se ogni cosa si fosse improvvisamente fatta più concreta; di quella splendida tazzina da tè che era stata designata a me tanti anni fa finalmente riuscivo a comprendere a pieno la bellezza. Sulla superficie avevo sempre intravisto dei vaghi disegni, ero poi riuscito a percepirli. Sulla pancia dell’oggetto era timidamente inciso in bassorilievo un dragone, e tutto intorno una foresta. Il disegno, anche se appena visibile, era estremamente raffinato e particolareggiato, allora però i miei occhi ancora non vedevano nitidamente, e per comprenderlo dovetti sforzarmi per concentrare tutta la mia attenzione sulle punte delle dita, che percepivano flebilmente la superficie. Ci misi una settimana per capire il disegno seguendone le curve, e quando lo capì ci volle solo un giorno per riuscire a metterlo a fuoco.

Questo accadde circa trent’anni fa, e da allora capitò altre volte che passassi tanta parte del mio tempo concentrandomi su vari oggetti nel tentativo di riuscire a vederli nitidamente.

Avevo visto gli occhi della vecchia ed era stata una scoperta emozionante, erano così grandi, perfettamente dipinte le palpebre, di un castano quasi dorato l’iride, rassicuranti e pieni di vita vissuta, gioia e dolore miscidati in tante sfumature quante le rughe sul suo volto.

 

Chiediglielo, forza!

Come?

Chiediglielo, non esitare, non si offenderà.

“Zeniba, quanti anni hai?” ecco, ho fatto, gliel’ho chiesto.

Ma devi parlare, non pensare!

 

Eppure pensare mi sembrava già un passo avanti, nel tempo ero passato dal sentire una debole sensazione e agire, al concepire qualcuno di quelli che chiamano “pensieri”, sempre più articolati. Quel “pensare” mi ha aiutato a tenere a bada gli istinti quasi meccanici che, immagino, fossero la sola cosa a spingermi a compiere azioni e a tenermi impegnato ogni giorno.

Tuttavia, ultimamente non sentivo solo la mia voce, se n’era aggiunta un’altra e la mia esile nuvola di pensieri era andata via via ingrossandosi, nutrita da tante conversazioni.

 

Ti ricordi di me? Dovresti.

 

Una domanda mi poneva spesso questa voce, una domanda sicuramente importante, eppure quello che ricordo io è solo la mia costante, triste risposta: no. Mi pareva spesso di offendere quella voce con le mie risposte, ma non vi potevo porre rimedio, di ricordi ne avevo tanti, tuttavia partivano dal mio primo incontro con Chihiro, e quando provavo a scusarmi, senza sapere per cosa, quella voce si faceva più bassa fino a scomparire. Un peccato, mi piaceva conversare con lei, ascoltare la melodia di una voce con lo stesso sapore del miele o delle prime fragole, una voce che sapeva di menta, che suonava come le onde di un mare calmo la mattina presto.

Quella voce aveva ragione, dovevo chiedere, smettere di pensare e cominciare a parlare, ma ecco il principio del nodo in gola: non ci riuscivo. Pensavo che avrei dovuto concentrarmi su quel dolore indefinito per scioglierlo e poter parlare, ma non aveva funzionato come con gli altri sensi, ingoiare nuovamente un rospo per dare voce ai miei pensieri aveva da tempo smesso di essere un’opzione plausibile.

 

Quella sera conclusi il maglione per la vecchia, dopo cena entrambi cominciammo a lavorare all’uncinetto, lei aveva appena iniziato una sciarpa, canticchiava allegra. Non ci misi molto a terminare il mio lavoro, a fatica mi alzai dalla mia sedia a dondolo e mi avvicinai a Zeniba porgendole il mio piccolo dono, la strega sorrise e mi ringraziò perdendosi per un attimo nello scintillio dei fili, ma quando alzò gli occhioni verso di me questi si sgranarono e fu evidente che il sonno, che prima le chiudeva quasi le palpebre, era tutt’un tratto scomparso. Mi fissava, il sorriso che le aveva invaso il viso si era sformato per lasciare il posto a una buffa espressione straniata, la mascella abbandonata e la bocca schiusa.

La osservavo, e la vista nitida, che avevo nel tempo con fatica conquistato, rapidamente mi abbandonò. Percepivo ogni parte del mio corpo e la sentivo pensante, senza forze, ero stanco.

 

Cos’è la stanchezza?

 

Caddi a terra e sognai. Sognai convulsamente per molto tempo, non saprei dire per quanto. Non si trattò di un incubo, tuttavia era un sogno triste e terribilmente realistico: una vita, sognai la vita di una persona. Così tante emozioni e sentimenti, e fra tutti uno, potentissimo: l’amore. Era innamorato di una splendida ragazza, lei gli ricordava l’essenza delle cose, era un prato verdeggiante, acqua di mare, di fiume, di ruscello, di stagno, lei era la quercia secolare dove insieme andavano a pregare gli spiriti della foresta perché tenessero segreti i loro baci, le loro carezze e i loro sguardi. Lei, però, non fu felice quando tutto, attraverso gli occhi del suo amato, prese il colore dell’oro, non fu felice di passare da quercia ed acqua a secco campo di grano. Quel mostro scintillante e ingannevole avrebbe dovuto restare nelle grotte da cui veniva estratto, dai fiumi da cui veniva rubato.

L’oro magnetizzava lo sguardo di quell’uomo dai capelli corvini che soffriva, eppure trovava tanto appagamento nel contemplare la sua ricchezza che le lacrime che avrebbero potuto fargli scoppiare gli occhi venivano ricacciate indietro senza troppa fatica. I lampi di sorrisi si trasformavano in pianti, le risate in urla e improvvisamente tutto divenne nero. Mi svegliai.

 

Sì, adesso ricordo di te.

 

Nella mia testa non c’era più la voce, ma sapevo a chi era appartenuta e sapevo chi ero io, o meglio chi ero stato. All’alba tutti i miei ricordi prima dell’incontro con Chihiro sorsero insieme al sole.

-Ti sei svegliato finalmente- la vecchia era già in piedi intenta a preparare il tè, mi dava le spalle – sei proprio un bell’uomo sai, Kaonashi?- questa volta si girò a guardarmi, sorridendo –scusami, immagino che ora questo nome non vada più bene, come dovrei chiamarti?-.

Non risposi, c’era un qualcosa che premeva da in fondo alla gola da troppo e che era finalmente riuscito a risalire fino alla bocca, sembrò così facile lasciarlo scivolare fuori, come se non avessi disperatamente tentato e fallito per anni, quando lo sentì la vecchia assunse la stessa espressione stupefatta del momento in cui, porgendole il maglione, mi guardò in faccia vedendo il mio vero volto. Le affiorarono sugli occhi le lacrime più grandi che avessi mai visto.

-Zeniba, grazie- sorrisi.

 

 

 

Angolo Autrice

Ho caricato questo breve racconto qualche mese fa, un po' intimorita, abbastanza spaventata da abbandonare il racconto sul sito senza né una presentazione né una piccola nota conclusiva. Comincio con il presentarmi: sono Boh e sono anni che non pubblicavo qualcosa qui su EFP, avevo un account dal quale avevo pubblicato diverse fan-fiction discutibilmente scritte e pensate, a dodici anni però ne andavo fierissima.
Bando alle ciance, parliamo di questa cosa che ho pubblicato adesso. Probabilmente metterò di nuovo mano al testo, perché non l'ho elaborato come avrei potuto fare prima di postarlo, mi sembra un po' frettoloso come racconto, forse perché l'ho appunto scritto di fretta per la foga di buttare giù le idee che avevo in mente, ma per il momento lo lascio com'è. L'idea è uscita dopo aver guardato per l'ennesima volta "La città incantata" ed essermi improvvisamente ritrovata incuriosita dal personaggio di Kaonashi, che per qualche arcano motivo non avevo mai calcolato più di tanto, forse perché un po' inquietante o forse perché avevo sempre guardato il film con lo scopo di sentirmi bene, sentirmi a casa, senza soppesare troppo i significati nascosti. Insomma dopo questa epifania ho fatto qualche ricerca, letto alcuni articoli e ho deciso di rappresentare Kaonashi come incarnazione di quella ricchezza che consuma l'uomo, la foga di avere sempre più che porta alla perdita dei valori, delle prerogative e dei rapporti sinceri con le persone. In parte è così che viene interpretato anche da Miyazaki, ma tra tutto quello che ho letto ci sono tante interpretazioni parallele altrettanto (se non più) interessanti e degne di essere "ascoltate". Devo ammettere però che in parte ho scelto di accentuare questa sfumatura legata alla ricchezza  perché avevo da poco dato un esame di letteratura italiana, per il quale avevo preparato l'Inferno di Dante con particolare zelo e passione... penso di essere stata un po' influenzata dall'immagine degli usurai eh-eh.
Ad ogni modo, sono lieta di annunciare che questo immenso sproloquio è finalmente terminato, mi pare di aver detto tutto quello che volevo. Non mi resta che ringraziare tanto chi ha letto e congedarmi.
Alla prossima,
Boh__ xx
 
   
 
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