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Autore: Kimando714    20/05/2020    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 51 - I'LL STAND BY YOU

 

 

Oh, why you look so sad?
Tears are in your eyes
Come on and come to me now, don’t be ashamed to cry
Let me see you through
‘Cause I’ve seen the dark side too
When the night falls on you, you don’t know what to do
Nothing you confess
Could make me love you less
(The Pretenders - "I'll stand by you")
 

I raggi del sole che filtravano dalla finestra aperta della stanza raggiungevano in parte anche la pelle nuda delle sue gambe, lasciate scoperte dai pantaloncini corti e leggeri che usava sempre durante l’estate mentre era a casa.
Pietro si passò una mano sul viso, massaggiandosi gli occhi per cercare di eliminare un po’ di sonnolenza e lasciando scivolare sul letto il libro d’informatica che stava usando per esercitarsi in vista del test d’ammissione.
In quell’ultimo sabato di luglio gli esami di maturità sembravano un ricordo lontano, qualcosa che era avvenuto ben più in là di qualche settimana soltanto. I test universitari, invece, cominciavano ad essere spaventosamente vicini. Forse era stato proprio quel pensiero a spingerlo, quel pomeriggio, ad iniziare a guardare qualche esercizio che gli sarebbe potuto essere utile in quell’occasione.
Erano state lunghe settimane di riposo, dopo la fine della maturità: anche se aveva cominciato a lavorare dopo poco come cameriere in un bar di Torre San Donato, senza turni troppo massacranti, per racimolare qualcosa da mettere da parte, aveva avuto comunque modo di festeggiare il suo sessantanove da neodiplomato. Non un voto esaltante, ma sufficientemente alto per non farlo rimanere al Virgilio un altro anno.
Gli ultimi giorni erano stati una routine fatta di turni di lavoro, uscite di gruppo, e preparazione degli ultimi dettagli per la vacanza che li avrebbe attesi ad agosto. Era un pensiero che lo teneva sollevato d’umore, nel sapere che l’estate, seppur già quasi finita, aveva ancora qualcosa da offrirgli.
Quel sabato che gli si stava prospettando davanti, invece, sembrava solo in grado di dargli noia ripetuta: non aveva turni di lavoro, e da quel che ne sapeva, sia Nicola e Caterina che Giulia e Filippo avevano deciso di uscire per conto loro, le due coppie in posti diversi. Gabriele era probabilmente occupato altrove, e Alberto abitava decisamente troppo distante per organizzare qualcosa sul momento.
Pietro si fece scivolare un po’ di più sul letto, arrivando ad essere completamente steso come fosse sul punto di addormentarsi. Pensò quasi di mettersi a leggere qualcosa, o riprendere il disegno che aveva lasciato incompleto qualche giorno prima, ma furono entrambe idee temporanee che non lo attiravano a sufficienza.
Rimase a pensare un altro po’ sul da farsi, alle opzioni che aveva: quando stava quasi per arrendersi, prese in mano il telefono, una mezza idea che cominciava a ronzargli in mente.
Scorrendo la rubrica, tra i primi nomi, si soffermò su uno in particolare. Pochi secondi dopo aveva già fatto partire la chiamata e  accostato il telefono all’orecchio, in attesa e a chiedersi se fosse stata una buona mossa.
-Pronto?-.
Erano bastati pochi squilli prima che dall’altra parte della linea Alessio accettasse la chiamata e gli rispondesse con tono confuso.
Pietro rimase interdetto per qualche secondo: aveva pensato che, molto più probabilmente, sarebbe stato un tentativo a vuoto. Era così sicuro che Alessio non gli avrebbe risposto che non si era nemmeno preparato qualcosa da dire.
-Sì, ciao, scusa se ti disturbo. Non avevo intenzione di chiamarti- Pietro si morse il labbro, trattenendosi a stento dal darsi dell’idiota – Cioè, potevo mandarti un messaggio ma avrei fatto prima così-.
Gli parve di sentire Alessio cerca di soffocare a stento una risata:
-Ricordati di respirare, però, o rischi di finire in apnea-.
Pietro volle sotterrarsi in quell’esatto istante; rosso in viso e in totale imbarazzo, cercò di consolarsi pensando che, in fin dei conti, Alessio non poteva davvero vederlo in faccia e rendersi conto dello stato in cui era.
-Ok, ricomincio: volevo solo domandarti se sei in giro- disse infine, dopo aver preso un paio di sospiri e aver trovato qualcosa da dire.
-In giro … Tipo adesso?- la voce di Alessio gli arrivò di nuovo rilassata, forse ancora un po’ divertito da poco prima.
Pietro annuì sovrappensiero:
-Sì, magari sei al Babylon-.
-In realtà no, sono a casa- gli rispose subito l’altro, lasciandogli un po’ d’amaro in bocca.
-Ah … Pensavo che avrei potuto fare un giro là, ma a quanto pare non è giornata per fare programmi- mormorò Pietro, scoraggiato. Probabilmente Alessio aveva la serata libera, ma prima di buttarsi e chiedergli direttamente se gli andasse di uscire preferì andarci cauto.
Ci furono alcuni attimi di silenzio, prima che Alessio riprendesse a parlare con entusiasmo:
-Però mi potresti comunque essere utile, visto che hai chiamato- disse, facendo aggrottare la fronte a Pietro:
-Come?-.
Non aveva idea a cosa stesse alludendo Alessio, e per un attimo ebbe qualche timore persino a voler conoscere la risposta. Ci vollero alcuni secondi, prima di tornare ad ascoltare la voce dell’altro dall’altra parte della linea:
-Non è che hai un libro da prestarmi?- gli chiese, in scioltezza – Mi sto annoiando in questi giorni-.
Pietro tirò un sospiro di sollievo nel sapere finalmente che era una cosa così semplice, ma la sensazione durò poco. Lanciò un’occhiata preoccupata verso la libreria che aveva in camera, ricolma di libri da leggere oltre a quelli di scuola, ormai inutili: non ricordava di averne mai prestato a nessuno, troppo geloso delle sue cose e troppo timoroso di non vederli mai più restituiti.
Ebbe qualche freno ad accettare subito quella proposta.
-Tu non ne hai in casa?- chiese di rimando, sperando di non apparire troppo incerto.
-Sì, ma quelli che ho li ho già letti tutti, e ultimamente non ne ho comprato molti- sospirò Alessio – E poi tu ne hai di sicuro più di me-.
Pietro si morse il labbro, incerto di quando doveva essersi fatto sfuggire quel dettaglio con Alessio. Evidentemente doveva essere successo, anche se non lo ricordava, e un po’ lo stupì che una cosa del genere gli fosse rimasta impressa.
Sospirò a sua volta, un po’ più convinto a fidarsi. In fin dei conti si trattava di Alessio: non era un idiota che gli avrebbe deliberatamente rubato un libro senza nemmeno sensi di colpa.
-Hai un titolo in particolare in mente?-.
Sentì Alessio ridacchiare sagacemente:
-No, prova a pensare a qualcosa che potrebbe essere adatto a me-.
“Doveva esserci il trabocchetto da qualche parte”.
-Mi vuoi rendere le cose difficili- sbuffò sonoramente Pietro, sconsolato. Lanciò l’ennesima occhiata alla libreria: aveva una scelta abbastanza ampia, anche se riusciva già ad immaginarsi fermo lì davanti, a leggere ogni titolo e a chiedersi se potesse essere adatto ad Alessio. Sapeva già che gli sarebbe toccato andare puramente ad istinto, sperando solo di azzeccarci.
Prese qualche altro secondo per pensare alla prossima mossa, ascoltando la risata leggera di Alessio renderlo più allegro, prima di decidere di fare il passo che aveva atteso dall’inizio della telefonata:
-Te lo posso portare anche fra un’ora- buttò lì casualmente. Anche se era da solo nella sua stanza, Pietro sentì comunque le guance arrossirgli incredibilmente.
-Non hai proprio nulla da fare, eh?- lo canzonò Alessio, ridendo di nuovo. Pietro non perse quell’occasione per stuzzicarlo di ritorno:
-Neanche tu, sembrerebbe-.
C’era qualcosa che lo rendeva fiducioso su quella sua proposta. Era sicuro che, se ad Alessio non fosse andato bene, gliel’avrebbe detto subito di passare un altro giorno.
Aspettò la risposta trepidante, sperando solo di non vedere tutte le sue speranze crollare inevitabilmente.
-Ti mando l’indirizzo, scemo. Vieni per le sei e mezza-.
La soddisfazione che provò Pietro lo indusse persino ad ignorare quel nomignolo tutt’altro che positivo con cui l’aveva appena chiamato.
 
*
 
Arrivare alla via di Villaborghese che Alessio gli aveva indicato era stato più semplice di quel che Pietro si era immaginato. Era partito meno di un quarto d’ora prima, dopo aver convinto sua madre a prestargli l’auto, e dopo aver passato almeno un’ora a vestirsi decentemente e a trovare un libro per Alessio.
Parcheggiò l’auto in fondo alla via, nel parcheggio quasi del tutto vuoto davanti ad una palestra; qualche secondo dopo era già sceso, ricontrollando nel messaggio che Alessio gli aveva inviato quale era il numero civico da cercare.
Era strano pensare che, dopo una settimana in cui non si erano incontrati nemmeno una volta, avrebbe rivisto Alessio direttamente a casa sua. Non gli era mai venuto in mente di chiedergli dove abitasse precisamente, né di raggiungerlo proprio a casa, ma in quel momento provava una sincera curiosità nello scoprire il posto in cui viveva.
Continuò a camminare lungo la stradina controllando ad ogni cancello il numero dell’abitazione, arrivando quasi all’altra estremità della via per trovare quello giusta. Quando arrivò quasi di fronte alla cancellata della casa, intravide una ragazzina bionda stesa sull’erba del giardino, il cellulare in mano; ricordò che Alessio gli aveva già accennato ad una sorella più giovane, motivo per cui si convinse ancor di più di essere nel posto giusto.
Si fermò davanti al cancello senza suonare il campanello: bastarono pochi secondi prima che la bionda si accorgesse della sua presenza e si girasse a guardarlo in attesa.
-Ciao … - Pietro iniziò a parlare, ma prima ancora che potesse aggiungere altro fu lei stessa ad interromperlo:
-Sei l’amico che mio fratello sta aspettando?- gli chiese, prima di alzarsi lentamente e tenerlo osservato da qualche metro di distanza – Puntuale come un orologio svizzero-.
Ora che poteva osservarla meglio, Pietro non ebbe più alcun dubbio che doveva proprio essere la sorella di Alessio: stessi capelli biondi e stessi occhi chiari, e qualche tratto in comune con lui anche nei tratti del viso. E poi doveva essere decisamente Alessio il fratello a cui aveva appena fatto riferimento.
-Sempre meglio che essere in ritardo, no?- replicò Pietro, sentendosi quasi in soggezione di fronte allo sguardo indagatore dell’altra.
-Sei proprio sicuro di voler cercare proprio mio fratello?- gli domandò di nuovo lei, le mani appoggiate sui fianchi e un mezzo ghigno stampato in viso. Pietro si sentì arrossire comunque, impreparato al ritrovarsi di fronte una ragazzina molto più sfrontata ed esplicita del fratello maggiore.
-Temo di sì- le rispose, umettandosi le labbra – Lo puoi chiamare?-.
Vide un’ombra di delusione e noia oscurarle il volto:
-Vado- disse con uno sbuffo – Certo che potresti dirgli di invitarti più spesso-.
Pietro rimase ancora interdetto, mentre la osservava girarsi sui tacchi e avviarsi con nonchalance verso la porta di casa, sparendovi all’interno.
Di certo si era aspettato di tutto, tranne che ritrovarsi di fronte a qualcuno che gli ricordava più il se stesso di qualche anno prima, che non Alessio.
Spostò il peso da una gamba all’altra, rimanendo in attesa e stringendo tra le dita della mano sinistra il libro che aveva scelto per Alessio. Si sentiva accaldato, sotto i raggi del sole sempre più aranciati, la sera che stava pian piano calando.
Venne distratto dallo scatto secco che fece il cancello pochi secondi dopo, e il rumore della porta d’ingresso che veniva aperta. Fece appena in tempo a voltare lo sguardo per scorgere Alessio fare capolino dalla porta, e percorrere velocemente lo spazio che li divideva fino al cancello.
-Ehi- Alessio gli arrivò di fronte, aprendoglielo e scostandosi per lasciargli spazio per entrare – Credo tu abbia appena fatto la conoscenza della mia dolce sorella-.
Pietro trattenne a stento una risata, ricambiando invece il sorriso che Alessio, rosso in viso per il caldo e con le lentiggini ancor più visibili, gli stava già rivolgendo:
-Sì. Mi ha detto di suggerirti di invitarmi più spesso qua a casa vostra-.
-Sul serio?- Alessio roteò gli occhi al cielo, esasperato – Ci prova con il primo visto per strada-.
-Non è il mio tipo, comunque- Pietro lo seguì verso l’interno della casa, ancora sorridente – E poi è troppo piccola per me-.
Entrare nell’ambiente decisamente più fresco dell’abitazione fu un sollievo; Pietro continuò a camminare a pochi passi da Alessio, seguendolo verso quello che doveva essere il salotto della casa. Pietro si guardò intorno: l’arredamento prevalentemente bianco e sui colori chiari in un qualche modo gli ricordava proprio Alessio. Era un ambiente luminoso esattamente come gli era sempre apparso lui, anche nei momenti peggiori.
-Che mi hai portato, quindi?- la voce di Alessio lo distrasse, portandolo a girarsi verso il biondo all’istante. Pietro alzò la mano che stava tenendo tra le mani il libro, lievemente agitato per le aspettative che Alessio poteva avere. Era una cosa semplice e apparentemente senza troppo significato, ma non poteva fare a meno di sentirsi comunque sotto esame.
-Questo- allungò il braccio, la copertina di Sulla strada in bella vista – Dimmi che non l’hai già letto-.
-No, anche se era nella mia lista delle prossime letture- Alessio gli rispose subito con un sorriso, allungando le mani per afferrare il libro. Pietro sentì la tensione diminuire subito dopo avergli sentito dire quelle parole; lo osservò mentre con i polpastrelli toccava la copertina colorata del libro, gli occhi abbassati. Quando dopo qualche secondo rialzò il viso, Alessio non aveva ancora smesso di sorridere:
-Ci hai azzeccato-.
-Almeno ora avrai qualcosa fare per non annoiarti- Pietro sperò di farlo ridere, ma la reazione che invece ottenne fu qualcosa di insospettato: il sorriso di Alessio si fece pian piano più spento, quasi stanco. Forse, si ritrovò a pensare, le occhiaie violacee sotto gli occhi e l’insolito pallore non erano segni di notti estive passate in giro a divertirsi.
Cercò di ricordare se Alessio gli aveva forse accennato a qualcosa su come aveva passato quell’ultima settimana in cui non si erano incrociati nemmeno una volta: non gli venne in mente nessun impegno in particolare, nulla di cui Alessio aveva parlato.
-In realtà di cose da fare ne ho- Alessio sospirò a fondo, lasciando trasparire, per la prima volta da quando Pietro era arrivato, una sorta di stanchezza – Mi sono solo preso questa settimana per starmene un po’ a casa tranquillo, starmene per conto mio … Mia madre mi ha riempito la testa a forza di dirmi che dovrei prendermela con più calma-.
“Quindi non sta andando tutto bene” si ritrovò a pensare Pietro con una certa apprensione. Doveva intuire prima che Alessio di certo non si stava prendendo molti momenti di riposo: al lavoro al Babylon, di sicuro doveva essersi aggiunto lo studio sempre più intenso in vista dei test d’ammissione.
Non riusciva nemmeno a sentirsi sorpreso al pensiero che persino sua madre gli avesse detto di prendersi una pausa.
-Quindi non hai impegni stasera, giusto?-.
Pietro lo guardò in attesa, chiedendosi se la sua potesse essere una buona idea: glielo aveva chiesto d’istinto, anche se in fin dei conti l’aveva chiamato inizialmente pensando di poter organizzare qualcosa per la serata. Sperò di avere una risposta positiva da Alessio: era certo che, in fin dei conti, gli avrebbe fatto bene uscire un po’ e distrarsi. E poi, forse, sarebbe anche riuscito a farlo parlare e a scoprire meglio cosa c’era che non stesse andando nel verso giusto.
-No, non ancora almeno- Alessio lo guardò confuso, il sopracciglio alzato.
-Potrei sequestrarti per la serata-.
L’espressione ora sempre più rilassata di Alessio calmò i battiti accelerati di Pietro. Perlomeno, se si fosse visto ricevere un rifiuto, era sicuro che sarebbe stato uno non particolarmente sgradevole.
-Come mai proprio me?-.
Pietro strabuzzò gli occhi, rimanendo in silenzio per i primi secondi. Non si era aspettato proprio una domanda del genere: non sarebbe stata la prima volta in cui sarebbero usciti da soli, né probabilmente l’ultima.
-Beh … - si schiarì la voce, consapevole di essere almeno un po’ arrossito – Gli altri hanno già da fare, e se anche non lo fossero probabilmente Nicola lavorerebbe e Filippo preferirebbe comunque passare del tempo da solo con Giulia-.
Pietro abbassò lo sguardo per un secondo, l’imbarazzo ancor più profondo al pensiero di star arrossendo visibilmente:
-Quindi … - si morse il labbro inferiore, gesticolando nervosamente – Voglio dire, siamo già usciti insieme da soli, non è mica un appuntamento-.
Si sentì quasi un idiota a doverlo specificare, come se sarebbe mai potuta succedere una cosa del genere. Continuò a mordersi il labbro a disagio, chiedendosi se fosse stato offensivo nel dire così: da quel che Alessio gli aveva raccontato dell’estate di tre anni prima, aveva più o meno intuito che per lui facesse poca differenza tra ragazze e ragazzi. L’ultima cosa che voleva fargli pensare era che per lui fosse importante sottolineare che non sarebbero usciti insieme per qualche altro motivo che non fosse l’amicizia.
-Se arrossisci un altro po’ prendi direttamente fuoco-.
Alessio stava faticando a non scoppiargli a ridere in faccia: Pietro ne ebbe la certezza quando tornò ad alzare gli occhi nella sua direzione, trovandolo con un ghigno stampato in faccia e lo sguardo piuttosto divertito.
Non sembrava essersela presa affatto per quel che aveva appena detto.
-Comunque in effetti potrei anche farmi sequestrare da te per stasera- schioccò le labbra, le mani appoggiate sui fianchi – A patto che sia io a scegliere dove andare-.
Pietro alzò le spalle:
-Per me va bene-.
-Se vuoi mangiare fuori, ho già in mente un posto dove potremmo andare- continuò Alessio con fare pensieroso.
-Mi sembrava ovvio mangiassimo fuori. Volevi restare a cena qui?- Pietro rise nervosamente, terrorizzato al solo pensiero che Alessio potesse sul serio prendere in considerazione l’idea.
-Potevo farti conoscere a mia madre, magari sarebbe stata l’occasione buona per farle capire ed abituarla al fatto che un giorno potrei presentarmi a casa con un fidanzato- Alessio rise con leggerezza, anche se c’era una nota di serietà nella voce mentre parlava.
Pietro fece per aprire bocca, senza ancora aver pensato sul serio a come rispondere – l’imbarazzo che tornava a rendergli le cose difficili-, prima di venire interrotto da una voce femminile che riconobbe dopo pochi secondi:
-Fidanzato? Di chi parli?-.
Si girarono entrambi all’unisono nella direzione da cui era arrivata la voce: sulla soglia del salotto, con le braccia incrociate contro il petto ed un sogghigno sulle labbra, se ne stava la sorella di Alessio.
-Stavi origliando, Irene?- Alessio fu il primo a parlare, guardandola con esasperazione anche se non sembrava particolarmente toccato all’idea che sua sorella li avesse ascoltati parlare; Pietro preferì rimanere in silenzio, ormai consapevole di essere rosso fino alla punta delle orecchie.
-È il tuo fidanzato?- Irene lo indicò, mentre continuava a rivolgere al fratello maggiore lo stesso ghigno divertito.
Alessio le lanciò un’occhiataccia:
-Ovvio che non lo è, stavo scherzando-.
-Ok, potrei anche crederti- Irene rimase silenziosa solo per qualche secondo, prima di spostare lo sguardo su Pietro – Non è che ti andrebbe di uscire con me qualche volta?-.
Per un attimo Pietro temette di stare per strozzarsi con la sua stessa saliva: tossì forte, prima di riprendere fiato a sufficienza per parlare.
-Veramente … - borbottò a stento, prima di venire interrotto bruscamente da Alessio:
-Per te è off limits- tagliò corto, facendo qualche passo nella direzione della sorella – E smettila di origliare le mie conversazioni-.
-L’hai deciso tu che è off limits?- Irene lo guardò quasi con odio, la voce venata di delusione – Comincio ad essere seriamente convinta che sia davvero il tuo fidanzato-.
-Credi quel che vuoi, basta che lo tieni per te- Alessio sospirò a fondo, piuttosto scocciato. Sembrava al limite della pazienza, e Pietro non osò nemmeno fiatare. Quando lo vide girarsi verso di lui, quasi temette il peggio:
-Andiamo in camera- gli sussurrò invece, con voce decisamente più gentile di quel che Pietro si sarebbe aspettato.
Si ritrovò ad annuire subito, muovendo un passo per seguirlo. Oltrepassarono Irene velocemente – Pietro le lanciò uno sguardo di scuse, pentendosene subito per l’occhiata maliziosa che ricevette in risposta dalla bionda-, arrivando alle scale per il piano di sopra pochi secondi dopo.
-Per sicurezza eviterò di seguirvi lì, non vorrei vedere cose che potrebbero traumatizzarmi- urlò loro Irene, soffocando a stento una risata.
-Come se potessimo fare qualcosa con te nella stanza accanto … - sbuffò amareggiato Alessio, scuotendo il capo in rassegnazione mentre continuavano a salire le scale.
Entrare in camera di Alessio fu quasi uno shock brusco: se nel resto della casa regnava un ordine quasi maniacale, Pietro si sentì quasi girare la testa nell’entrare in un ambiente quasi totalmente all’opposto.
La sua stanza era probabilmente uno dei luoghi più disordinati che avesse mai visto in vita sua, un perfetto campo di battaglia domestico.
Andò a sedersi sul letto, probabilmente la superficie più in ordine – e l’unica libera- dove potersi appoggiare.
-Non so che mettermi per stasera- Alessio, dopo aver chiuso la porta e posato il libro di Pietro sulla scrivania, si era avvicinato velocemente all’armadio contro la parete di destra della stanza, dalla parte opposta della finestra che dava sulla via principale di Villaborghese
-Direi che qualcosa di leggero e dei jeans basteranno- suggerì Pietro, quasi scoppiando a ridere di fronte allo sguardo corrucciato dell’altro, fermo di fronte all’armadio aperto.
Alessio sbuffò appena a quelle parole, buttando sul letto con noncuranza una camicia azzurra a mezze maniche ed un paio di jeans. Non sembrava del tutto convinto della scelta, ma sembrò fregarsene: si sfilò la maglietta che aveva indosso con noncuranza, pronto a vestirsi con i vestiti appena scelti.
Pietro scostò lo sguardo di scatto come se si fosse appena scottato, la pelle del visto che ricominciava a bruciare nell’arrossire. Cercò di non pensare alla sua stessa reazione: non era la prima volta che vedeva qualcuno dei suoi amici togliersi la maglietta o i pantaloni, anche se in quel momento non poteva negare a se stesso di sentirsi tremendamente a disagio.
Cercò di non farci caso, sperando solo che Alessio si desse una mossa a vestirsi.
-Spera solo che tua sorella non decida di entrare proprio ora, o potrebbe seriamente pensare male- cercò di ironizzare, mandando giù la saliva a fatica e rendendosi conto di non essere risultato molto convincente.
Alessio, al contrario, rise appena:
-Non farmici pensare- borbottò, mentre si infilava la camicia, iniziando ad abbottonarla. Pietro abbassò di nuovo lo sguardo, quando si accorse che doveva aver cambiato idea preferendo prima sfilarsi i pantaloncini. Sentì quasi la voglia di fuggire via sia da quella stanza che dai suoi stessi pensieri.
-Ero convinto che dovessi lavorare stasera- Alessio continuò a parlare con nonchalance – Ed ero convinto che saresti rimasto qui per poco per quello-.
Pietro si umettò le labbra, ormai sin troppo secche:
-Ho il weekend libero questa settimana- mormorò, torturandosi le mani – Il prossimo, invece, dovremmo essere impegnati sia io che Nicola-.
Sospirò profondamente al pensiero che la prossima sarebbe stata una lunga settimana di turni serali. Il posto dove aveva trovato lavoro non gli dispiaceva nemmeno, e i colleghi erano anche amichevoli, ma l’idea di essere fuori tutte quelle sere solo per sgobbare lo rendeva inquieto.
Poteva comunque ritenersi più fortunato di Nicola. Dopo un sudato novantacinque alla maturità, non gli era andata altrettanto bene nel lavoro estivo che aveva trovato: Pietro riusciva facilmente ad immaginare che per lui fare il commesso in un negozio d’abbigliamento, e dover stare a contatto con i clienti tutto il giorno, fosse la rappresentazione più fedele del suo personale inferno.
In fin dei conti, tra tutti loro, quella a cui era andata davvero bene erano Filippo, Gabriele e Alberto: niente lavori estivi, felici e promossi con i loro rispettivi settantadue, cento e ottantatré centesimi, liberi di poter prepararsi ai test d’ammissione senza altre pressioni.
Pietro li invidiava fino al midollo.
-Quindi passerà ancora un po’ di tempo prima di rivederci tutti insieme- commentò distrattamente Alessio, quasi perdendo l’equilibrio mentre cercava di infilarsi i jeans standosene in piedi.
-Non ti agitare troppo: recupereremo tutto il tempo in Puglia- gli ricordò Pietro, lanciandogli una veloce occhiata e pentendosene subito dopo.
Sospirò di nuovo, rassegnato: immaginava che avrebbe fatto bene ad abituarsi alla vista di Alessio mezzo nudo, visto la vacanza al mare sempre più vicina.
 
*
 
-Potevi dirmelo che stavamo andando in un raffinato locale rodigino- Pietro non riuscì a nascondere una certa dose di sarcasmo nella sua voce – Almeno mi sarei preparato prima alla vergogna psicologica di andarci vestito come un pezzente-.
Sentì Alessio ridere di gusto, mentre camminavano fianco a fianco lungo la strada principale della città.
Erano partiti poco prima delle sette, dopo aver salutato Irene e averle detto che avrebbero cenato fuori da qualche parte. Avevano usato l’auto di Alessio – quella che suo padre aveva lasciato e che di fatto aveva ereditato, come spiegò non appena saliti-, ed erano bastati pochi minuti a Pietro per capire che erano diretti proprio a Borgo Padano.
Anche se avevano già parcheggiato poco distanti dal centro, e stavano già camminando per quella via, Alessio non aveva ancora detto nulla sul posto preciso verso cui lo stava guidando: l’unica cosa di cui Pietro era certo era che, se fossero rimasti in quella zona, oltre ai vestiti non sarebbero stati adatti nemmeno i pochi soldi che aveva nel portafoglio.
-Smettila di lamentarti, andrai benissimo così- Alessio gli dette una gomitata leggera, un sorriso indecifrabile sulle labbra – E poi stiamo andando in una semplice pizzeria qua vicino, nulla di così raffinato come credi-.
-Che ha di così speciale questa pizzeria?- cercò di indagare ancora Pietro, pur sospettando che non avrebbe ricevuto alcuna risposta precisa.
Come volevasi dimostrare, Alessio gli rivolse solo un’espressione divertita:
-Vedrai-.
-Ti piace fare il misterioso, quindi- mormorò Pietro, un po’ infastidito per stare così sulle spine, ancora senza una minima idea su dove stavano andando – Interessante-.
-Semplicemente non voglio rovinarti la sorpresa- replicò Alessio, l’aria allegra per niente scalfita. Sembrava più rilassato in quel momento, in giro per Borgo Padano con aria scanzonata, che non prima a casa.
Continuarono a camminare spediti ed in silenzio per qualche minuto, fino a quando Alessio non cominciò a rallentare. Pietro realizzò che si erano fermati di fronte a quella che doveva essere la meta decisa, la pizzeria Il Piccolo Principe. Riuscì a trattenere a stento uno sbuffo sorpreso: era uno dei posti più famosi di Borgo Padano, nonché una delle pizzerie più affollate, ed anche se Pietro non ci aveva mai messo piede sapeva perfettamente che trovare un tavolo libero senza prenotazione al sabato sera poteva considerarsi tranquillamente un miracolo. Si sentiva comunque sollevato: perlomeno non avrebbe dovuto troppo fare attenzione ad ordinare le cose più economiche in assoluto.
-Direi che siamo arrivati- borbottò Alessio, girandosi a guardarlo con aspettativa.
-Mi porti a cena in una pizzeria rinomata? Non ti facevo così galante- Pietro sottolineò l’ultima parola con una certa ironia, nonostante stesse avendo difficoltà nel nascondere un sorriso nascente – Se vuoi anche pagare al posto mio, sarebbe ancora più gentile da parte tua-.
-Possiamo sempre cambiare posto dove andare- ribatté Alessio, leggermente arrossito – Siamo a Borgo Padano, mica in mezzo al deserto-.
Pietro non rispose: gli lanciò un ultimo sguardo, prima di incamminarsi dritto verso la pizzeria, senza guardarsi indietro ed aspettando che Alessio si decidesse a seguirlo.
Lo attese in silenzio, nascondendo a stento un sorriso di contentezza che cominciava a nascergli sulle labbra.
 


-Karaoke-.
Pietro formulò quella parola con terrore latente. Spostò lo sguardo su Alessio, che stava rischiando di strozzarsi per trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia.
-Dimmi che non mi hai portato qui per il karaoke- insistette Pietro, sospettando però di averci visto giusto.
Dal tavolo in cui si trovavano – uno all’interno dell’affollata pizzeria, nonché uno dei pochissimi rimasti liberi per la serata-, vicino ad un’ampia finestra che dava sul corso, aveva notato abbastanza facilmente l’area lasciata libera dai tavoli e con al centro due microfoni, in piedi davanti ad uno schermo a muro ancora spento.
-Dai, non dirmi che non ti piace sentire la gente avventurarsi nel cantare canzoni davanti ad una pizzeria intera- lo prese in giro Alessio, finalmente sciogliendo i dubbi di Pietro – È una tradizione del sabato sera, qui dentro-.
Quei microfoni erano lì decisamente per quello che temeva.
-Mi piace solo fin quando sono gli altri a cantare- disse, con tono minaccioso – Quindi non provare a trascinarmi lì-.
-Mai dire mai- cantilenò l’altro sottovoce, talmente rilassato e sicuro di sé che Pietro temette il peggio.
Decise di non proseguire quella conversazione, nella speranza che Alessio potesse quasi dimenticarsi delle sue intenzioni tutt’altro che limpide.
Riprese il suo menu in mano, leggendo velocemente le pizze in elenco. Fece appena in tempo a decidere su cosa puntare, prima che un cameriere si avvicinasse al loro tavolo per prendere gli ordini.
-Non mi hai ancora detto una cosa-.
Il cameriere si era appena allontanato dal loro tavolo, quando Alessio gli si era rivolto. Pietro lo guardò con la fronte aggrottata, confuso:
-Cosa?-.
Alessio si umettò le labbra, prima di sporgersi un po’ di più nella sua direzione:
-Se hai deciso in quale università vuoi provare ad entrare- disse infine, con curiosità e guardandolo con aspettativa.
Pietro si morse il labbro inferiore: si era immaginato che prima o poi Alessio gliel’avrebbe chiesto di nuovo, quando qualche settimana prima non era riuscito a dirgli nulla di certo, solo un ammasso di idee senza anima.
-Ecco … - iniziò, schiarendosi la gola a disagio – In effetti sì. Penso proverò ad entrare a Venezia-.
Sospirò, esitante su come proseguire e quasi sentendosi strano nel dirlo ad alta voce a qualcuno.
-Ad informatica, come te e Nicola- aggiunse dopo alcuni secondi, evitando ancora lo sguardo dell’altro.
-Oh- l’esclamazione stupita di Alessio lo spinse ad alzare lo sguardo verso di lui, scoprendolo con la stessa espressione sconcertata che quella sua reazione lasciava supporre.
-Sembri sorpreso- commentò Pietro con un filo di voce, le dita strette attorno ad un angolo del tovagliolo. Lui, al contrario di Alessio, non poteva dirsi meravigliato nell’essersi guadagnato quella risposta laconica: aveva solo accennato all’idea di seguirli a Venezia, ma non aveva mai lasciato far supporre che potesse diventare una decisione definitiva.
-Un po’, in effetti- ammise Alessio, gli occhi ancora sgranati – Non mi sembravi troppo entusiasta di studiare ancora qualche materia scientifica-.
Pietro sospirò a fondo, a disagio:
-Non ho molta scelta, non credi?-.
Stavolta fu Alessio ad aggrottare la fronte, in disorientamento:
-Che intendi?- gli chiese subito, stranito.
Pietro tenne ancora lo sguardo abbassato, i pensieri che si ammassavano nella sua mente e che stava faticando tremendamente a tradurre a parole.
C’era stata una confusione assurda nella sua testa anche quando, poco dopo la fine della maturità, si era ritrovato a leggere con mille brochure di università diverse, e posto di fronte al dover sceglierne almeno un paio a cui interessarsi.
Non aveva mai pensato di avere chissà quali qualità, né di avere molte possibilità in facoltà non scientifiche – non dopo aver passato cinque anni interi a studiare solo quelle.
E poi c’era anche il dopo a cui pensare: avere un lavoro sicuro, non troppo noioso, ma che perlomeno gli portasse stabilità. Qualcosa che non riusciva a ricollegare a nulla tra quelli che erano i suoi veri interessi.
-Se guardiamo in ottica lavorativa, ho molte più possibilità di trovare un lavoro decente prendendo un ramo di una facoltà scientifica- mormorò, ancora incapace di risollevare lo sguardo – E informatica è la migliore tra tutte-.
Sapeva già che quella risposta non sarebbe piaciuta ad Alessio. Glielo riusciva a leggere nello sguardo enigmatico, perso chissà dove sulla superficie del loro tavolo, il volto lievemente più teso.
-O la meno peggio per te?- gli chiese dopo alcuni attimi passati in silenzio, gli occhi chiari sempre distanti. Pietro fece per aprire bocca, in realtà senza idea di cosa dire. Venne salvato dall’arrivo dello stesso cameriere di prima, il vassoio pieno delle bevande da loro ordinate; non passò nemmeno un minuto prima che se ne andasse di nuovo, lasciandoli al silenzio pieno di disagio di poco fa.
-Sei sicuro che sia la scelta migliore?-.
Inaspettatamente fu di nuovo Alessio a parlare: a Pietro parve quasi confuso, di certo meno teso di pochi attimi prima.
-Mi sembrava di ricordare ti sarebbe piaciuto entrare a Lettere da qualche parte- mormorò ancora. Pietro deglutì a fatica, prendendo tempo per rispondere aprendo la sua lattina di coca-cola, sentendosi in soggezione sotto lo sguardo in attesa dell’altro.
-Studiare letteratura non ti apre chissà quali strade- mormorò, la voce spenta.
Si morse il labbro inferiore, sentendosi vuoto nel ripensare a quelle sue stesse parole.
Alessio non ricordava male – c’era mai stata davvero una volta in cui aveva dimenticato qualcosa che gli aveva confessato?-, e Pietro quasi si sentì uno stupido per averglielo detto.
Avrebbe voluto avere la stessa convinzione con cui Alessio stesso aveva scelto la sua strada, o come Nicola, che l’avrebbe seguito nello stesso percorso; si era ritrovato ad invidiare l’entusiasmo che riempiva gli occhi di Gabriele ogni volta che parlava del suo futuro a Ferrara, o della gioia che animava Alberto quando gli aveva annunciato, solo una settimana prima, che avrebbe provato ad iscriversi a Fisica all’università di Padova.
Li invidiava perché lui, invece, non stava riuscendo a provare nemmeno in parte quel sentimento genuino che avrebbe dovuto spingerlo a scegliere il suo percorso di studi.
Lettere era quel che avrebbe scelto se avesse solo dovuto tener conto del proprio cuore, ma la verità era che, amaramente, non sempre si campa di sole passioni.
-Neanche studiare qualcosa che non ti interessa- replicò Alessio, caustico – Anzi no, una strada te la apre: quella del fallimento per il resto della tua vita-.
Pietro quasi sobbalzò, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo dritto in faccia.
-Anche tu studierai informatica, ma non mi sembra ti faccia questi problemi- obiettò con poca forza.
-La voglio studiare perché è la cosa che più mi piace- lo sguardo che gli restituì Alessio fu duro, quasi di rimprovero – Riesco ad immaginarmi una vita lavorativa in quel campo, ed è la cosa che più desidero in assoluto-.
Sospirò a fondo, come se fosse lui quello a sentirsi ferito in quel momento:
-Farò qualsiasi cosa, e credimi quando ti dico qualsiasi cosa, per raggiungere il mio obiettivo- disse ancora, gli occhi puntati sulla figura immobile di Pietro – Non credo che tu possa dire la stessa cosa … E credo che tu stia sbagliando-.
Pietro scrollò le spalle: l’unica cosa che voleva era che quella conversazione finisse, che Alessio la smettesse di proiettare su di lui i suoi pensieri, e lo lasciasse in pace.
-È la mia scelta- cercò di parlare con voce ferma, senza sembrare remissivo – Non l’ho presa a caso, ci ho pensato per settimane-.
Per qualche attimo Alessio lo guardò scettico, in silenzio. Sembrava tutt’altro che convinto delle sue parole, ma non sembrava nemmeno intenzionato a contraddirlo oltre.
-Come vuoi- tagliò corto, con un altro sospiro sconfitto.
Anche Pietro si ritrovò a sospirare: non si era aspettato un inizio così bruscamente pessimo per quella serata.
Era uno strano silenzio quello che era calato tra loro da quando avevano smesso di parlare dell’università. Quando erano arrivate le loro pizze non avevano ancora detto una parola, e Pietro cominciava a temere che quell’uscita fosse stata solo un grandissimo errore.
Aveva osservato di sottecchi Alessio più di una volta, riconoscendo lo stesso sguardo rabbuiato che per alcuni momenti aveva avuto anche mentre erano a casa sua, quando gli stava spiegando come mai non fosse stato in giro per tutta la settimana passata.
La conversazione di prima non doveva aver aiutato in alcun modo a rallegrarlo, di questo Pietro era sicuro.
In quei minuti di silenzio sembrava star perdendosi in pensieri distanti, affogati nell’azzurro più cupo e quasi grigio delle iridi.
Pietro rinunciò quasi subito a porgli domande dirette, probabilmente il modo più sicuro per farlo rinchiudere ancor più in se stesso, ma l’apprensione che cominciava a provare non lo stava facendo diventare inquieto a sua volta.
-Stai bene?- si lasciò scappare quella domanda prima ancora di pensare se potesse essere una buona mossa; Alessio fece spallucce, abbassando ancor di più lo sguardo sul suo piatto.
Pietro sospirò, a tratti esasperato, senza aver idea di cosa fare.
-Senti, per prima … - iniziò con fare incerto, ma Alessio lo precedette:
-Lo so che sono stato brusco, però non mi aspettavo una notizia del genere- ammise, parlando velocemente. Pietro lo osservò posare la fetta di pizza che stava addentando, aspettando che tornasse a guardarlo con fare esitante:
-In realtà stavo pensando ad una cosa legata all’università-.
Pietro alzò un sopracciglio, tutt’altro che sicuro di volerlo scoprire subito. Non riusciva nemmeno a formulare una qualche ipotesi su cosa potesse essere la cosa a cui si stava riferendo Alessio, l’espressione in viso troppo pensierosa e corrucciata per lasciar trasparire qualcosa di più.
-Devo preoccuparmi?- azzardò dopo qualche secondo, dopo aver mandato giù un altro boccone di pizza.
Alessio ancora non aveva ripreso a mangiare, limitandosi a picchiettare con i polpastrelli la tovaglia candida.
-Devo ancora entrare nell’ottica che verrai anche tu a Venezia, ma … - si schiarì la voce, alzando finalmente lo sguardo su Pietro – La cosa potrebbe avere un lato positivo-.
Pietro si ritrovò a tirare mentalmente un sospiro di sollievo. Forse Alessio non aveva reagito poi così male alla notizia della sua scelta universitaria – almeno non quanto i primi secondi in cui gliel’aveva detto.
-Ti ascolto- lo incalzò a proseguire, ricambiando il suo sguardo.
-A Venezia gli appartamenti costano parecchio, e anche se avessi la borsa di studio avrei comunque bisogno di un lavoro part-time, visto che non ho intenzione di pesare troppo su mia madre per continuare a studiare- Alessio prese fiato solo alla fine, dopo aver investito Pietro di parole dette fin troppo velocemente.
-E fin qui tutto molto logico ed intuibile- fece lui, annuendo. Alessio non gli aveva mai accennato alla sua ricerca per posti dove andare a vivere a Venezia, ma immaginava che dovesse già averla iniziata: in fin dei conti non mancava più così tanto tempo, e anche lui stesso avrebbe dovuto darsi una mossa.
-Il fatto è che da solo non potrei prendere in affitto neanche un monolocale, a meno che non trovi uno sugar daddy o diventi un rapinatore- Alessio sospirò pesantemente, come se si sentisse stremato al solo pensiero.
-Cos’è uno sugar daddy?-.
Alessio lo guardò con entrambe le sopracciglia alzate, gli occhi azzurri quasi spalancati e un leggero rossore sulle gote:
-Non vuoi davvero saperlo, fidati-.
Pietro decise di seguire quel suggerimento implicito:
-No, forse no- ammise, seppur con ancora un po’ di curiosità rimasta – Comunque so che Nicola e Filippo stanno cercando un appartamento da condividere, ma per ora sono ancora in alto mare-.
Era piuttosto sicuro che questo Alessio lo sapesse già – era capitato più di una volta, nelle loro uscite serali collettive, di beccare loro tre, già pronti alle future avventure veneziane, parlottare tra loro su tutto ciò che avrebbero dovuto fare prima di trasferirsi nella città lagunare-, ma non gli era venuto in mente nulla da dire che non fosse già ovvio.
-Lo so, e anche io lo sono- sospirò Alessio, decidendosi alla fine di allungare le dita verso la fetta di pizza che aveva abbandonato sul piatto – In realtà stavo pensando che visto che verrai anche tu, potremmo cercare un posto insieme. Io e te-.
Se gliel’avesse detto mentre stava bevendo, Pietro era convinto che a quel punto si sarebbe ritrovato a strozzarsi e a sputare tutto. Persino la saliva gli era andata di traverso al sentire quelle parole, credendo quasi di essersele solo immaginate.
Ma per quanto colto alla sprovvista potesse sentirsi, rimanevano pochi dubbi sul fatto che Alessio lo avesse detto davvero: lo stava guardando con una punta di speranza nello sguardo, così diversa da come lo aveva osservato, quasi con ostilità, quando Pietro aveva provato a spiegargli i motivi per i quali aveva scelto di andare a Venezia.
-Io e te?- ripeté Pietro, sentendosi un idiota per chiedere quella conferma – Da soli?-.
Alessio annuì, con cautela:
-Sì, da soli o con altri coinquilini, mal che vada- disse lentamente, la fetta di pizza ancora in mano ma nemmeno morsa – Dipende da quel che si trova. È che già solo in due l’affitto si dimezzerebbe, e piuttosto che pagarne uno intero … -.
Pietro si sforzò di annuire almeno per fargli capire che lo stava ascoltando, nonostante gli occhi sgranati e la testa che continuava a ricordargli che Alessio gli aveva appena chiesto di andare a convivere. Non nel senso stretto del termine, non come una coppia, ma come coinquilini: una convivenza vera e propria, in ogni caso.
Continuava a domandarsi se non fosse un’enorme ed infinita allucinazione uditiva, ma la faccia incerta ed in attesa di Alessio gli dava fiducia.
-Lo so che prima sembravo quasi incazzato che venissi a Venezia, ma non era quello il punto- Alessio si affrettò a proseguire, forse intimorito dal prolungato silenzio di Pietro – E lo so che è un’idea avventata, ma volevo almeno proportela e … -.
-È una buona idea- Pietro cercò di sovrastare il flusso continuo di parole dell’altro, riuscendo a farlo tacere e a guadagnarsi un’occhiata più che sorpresa – Potremmo cercare un posto insieme, sì-.
Vide il viso di Alessio distendersi all’istante, arrivando persino a sorridergli sollevato. Anche Pietro gli sorrise di rimando, lo shock di prima quasi superato.
In fin dei conti sapeva già che sì, quella di Alessio era davvero l’idea migliore che potessero prendere in considerazione, e il fatto che fosse stato l’altro a proporglielo non fece altro che farlo sentire stranamente bene, più leggero. Sarebbe stato strano vederlo praticamente tutti i giorni all’università e a casa, e al pensiero non potè nascondere a se stesso una certa contentezza.
Avrebbe almeno avuto un punto di riferimento costante in un mondo che non conosceva minimamente.


 
Quando Filippo l’aveva trascinata fin lì, continuando a ripetere a voce alta – parlando più a sé stesso che a lei - che di sicuro almeno un tavolo libero lo avrebbero trovato, Giulia aveva continuato a rimanere nel suo nero pessimismo. Come le aveva spiegato lui stesso poco prima di giungere lì, quella in cui stavano andando era una pizzeria famosa, di ottima qualità, e nel pieno centro di Borgo Padano; tutti ottimi motivi, come si era premurata di ricordargli lei, per aspettarsi folla e nessun tavolo libero quel sabato sera.
Appena arrivati davanti alla pizzeria suddetta, vedendo tutti i tavoli esterni già occupati, Giulia si era sentita più che sicura che sarebbero dovuti andare da qualche altra parte. Aveva comunque seguito Filippo quando aveva insistito per controllare anche dentro. Giulia era rimasta quasi sorpresa quando si era resa conto che almeno all’interno del locale vi erano dei tavoli ancora liberi; non erano molti, solo qualcuno, ma tanto bastava per decidere di rimanere.
Erano fermi sulla soglia da pochi secondi, quando Filippo riuscì ad intercettare una cameriera per chiedere quali tavoli non fossero riservati; Giulia continuò a guardarsi intorno, non particolarmente incuriosita o invogliata a rimanere.
Era sul punto di bisbigliare all’altro di lasciar perdere, quando cambiò repentinamente idea: non era cosa comune intravedere, in un momento di puro sconcerto, Pietro seduto ad un tavolo, con quello che con ogni probabilità – riconoscibile pur essendo girato di spalle- doveva essere Alessio.
In fin dei conti doveva riconoscere che anche Filippo, ogni tanto, aveva dei colpi di genio, come suggerire di cenare proprio lì e proprio quella sera.
-Quel tavolo laggiù- Giulia badò poco sull’aver interrotto Filippo, che ancora stava cercando di chiedere quali tavoli per due erano liberi, non perdendo tempo ad indicare un tavolo ancora vuoto non troppo distante da loro, diagonalmente dritto davanti a quello di Pietro ed Alessio – È libero, per caso?-.
La cameriera le rivolse un sorriso gentile:
-Sì, certo. Potete tranquillamente scegliere quello-.
Giulia non attese oltre prima di accomiatarsi da lei con un sorriso di cortesia, afferrando per un braccio uno stordito Filippo, e trascinandolo nella direzione del tavolo agognato.
-Ma non eri tu che volevi cercare un’altra pizzeria giusto due secondi fa?- esclamò del tutto disorientato, non potendo fare altro che seguirla con aria confusa.
-Ci ho ripensato. Mi piace il posto- replicò altrettanto rapidamente Giulia, prima di lasciare il braccio di Filippo, e sedendosi finalmente al tavolo che aveva adocchiato. Era la posizione perfetta, la migliore che potesse chiedere: da lì riusciva a vedere sia Pietro che Alessio con un’ottima visuale.
Filippo le si sedette di fronte, un sopracciglio alzato:
-Si può sapere che ti è preso?-.
Giulia lo ignorò, osservando per qualche secondo gli altri due: dovevano essere lì da molto più tempo di loro, visto che già stavano mangiando. Notò anche il gesticolare un po’ frenetico del biondo, a quanto pare imbarazzato per qualche motivo, e il modo incuriosito in cui Pietro lo guardava, in silenzio, seguito poi da un sorriso rivolto all’altro.
-Devo arrivare fino a cinquanta volte nel ripeterti la stessa domanda, o pensi di rispondermi prima?- la voce non più molto rilassata, e neppure sorpresa, di Filippo la distrasse definitivamente, portandola a osservare il suo ragazzo. La stava guardando truce, forse sentendosi un po’ troppo ignorato per i suoi gusti.
-Ero presa a guardare una cosa- Giulia si limitò a rispondere con calma – O meglio, osservavo qualcuno di nostra conoscenza-.
-Chi? Dove?- Filippo si guardò attorno, senza però direzionare lo sguardo dalla parte giusta.
Giulia fece un cenno con il capo al tavolo degli altri due:
-Laggiù, dietro di te-.
Sentì Filippo lasciarsi andare ad un’esclamazione sorpresa, quando si girò velocemente per notare, finalmente, Pietro ed Alessio. Quando tornò a voltarsi verso Giulia, aveva ancora la stessa espressione meravigliata:
-Che ci fanno qui anche loro?- chiese, stupito.
-Avranno voluto cenare fuori- Giulia alzò le spalle, trattenendo a stento una risata divertita. Sapeva che non era la prima volta per Pietro uscire da solo con Alessio, ma averli sotto gli occhi era tutt’altra cosa dal venirlo a sapere in maniera indiretta.
-Non andiamo a salutarli?- le chiese ancora Filippo, perplesso.
-Magari più tardi- Giulia gli fece l’occhiolino, sperando di convincerlo – Per ora lasciamoli alla loro cena a tu per tu-.



La serata stava procedendo in maniera strana, Pietro era giunto a quella conclusione dopo diversi minuti di silenziosa riflessione.
Sia lui che Alessio avevano da poco finito di mangiare la loro pizza: stavano aspettando di intercettare un cameriere per ordinare il dolce, quando Pietro aveva notato di nuovo l’aria stanca e mesta far capolino negli occhi azzurri dell’altro.
Alessio era ritornato allo stesso mutismo di prima, dopo avergli parlato della loro possibile convivenza. Forse era perché si erano ritrovati entrambi distratti nel finire la propria pizza, ma ora che non stavano più mangiando Alessio stava ancora evitando il suo sguardo.
Era come se stesse tentando disperatamente di non pensare a qualcosa distraendosi con conversazioni amichevoli, senza però riuscire a vincere ciò che lo assillava. Pietro non riusciva davvero a capire cosa potesse essere a torturarlo a quel modo, anche se ormai era sicuro che qualcosa dovesse esserci per forza.
Alessio sospirò frustrato di nuovo, quando per la terza volta non riuscì a farsi notare da un cameriere fermo a qualche tavolo di distanza dal loro. Lo osservò chiudere gli occhi per qualche secondo per il nervoso, scuotendo appena il capo.
Non aveva idea se chiedergli se andava tutto bene sarebbe stata la mossa migliore. Era la stessa domanda che si era posto anche quando erano a casa sua, e che ormai continuava a ripetersi sempre più insistentemente tra sé e sé, senza riuscire nemmeno a formulare un’ipotesi. Doveva essere successo qualcosa in quella settimana in cui Alessio non si era mai fatto vedere in giro: era l’unica semi certezza che aveva.
-Posso dirti una cosa?-.
Pietro si morse il labbro, calcolando che avrebbe avuto solo pochi altri secondi per decidere se rivelargli apertamente i suoi dubbi, o inventarsi qualcosa all’ultimo. Alessio si girò verso di lui lentamente, annuendo:
-Sì, certo- mormorò, il nervosismo già attenuatosi.
Per un attimo Pietro ricordò la giornata piovosa dell’anno prima in cui lui ed Alessio avevano litigato. Si sentiva quasi allo stesso modo, confuso e senza sapere bene come muoversi per non causare danni, ma con la certezza che doveva chiarirsi quel dubbio una volta per tutte.
-Ho un po’ l’impressione che tu abbia la testa altrove- iniziò esitante, pronto a fermarsi alla prima avvisaglia di disagio in Alessio – Come se ci fosse qualcosa a cui pensi sempre, e che ti preoccupa-.
Per i primi secondi dall’altro ricevette come unica risposta il silenzio; osservò Alessio abbassare lo sguardo, rinunciando del tutto ai suoi tentativi di attirare un cameriere al loro tavolo per ordinare ancora.
Pietro fu quasi sul punto di ritrattare e dirgli che non doveva per forza aprirsi con lui, quando Alessio annuì di nuovo, tenendo sempre gli occhi abbassati:
-In parte è così- ammise con un filo di voce.
“Non mi sbagliavo, quindi” si ritrovò a pensare Pietro, con amarezza.
Non cercò di incalzarlo oltre: non aveva nemmeno idea se Alessio volesse davvero parlargliene, oltre ad ammettere che effettivamente c’era qualcosa che non andava. Decise di rimanere in silenzio, senza insistere per non farlo sentire sotto pressione. Era sicuro che, se alla fine avrebbe deciso di dire quel che gli stava succedendo, lo avrebbe fatto senza altre domande.
Era difficile comprendere quel che doveva passargli per la testa in quel momento: non riusciva nemmeno a leggerne l’espressione, gli occhi abbassati sulla tovaglia candida. Doveva essere passato almeno un minuto, prima che Pietro lo avvertisse sospirare profondamente:
-È che ieri, visto che ero a casa a non far nulla, ho fatto la domanda per il test d’ingresso. E pagato anche la tassa d’iscrizione, quindi ora è ufficiale- Alessio continuò a tenere la testa abbassata, gesticolando appena con nervosismo – Manca solo il test. E l’appartamento, ma questo già lo sai-.
-È una buona cosa, no?- tentò Pietro, esitante – È da un anno che aspetti di farlo-.
-Già- annuì Alessio, senza reale entusiasmo.
Per i primi secondi Pietro temette di non aver detto le parole più adatte. Si ritrovò ancor più confuso: non riusciva a capire il nesso che poteva esserci tra quello stato d’animo così inquieto e la realizzazione del suo sogno sempre più vicina.
Passò qualche altro secondo, prima che Alessio si decidesse ad alzare gli occhi su di lui, le braccia incrociate sopra il tavolo e l’aria di essere troppo vulnerabile:
-È passato così tanto tempo che mi sono sentito … - si morse il labbro inferiore, come a cercare le parole giuste – Non lo so neanche io come mi sono sentito. Ho aspettato quel momento per più di un anno, ed ero convinto che una volta essere arrivato a questo punto mi sarei sentito meglio. Ma non è così-.
La voce di Alessio si era fatta meno sicura, e Pietro temette quasi di vederlo scoppiare a piangere.
-La verità è che non è cambiato niente da prima. Non è cambiato niente-.
Più che mettersi a piangere, Alessio si lasciò andare ad una risata amara, priva di qualsiasi sfumatura di divertimento:
-E pensare che questa doveva essere una serata allegra, e la sto rovinando sempre di più- scosse il capo, gli occhi di nuovo puntati altrove e lontani da quelli di Pietro – Devo aver ereditato anche questo da mio padre: rovino sempre qualsiasi cosa che dovrebbe essere bella-.
Alessio si passò una mano in viso, fermandola un attimo a coprirsi gli occhi prima di posarla sul tavolo, nel silenzio che era calato.
Prima ancora di riuscire a formulare un pensiero coerente, prima ancora di decidere cosa dirgli, Pietro allungò una mano a sua volta, toccandogli con i polpastrelli il polso. Alessio non si mosse, e Pietro lo prese come un buon segno: si sporse ancora un po’, fino ad arrivare a cingergli il polso con le dita, in una presa gentile.
-Questo non è vero, e non stai rovinando niente- mormorò, a mezza voce – Preferisco essere qui con te stasera che essere in qualsiasi altro posto con chiunque altro-.
Si sentì spaventato nel realizzare che credeva davvero in ciò che aveva detto, e si sentì anche sollevato: forse non avrebbe mai trovato le parole giuste per consolarlo, ma avrebbe potuto perlomeno ascoltarlo e farlo sentire meno solo. Era convinto che fosse quello ciò di cui Alessio aveva bisogno in quel momento: qualcuno che lo ascoltasse, senza giudicarlo troppo debole, troppo codardo, o troppo fragile.
Ascoltarlo mentre buttava fuori quello che ancora si teneva dentro.
-Voglio esserci anche in momento come questo. Se ne vuoi parlare, io sono qui - sussurrò Pietro, i polpastrelli che delicatamente erano arrivati ad accarezzare il dorso della mano di Alessio – Sono qui-.
Non si aspettava una risposta immediata. Forse non si aspettava nemmeno che Alessio riuscisse a parlare sul serio – ricordava fin troppo bene tutte le volte in cui Caterina aveva raccontato i suoi tentativi di allontanarla, piuttosto che aprirsi e lasciar scivolare fuori tutto il dolore che poteva pesargli addosso.
Si limitò a continuare ad accarezzargli la mano in movimenti circolari talmente lenti da rischiare quasi di fermarsi, i polpastrelli che scivolavano appena sulla pelle liscia.
Lo sguardo di Alessio dardeggiava incerto in direzioni lontane dal viso di Pietro; quel particolare lo faceva sembrare ancor più fragile di quando, qualche mese prima, si erano finalmente chiariti. Era un contrasto che in Alessio era sempre stato lampante, si ritrovò a pensare Pietro: riusciva a definirlo forte e vulnerabile allo stesso tempo, come se due aspetti così distanti tra loro fossero, nel suo caso, inscindibili, senza che nessuno dei due prevalesse davvero.
Sapeva che avrebbe dovuto aspettare, prima di vederlo aprirsi. E forse neanche allora avrebbe deciso di farlo.
Quando dopo alcuni minuti Alessio sembrò prendere coraggio e riportare gli occhi su di lui, Pietro intuì che doveva essere giunto ad una decisione.
-Un po’ mi fa strano pensare di ripercorrere la strada di mio padre- lo sentì mormorare, appena udibile sopra il chiacchiericcio proveniente dai tavoli intorno al loro – Quando anni fa avevo realizzato per la prima volta questa cosa, speravo non avrebbe cominciato a paragonarmi troppo a se stesso-.
-E l’ha fatto?- tentò Pietro, con cautela.
Alessio fece uno sbuffo leggero:
-Diciamo che non ha mai approvato. Ha sempre cercato di farmi cambiare idea … Forse pensava non fossi all’altezza. Non alla sua, almeno-.
Chiuse gli occhi come se stesse rivivendo troppo vividamente quegli stessi momenti appena riportati alla memoria, nel mero tentativo di affogarli di nuovo nel passato. Strinse a pugno la mano poggiata sul tavolo, ma senza sottrarla al tocco di Pietro.
-Non è che abbiamo mai avuto un gran rapporto- sussurrò ancora – Forse quando ero molto più piccolo, ma anche di quegli anni non ho ricordi molto felici. Ha sempre avuto un modo … Un modo diverso di porsi verso chiunque. Come se cercasse sempre di ferire gli altri, anche dicendo le cose più banali, magari anche senza volerlo davvero-.
Il tono atono con cui Alessio aveva appena parlato fece supporre a Pietro, per un solo momento, che il dolore di quegli anni doveva essersi almeno in parte attenuato. Capì di sbagliarsi quasi subito: forse era proprio nel modo così distaccato di Alessio nel parlarne che lasciava trasparire quanto in realtà si sentisse ferito ancora, anche in quel momento.
-Era così anche poco prima di andarsene?-.
Alessio scosse il capo debolmente:
-Non proprio, in realtà. Non sempre, almeno- sospirò.
Pietro non aveva idea se avesse già parlato di quei mesi con qualcun altro, forse con Caterina. Ne dubitava, non quando parlarne dopo più di anno gli era ancora così difficile.
-Qualche mese prima di andarsene era spesso per i cazzi suoi- continuò Alessio, un sorriso amaro sulle labbra – Forse pensava a qualche sua storiella fuori casa. O magari era troppo impegnato a progettare quando andarsene-.
Corrugò la fronte, come se stesse cercando di concentrarsi al massimo per essere il più preciso possibile:
-In altri momenti, invece, era sempre teso. Scattava per ogni cosa, litigava in continuazione con mia madre, mi scoraggiava sulla scelta universitaria, ignorava mia sorella- disse ancora, velocemente – Cercavo di stare il più tempo possibile da qualche altra parte. Odiavo stare in casa in quei mesi, più del solito-.
Alessio si bloccò di colpo, ritraendo di scatto la mano e sottraendola alle dita di Pietro. Abbassò anche lo sguardo, le mani probabilmente giunte in grembo a torturarsi l’una con l’altra, in difficoltà.
Pietro si chiese se l’aveva spinto troppo oltre: era come osservare ogni passaggio che portava Alessio a richiudersi di nuovo in se stesso, visibile anche nella curva delle spalle come se volesse rimpicciolire fino a sparire.
Aveva l’impressione che gli avrebbe visto gli occhi lucidi, se solo avesse deciso di rialzarli, e per un attimo ebbe la tentazione di alzarsi dalla sua sedia, fare il giro del tavolo e arrivargli di fronte per abbracciarlo. Si costrinse a rimanere fermo solo quando, dopo diversi minuti, Alessio riprese pian piano a parlare:
-Non ho fatto nulla per cercare di cambiare le cose. Scappavo e basta- mormorò con voce rotta – E poi è successo quel che è successo-.
-Non avresti potuto fare nulla- Pietro si morse il labbro, consapevole che quella verità sarebbe stata dolorosa. Era convinto, però, che in fondo anche Alessio lo sapesse, al di là del senso di colpa.
-Visto come lo descrivi, credi davvero che ti avrebbe ascoltato?- continuò ancora – Non credo avessi molte possibilità. Probabilmente non voleva essere fermato-.
-Probabilmente no- Alessio annuì piano, con poca forza e poca convinzione.
Quando alzò finalmente il viso, non cercò di nascondere le lacrime ferme agli angoli degli occhi, non ancora cadute a rigargli il viso.
Pietro avvertì una stretta al cuore, ma rimase di nuovo fermo, di nuovo in silenzio.
-A volte penso che mi porterò dietro questa cosa per tutta la vita-.
Lo sguardo vuoto che Alessio gli rivolse gli fece capire quanto davvero credeva in quel che stava dicendo.
-Ci abbiamo rimesso tutti per colpa sua, e non è solo questione di aver rimandato l’università- sospirò ancora, scuotendo appena il capo – Gli unici ricordi recenti che ho di lui sono solo pieni di rancore e di rabbia. E anche se ora va meglio non se ne andranno, rimarranno sempre lì. Sto cercando di andare avanti con la mia vita, ma è come se una parte di me fosse sempre ferma al giorno in cui se n’è andato-.
Si schiarì la voce, a disagio, una mano passata velocemente sugli occhi come per scacciare le lacrime rimaste ferme.
-Penso che avrei voluto un padre diverso, e se lo fosse stato probabilmente ora sarebbe tutto migliore. Anche io sarei una persona migliore. Magari lo sarei anche solo provando a dimenticare tutto, fare finta che lui non sia mai esistito-.
Pietro si accorse di avere a sua volta la vista offuscata a causa delle lacrime non ancora cadute.
Forse non condivideva le stesse esperienze di Alessio, lo stesso passato difficile che ancora non riusciva a togliersi di dosso, ma poteva sentire su di sé il dolore con cui aveva parlato, con cui si era espresso.
S’immaginò Alessio bambino, rifiutato dal suo stesso padre: né una parola di conforto, né un abbraccio, né il minimo gesto che sarebbe potuto servire a dimostrargli un po’ d’affetto e un po’ meno il rifiuto.
Dovevano essere ricordi che avevano accompagnato Alessio per tutta la vita, che nel bene e nel male l’avevano reso quel che era ora. Lo ferì pensare che Alessio si considerasse così poco, in maniera così spregevole rispetto a come, invece, riusciva a vederlo lui.
-Pensi davvero che fare finta che tuo padre non se ne sia mai andato sia la soluzione più semplice?- mormorò, rendendosi conto di avere a sua volta la voce tremante – Dimenticandoti di lui, e di tutto quello che ci va dietro, ti dimenticheresti anche di te stesso. Perché tutto quello che hai passato è anche parte di te, ormai-.
Non era sicuro di essersi spiegato nel migliore dei modi, e sperò che Alessio non lo fraintendesse.
-Ognuno di noi diventa quel che è a causa di ciò che viviamo, e per come la vedo oggi sei diventato forte a sufficienza per andare avanti senza dover guardarti indietro e rimproverarti qualcosa- continuò ancora, sporgendosi appena nella direzione dell’altro – Sei molto più di quello che credi di essere-.
Alessio lo guardò in un modo che fece quasi pensare a Pietro che volesse davvero credere a ciò che gli stava dicendo, senza però trovarvi reale consolazione:
-Non credo di essere così forte come dici tu- mormorò a mezza voce, a malapena udibili.
-Sì, che lo sei. Però voler dimenticare tutto sarebbe stupido-.
Pietro lottò davvero contro la tentazione di alzarsi e andargli di fronte, prendergli il viso tra le mani per costringerlo a non abbassare di nuovo gli occhi.
-Ricordati chi sei, cosa ti ha portato fino a qui, ed accettalo. Cercare di relegare in qualche angolo remoto della tua mente quello che è già successo, magari chiedendoti come sarebbe andata se avessi agito diversamente, non serve più a nulla- Pietro si stupì quasi di sé stesso: non credeva davvero che avrebbe trovato sia il coraggio sia il modo migliore per dire simili parole – Ormai è … Passato-.
Alessio sbuffò piano, senza forza:
-E continua a fare male-.
Pietro annuì, conscio di sapere esattamente cosa volesse dire quella sensazione.
-Oh sì, il passato può fare male- sussurrò piano, più a se stesso che non ad Alessio. Per un attimo ricordò tutto ciò che aveva fatto nel tentativo di mettere in cattiva luce Giulia nei confronti di Filippo, fino ad arrivare quasi a perderlo. Erano esperienze diverse, ma sapeva di poter affermare quelle parole con un fondo di verità.
-Ma a mio modo di vedere, dal passato puoi scappare, oppure imparare qualcosa- continuò ancora, con più energia – E forse non te ne rendi ancora conto, ma credo che tu abbia già iniziato a reagire. Hai trovato un lavoro temporaneo che però ti piace e che ti ha dato qualche guadagno, ti iscriverai all’università che desideravi, e riesci a parlare di quello che ti è successo senza più nasconderti. Il dolore serve anche a crescere … E non va dimenticato anche solo per questo-.
Alessio non disse nulla: rimase a fissarlo per secondi interminabili, gli occhi azzurri ancora velati da lacrime che, alla fine, non erano scese.
Per un attimo Pietro desiderò sapere cosa stesse pensando in quel momento: se le sue parole le aveva trovate inutili, se era d’accordo o se lo considerava un idiota. Se cominciava a sentirsi meglio dopo quello sfogo, o se si stava pentendo amaramente di essersi aperto così tanto con lui.
Non gli fece alcuna domanda, limitandosi ad aspettare che fosse Alessio il primo ad agire. Non sapeva nemmeno quanto tempo era passato, prima che lo sentisse mormorare un quasi silenzioso “grazie”.
Bastò quella parola a rasserenare Pietro e a sorridergli, rendendosi conto che forse, in fondo, non tutte le sue parole erano state inutili.
 
*
 
-Le mie orecchie potrebbero cominciare a sanguinare- sbuffò Pietro, accomodandosi meglio contro lo schienale della sedia.
Sentì Alessio ridere debolmente alle sue lamentele, senza aggiungere nulla. A Pietro bastò: in fin dei conti era già qualcosa essere riuscito a farlo ridere almeno per pochissimi secondi.
Era passata quasi mezz’ora da quando avevano finito di parlare di suo padre, una mezz’ora in cui Alessio aveva parlato poco, senza che però Pietro se ne sorprendesse troppo. Non si era aspettato nulla di diverso, non dopo averlo ascoltato mettersi a nudo come mai aveva fatto con lui.
L’atmosfera si era alleggerita grazie al dolce che erano finalmente riusciti ad ordinare – dopo altri cinque tentativi andati a vuoto di chiamare un cameriere-, e al caffè che era stato loro appena portato.
E poi c’era il karaoke, la vera attrazione della serata, che era partito da pochi minuti, annunciato da una cameriera che aveva poi accompagnato ai microfoni la prima coppia che aveva voluto cimentarsi. Pietro si era persino sentito sollevato: aveva la sensazione che, anche in minima parte, ascoltare gente che provava a cantare – stonando, il più delle volte- Alessio si sarebbe distratto almeno un po’. O avrebbe riso, principalmente dei suoi commenti al vetriolo.
Pietro sbuffò di nuovo, sentendo l’ennesima stonatura. Odiava il karaoke, lo odiava con tutto se stesso – che senso aveva mettersi in ridicolo provando a cantare, pur sapendo di non avere alcuna possibilità di fare bella figura?-, ma vedendo l’attenzione che Alessio invece ci stava rivolgendo, provò quasi una sensazione di contentezza. Preferiva definitivamente restare lì a distruggersi l’udito ma osservando Alessio totalmente rapito, piuttosto che vederlo ancora perso in chissà quali pensieri malinconici. Vi poteva scorgere ancora un velo di sofferenza nello sguardo, così contrapposto alla risata timida che gli era appena sfuggita.
La prima coppia lasciò posto ad un’altra, due amiche che non dovevano avere più di quattordici anni che, con notevole sorpresa di Pietro, optarono per una canzone inglese dei primi anni Novanta.
Non arrancavano troppo, nel cantare, ma non erano nemmeno eccelse; Pietro strizzò gli occhi addolorato, nel sentirle stonare malissimo l’inizio del ritornello.
-Un testo dei Cure così bistrattato … - mormorò, scuotendo la testa – Non ci posso credere-.
Alessio si voltò verso di lui brevemente, lanciandogli un esitante sorriso di sfida:
-Tu credi che faresti meglio?-.
Pietro lo guardò con un sopracciglio alzato, le braccia incrociate contro il petto e totalmente pronto ad accettare la sfida:
-“Monday you can hold your head, Tuesday, Wednesday stay in bed, or Thursday watch the walls instead … It's Friday, I'm in love” *- canticchiò a mezza voce seguendo il ritmo della canzone, strizzando gli occhi per riuscire a leggere in lontananza il testo che compariva man mano sullo schermo a muro davanti ai microfoni, non del tutto convinto di ricordare perfettamente tutte le parole.
Alessio rise di nuovo, ed anche se Pietro si era reso conto di non aver fatto una figura tanto migliore delle due ragazzine, sorrise a sua volta.
-Ma come sei bravo- Alessio lo prese teneramente in giro – Il prossimo Michael Jackson-.
-Sta zitto- Pietro sbuffò di nuovo, fintamente offeso – Non tutti fanno i cantanti come te-.
Notò Alessio arrossire appena a quella specie di complimento non del tutto voluto. Con sommo sollievo di Pietro, però, non disse altro, limitandosi a tornare a concentrare la sua attenzione verso il karaoke.
La canzone terminò qualche minuto dopo; le due ragazzine ricevettero qualche applauso dai pochi clienti seduti ai tavoli che avevano seguito l’esibizione, accompagnandole fino a quando non si risedettero a loro volta. Pietro fece appena in tempo a sperare che, stavolta, fosse il turno di qualcuno un po’ più intonato: il posto vacante venne preso da un trio di ragazze, probabilmente coetanee delle precedenti, che già ridevano tra loro prima ancora di raggiungere i microfoni.
Sbuffò appena, prima di dedicarsi finalmente al caffè che lo stava ancora aspettando. Non ricordava nemmeno più se lo aveva già zuccherato, ma nel dubbio afferrò una bustina di zucchero per versarne il contenuto. Quando finì di mescolare portò la tazzina alle labbra, il liquido ormai poco più che tiepido che gli rese la bocca amara, ancora troppo poco addolcito.
La canzone che partì, dopo appena un minuto, era un’altra che Pietro conosceva. Anche stavolta le concorrenti non sembravano molto in vena di un canto intonato, ma stavolta riuscì a farci un po’ meno caso, mentre riappoggiava la tazzina sul tavolo distrattamente senza staccare gli occhi dalla zona del karaoke.
-“Ti sento nel mezzo di una strofa, di un pezzo che era loffio, ed ora non lo è più” **- si ritrovò a canticchiare a bassa voce quasi senza accorgersene, facendo uno sforzo per ricordare le parole giuste.
Ebbe la sensazione di essere osservato, e quando dopo alcuni secondi si girò verso Alessio, si rese conto di non essersi sbagliato: lo stava fissando con un mezzo sorriso stampato sul viso, e con l’aria piena di aspettativa.
-Allora?- gli chiese subito, non appena Pietro incrociò il suo sguardo – Queste hanno l’x factor o no?-.
Pietro fece finta di guardarlo male, in realtà del tutto sorpreso di vederlo così preso bene nell’attesa di un qualche altro suo lamento. Non aveva avuto alcuna intenzione di parlare, non durante quella canzone, ma la sola idea di farlo e distrarre ulteriormente Alessio, magari anche divertirlo, gli fece cambiare idea subito.
-Non andrebbero bene neanche per il coro della chiesa di paese- affermò senza alcuna esitazione, sentendosi sciogliere di fronte al suono cristallino della risata sommessa dell’altro.
-Sei troppo duro con i giudizi- lo riprese Alessio, scuotendo il capo – Tu saresti allo stesso livello, se non peggio-.
Pietro alzò un sopracciglio:
-Tu credi?- gli chiese con aria di sfida, toccato sul personale – Scommettiamo invece che me la caverei benissimo?-.
Alessio lo guardò spaesato e confuso per alcuni secondi, prima di decidersi ad aprire bocca:
-Hai per caso cambiato idea? Non dirmi che ti vuoi esibire con me-.
Anche se dal tono poteva capire che era solo una provocazione ironica, Pietro si prese qualche secondo per pensare.
Ricordava perfettamente di aver messo in chiaro, sin da quando erano arrivati, che non si sarebbe mai prestato al karaoke – nemmeno sotto tortura, per nessun motivo al mondo-, ma si stava rendendo conto che quella convinzione stava pian piano iniziando a vacillare. 
Era sicuro che se avessero partecipato Alessio si sarebbe divertito, o che perlomeno avrebbe lasciato da parte almeno per un po’ tutto ciò che lo aveva fatto arrivare ad un passo dal crollo solo mezz’ora prima.
Scacciare almeno temporaneamente l’amara tristezza che gli velava gli occhi: anche se nell’imbarazzo più totale, mettendosi alla berlina e andando consapevolmente di fronte ad una figura epocale pessima, Pietro
si rese conto che avrebbe fatto davvero di tutto per distrarlo almeno un po’.
Anche una delle cose che odiava di più al mondo.
E in fin dei conti lì dentro non lo conosceva nessuno: avrebbero forse riso di lui per qualche minuto, prima di dimenticarsene del tutto.
Puntò gli occhi su Alessio, nel momento in cui la canzone che stava venendo cantata in quel momento si avviava inevitabilmente alla fine. Lo vide osservarlo in attesa, a tratti confuso, e sapeva già che in pochi secondi quell’espressione si sarebbe trasformata in una di incredulità pazzesca.
-Può darsi-.
 


-Vogliamo prendere un dolce?-.
Giulia sobbalzò appena all’improvvisa domanda di Filippo. Erano rimasti in un silenzio confortevole per alcuni minuti, durante i quali non aveva fatto altro che dirigere il proprio sguardo verso un certo tavolo vicino al loro.
Anche se non l’aveva riferito a Filippo, si era ritrovata a tratti in apprensione nel notare l’espressione tutt’altro che serena che Pietro aveva avuto per parecchi minuti, una mezz’ora prima. Non aveva idea se lo stesso potesse valere anche per Alessio, voltato di spalle e con il volto a lei celato, ma aveva la sensazione che fosse una cosa reciproca.
Aveva quasi pensato fossero finiti per litigare nuovamente – in maniera decisamente più tragica di quella dell’anno precedente-, ma quando aveva notato nessuno dei due provare ad allontanarsi ed andarsene, si era in un qualche modo tranquillizzata. Non aveva ancora idea di che cosa potessero aver discusso, ma non sembrava motivo di divisioni.
Di certo non credeva di aver mai visto Pietro così attento e così provato nell’ascoltare qualcuno, la sofferenza particolarmente visibile sul suo volto ed uno sguardo tremendamente diverso da quello che rivolgeva a chiunque altro. Dolore che, fortunatamente, aveva visto dissolversi pian piano. Quando nei pochi minuti di silenzio tra lei e Filippo era tornata ad osservarli, aveva colto il sorriso di Pietro: aveva tirato un sospiro di sollievo tra sé e sé, sperando che, pur non vedendolo, anche Alessio stesse facendo lo stesso.
-Potrei starci- borbottò infine, afferrando l’unico menu rimasto al loro tavolo – Vediamo che hanno-.
Abbassò lo sguardo per leggere le opzioni sotto la voce dei dolci, muovendo la testa a ritmo della canzone che stavano quasi finendo di cantare al karaoke. Non si era nemmeno accorta subito, quando lei e Filippo erano entrati lì, della possibilità di cantare, ma ne era rimasta piacevolmente sorpresa, quasi tentata di provare una volta finita la cena.
Finì di leggere nello stesso momento in cui la musica terminò di risuonare tra le pareti della pizzeria; Giulia rialzò lo sguardo già decisa su cos’altro ordinare, andando a fermarsi brevemente sul tavolo di Pietro e Alessio, e sgranando gli occhi all’istante.
Li osservò alzarsi entrambi, Alessio ora visibile anche in viso e sorridente, a tratti divertito e totalmente contrapposto a Pietro, che sembrava oscillare tra lo sguardo che emanava disperazione e un ghigno di sfida. Non capì se stavano per andarsene fino a quando, pochi secondi dopo, non li vide dirigersi inequivocabilmente verso la zona del karaoke, dove i microfoni erano appena stati lasciati liberi.
-Oddio- mormorò tra sé e sé, l’eccitazione che cominciava a farsi visibile – Filippo, girati-.
Filippo alzò a malapena gli occhi dal menu che Giulia aveva posato pochi secondi prima, rivolgendole uno sguardo confuso:
-Cosa?- le chiese, un secondo prima che Giulia alzasse un braccio per indicargli con un dito la direzione in cui avrebbe dovuto voltarsi.
-Stanno andando al karaoke- ripeté con frenesia – Pietro e Alessio stanno andando al karaoke-.
Filippo rinunciò finalmente alla lettura del menu, girandosi nella direzione che Giulia gli stava indicando; restò in quella posizione per alcuni attimi, prima di tornare a voltarsi verso di lei sorpreso:
-Pensi che si esibiranno?-.
-Non avrebbero altri motivi per andare lì- disse, nello stesso momento in cui Pietro ed Alessio avevano finalmente raggiunto il tavolino dove era poggiato l’elenco di tutte le canzoni tra cui scegliere. Si chiese di chi potesse essere stata l’idea, anche se di primo acchito era piuttosto sicura di poter puntare su Alessio.
-Se canteranno male saranno ancor più felici di vederci, quando andremo a salutarli- mormorò Filippo con divertita ironia, soffocando una risata.
-Non importa- tagliò corto Giulia – Hai avuto un’idea geniale a suggerire questo posto. Non mi perderei i prossimi minuti per nulla al mondo-.
Si sistemò comodamente sulla propria sedia, accompagnata da un’altra risata di Filippo; aveva una visuale perfetta, e sapeva già che, almeno per i prossimi cinque minuti, nulla avrebbe potuto distrarla da quel che sarebbe successo in quell’area della pizzeria.


 
-Hai trovato qualcosa che ti ispira a sufficienza?- Alessio gli lanciò un’occhiata di sfida, già aspettandosi da Pietro una risposta con lo stesso tono.
Udì l’altro sbuffare appena, continuando a girare le pagine del blocco di fogli su cui erano riportate tutte le canzoni che potevano cantare. Alessio era rimasto stupito dalla vasta scelta che potevano avere: era sicuro che, alla fine, avrebbero trovato qualcosa che faceva al caso loro.
-Non ancora- mormorò Pietro, rosso in viso – Forse dovresti scegliere tu-.
Alessio si limitò ad annuire, decidendo di tenere qualsiasi commento vagamente derisorio o sarcastico per dopo, quando avrebbero finito di cantare. Sapeva che Pietro si era trascinato lì solo per lui, anche se non l’aveva detto a voce e non l’avrebbe nemmeno mai ammesso: gliene era riconoscente, anche se questo non lo avrebbe fermato dal prenderlo teneramente in giro quando la loro esibizione sarebbe terminata.
Prese tra le mani i fogli che Pietro gli stava porgendo, cominciando subito a leggere i tantissimi titoli riportati. C’era davvero fin troppa scelta, talmente tanta che rimase disorientato per i primi secondi, non ben deciso su quale puntare. Girò pagina, iniziando di nuovo a scorrere con gli occhi i nomi delle canzoni; era quasi arrivato alla fine quando, finalmente, si soffermò su una in particolare.
-L’ho trovata-.
-La conosco?- gli chiese Pietro, che era rimasto in religioso silenzio fino a quel momento, prima di decidere di sporgersi per leggere il titolo indicato da Alessio, senza aspettare la sua risposta.
-Non credo- rispose lui, alzando le spalle – Ti toccherà improvvisare. Ed è pure un duetto, quindi dovrai cantare da solo per buona parte del testo … Finalmente mostrerai le tue grandi doti canore-.
L’occhiata di puro terrore che gli rivolse l’altro, non appena dette quelle parole, rischiò di farlo soffocare dal troppo ridere.
Si avvicinarono ai microfoni dopo qualche attimo, Pietro già provando a smanettare con il telecomando che serviva per trovare il video giusto del testo da far mandare sullo schermo.
Ci mise poco, con sorpresa di Alessio: per essere in preda all’agitazione, si ritrovò a pensare, era piuttosto efficiente. Forse lo sarebbe stato anche nel cantare.
-Pronto?- Pietro si girò verso di lui, dopo essersi posizionato dietro il suo microfono. L’annuire di Alessio fu l’unica risposta che ricevette, prima di far partire la base della canzone.
 
Well, there’s three versions of this story
Mine, yours, and then the truth***
 
Pietro iniziò a cantare con voce insicura, in un poco più di un sussurro. Alessio dovette sforzarsi per soffocare una risata, limitandosi a sorridere sotto i baffi e abbassando gli occhi per concentrarsi sul non ridere. Aveva già sbagliato tono con cui cantare quei primi due versi, ma cercò di lasciar perdere quei dettagli tecnici – non si aspettava davvero che Pietro azzeccasse tutto subito-; ammise, però, che la voce di Pietro non era poi così male, se solo fosse riuscito a trovare abbastanza confidenza in se stesso per smettere di sussurrare.
Quando toccò a lui, Alessio cantò quasi senza pensarci. Gli venne facile – almeno più facile che a Pietro- avvicinare la bocca al microfono per riuscire a farsi sentire dal resto del locale, e a non pensare a tutta la gente che c’era alle loro spalle. Era solo questione di abitudine, ormai.
Ebbe solo qualche secondo di tempo per pensare, mentre intonava le ultime parole, che la sua voce si mischiava bene a quella dell’altro, un po’ più rauca e più grezza della sua; era un binomio che trovava gradevole, nonostante tutto.
 
Out of some sentimental gain
I wanted you to feel my pain
But it came back return to sender
 
Pietro sembrò un po’ più sicuro di sé, quando attaccò a cantare i versi che toccavano a lui. Aveva alzato un po’ la voce, anche se rimaneva ben lungi dall’azzeccare la chiave giusta.
Era arrivato al secondo verso, quando Alessio l’aveva visto girarsi brevemente verso di lui. Non riuscì a capire se fosse alla ricerca di un po’ di incoraggiamento, o un tentativo di controllare che stesse bene, e che non ci fosse qualche sorta di pentimento ad animarlo in quel momento.
Con quel dubbio in mente, Alessio si limitò a sorridergli di rimando, facendogli un cenno con il capo di girarsi verso lo schermo per poter leggere l’ultimo verso, prima che fosse troppo tardi. Troppo tardi lo fu davvero, ma Pietro non sembrò farci nemmeno caso.
 
I read your mind and tried to call
My tears could fill the Albert Hall
It this the sound of sweet surrender?
 
Alessio si ritrovò a sua volta un po’ in ritardo sull’attacco, ma decise di prenderla alla leggera: non stava lavorando al Babylon, non era una serata in cui doveva essere pagato per cantare bene e offrire un buono spettacolo. Era lì solo perché, in un certo senso, Pietro lo aveva convinto a farlo – quasi rise ironicamente al pensiero di come si erano scambiati i ruoli-, probabilmente in un tentativo di tirargli su il morale.
Era lì nonostante nemmeno un’ora prima fosse stato sul punto di scoppiare in lacrime – un po’ come stavano dicendo i versi che doveva cercare di intonare- per l’ennesima volta sempre per lo stesso motivo. Era strano pensare di averlo fatto davanti a Pietro – con Pietro-, strano ed imbarazzante quanto liberatorio.
Chiuse gli occhi per brevissimi istanti, cercando di immedesimarsi nelle parole che doveva cantare, andando a memoria e rischiando anche di pronunciare le parole sbagliate.
Alzò le palpebre giusto in tempo per riprendere fiato e prepararsi al primo ritornello. Si voltò automaticamente verso Pietro, che già lo stava osservando con attenzione. Non si era sbagliato nel pensare che le loro voci, per quanto diverse, fossero armoniose insieme: il ritornello fu, almeno fino a quel punto, la parte che rese Alessio più soddisfatto della loro esibizione.
Prese finalmente fiato quando, alla successiva strofa, dovette continuare Pietro a cantare. Gli sorrise di nuovo, seppur più timidamente, e per un così breve attimo che gli fece sospettare che Pietro non l’avesse neppure notato davvero.
 
I wrote a letter in my mind
But the words was so unkind
About a man I can’t remember
 
Alessio si mise di nuovo silenzioso, dopo aver cantato i suoi tre versi, lasciando di nuovo spazio a Pietro. Si aspettava già che, una volta tornati al loro tavolo, si sarebbe lamentato con lui in ogni lingua possibile per aver scelto un duetto e averlo costretto a cantare da solo.
Sorrise divertito tra sé e sé al pensiero, e sorrise ancor di più rendendosi conto che, qualunque fosse stato il vero motivo per cui Pietro si era prestato al karaoke, stava sortendo gli effetti probabilmente sperati. Sentiva i ricordi della loro conversazione di prima allontanarsi pian piano, quasi fosse stata un sogno i cui contorni, dopo il risveglio, stavano cominciando a sfumare inevitabilmente.
Vide Pietro di nuovo girarsi verso di lui, rischiando nuovamente di perdere il filo, ma probabilmente fregandosene. Nonostante tutto aveva un’espressione concentrata, come se si stesse sforzando davvero di mettercela tutta per non essere così pessimo.
 
Words come easy when they’re true
Words come easy when they’re true
 
Il secondo ritornello andò meglio del primo; avevano quasi del tutto rinunciato a seguire attentamente le parole lampeggianti sullo schermo a muro, Alessio che ormai non si stupiva nemmeno più di vedere Pietro girarsi nella sua direzione così spesso. Lo fece anche al momento del bridge: Alessio si ritrovò ad un passo da una risata quando, perdendo completamente il filo della frase, Pietro armonizzò semplicemente con la voce e senza pronunciare una parola che fosse una.
 
What a shame we never listened
I told you through the television
And all that went away was the price we paid
People spend a lifetime this way
Oh, what a shame
 
Alessio si lasciò andare completamente, l’ossigeno che ormai scarseggiava e le corde vocali provate per la mancanza del consueto riscaldamento. Quando arrivarono alla fine della canzone, però, non riuscì a non provare un’euforia che non si sarebbe aspettato, non dopo la piega che aveva cominciato a prendere quella serata.
Abbassò finalmente le braccia che, durante quegli ultimi versi, aveva preso a muovere a ritmo della canzone; era stato buffo come, senza nemmeno doversi mettere d’accordo per farlo, Pietro avesse iniziato a sua volta praticamente in sincrono.
Si rese conto di aver finito per davvero quando, dopo pochi secondi che la base aveva terminato di risuonare tra le mura della pizzeria, erano partiti diversi applausi dai tavoli occupati. Alessio esitò qualche secondo prima di voltarsi, rendendosi conto di essere arrossito – cosa piuttosto insolita, visto che ormai non faceva nemmeno più caso al pubblico presente alle sue esibizioni al Babylon-, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa fu Pietro a raggiungerlo. Lo percepì a fianco a sé ancor prima di alzare lo sguardo verso di lui, trovandolo con il volto arrossato per lo sforzo appena fatto.
-Credo di aver appena perso un polmone- bisbigliò a bassissima voce – O forse anche entrambi-.
-Se vuoi diventare il nuovo Freddie Mercury hai ancora parecchia strada di fronte a te- Alessio lo prese in giro subito, senza nemmeno nascondere il divertimento che lo stava animando.
-Credo che lascerò il posto a qualcun altro- sbuffò Pietro, prima di fare qualche passo lontano dai microfoni.
Alessio lo imitò, seppur a malincuore: voltarsi di colpo, e ritrovandosi un’intera pizzeria affollata di fronte fu un po’ come tornare alla realtà, rendendosi conto di quanta gente li aveva appena ascoltati. Lasciò lo sguardo dardeggiare qua e là, seppur furtivamente. E sobbalzò per un secondo, quando gli sembrò di distinguere Giulia, seduta ad un tavolo in fondo alla sala, ad applaudirli.
Scrollò le spalle un attimo dopo, chiedendosi se ora ci si dovevano aggiungere pure le allucinazioni. Era ovvio che non poteva essere Giulia. Doveva semplicemente aver visto male.
 


-Credo che mi verrà mal di gola-.
Avevano appena fatto in tempo ad arrivare al loro tavolo e sedersi, prima che Pietro si lasciasse andare ad un’espressione di pura disperazione. Si toccò la gola dolorante con le dita, non del tutto sicuro di star esagerando: senza cantare nel modo corretto, e sforzandosi quando non avrebbe dovuto, era piuttosto certo di aver fatto qualche danno temporaneo.
Alessio, di nuovo seduto di fronte a lui, ridacchiò:
-Bevi un po’ e vedrai che ti passerà tra poco- gli disse, avvicinandogli la sua bottiglia d’acqua, ormai quasi finita, che aveva ordinato per se stesso per la cena.
Pietro non se lo fece ripetere due volte, e dopo aver bevuto un bicchiere abbondante dovette ammettere di stare già meglio. Si sentiva ancora un po’ disorientato, la testa che gli girava lievemente; invidiò profondamente Alessio, che invece non sembrava minimamente affaticato, cosa piuttosto ovvia visto che era abituato a cantare ben più di una canzone alla volta.
-Pensavo sarebbe andata peggio, comunque- mormorò, riempiendo di nuovo il bicchiere e svuotando del tutto la bottiglia – Non siamo stati così male-.
Era effettivamente soddisfatto di quel che avevano fatto. Per quanto odiasse il karaoke, e per quanto l’avesse fatto unicamente per Alessio, non poteva nascondere una punta di divertimento al ricordo di quei pochi minuti. E non poteva nemmeno scordare il fatto che il suo tentativo di distrare Alessio sembrava aver funzionato.
-Diciamo che qualcuno a caso ha salvato un po’ la situazione- gli dette corda Alessio, lanciandogli un ghigno malizioso – Qualcuno tipo io-.
Pietro lo guardò con delusione:
-Ehi, ce l’ho messa tutta per … -.
Le parole gli morirono in gola quando, in un momento in cui credette di avere un’allucinazione, vide qualcuno avvicinarsi alle spalle di Alessio. Qualcuno dal volto fin troppo famigliare per pensare che fosse solo frutto di fantasia.
-Che diavolo ci fai tu qui?- Pietro non riuscì a trattenere un moto di terrore quando, dopo qualche altro attimo, Giulia arrivò finalmente vicino al loro tavolo. Alessio, che ancora non l’aveva vista, sobbalzò vistosamente quando lei gli posò una mano sulla spalla.
-Ma chi si rivede- esclamò subito Giulia, tutta un sorriso – Sentivate la mia mancanza?-.
-Oddio, sei tu- Alessio tirò un sospiro di sollievo, alzando la testa al cielo – Ti sembra il modo di salutare la gente? Alle spalle?-.
-Volevo un’entrata in scena d’effetto, Raggio di sole- spiegò lei, divertita – Un po’ come è stata la vostra esibizione-.
A quelle parole Pietro sentì il proprio respiro arrivare quasi a bloccarsi del tutto, la pelle del viso che già stava assumendo una sfumatura di rosso piuttosto intensa:
-Mi sembrava troppo bello che non ci fosse nessuno di nostra conoscenza a guardarci- sbottò, il viso seppellito dietro le mani.
Decise di rialzare il volto solo qualche secondo dopo, mentre Giulia ancora rideva per quell’uscita melodrammatica, per accorgersi che qualcun altro si stava avvicinando a loro. Pietro sbuffò tra sé e sé, ormai nemmeno più sorpreso: doveva aspettarselo del tutto che con Giulia ci fosse anche lui.
-Ciao a tutti- Filippo arrivò di fianco a Giulia dopo pochi attimi, muovendo la mano per salutare – Ho cercato di fermarla dal venire qui proprio adesso, ma vedo che è troppo tardi-.
 -Quindi eravate qui da quanto tempo, esattamente?- domandò Pietro, lanciando ad entrambi uno sguardo torvo, le braccia incrociate contro il petto.
Giulia gli lanciò l’ennesimo sorriso soddisfatto:
-Abbastanza da vedervi finire di cenare e andare a cantare-.
-Vi avevo visti poco fa, ma credevo di star sognando- Alessio, rimasto in silenzio fino a quel momento, parlò con la rassegnazione stampata in viso. A quelle parole, però, Pietro diresse immediatamente gli occhi sgranati su di lui:
-Li avevi visti e non mi dici nulla? Traditore- brontolò, rivolgendogli il broncio.
-Dovete ringraziare Filippo: è stato lui a decidere di venire qui stasera. La miglior idea del decennio. - Giulia si girò maliziosamente verso di lui prima di avvicinarglisi ulteriormente, soffocando a stento un’altra risata alla vista dell’espressione scettica del suo ragazzo – In effetti ti meriti un premio … -.
-Abbiamo capito, non c’è bisogno di farcelo sapere- la interruppe prontamente Alessio, un sorriso imbarazzato sulle labbra – Comunque, perché non andate anche voi al karaoke?-.
Contro ogni previsione di Pietro, che già si aspettava qualche scusa per non dover rispondere a quella domanda, Giulia non esitò a dire con entusiasmo:
-Ne avevamo tutta l’intenzione, Raggio di sole-.
 
*
 
-Com’è possibile che faccia ancora così caldo?- esalò Alessio, scuotendo appena il capo.
Pietro si girò verso di lui, alzando le spalle e sospirando con rassegnazione:
-Siamo in Pianura Padana- mormorò, a mezza voce – L’umidità ti entra fin nelle ossa-.
Anche se erano passate le dieci di sera, ed il sole era finalmente calato, non c’era mezza brezza a rendere l’afa più sopportabile. Erano passati dall’ambiente temperato della pizzeria, dove i condizionatori rendevano il tutto più tollerabile, al caldo infernale dell’estate.
Erano usciti da poco più di un minuto dalla pizzeria, dopo aver salutato Giulia e Filippo ed aver pagato alla cassa. Alla fine erano rimasti sul serio per vedere gli altri due darsi a loro volta al karaoke: Pietro non ricordava quando era stata l’ultima volta che si era ritrovato così tanto a corto di fiato a causa delle risate. Era ancora indeciso su cosa potesse essere stato più divertente, se la convinzione istrionica di Giulia nel cantare, o l’impaccio ed imbarazzo evidente di Filippo, che se possibile aveva sussurrato ancor più piano di Pietro nei primi attimi della sua esibizione.
Lui ed Alessio se ne erano andati poco dopo, con l’intenzione di dirigersi all’auto e avviarsi verso casa, la serata che ormai stava per giungere al suo naturale termine.
-Fin nelle ossa- ripeté Alessio, tra sé e sé – Ma visto che non voglio svenire, farò una cosa molto semplice-.
Pietro non fece nemmeno in tempo a chiedergli quale soluzione gli fosse venuta in mente: con la coda dell’occhio lo vide fermarsi a pochi metri dall’entrata della pizzeria, cominciando a sbottonarsi la camicia fino a sfilarsela; rimase solo con la canotta nera che aveva sotto, abbastanza aderente per lasciare indovinare le curve del torso, le spalle lasciate perlopiù scoperte.
 Scostò di scatto lo sguardo, come aveva fatto quella sera stessa, solo qualche ora prima, quando nella sua camera Alessio aveva preso a spogliarsi davanti a lui per cambiarsi.
Il mio sguardo sa difendersi, ma è capace anche ad arrendersi”****.
Si morse forte il labbro inferiore, quando nella sua mente risuonarono le parole che Giulia aveva cantato poco prima. Si trattenne a stento dallo sbottare un qualsiasi improperio, ricominciando a camminare piano per non distanziarsi troppo e per aspettare che anche Alessio, una volta ripiegata la camicia tenuta in mano, riprendesse a muoversi.
Dopo qualche secondo, ed un’altra occhiata di sfuggita, Alessio finì finalmente di sistemarsi, disinvolto nei movimenti; lo stoicismo con il quale Pietro aveva evitato di osservarlo fino a quel momento crollò inevitabilmente quando il biondo si voltò verso di lui:
-Credo che ora possiamo andare- disse Alessio, un sorriso appena accennato stampato in viso, mentre prendevano a camminare più velocemente – A dire il vero sto morendo dal caldo comunque, ma credo proprio eviterò di andarmene in giro completamente nudo-.
Pietro si limitò ad annuire, lo sguardo abbassato sul marciapiede che stavano percorrendo, troppo occupato a sperare che ci fosse abbastanza buio perché il rossore delle gote non si notasse per badare ad altro.
Non ricordava più l’ultima volta in cui Alessio gli aveva fatto quell’effetto che aveva sempre reputato strano, pur facendoci quasi l’abitudine: aveva smesso da un po’ di sentirsi in soggezione e a disagio in sua presenza, eppure era qualcosa che, sotto la superficie, era tornata ad essere lì per tutta quella serata. Si sentiva un po’ come ai primi tempi in cui si erano conosciuti, quelli in cui faticava a rimanergli persino accanto.
Gli doleva ammettere che Alessio, ai suoi occhi, fosse davvero bello. E non era solo una questione fisica, si rese conto: era soprattutto il resto ciò che glielo faceva pensare. Era bello semplicemente passare del tempo con lui, parlare anche delle cose più stupide, e lo era anche essere lì per lui nei momenti più bui nel cercare di sostenerlo, anche se vederlo crollare lentamente equivale a sentirsi crollare a sua volta.
Si chiese, con un’esitazione che non scompariva nemmeno tra i suoi stessi pensieri, racchiusi unicamente nella sua mente, se ad un occhio esterno il suo rapporto con Alessio sarebbe sembrato unicamente quello tra due amici. Era sicuro che lo fossero, amici: ne era certo dopo tutto quello che avevano passato – e che avevano risolto, insieme-, ma era altrettanto consapevole che qualcun altro ci avrebbe potuto vedere altro.
Si chiese anche cosa avrebbero pensato di lui tutti coloro che lo conoscevano, se avessero potuto intuire i suoi pensieri su Alessio. Gli avrebbero dato del finocchio, del frocio, del ricchione?
Probabilmente lo avrebbero fatto. Nulla avrebbe fermato chiunque dal degradare ciò che di bello poteva esserci con parole così stomachevoli.
Si sentì soffocare a quel pensiero, la vista offuscata dalle poche lacrime che si erano accumulate agli angoli degli occhi. Cercò di non pensare a cosa poi avrebbe potuto pensare Alessio stesso: forse, tra tutte, era quella la cosa che più lo spaventava.
Lo guardò un’ultima volta prima di sospirare pesantemente, tornando con lo sguardo dritto davanti a sé, verso la strada ancora affollata e illuminata a malapena dai lampioni lungo il marciapiede.
-Che c’è?-.
Doveva aspettarsi una reazione da Alessio, dopo aver sbuffato così rumorosamente. Gli lanciò un’occhiata veloce, osservandolo nella sua espressione curiosa e con il sopracciglio alzato, in attesa.
-No, niente … - mormorò vago, consapevole di non essere stato per niente convincente. Passarono alcuni attimi di silenzio, prima che Alessio parlasse di nuovo:
-Mi sono accorto che mi stavi guardando- gli disse, senza malizia né derisione nella voce. Era una semplice constatazione, nulla per cui Pietro si sarebbe potuto preoccupare. Eppure, nonostante tutto, si sentì prendere dal panico ugualmente.
-Sì, ma non è nulla- farfugliò impacciato, cercando di farsi venire in mente qualcosa da dire, anche una cosa stupida ed insignificante – Stavo solo notando che sei un po’ dimagrito-.
Desiderò ardentemente darsi una botta in testa subito dopo, ma fortunatamente Alessio ridacchiò subito:
-Un po’- ammise, continuando a guardarlo – Mi preferisci ora?-.
Pietro cercò di ignorare del tutto quel tentativo di stuzzicarlo, sollevato solo per il fatto che Alessio non sembrava essersi offeso per la sua osservazione.
-Stavi bene anche prima, con qualche chilo in più. Credo staresti bene anche se fossi magrissimo- mormorò a voce bassa, forse un po’ troppo sinceramente rispetto a quanto avrebbe voluto – Voglio dire, non credo che sia il peso a far la differenza. Cioè … -.
Fu grato ad Alessio per interrompere quel suo discorso sconclusionato:
-Tranquillo, ho capito cosa vuoi dire. Non è il peso di una persona a determinarne il fascino-.
Era esattamente quello che aveva sempre pensato guardandolo, si ritrovò ad ammettere Pietro. Avrebbe potuto essere completamente diverso da quello che era – con un fisico diverso, con occhi meno azzurri e meno luminosi, con un sorriso meno bello-, e non avrebbe fatto alcuna differenza: si sarebbe ritrovato in ogni caso, inevitabilmente, a gravitargli attorno.
 
*
 
Sbattè le palpebre debolmente, sentendole terribilmente pesanti e desiderando solo continuare a tenere gli occhi chiusi, anche solo per un minuto. Pietro si passò una mano sul viso, cercando di guardare fuori dal finestrino: si accorse, con sua grande sorpresa, che erano già a Villaborghese. Alessio stava già rallentando: in pochi secondi erano già fermi, di fronte al cancello della sua casa.
Pietro cercò di ricordare: quando erano partiti da Borgo Padano doveva essersi addormentato in poco tempo, perché oltre alle strade illuminate del centro non c’erano altri ricordi legati al tragitto di ritorno. Doveva aver abbassato le palpebre per riposare gli occhi per pochi secondi, ma finendo inevitabilmente per dormire sul sedile.
Sentì dei movimenti di fianco a sé, ma si sentiva ancora troppo stanco anche solo per pensare di voltarsi. Passarono pochi secondi prima di percepire il respiro caldo di Alessio colpirgli la pelle nuda del collo, e la sua mano scuoterlo piano. Doveva essere convinto che stesse ancora dormendo.
Pietro fece passare alcuni attimi, prima di avere la forza di voltarsi, ancora intorpidito: si ritrovò di fronte al volto di Alessio, uno spazio misero a dividerli.
-Ti eri addormentato- gli disse a voce bassa – Sei proprio un dormiglione, eh-.
Alessio lo guardò ancora sorridendo, dopo averlo preso in giro amichevolmente in quel modo.
-Tanto guidavi tu- biascicò Pietro, strofinandosi gli occhi ancora una volta e stiracchiandosi la schiena, sotto lo sguardo divertito del biondo, e grato del fatto che la sonnolenza riuscisse a mascherare del tutto il disagio che la vicinanza dell’altro gli stava comportando: sarebbe riuscito anche a contare le lentiggini del viso di Alessio, se solo la vista non fosse stata così annebbiata per il risveglio di poco prima, oltre che ad osservare perfettamente le screziature grigie e turchesi delle iridi.
-E meno male, direi- Alessio ridacchiò ancora, gutturalmente, prima di spostarsi di nuovo verso il suo sedile, appoggiandosi con il capo sul poggiatesta. Sembrava non avere alcuna voglia o fretta di alzarsi ed uscire, nonostante fossero già arrivati da almeno un paio di minuti.
Pietro lo osservò di sottecchi, mentre tamburellava con le dita sopra il volante, in un gesto semplice da cui però scaturiva più nervosismo che altro. Non sembrava volersi rassegnare del tutto al fatto che quella serata fosse giunta alla fine. In un certo senso aveva la netta sensazione che non sarebbe stato Alessio a interrompere di nuovo quel silenzio di stallo.
-Forse è meglio se vado- mormorò semplicemente Pietro, la voce roca e priva di molta convinzione. Era consapevole che avrebbe fatto bene a raggiungere la sua auto e andarsene a casa a dormire il prima possibile, visto come era già finito addormentato durante quel breve tragitto da Borgo Padano a Villaborghese. C’era però qualcosa che, inevitabilmente, lo stava tenendo incollato lì, immobile e fermo dove si trovava.
-Sì, dovrei andare in casa anch’io- convenne Alessio, annuendo con il capo, senza però far seguire alcun movimento alle sue parole.
Pietro sospirò piano. Era uno strano silenzio, quello che c’era in quel momento, carico di un’aspettativa che nemmeno lui riusciva a spiegare. Rimase ad ascoltare distrattamente i suoni della notte, il canto dei grilli nei giardini delle case della zona udibile dal finestrino aperto dal lato di Alessio.
Si morse il labbro inferiore quando, dopo almeno diversi minuti in cui nessuno di loro stava decidendosi a fare la prima mossa, disse:
-È stata una bella serata-.
Lo mormorò con esitazione, il volto ancora abbassato sulle sue mani giunte in grembo:
-Un po’ strana. Ma bella-.
-Già- con la coda dell’occhio notò Alessio annuire in accordo, mentre parlava a bassa voce – Sono stato … Bene, stasera. Nonostante tutto-.
Non c’era bisogno di specificare cosa fosse racchiuso in quel “nonostante tutto”. Pietro si sentì sollevato al pensiero che, nonostante il primo battibecco dovuto alla sua scelta universitaria e la difficoltà ad aprirsi, Alessio non si fosse pentito di nulla. Non era del tutto sicuro che sarebbe stato dello stesso parere anche nei giorni seguenti, ma per il momento a Pietro andava bene così.
-Posso chiederti una cosa?- mormorò, bisognoso di averne una conferma a voce. Lo vide annuire subito, gli occhi azzurri puntati verso di lui.
-Ti sei pentito di avermene parlato?-.
Alessio abbassò lo sguardo per alcuni secondi, l’espressione che non lasciava trasparire nulla di ciò che poteva star pensando. Per un attimo Pietro temette di essersi sbagliato, e che avesse già iniziato a ripensarci su quanto potesse essere stato positivo essersi lasciato andare a tutte quelle confidenze.
-No. Non credo, almeno- Alessio sospirò profondamente, dopo aver pronunciato quelle prime parole – Un anno fa penso che non avrei nemmeno iniziato una conversazione del genere. Non è che mi senta meglio. Però … Non lo so, forse parlarne con qualcuno non è stato così male-.
Pietro annuì, il cuore meno stretto nella morsa d’ansia che aveva percepito fino a quel momento.
-Se ne vorrai parlare ancora, o se vorrai parlarmi di qualsiasi altra cosa … - sussurrò, parlando a mezza voce come a non voler rompere troppo l’atmosfera silenziosa dell’abitacolo – Sappi che ci sarò-.
Fu quasi grato del fatto che Alessio non disse null’altro: la sua risposta era già abbastanza evidente nel sorriso malinconico che gli rivolse, e nello sguardo di riconoscenza degli occhi. Gli bastò quello, nulla di più. L’unica cosa che gli importava era solamente che Alessio capisse che ci sarebbe davvero sempre stato per ascoltarlo. Esattamente come quella sera.
Quando il silenzio calò nuovamente, senza nemmeno dirlo a voce, si mossero entrambi per uscire. Pietro aprì la portiera con uno sbuffo di stanchezza, alzandosi in piedi con la lentezza tipica della sonnolenza.
Alessio era stato più svelto di lui: lo stava aspettando, appoggiato con le braccia sul tettuccio della macchina.
-Cerca di stare attento a guidare. Non addormentarti di nuovo- gli disse, perentorio – Anzi, fai una cosa: scrivimi quando sei arrivato a casa, almeno così saprò che non sei andato a sbattere da qualche parte e che non dovrò passare la notte in ansia-.
Pietro non riuscì a trattenere una risata leggera:
-Tutta questa premura mi fa quasi commuovere- ironizzò, facendo ridere Alessio a sua volta.
Mantenne quel sorriso sulle labbra anche mentre, sempre lentamente, si girava per allontanarsi verso la sua auto, la risata di Alessio che ancora gli risuonava nelle orecchie.
Ripensò, anche in quegli istanti poco prima di raggiungere la sua macchina, a quella serata appena trascorsa. Non si era aspettato di passarla in quel modo, neanche lontanamente, eppure, ne era sicuro, ne era valsa davvero la pena. L’avrebbe rivissuta anche altre mille volte, se significava restare al fianco di Alessio.
 

“A te che sai che sono qui per te quando vuoi”
 
I’ll stand by you
I’ll stand by you
Won’t let nobody hurt you
I’ll stand by you
(The Pretenders - "I'll stand by you")[5]





 
* The Cure - "Friday I'm in love"
** Ligabue - "Ti sento"
*** Gary Barlow feat. Robbie Williams - Shame (copyright riservato esclusivamente agli autori del brano)
**** Tiziano Ferro - "Xverso"
[5] il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Nuova settimana, e nuovo capitolo! Ormai il periodo maturità è finito, e ora che Pietro può finalmente dirsi ufficialmente promosso (e chissà come sarà andata per gli altri! Magari lo scopriremo prossimamente), le sue giornate ruotano intorno ... Alla noia, apparentemente. A quanto pare, però, la telefonata ad Alessio gli ha svoltato la giornata, portando entrambi ad una serata inaspettata: l'inizio della cena è stato un vero e proprio scontro di personalità, con da un lato Pietro, che sembra aver deciso di aver messo da parte le proprie passioni per una facoltà che potrà garantirgli un lavoro in maniera più sicura, e dall'altro abbiamo Alessio, che non concepisce l'idea di dover mettere in secondo piano i propri sogni a favore di meno insicurezze. E voi, da che parte state?
Nonostante questo scontro di visioni, ci sono però anche dei lati positivi: vi saresti aspettati la proposta di convivenza da parte di Alessio? Pietro, per ora, sembra condividere l'idea... ma come proseguirà questa faccenda?

E poi siamo arrivati a quello che è probabilmente il momento più importante e delicato non solo di questo capitolo, ma del rapporto che lega Alessio e Pietro con un dialogo particolarmente intimo tra di loro (e un piccolo omaggio nascosto ad una citazione tratta dal classico Disney "Il re leone" :)) . Vediamo, infatti, Alessio cominciare ad aprirsi fino in fondo per la prima volta sulla questione dell'essere un figlio fondamentalmente non voluto, con tutte le conseguenze che ci possono essere con un padre abusivo e anaffettivo. 
Ma dopo l'ora più oscura c'è sempre l'alba, che in questo caso è rappresentata dal momento allegro del karaoke (e delle intromissioni da vera fangirl di Giulia). C'è feeling: questa è forse l'espressione che meglio racchiude il sentimento racchiuso durante l'esibizione (non proprio perfetta) di Alessio e Pietro al karaoke. E voi, siete d'accordo?
Dandovi appuntamento a mercoledì 17 giugno, con la vacanza in Puglia ormai alle porte, vogliamo concludere augurandovi un buon Pride Month! Anche se questo giugno non si potrà sfilare, cercheremo comunque festeggiare al meglio possibile questo mese così importante 👩‍❤️‍💋‍👩👨‍❤️‍💋‍👨

Kiara & Greyjoy


 
 
 
   
 
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