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Autore: woosung    21/05/2020    0 recensioni
[Era finita, per loro due.
Woojin e Jisung mai più sarebbero stati uniti come lo erano i battiti dei loro cuori, un tempo.]
Woojin e Jisung si fermano a pensare a ciò che avevano e -forse- non avranno più.
authors: @Shita_Chan (@PlusCappe), me
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Couple Necklace.

Era finita, per loro due.
Woojin e Jisung mai più sarebbero stati uniti come lo erano i battiti dei loro cuori, un tempo.
Questo era tutto ciò a cui il minore riusciva a pensare il minore, seduto al buio della sua camera in dormitorio mentre si rigirava, tra le piccole mani, il ciondolo pendente della collana che Woojin, il    suo Woojin, gli aveva donato. Aveva il cuore vuoto, Jisung, completamente avvolto dal buio della notte; il cuore vuoto, a differenza della mente in cui miriadi di domande che sapeva non avrebbero mai avuto alcuna risposta - perché Woojin non sarebbe stato lì a subirsi i suoi complessi e non tornerà da lui, questa volta - vorticavano incontrollabili.
A quel singolo pensiero, infinite cascate di lacrime salate gli solcarono il volto; lacrime a cui si era abituato, negli ultimi mesi. Era come un circolo un vizioso: si svegliava - trovando il posto accanto a sé vuoto e freddo -, sospirando costruiva una maschera da mostrare al mondo, viveva la giornata con un amaro sorriso ad incorniciargli il volto, solo per tornare ogni volta ad abbracciare l'ultima felpa che gli era rimasta del maggiore - della sua anima gemella, del suo migliore amico, del suo amante, del suo Sole e della sua Luna. E, ancora, tornava a porsi sempre le stesse domande: perché? perché l'aveva abbandonato? perché non l'aveva neanche salutato? perché tutto ciò che gli restava di lui erano una collana, una felpa logora scordata in biancheria per chissà che distrazione ed un inutile post-it azzurro con scritte due semplici paroline? Un semplice 'Mi dispiace', come se avesse potuto risolvere ogni problema.
Il ragazzo più piccolo era arrivato a varie supposizioni, nelle settimane precedenti. 
Forse, semplicemente, non era stato abbastanza; forse, semplicemente, non era stato in grado di soddisfarlo; forse, semplicemente, non era la sua Casa; forse, semplicemente, Woojin era troppo per qualsiasi essere umano, Jisung più di tutti.
Sorrise amaramente a quel pensiero: se fosse stato presente, probabilmente l'avrebbe quasi preso a schiaffi per aver osato pensare quelle cose.
Gli ripeteva sempre come fosse tutto ciò di cui aveva bisogno, come fosse l'unico ragazzo che avrebbe mai voluto al suo fianco, come avrebbe voluto passare il resto della sua vita con l'altra estremità del suo filo rosso - continuava a ripeterglielo, che erano destinati; glielo ripeteva talmente spesso che un pochino aveva iniziato a crederci anche lui.
Ma perché, allora, se n'era andato, lasciandolo solo a guarire il suo cuore spezzato? l'aveva lasciato solo, al freddo, scoperto dalla protezione e dalla sicurezza che le braccia dell'altro gli donavano.
Si sentiva vuoto e solo. 
Vuoto e solo mentre la notte gli rideva contro, burlandosi delle sue lacrime.
Vuoto e solo mentre le ombre lo additavano, ricordandogli che stupido fosse a sperare ancora in un messaggio.
Vuoto e solo mentre i ricordi gli affollavano la mente, distruggendolo dall'interno.


Dall'altra parte della Corea del Sud se ne stava, invece, un Woojin con il cuore colmo d'angoscia -anch'esso sapeva che mai più sarebbe riuscito a ricongiungersi con la sua esatta metà.
Le domande che ininterrottamente giravano per la sua testa erano sempre le stesse: sta bene? sta mangiando? gli manco come manca a me? sono ancora qualcuno per lui?
Nel frattempo, calde lacrime gli rigavano il viso; lacrime a cui, purtroppo, mai avrebbe dato importanza, preso dai tristi quesiti a cui mai nessuno avrebbe potuto rispondere per lui.
Il maggiore era ben consapevole d'esser stato lui stesso la causa di tale tristezza, di tale dolore. 
Era colpa sua se non avrebbe più potuto stringere il fragile corpo del più piccolo durante la notte, proteggendolo dai demoni che minacciavano i suoi sogni.
Era colpa sua se non avrebbe più potuto ammirare il suo sorriso, bearsi della sua risata.
Era colpa sua se non avrebbe più potuto unire le loro mani sotto un tavolo, scambiandosi fugaci occhiatine mentre le loro guance si coloravano di un tenue rosa.
Era colpa sua se non avrebbe più potuto deliziarsi della vista del minore immerso in una delle sue tante felpe - ne aveva lasciata una lì, dove il suo cuore risiedeva, speranzoso che il ragazzo per cui aveva perso la ragione la trovasse e la stringesse a sé.
Era colpa sua se non avrebbe più potuto dire che, sì, Han Jisung era suo - il suo soulmate, il suo migliore amico, il suo fidanzato, il suo amante, il suo Sole, la sua Luna, il suo universo.
Era colpa sua e di nessun altro.
Per cosa, poi? Per una serata di svago finita male e troppe acide parole lanciate al loro capo? Aveva perso il suo Sungie per qualche birra di troppa e qualche brusco commento? Aveva davvero lasciato che lo separassero dalla sua Felicità per una sciocchezza del genere? 
Se solo fosse stato più cauto, se solo fosse stato più attento, forse non si sarebbero ritrovati in quello stato, separati dal loro unico vero amore (sempre ammesso che Jisung ancora lo amasse).
Tra le lacrime, Woojin schioccò la lingua contro il palato. In tutta onestà, il più grande avrebbe sempre considerato il minore come il suo Unico Vero Amore; sarebbero potuti passare anni, sarebbero potute passare relazioni, ma mai una volta avrebbe smesso di pensarlo.
Era sicuro che Jisung fosse l'unico per cui ne sarebbe davvero valsa la pena; l'unico per cui il suo cuore avrebbe mai fatto quelle piroette; l'unico a cui avrebbe mai affidato tutto se stesso; l'unico che davvero avrebbe mai amato.
Era il suo complice, era l'amore della sua vita, era il suo intero universo.
Lasciarlo andare in quel modo, senza lottare per averlo indietro, sarebbe sempre stato il suo più grande rimpianto.
Il suo sguardo cadde sulla collanina posta sul comodino accanto al suo letto.
Ricordava bene il giorno in cui, felice e ansioso come mai in vita sua, si era avvicinato al minore con la piccola scatola tra le manine e, tremante, gli aveva chiesto di star con lui, promettendogli che mai e poi mai si sarebbe permesso di farlo soffrire. Se solo quel Woojin avesse potuto assistere a quel momento, era sicuro non gliel'avrebbe fatta passar liscia, non se il suo piccino stava male.
Gli aveva promesso felicità eterna, protezione, sostegno, amore. E cosa era riuscito a dargli se non lacrime amare, tristezza, malinconia? 
Sorrise tristemente, accarezzando io ciondolo della catena mentre nella sua mente scorrevano le immagini del suo ragazzo -del suo ex ragazzo- che faceva lo stesso. Era di routine, quando si coccolavano stretti all'altro sul piccolo letto del dormitorio -di chi fosse non era rilevante. Il più basso aveva sempre avuto l'adorabile vizio di iniziare a giocare con quel ciondolo intanto che il più grande gli parlava di qualsiasi cosa gli passasse per la testa. 
Il lancinante dolore al petto che da settimane a quella parte si era fatto spazio in lui non sembrava voler sparire, o diminuire.
Le lacrime non sembravano voler smettere di sgorgare dai suoi occhi.
Le mani e la voce non volevano smettere di tremare.
Woojin non era più in grado di sopportare quella sofferenza. Non era più in grado di andare avanti senza l'altra metà della sua anima accanto a sé.


Di tutta fretta, prese distrattamente una delle sue tante felpe dalla sedia posta vicino la sua scrivania; la infilò, mentre prendeva le chiavi di casa e si sbrigava per lasciare l'appartamento. Aveva bisogno di Jisung e ne aveva bisogno in quel preciso istante. Avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare. 
Mai aveva ringraziato tanto il cielo che il suo appartamento fosse vicino al dormitorio dei suoi ex compagni. Di vita, di avventure, di crescita. Ma soprattutto, amici. Ex amici.
A dire la verità, però, a tutto pensava tranne che a loro- no, è sbagliato dire anche così. Pensava solo ed unicamente ad una persona, al suo Jisung, al suo Sungie, alla sua Luna, il suo Sole, la sua intera vita.
Mai aveva corso così tanto, così veloce, senza fermarsi una sola volta.
La voglia di vedere il più piccolo, anche solo per un breve secondo, era troppa. Sentiva il cuore lacerarsi ad ogni momento che passava senza di lui, sentiva il suo mondo sgretolarsi sotto i suoi stessi piedi.
Non avrebbe resistito un attimo di più senza di lui.
Arrivò affannato, pure un po’ sudato, con le goccioline di sudore ad imperlargli la fronte, tanto che alcune ciocche di capelli gli si appiccarono alla pelle. Era un disastro in quel momento. Ma poco gli importava delle condizioni in cui era ridotto.
Lui era lì, a pochi passi. Bastava così poco per vedersi.
Per cui frenetico estrasse il telefono dalla tasca, e mandò un messaggio all’unico contatto di quella cerchia che non aveva avuto il cuore di cancellare, My Sun, il suo Unico Amore. Un messaggio alquanto sbrigativo, oserei dire, ma rispecchiava appieno il suo stato d’animo. Lo voleva vedere. Subito.
“Esci, per favore.”
Jisung si sorprese un po’ a vedere lo schermo del suo telefono illuminarsi a quell’ora della notte attraverso le fitte lacrime che ancora gli scendevano lungo le guance. E si sorprese ancora di più, allargando gli occhi, con il cuore che aveva cominciato a battergli all’impazzata nel petto, quando lesse chi era il mittente.
My Moon.
Prese il telefono con mani tremanti, aprì e visualizzò il messaggio, ma non rispose. Cosa avrebbe potuto rispondere?
Dentro di sé un turbine di milioni di emozioni prese a scompigliargli i pensieri; voleva mandarlo a quel paese, voleva scrivergli quanto gli fosse mancato, voleva chiedergli se quello fosse uno scherzo, voleva scrivergli “ti amo, ancora ti amo”, voleva gettare il telefono con tutta la forza che aveva in corpo dall’altra parte della stanza, voleva alzarsi all’istante e correre alla porta, gettarsi tra le sue braccia, abbracciarlo e piangere contro il suo petto, baciarlo fino a perdere il fiato e tenerlo con sé per sempre, anche a costo di nasconderlo nell’armadio.
E questo vortice di pensieri dovette tenerlo occupato per il po’, perché gli arrivò un altro messaggio ad illuminare lo schermo- che si stava spegnendo.
“Ti prego.”
Era debole, Jisung.
Da sempre si era definito tale, non per modestia o altro. Lo era davvero. Psicologicamente, emotivamente. Soprattutto quando coinvolto era il maggiore. Cosa il suo semplice nome gli causava, era un segreto che solo lui custodiva. 
Per cui, un po’ riluttante all’idea di abbandonare il suo caldo posticino a letto, si alzò ed osservò il capo d’abbigliamento che aveva in mano. Non aveva voglia di prenderne un altro, onestamente, ora sentiva tutta la fatica colpirlo, dopo ore di pianto. Sospirò appena ed infilò la felpa sopra la maglia, avviandosi a prendere anche un paio di pantaloni comodi, sufficienti per coprirlo dal freddo della notte.
Nel momento in cui stava per varcare la soglia, si girò ad osservare il piccolo ciondolo, abbandonato distrattamente sul cuscino. Esitò un attimo soltanto, prima di tornare indietro ed afferrarlo, stringendolo in un pugno vicino al cuore. 
In quel momento sentiva che era l’unica cosa capace di dargli un minimo di forza per affrontare quello a cui stava andando incontro, quel piccolo oggetto che nelle notti di bisogno gli ricordava che quel che avevano avuto era vero. Che era stato reale. E che forse, un pochino di speranza c’era. Nascose il pugno nella tasca della felpa, e finalmente uscì, dopo essersi infilato il primo paio di scarpe senza badare di chi fossero, senza nemmeno mettere dei calzetti.
Sentiva già freddo, nonostante il tessuto pesante della stoffa -stoffa che era impregnata di lacrime per la sua quasi integrità, quindi non era stata una mossa saggia metterla come protezione-, ma sentiva freddo soprattutto al cuore. 
Se tutto quello era una gang preparata, uno scherzo, qualcosa di frivolo, lì in quel momento se lo ripromise: avrebbe smesso di pensare al maggiore. Avrebbe smesso di considerarlo come un pezzo importante della sua vita, avrebbe smesso di considerarlo il suo pezzo mancante, come la sua metà perfetta, come la sua Luna.
Non avrebbe retto una cosa del genere. Non dopo quelle parole, quel post-it frivolo e superficiale. 
Il cuore, passo dopo passo, gli batteva sempre più forte all’idea di ritrovarsi il maggiore davanti un’altra volta, dopo tanto tempo. 
Le mani tremavano al pensiero che sarebbero stati di nuovo vicini.
I suoi occhi erano ben aperti e attenti a cogliere ogni minimo, nuovo particolare di lui. Attento a non lasciarsi sfuggire alcuna lacrima.
Woojin, d’altro canto, non era preso meglio. Per niente.
Dopo il secondo messaggio aveva cominciato a camminare avanti e indietro per la stradina, un po’ per scaricare la tensione ed un po’ per riscaldarsi dal freddo. Le mani si aprivano e chiudevano convulsivamente, afferrando solo pugni d’aria. Respirava a fondo ad ogni minuto che passava, come se si dovesse preparare a fare un discorso davanti a mille persone- e invece no.
No, doveva parlare ad una sola persona, la sola che era stato capace di ascoltarlo e di amarlo per tutto quel tempo.
Eppure non aveva pensato a nulla da dirgli. Si era precipitato lì, gli aveva chiesto di uscire, ma poi? Che altro? Che gli avrebbe detto? Voleva vederlo, e?
Non riusciva a formulare nulla che avesse un senso compiuto, nella sua testa. Nulla che potesse essere sufficiente per esprimere cosa lui stesse provando, o aveva provato quando si dovettero separare. Si formava soltanto la figura del più piccolo, così minuto e prezioso per lui, che gli sorrideva come era solito fare- gentile, dolce, innamorato. Il suo piccolo scoiattolo, il suo quokka, il suo spazzo di felicità.
E sapere che non lo avrebbe trovato così, lo distruggeva. Sapeva che non avrebbe trovato un volto sorridente ad accoglierlo, sapeva che avrebbe visto un volto rigato dalle lacrime, spento, probabilmente pure deperito, e questo gli spezzava il cuore in ulteriori piccoli frammenti.
Queste erano comunque mere supposizioni. Da parte di entrambi, sia chiaro.
No, quando finalmente Jisung aprì il portone principale e si affacciò in strada, e Woojin finalmente fermò i suoi movimenti per girarsi a guardarlo, fu molto peggio.


Ad entrambi gli si mozzò il respiro.
Ad entrambi il cuore smise di battere per interi secondi.
Ad entrambi fece male, tremendamente male vedere l’altro.
Ad entrambi il cuore riprese a battere più forte a causa della sola vista dell’altro.
Ad entrambi la voglia di corrersi incontro divorò le interiora.
Ad entrambi il proprio corpo, però, non rispondeva.
Rimasero lì per un tempo che parve infinito, semplicemente a guardarsi. A realizzare che sì, erano nuovamente uno davanti all’altro.
E quando lo realizzarono, fece ancora più male.
Gli occhi di Jisung, così bravo a non lasciarsi sfuggire nemmeno una gocciolina mentre scendeva le scale, si riempirono in un istante di lacrime, gocce grandi e copiose cominciarono a rigargli il viso senza dargli tregua. Dalla sua bocca fuoriuscivano singhiozzi mal trattenuti, la gola già gli faceva male per quanto stesse cercando di trattenersi, cercando di fare meno rumore possibile, anche coprendosi la bocca con le mani -coperte dalle maniche della felpa enorme del suo amato- ma era difficile. Cazzo se era difficile, dopo aver visto l’Amore della sua vita davanti a lui, con una delle felpe a cui erano legati i più svariati ricordi insieme, e quella collana al collo. Quella collana con quel maledetto ciondolo al collo, che brillava appena sotto la luce dei lampioni e della Luna.
E Woojin, oh. Gli occhi di Woojin a loro volta si riempirono di lacrime, ma al contrario dell’altro riuscì a liberarsi in un pianto silenzioso, la bocca in una linea dura in viso, i pugni serrati lungo i fianchi tanto che sentiva le unghie conficcarsi nella pelle, causandogli un leggero dolore. Nulla comunque a che vedere con il dolore che provava all’altezza del petto, al cuore. Sentiva i cocci venir frantumati e resi polvere, mentre il suo istinto faceva a botte col suo corpo, incapace di corrergli incontro per asciugargli quei rivoli salati dalle guance. 
Ma non fu necessario.
Il primo a muoversi fu il più piccolo, gli occhi piangenti carichi di un fuoco diverso da quello a cui era abituato a vedere- arrabbiato, ferito, devastato. A grandi passi lo raggiunse, e a pugni chiusi cominciò a colpirlo al petto, incapace di farli realmente male. Erano più come delle carezze, e solo quelli erano sufficienti per Woojin per percepire piccole scariche dentro di sé.
In qualsiasi forma, gli erano mancati i suoi tocchi.
Jisung continuò per minuti interi, a testa bassa, a colpirlo a quel modo, sempre più debolmente. Il pianto, il dolore stava avendo la meglio, le sue energie stavano venendo prosciugate per riversarsi in un unico obiettivo: non farlo crollare definitivamente. Non davanti a lui.
Fu allora che il maggiore ne approfittò.
Rapido, ma delicato, come stesse per toccare il materiale più fragile al mondo, gli prese i polsi e fermò ogni suo gesto.
Il minore non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo e guardarlo. Non era pronto. Non voleva far vedere come il solo vederlo lo avesse distrutto, come lo aveva ridotto. Non voleva che guardasse le sue guance impiastricciate di lacrime, la bocca in una smorfia di pura sofferenza, gli occhi socchiusi nel vano tentativo di arrestare il pianto. 
In quel momento preciso, si ricordò una cosa che Woojin gli aveva detto: lascia che sia io ad asciugare le tue lacrime, d’ora in poi.
E questo non fece altro che farlo piangere di più, mentre pensava a tutte le notti passate da solo a consumare fazzoletti su fazzoletti, senza alcuna mano che gli sfiorasse le guance per cancellare gli aloni delle lacrime.
Ed anche ora, non sentiva alcun tocco gentile su di sé, sul suo viso.
Non sapeva che anche nel maggiore era balenato quel ricordo. Lo stesso, identico, pensiero.
Eppure, per il più grande, passare una mano per tentare di calmarlo da quel dolore sembrava riduttivo. A lui stesso non sarebbe bastato quel tocco. Per niente.
Pensava a Jisung, al fatto che fosse sempre stato il più bisognoso tra i due, bisognoso di tocchi e dimostrazioni di affetto. 
Per cui fece la cosa che in quel momento gli pareva più sensata, più significativo fare.
Lasciò i suoi polsi per portare le mani alle sue guance, solo per sollevargli il capo e baciarlo.
Dopo tanto, agognato tempo, poteva finalmente riassaporare le sue dolci labbra contro le proprie. Poteva finalmente percepire nuovamente la morbidezza di esse.
Anche attraverso il sapore saltato del pianto di entrambi, anche se era bagnato e caotico, quello fu probabilmente il loro bacio più bello, della lunga serie che avevano condiviso. Il bacio più desiderato.
Anche se durò poco, meri secondi, due forse, ma a loro bastarono. Bastarono per sentir scoppiare nei loro petti qualcosa -un fuoco d’artificio? Un fuoco? Una scintilla?- forte abbastanza perché i loro cuori si ricomponessero.
I cuori che erano diventati polvere da tanto che erano stati fatti a pezzi, che si stavano riformando piano piano mentre si guardavano negli occhi, entrambi lucidi ed arrossati.
Ed in qualche modo bastò loro per capire cosa avessero provato, cosa stavano provando ora, e cosa si volevano dire. 
Era sempre stato così, in realtà. Bastava un solo sguardo a loro per capirsi, cliché come sembra. Ma era vero.
Quando trovi una persona perfetta per te, che ti completa in tutto e per tutto, è quello che succede. 
«Ti amo.»
Fu un lieve sussurro, nessuno dei due era sicuro di chi l’avesse detto per primo, ma i sorrisi che si scambiarono erano sufficienti per dissipare l’aura di tensione che vi era fino ad un momento fa.
Erano sufficienti affinché ricongiungessero le gemelle, dolcemente e con più attenzione questa volta- attenzione a cosa l’altro volesse comunicare. 
Erano sufficienti affinché i loro cuori riprendessero a battere all’unisono, un’altra volta.
   
 
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