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Autore: simoasr94    22/05/2020    2 recensioni
Tratto dal testo: " "Togliti la maglia” gridò. Merlin aveva paura, poteva percepirlo da ogni movimento del suo corpo. Voleva veramente frustarlo? Era veramente così accecato dal suo ego dal voler vedere distrutto un altro uomo? Tutti i suoi dubbi sparirono quando Merlin si tolse la maglia e scoprì la schiena; bianca come la neve candida d’inverno, segnata da profondi solchi rossi accesi, che con un tocco sbagliato avrebbero di nuovo cominciato a zampillare sangue. Ogni frustata, che Arthur poteva distintamente contare, equivaleva ad una coltellata per il suo stomaco, ogni livido ad un cazzotto in pieno volto. Nel silenzio più totale, senza mai togliere gli occhi da quello spettacolo atroce che lui stesso aveva provocato, posò a terra la frusta. Merlin era lì inerme, tremante nonostante cercasse di nascondere la paura, era un fascio di nervi, Arthur poteva vederlo, se anche solo una piuma lo avesse sfiorato, Merlin sarebbe scattato come una trappola. Quando Arthur si avvicinò poggiando su una delle ferite la pezza imbevuta di disinfettante, Merlin gridò e si schiacciò ulteriormente contro il muro, cercando di sfuggire al dolore".
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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Arthur era sconvolto. Cosa intendeva dire quello stupido ragazzo con quel “Si, ti piacerebbe”; stava forse facendo insinuazioni sulla sua sessualità? Mentre continuava ad arrovellarsi il cervello davanti al camino della sua camera, continuavano a balenargli in mente le immagini del giorno prima: come suo solito si stava divertendo a bullizzare un povero servitore, con il muto e divertito assenso dei suoi tirapiedi, o per meglio dire, cagnolini: lui rideva, loro ridevano, lui era arrabbiato, loro erano arrabbiati, lui prendeva di mira qualcuno, loro lo lasciavano fare come se fosse la cosa più normale del mondo. Quel giorno era toccata ad uno stalliere che occasionalmente gli portava la colazione al mattino e gli lavava i vestiti. Arthur non aveva un servitore fisso, non gli era mai importato averne uno. Il giovane era diventato una specie di bersaglio in movimento, munito solamente di uno scudo di legno a cui l’arrogante erede al trono si divertiva a lanciare coltelli, finché il povero servo, stremato, non cadde a terra chiedendo pietà e riposo. Ed è lì che successe: lo scudo rotolò fino ai piedi di un giovane mai visto prima, che si rivolse a lui chiamandolo “Amico mio”, quelle labbra carnose e morbide trasudavano arroganza e succulenza allo stesso tempo “Ti conosco?” non doveva neanche perdere tempo a parlarci, un pugno ben assestato e sarebbe stato fuori gioco talmente tanto che non sarebbe servito neanche metterlo nelle segrete, e poi, era eccessivamente smunto per avere il coraggio di sfidare Arthur, con il suo fisico prestante da vero cavaliere “Sono Merlin” rispose il giovane sconosciuto allungando la mano in segno di educazione e di pace. Davvero non aveva idea di chi avesse davanti, davvero non gliene importava talmente niente che non si accorse che stavano iniziando ad avere tutti gli occhi dei curiosi puntati su di loro; talmente per lui in quel momento era giusto intromettersi per difendere quel giovane stalliere, che non gli importava minimamente di nulla di quello che avesse intorno. Arthur riusciva a fare tutte queste logiche considerazioni solo ora, a mente fresca, mentre lui era al caldo davanti al suo camino, dopo essere stato trattato come un eroe dai suoi tirapiedi, mentre Merlin era nelle prigioni e sicuramente aveva preso qualche frustata, perché nell’impeto della sua spavalderia, davanti ai suoi uomini, era stato lui stesso ad ordinare alle guardie di farlo “Non troppe, sennò non si rialza più” aveva detto sbeffeggiandolo con un sorriso. Erano bastate poche ore perché iniziasse a vergognarsi come un ladro della sua arroganza, della sua spavalderia e del suo ego. Si portò una mano a strofinarsi stancamente gli occhi, si sentiva così confuso, la testa gli sarebbe scoppiata prima o poi, eppure per un momento gli spuntò un sorriso, ricordando che forse non era stato l’unico arrogante quel giorno, ed era stato proprio quello a mandare completamente in tilt la sua testa. Dopo che Merlin molto gentilmente si era presentato, anche e soprattutto per mettere fine a quella scena patetica, lui aveva continuato a stare sul piede di guerra “Allora non ti conosco, ma mi hai chiamato amico mio” “Errore mio, non ho mai avuto un amico così asino”, il cuore di Arthur perse un battito, si girò ed incontrò due occhi color del mare che sembravano volerlo far annegare in un attimo. Aveva permesso ad un ragazzino sconosciuto, un popolano che probabilmente non apparteneva neanche al suo regno, di smaccare il suo ego, cosa gli aveva detto la testa? Perché si era messo a dialogare con quello sconosciuto? Perché dopo la prima parola che quel moretto gli aveva rivolto non aveva mandato avanti uno dei suoi per portarlo via e basta? Perché aveva cercato uno scontro con lui? Lì Arthur si sentì ancora più stupido, perché invece di riprendere la situazione in mano come sperava, non fece altro che servire su un piatto d’argento un’altra stoccata a favore dell’avversario “Dì un po’ Merlin, sai camminare sulle ginocchia?” nella sua testa quella frase aveva avuto molteplici significati: inginocchiarsi per chiedere perdono, inginocchiarsi per strisciare come un servo, inginocchiarsi per stare alla gogna per mesi interi e probabilmente nell’ultimo angolo più remoto e sperduto della sua testa, la cosa poteva aver avuto anche un significato lontanamente sessuale, se pensava a Merlin inginocchiato davanti a lui, con quegli occhi spaventosamente profondi che lo fissavano e quelle labbra illegalmente sensuali che lo amavano; eppure era sembrato che di tutto quello che la sua mente urlasse in quel momento, Merlin sentì solo quel piccolo sussurro nascosto, e lo distrusse “Si, ti piacerebbe” rispose il moro con smacco. Arthur si sentì avvampare, ma senza dare tempo ad alcuno di accorgersi della sua difficoltà, si avventò sul giovane che, colto alla sprovvista, per evitare che il biondo lo sovrastasse portò avanti il braccio destro nel tentativo di dargli un pugno. Arthur era un cavaliere, combatteva praticamente da quando era nato, schivare quel piccolo colpo fu semplicissimo per lui, e ancora più facile fu bloccare il suo avversario “Ti farò rinchiudere per questo” sputò con una rabbia che non fece altro che far infervorare l’altro. Erano come il fuoco, fiamme chiamano fiamme; non si conoscevano, eppure uno rispondeva alle provocazioni dell’altro senza sosta, come se avessero potuto andar avanti per giorni “Chi ti credi di essere, il re?” pronunciò Merlin mentre si divincolava per liberarsi; era magro eppure aveva una forza che non si addiceva al fisico all’apparenza minuto; con quella frase di sdegno, inconsapevolmente, il moro diede ad Arthur quello che stava cercando dall’inizio della discussione: la rivincita “No, sono suo figlio, Arthur!”, eccola proprio lì, la rivincita di Arthur; mentre quell’ignaro e sconosciuto giovane aveva affrontato un cavaliere spavaldo completamente da solo, lui riusciva a sentirsi vittorioso solamente dicendo di essere il figlio del re, solamente tirando fuori il suo titolo, si poteva veramente chiamare vittoria? Ora che Arthur si trovava nella sua stanza pensava di no, pensava che avrebbe potuto risolverla in un altro modo, senza farlo portare via dalle guardie e ordinargli di frustarlo, per dimostrare a tutti i curiosi che si erano fatti lì intorno che lui vinceva a prescindere. Il suo lato bambinesco gli diceva che andava bene vincere anche così, ma lui non era più un bambino, non voleva più vincere facilmente, voleva meritare la vittoria, voleva combattere in prima persona e non nascondersi dietro al suo titolo o alle guardie reali quando si stancava dello scontro. A mettere fine al suo interminabile flusso di pensieri ci pensò Gaius, bussando alla porta della sua stanza, “Avanti”, il medico entrò e Arthur si sentì come colto in flagrante. Poco dopo aver rinchiuso Merlin nelle prigioni, una guardia gli comunicò che il ragazzo era lì per alloggiare da Gaius, ufficialmente per diventare suo apprendista “Mio signore ho saputo che avete fatto la conoscenza di Merlin ieri pomeriggio” al biondo sembrava come se il medico si stesse trattenendo, come se volesse arrabbiarsi per come aveva fatto trattare Merlin; forse era solo un’impressione, forse era solo la coscienza di Arthur che si sentiva terribilmente in torto. “La prima cosa che dovresti insegnare al tuo apprendista è tenere a freno la lingua, Gaius” eccolo lì, il suo ego, il suo rango che non gli permetteva mai di abbassare la guardia, anche se sapeva di aver esagerato, che tipo di re sarebbe stato? Se lo chiedeva spesso, e in questi momenti lasciava cadere la domanda in un angolo della sua mente perché aveva paura di non saper dare una risposta “Mio signore mi scuso per il comportamento del ragazzo - cominciò Gaius anche se la voce sembrava decisamente poco convinta - non aveva idea di chi foste, altrimenti non lo avrebbe mai fatto” Arthur non ne era certo, il moro gli era sembrato avere una tempra eccessivamente forte per fermarsi davanti a un titolo nobiliare, probabilmente avrebbe abbassato il tono, ma non avrebbe smesso di combattere l’ingiustizia. Era una cosa assurda, Arthur non sapeva niente di quel giovane, eppure era tutto il giorno che ci rimuginava sopra, tra un pensiero e l’altro era quasi arrivato ad ammirarlo per quello che aveva fatto “Sono venuto a disturbarvi mio signore - proseguì Gaius distraendolo dai suoi pensieri - per chiedervi di far liberare Merlin. Credo che abbia imparato la lezione. Alcune serve potrebbero giurare che hanno sentito le grida delle frustate arrivare fino alle cucine” quell’ultima frase Gaius la pronunciò con rabbia che non riuscì a nascondere, per il biondo principe fu un cazzotto in pieno viso. Aveva fatto frustare quell’esile ragazzo solo per avere una rivincita personale, solo perché il suo orgoglio era stato ferito “Grazie per l’informazione Gaius, andrò a verificare di persona a breve” se la sua coscienza tremava, esteriormente Arthur non fece trasparire nulla del suo malessere interiore “Non cedere mai davanti a nessuno” era questo l’insegnamento che gli ripeteva più spesso suo padre; erano tante le cose che gli diceva e con cui Arthur non si trovava d’accordo, ma era solo un ragazzo ancora e avrebbe avuto tempo per capire cosa fosse giusto e cosa no, se solo avesse avuto qualcuno vicino con cui confrontarsi: un amico, un fratello, sua madre. Arthur non aveva mai avuto nessuno, e con il tempo aveva imparato a nascondere questa sua necessità circondandosi di persone accondiscendenti di cui non gli importava nulla e a cui, molto probabilmente a loro non importava di lui. Non appena il medico si fu ritirato, il biondo fece passare qualche altro minuto e si precipitò nei sotterranei, dove c’erano le prigioni; arrivò con fare fiero, non poteva abbandonare la facciata, soprattutto davanti alle due guardie “Lasciateci” ordinò a queste ultime una volta giunto davanti alla cella del giovane straniero. Una volta rimasti soli Arthur notò che sul tavolo c’era un disinfettante e delle pezze sporche di sangue. Merlin indossava la sua maglia e seduto in terra con la testa poggiata al muro non lo degnava del minimo sguardo, aveva gli occhi fissi davanti a sé, col fare di una persona forte, o per lo meno che si impegnava a dimostrarsi tale. “Hai imparato la lezione? Non puoi metterti contro di me” Arthur la stava soffocando, la sua voce interiore, la sua coscienza, stava distruggendo tutto senza sapere perché; forse perché non gli era mai stato insegnato altro, forse perché non aveva mai avuto nessuno che gli dicesse che si poteva agire anche in un altro modo, ed essere lo stesso rispettati “Ve l’ho detto, voi siete un asino - pronunciò Merlin con voce profonda, tuttavia continuando a non degnarlo di uno sguardo - solo non sapevo foste uno di quelli reali” Arthur aprì lentamente la cella e giurò di aver visto il corpo del moro avere un sussulto, pensava che lo avrebbe picchiato per tutti gli affronti che gli stava facendo, eppure, la sensazione che qualcuno potesse aver paura di lui non lo aggradava, non lo faceva sentire più forte, lo faceva sentire sporco e il pensiero che Merlin potesse aver paura di lui, gli faceva intorcinare lo stomaco. Chi era quel ragazzo? Perché sentiva tutte queste cose se pensava a lui o se lo guardava? “Io sono il principe ereditario, sono un cavaliere, mi alleno da quando sono nato. Non puoi rivolgerti a me così” dalla sua bocca uscì anche un sorriso sarcastico, Merlin continuava a sfidarlo, come se la prigionia e le frustate, non ci fossero mai state. Nel parlare si accovacciò davanti a lui, cercando di trovarsi faccia a faccia con il suo avversario, ma Merlin era davvero un avversario? Ad Arthur sembrava che il moro fosse la sua coscienza, uscita dal suo corpo per fargli rendere conto di quanto era borioso, arrogante e incredibilmente stupido a volte; se così fosse stato avrebbe chiesto alla sua coscienza perché aveva deciso di prendere le sembianze di un angelo con i capelli neri come il carbone, la pelle di porcellana e gli occhi in cui Arthur ormai ne era certo, sarebbe affogato. “Vi allenate da quando siete nato - pronunciò Merlin degnandolo finalmente di uno sguardo - e da quanto vi allenate ad essere un babbeo, mio signore?” Arthur, cogliendo il moro completamente di sorpresa lo afferrò per un braccio e lo fece alzare mettendolo con la faccia contro il muro “Togliti la maglia” vedendo che il moro non ubbidiva uscì dalla cella e ci rientrò portando con sé una frusta che fece violentemente battere a terra “Togliti la maglia” gridò. Merlin aveva paura, poteva percepirlo da ogni movimento del suo corpo. Voleva veramente frustarlo? Voleva veramente frustarlo sulla pelle nuda? Era veramente così accecato dal suo ego dal voler vedere distrutto un altro uomo? Tutti i suoi dubbi sparirono quando con le braccia tremanti, Merlin si tolse la maglia che aveva indosso e scoprì la schiena; bianca come la neve candida d’inverno, segnata da profondi solchi rossi accesi, che con un tocco sbagliato avrebbero di nuovo cominciato a zampillare sangue. Ogni frustata, che Arthur poteva distintamente contare, equivaleva ad una coltellata per il suo stomaco, ogni livido ad un cazzotto in pieno volto. Nel silenzio più totale, senza mai togliere gli occhi da quello spettacolo atroce che lui stesso aveva provocato, posò a terra la frusta. Merlin era lì inerme, tremante nonostante cercasse di nascondere la paura, era un fascio di nervi, Arthur poteva vederlo, se anche solo una piuma lo avesse sfiorato, Merlin sarebbe scattato come una trappola. Quando Arthur si avvicinò poggiando su una delle ferite la pezza imbevuta di disinfettante, Merlin gridò e si schiacciò ulteriormente contro il muro, cercando di sfuggire al dolore. Quel grido non fu provocato dal dolore, fu provocato dalla paura di provare di nuovo quel male atroce sulla sua povera schiena martoriata, in realtà tutto quello che sentì fu sollievo nel punto in cui era stata poggiata la pezza. 

 

Sentito il grido, Arthur si pietrificò: quel giovane davanti a lui era talmente terrorizzato, che il solo pensiero di sentire qualcosa a contatto con la sua schiena lo faceva gridare. Cosa aveva fatto? Come poteva stare bene con se stesso provocando tutto questo? Nella cella il silenzio era spezzato solamente dal respiro accelerato di Merlin che cercava di calmarsi, il suo viso era falcato da silenziose lacrime, forse dovute alla paura, forse alla stanchezza, forse al dolore, forse a tutto il male che Arthur era riuscito a causargli in poche ore. Il biondo si fece coraggio e senza dire una parola si riavvicinò e lentamente poggiò di nuovo la pezza sulle ferite che aveva davanti. “Mi dispiace”, nel sussurrarlo, Arthur portò la mano ad accarezzare lentamente i fianchi di Merlin, lo fece in modo delicato, con un dito, a tratti due, aveva paura di fargli del male. E lui non voleva fare del male a Merlin, non più. Il moro continuava a stare in silenzio, le parole pronunciate da Arthur sembravano averlo oltrepassato, le aveva sentite ma aveva paura che fossero solo frutto della sua immaginazione. “Chi sei tu?” Arthur continuava a sussurrare, aveva paura che se avesse parlato più ad alta voce non avrebbe avuto il coraggio di pronunciare nessuna parola. Si era appena scusato con un popolano che non conosceva, poteva essere chiunque, poteva essere un ladro, poco importava che Gaius fosse il suo maestro. Eppure Arthur sentiva qualcosa, qualcosa che lo destabilizzava, e lui era abituato ad avere sempre tutto sotto controllo. “Nessuno” pronunciò flebilmente l’uomo davanti a lui, la fronte poggiata al muro in segno di stanchezza, la testa bassa “Sono solo un vostro coetaneo che non sopporta l’arroganza ed è nato in un villaggio di confine, non sono nessuno” la voce era calma, pacata, la paura era passata ed ora c’era quella strana sensazione di intimità che non dovrebbe esserci con uno sconosciuto, non dovrebbe esserci con un uomo, cosa stava succedendo? “Perché sei qui?” mentre parlava, Arthur continuava a tamponare le ferite su quella schiena che, ne era certo, era perfetta, e per lui lo sarebbe stata anche con le cicatrici “Gaius è un amico di famiglia, mia madre mi ha mandato qui perché con lui avrei imparato tanto per poter aiutare chi ha bisogno. La cosa non è partita proprio come l’avevo immaginata” fece uno sbuffo sarcastico pronunciando l’ultima frase; senza accorgersene, Arthur si era fatto incredibilmente vicino. Quando parlò, Merlin poté giurare di aver sentito il suo fiato soffiare sulla sua spalla “Mi dispiace - ripeté il biondo - mi stavi sfidando davanti a tutti, non sapevo cosa fare” perché Arthur si stava aprendo con quel ragazzo, si era scusato di nuovo, e adesso stava lasciando trasparire le sue debolezze, eppure gli veniva così naturale, non poteva permetterlo, non con uno sconosciuto, non con un uomo “Perché vi state scusando con me?” quella domanda riportò Arthur alla realtà, si allontanò e tornò a parlare con voce alta e fredda “Puoi rivestirti. Torna da Gaius e digli che è tutto risolto. Il re non sarà informato di niente di tutto questo” doveva riprendere il controllo, rivestirsi della sua corazza e allontanare quel ragazzo, lo avrebbe trattato come qualsiasi altro popolano che aveva accesso a palazzo, niente di più. Eppure come avrebbe potuto negare a se stesso il tremore che provò il suo cuore quando incontrò gli occhi di Merlin? Quando il moro si girò, dopo essersi rimesso la sua maglia leggera, lo guardò in un modo indecifrabile, come se avesse capito che c’era qualcosa, eppure non erano occhi giudicanti, era un mare in cui Arthur sentiva che sarebbe sempre stato al sicuro, in cui Merlin non lo avrebbe mai fatto annegare ma che se non stava attento, rischiava di annegare da solo. 

 

Da quando Merlin era uscito dalla prigione e aveva iniziato le sue prime mansioni con Gaius, si gravitavano intorno senza mai avvicinarsi l’uno all’altro. Il moro non voleva avvicinarsi, quel ragazzo gli avrebbe fatto del male, come del resto aveva già fatto, non era certo che il dolore alla schiena sarebbe mai passato e le cicatrici, se avesse voluto sarebbe bastato pensare ad un incantesimo e sarebbero già sparite, ma voleva lasciarle lì, almeno per il momento, come monito per tutte le volte che incrociava Arthur sulla sua strada. La sera stessa in cui il principe lo liberò dai sotterranei, il moro vi fece ritorno chiamato insistentemente dal Grande Drago, Kilgarrah aveva detto di chiamarsi. Aveva definito lui e Arthur due facce della stessa medaglia “No - aveva risposto piccato il giovane - no, ti sbagli, lui mi odia” il drago sorrise, con il suo fare misterioso sembrava celasse tutti i grandi segreti del mondo, ed effettivamente poteva anche essere così, ma alcune cose, erano negate anche alla sua conoscenza e si divertiva a vedere come si sarebbero svolte “Una metà non può odiare ciò che la rende intera” era tutto quello che poteva dirgli, poteva sembrare un enigma ma con quell’unica frase gli aveva praticamente detto tutto. 

 

I giorni trascorrevano e Arthur cercava di comportarsi nel modo più normale possibile, passava le sue giornate ad allenarsi per non pensare. Ogni volta che incrociava Merlin, il suo cuore iniziava a palpitare talmente forte che temeva potesse uscirgli dal petto; succedeva sempre per puro caso, loro non si cercavano mai, eppure riuscivano sempre a trovarsi. “Domani arriverà Lady Helen a palazzo, spero che sarai dei nostri, Arthur” erano a tavola, pronti per la cena e quella di Uther non suonò propriamente come una domanda, ma più come un monito a non fare sciocchezze “Certo padre, non mi perderei la sua esibizione per nulla al mondo”. Quando bussarono alla porta Arthur non si aspettava di vederlo lì con il suo fazzoletto intorno al collo e quel sorriso limpido, che si tramutò in inquietudine quando incontrò il suo sguardo. Merlin aveva paura di lui, non voleva stare nello stesso posto quando c’era anche lui, ma perché Arthur si sentiva così frustrato da questa cosa, perché gli importava così tanto di quello che potesse provare Merlin. Per togliersi dall’imbarazzo prese il bicchiere di vino e lo portò alla bocca, in quel momento il moro si avvicinò alla tavola per consegnare al re la medicina che doveva prendere prima di cena, Arthur ebbe un fremito quando si accorse che dal colletto della maglia si intravedeva una ferita, in quel momento il vino cadde sulla sua casacca e su parte dei pantaloni innescando le risa goliardiche del re e della sua pupilla, Morgana “Arthur - pronunciò il re sorridendo - non sai più bere?” il biondo avrebbe voluto morire, non tanto per il fatto di essersi sporcato, ma perché fosse successo davanti a Merlin “Si ehm, sono uno sbadato - doveva trovare un modo per uscire da quell’empasse - Merlin, accompagnami nelle mie stanze, mi aiuterai a mettere via questi vestiti sporchi”. Eccoli lì, gli occhi colmi di panico di Merlin; aveva paura di lui, ormai ne era certo. Come era arrivato a quel punto? Come poteva terrorizzare chi aveva intorno? “Mi dispiace signore ma devo finire le consegne dei medicinali”, stava cercando di divincolarsi, e in quel momento, fu grato a suo padre per essere indiscreto e ficcanaso “Sono certo che Gaius non se l’avrà a male quando saprà che hai tardato per aiutare il principe ereditario” il moro non poté controbattere alle parole del re e si trovò costretto a seguire il principe lungo i corridoi. Nessuno dei due diceva una parola, Arthur desiderava solo che Merlin smettesse di trattarlo come un appestato, voleva che smettesse di avere paura di lui, avrebbe fatto tutto quello che era necessario per togliere quello sguardo timoroso dai suoi occhi, Arthur voleva nuotare in quel mare e per farlo aveva bisogno che quegli occhi lo guardassero il più possibile. Arrivati nelle stanze del principe, Merlin rimase fermo, la porta chiusa alle spalle; il biondo si era avvicinato al suo armadio. Si tolse la maglia sporca e scoprì un fisico statuario da cui Merlin restò abbagliato, ogni parte del suo corpo trasudava agilità, forza, sicurezza, perfezione, i muscoli sembravano scolpiti dalle mani più abili che avessero mai visto la luce del sole. Arthur si accorse di come il giovane lo guardava, e ne fu contento, almeno capiva che non era solo lui a sentire qualcosa di strano, capì che l’attrazione era reciproca, e questo gli diede la forza per far riaffiorare un po’ di quell’arroganza che con Merlin non era più riuscito a mostrare. Si avvicinò lentamente a lui con un panno in mano, senza mai distogliere lo sguardo dal suo, glielo porse “Mi aiuteresti a togliere il vino di dosso? Non voglio puzzare come un ubriacone” pronunciò sorridendo. Merlin iniziò a strofinargli l’addome lentamente, con il viso rosso di vergogna per i pensieri che iniziavano a balenargli nella mente. Non diceva una parola, tutta la sua concentrazione in quel momento era solamente per non perdere il controllo “Non voglio che tu abbia paura di me, non ti farei mai del male” lo aveva fatto di nuovo. Aveva di nuovo buttato via tutte le sue difese, con Merlin si spogliava di tutte le sue corazze senza nemmeno rendersene conto, perché? Il moro si bloccò sentendo quelle parole e, come era stato all’interno della cella, gli parlò senza guardarlo negli occhi “Lo avete già fatto, ma potete stare tranquillo, non ho paura di voi”, ad Arthur si mozzò il respiro. “Solo ribrezzo?!” lo imbeccò il biondo “Cosa vi aspettate Sire, un ringraziamento?” il tono di Merlin era piatto, come se stesse facendo preghiera a tutte le sue energie di non perdere la calma. Arthur non sapeva cosa fare, una parte di lui avrebbe voluto arrabbiarsi, dirgli che non gli aveva lasciato scelta, che lo aveva sfidato davanti a tutti; l’altra parte avrebbe voluto stringerlo e chiedergli perdono, avrebbe voluto baciare una ad una le cicatrici che gli aveva causato e fargli passare ogni genere di dolore e paura. Si allontanò da lui, combattuto, appoggiò i pugni sul tavolo, per sorreggersi, “Merlin perché non riesci a capire? Credi che sia facile per me? Dover mantenere sempre una facciata, agire esattamente come gli altri si aspettano che io agisca. Mi avevi sfidato davanti a tutti, maledizione! Non so perché non ti ho lasciato perdere, forse perché già avevo capito che mi sarebbe piaciuto averti intorno, per questo ho continuato. Però poi la cosa è degenerata e il mio ego, il mio rango e la mia arroganza hanno preso il sopravvento. Dovevo dare l’ordine di farti rinchiudere per poi farti liberare la mattina successiva, non avrei dovuto ordinare di frustarti - fece una pausa e si girò, guardando il moro negli occhi; era rimasto immobile dove lo aveva lasciato, con il panno ancora in mano e gli occhi lucidi - potrai mai riuscire a perdonarmi Merlin?” si era completamente disarmato, aveva parlato come un fiume in piena consapevole che se avesse esitato anche solo un momento le parole non sarebbero più uscite. Ora erano uno di fronte all’altro, pochi metri che li separavano che tuttavia sembravano chilometri “Perché?” quello di Merlin fu un sussurro e l’altro non fu certo di aver sentito “Perché continuate a scusarvi con me, perché continuate a chiedermi perdono? Cosa volete da me?” Arthur iniziò ad avvicinarsi, lentamente, non voleva che Merlin potesse pensare che volesse fargli del male, ora erano ad un soffio uno dall’altro, Arthur prese il panno e lo buttò a terra, per poi prendere una mano di Merlin e portarla sul suo cuore; batteva forte, come con una scarica di adrenalina dopo un combattimento “Non lo so. Il pensiero di averti ferito mi ha logorato, il pensiero che tu possa aver paura di me, mi uccide ogni giorno. Voglio averti intorno, e anche se non so tutto questo cosa significa, non voglio più farmi nessuna domanda, perché quando mi sei vicino sento che non ne ho bisogno”. Merlin non credeva alle sue orecchie, non riusciva più a staccare la mano dal petto di Arthur, inconsapevolmente gli aveva anche fatto una piccola carezza, ma era sbagliato, Arthur era inaffidabile e tutto questo lo stava facendo solo per avere un secondo fine, aveva parlato con qualche serva di corte e tutte glielo avevano descritto come un ragazzino viziato. Ma dov’era ora questo ragazzino? Merlin vedeva solo un giovane uomo pentito per i suoi errori. Arthur portò lentamente una mano dietro la schiena del moro per spingerlo verso di lui, Merlin sentì un dolore atroce che lo fece allontanare di scatto, eccolo il monito di cui aveva bisogno: stare lontano da Arthur, sempre. “Merlin scusami, non volevo farti male” il biondo fece per avvicinarsi e Merlin si allontanò “Voi non mi conoscete, e io non conosco voi. Non può esserci niente tra di noi, voi siete un principe e io sono… niente. Io non sono niente. Non potete usarmi a vostro piacimento” senza dare il tempo al biondo di rispondere, il giovane scappò tornando nelle stanze di Gaius. Durante quell’incontro ebbe la certezza che se non sarebbe stato attento, prima o poi Arthur sarebbe riuscito a farlo cedere, e non poteva succedere. Gli occhi di Arthur erano un cielo in cui a lui non era permesso volare. 

 

Merlin aveva ragione, tra loro non avrebbe mai potuto esserci nulla: uno era l’erede al trono, l’altro era l’apprendista del medico di corte, non solo due ranghi diversi, per di più due uomini. Arthur sapeva che la cosa più giusta da fare era lasciar perdere, ma non poteva ignorare quello che provava quando vedeva Merlin, era una cosa che non gli era mai successo con nessuna fanciulla; non gli importava minimamente che Merlin fosse un uomo, non aveva esperienza in merito, ma tutto di quel ragazzo sembrava chiamarlo. Arthur aveva deciso, si sarebbe guadagnato la fiducia di Merlin, avevano iniziato con il piede sbagliato, quindi doveva sistemare le cose. Il giorno successivo, il moro stava facendo le sue consuete consegne di medicinali quando fu avvicinato da un giovane con i capelli ricci “Ciao, io sono Tommy” gli parlava come se si conoscessero, ma Merlin non riusciva  collegare chi potesse essere “Due settimane fa mi hai salvato dalle grinfie del principe Arthur e non avevo avuto modo di ringraziarti” ma certo, lo stalliere usato come bersaglio umano. “Non devi ringraziarmi, Arthur meritava una lezione” “Non sono venuto solo per ringraziarti di quel giorno - Merlin non capiva, di cos’altro doveva essere ringraziato, non aveva fatto nulla - non so cosa gli hai detto ma poco fa il principe è venuto a scusarsi con me per le angherie che mi ha fatto subire. Non mi ha detto nulla ma io ho immaginato che fosse merito tuo, quindi grazie” Merlin non poteva crederci; Arthur era andato a scusarsi con lo stalliere per averlo preso di mira, davvero lo aveva fatto per lui? “Figurati amico. Buona giornata” quasi scappò via da quel ragazzo che lo guardava con occhi colmi di gratitudine. Arthur lo aveva fatto per lui, non poteva essere. Mentre Merlin cercava di non pensare a quello che aveva appena scoperto, Arthur era arrivato al campo di addestramento e aveva iniziato ad allenarsi con i suoi cavalieri, uno di questi sgridò violentemente un servo, la cui unica colpa era stata aver messo male il suo usbergo “Sei un imbecille - gridò spingendolo via e guadagnandosi lo sguardo interrogativo di tutti i presenti - anche una cuoca avrebbe saputo come metterlo” Merlin stava passando di lì per tornare nelle stanze di Gaius. Qualche volta si metteva in disparte e senza essere visto si fermava ad osservare Arthur mentre si allenava, lo trovava incredibilmente bello. Mentre stava passando dritto, sapendo che se si fosse fermato avrebbe assistito ad altre angherie, sentì la voce di Arthur che lo fece bloccare “Che cosa sta succedendo qui?” il moro si nascose e assistette a tutta la scena, il principe si era messo in mezzo fermando quel borioso cavaliere. Merlin non poté credere ai propri occhi, Arthur aveva aiutato il servitore ad alzarsi “Questo incapace ha messo male il mio usbergo e non riuscivo a muovere il braccio nemmeno per impugnare la spada” il cavaliere era un fascio di nervi “Mi sembra un motivo piuttosto sciocco per inveire con tutta questa cattiveria contro qualcuno” Arthur parlava con voce ferma, che non ammetteva repliche, lasciando di stucco tutti coloro che aveva intorno “Ma, mio signore…” “Sono certo che questo giovane non lo ha fatto di proposito, come ti chiami?” il ragazzo che aveva di fronte, pieno di timore rispose rimanendo a testa china “Mi chiamo Galdor, mio signore” “Cosa fai di solito, hai mai messo un’armatura a qualcuno?” Arthur stava dialogando con lui, per capire cosa avesse causato quell’errore. Sapeva che gli scudieri o i servi personali, non commettevano errori del genere a meno che non avessero iniziato quel lavoro da pochi giorni “N-no mio signore, sono uno stalliere, mi occupo solo di stalle e cavalli, mai di cavalieri” il biondo portò una mano sulla spalla del giovane per rincuorarlo “Ecco spiegato il mistero - pronunciò con un sorriso anche verso il suo cavaliere - sono certo che Galdor non ha sbagliato di proposito, non succederà più, giusto?” il ragazzo di fronte a lui fece segno di assenso con la testa e Arthur lo congedò “Basta angherie verso i servi - pronunciò con tono minaccioso verso il cavaliere - non siamo un regno di tirannia” continuò a voce più alta rivolgendosi anche agli altri cavalieri “Non trattiamo male qualcuno solo perché non è del nostro stesso rango. Non spaventiamo le persone. Siamo cavalieri, e non cavalieri qualunque, siamo cavalieri di Camelot. Siamo persone d’onore” tutti fecero segno di assenso con la testa, erano fieri del loro condottiero “Ora riprendiamo l’allenamento. Questa sera arriverà Lady Helen, quindi non potremmo trattenerci molto qui al campo”. Merlin non poteva credere a quello che aveva appena visto, Arthur era totalmente diverso da quando si erano incontrati la prima volta due settimane prima; aveva difeso quello stalliere e si era rivolto in quel modo ai suoi cavalieri; è possibile che lo avesse fatto per lui? Forse non era così terribile come pensava, forse era solo un ragazzo che aveva bisogno di qualcuno che lo sostenesse e gli facesse capire i suoi errori. Per paura di essere scoperto, Merlin si diresse a passo svelto verso le stanze del medico di corte, sempre più confuso.

 

Arthur sentiva che era giusto così. Quando si era andato a scusare con il servo che lui stesso aveva trattato male era stato spinto dal desiderio di dimostrare a Merlin che non era un mostro, ma si rendeva anche conto che probabilmente, a prescindere da Merlin, era giusto così. Non c’era nessuna vittoria nell’intimorire le persone; e in quel momento, mentre Sir Bedeon inveiva contro quel ragazzino, gli tornarono in mente le immagini della schiena di Merlin piena di ferite, delle sue espressioni di dolore e di paura. Basta così, non sarebbe mai successo nel suo regno, e nemmeno in quello di suo padre. Era ora che tutti ricordassero il valore e l’onore dei cavalieri di Camelot, che lui stesso, da ragazzino viziato quale era stato, aveva contribuito a rovinare. Se voleva guadagnarsi la corona erano tante le cose che doveva migliorare di se stesso, suo padre glielo diceva spesso, e forse questo rappresentò un piccolo passo per iniziare, Arthur era fiero di se stesso. 

 

Tutti erano molto eccitati per l’arrivo a palazzo di Lady Helen, era la cantante più apprezzata dei cinque regni ed era giunta a Camelot come regalo per re Uther. Quello che nessuno immaginava, era che la vera Lady Helen era stata uccisa lungo il suo viaggio verso Camelot e il suo posto era stato preso da una strega che voleva vendicarsi con il re per aver ucciso suo figlio; avrebbe fatto sì che Uther provasse lo stesso dolore. Merlin si stava preparando per presenziare alla cena, al contrario di Gaius lui non si sarebbe unito al banchetto, ma il medico gli aveva chiesto comunque di partecipare “Sarà divertente” aveva detto cercando di convincerlo; certo, sarà divertentissimo avere Arthur davanti tutta la sera. Il biondo non aveva minimamente voglia di partecipare a quella noiosissima cena, non gli interessava sentire l’esibizione dell’ospite della serata, voleva solo starsene per conto suo e cercare di riposare. Quel giorno non era riuscito a vedere Merlin nemmeno una volta, stava iniziando a pensare che molto probabilmente era meglio lasciar perdere, stava inseguendo qualcosa di impossibile dopotutto; quando arrivò però si rese conto che ogni pensiero svaniva alla vista del moro, qualsiasi congettura potesse fare diventava niente quando i suoi occhi incrociavano quel mare talvolta cheto, talvolta tempestoso. Arthur avrebbe fatto di tutto per navigare in quelle acque. La cena era iniziata, Merlin se ne stava in disparte con Ginevra, lei aveva il compito di assicurarsi che Morgana stesse sempre bene “Che stregoneria hai fatto ad Arthur per far si che diventasse così gentile con la servitù” Merlin rise sentendo le parole della giovane serva “Per carità, non nominare qui dentro la magia - disse sorridendo, esorcizzando l’ansia che gli provocava il sentirsi come una pecora nella tana del lupo - non gli ho fatto, né detto nulla. E’ tutta farina della sua coscienza, se ne ha una”. Improvvisamente una donna addetta al cambio dei piatti si girò verso di loro facendogli bruscamente segno di stare in silenzio, l’esibizione di Lady Helen stava cominciando. Quando la sua voce melodiosa riempì la sala tutti rimasero incantati dalla sua voce, forse troppo incantati, notò Merlin. Le persone intorno a lui stavano lentamente cadendo in un sonno profondo, chi era quella donna? E perché stava guardando Arthur in quel modo? Voleva attaccarlo, doveva fare qualcosa. Senza pensarci, senza più neanche la paura di essere scoperto fece brillare i suoi occhi e il pesante lampadario al centro della sala cadde sulla donna, che perso il suo potere rivelò la sua vera identità; tutti si svegliarono senza capire veramente cosa fosse successo “E’ una strega, arrestatela” gridò immediatamente Uther; prima che le guardie riuscissero ad avvicinarsi alla donna, e prima che questa spirasse per la botta ricevuta, riuscì a scagliare un coltello nella direzione di Arthur: fu questione di un secondo, il biondo si trovò scaraventato a terra con Merlin sotto di lui, il moro lo aveva salvato. Alzandosi notò il coltello che si era violentemente conficcato nello schienale della sua sedia. Si voltò verso il giovane che lo guardava imbarazzato, per la prima volta da quando si erano incontrati era stato Merlin ad abbassare le difese “Mi hai salvato la vita” pronunciò incredulo il biondo che fu, tuttavia, interrotto dal padre “Chi sei ragazzo?” il mago si trovò in imbarazzo avendo su di sé gli occhi dell’intera corte “Sono Merlin” “Ah si… il giovane apprendista del nostro Gaius. Verrai ricompensato per aver salvato mio figlio. Ti nomino servitore personale del principe Arthur” tutti batterono le mani, e i due giovani erano increduli “Padre non…” Arthur cercò di mediare, non voleva Merlin come suo servitore personale, avrebbe significato averlo costantemente intorno, e non era sicuro ce l’avrebbe fatta, e poi… Merlin sarebbe stato costretto a stargli vicino, forse però poteva essere una buona occasione per farlo ricredere, per far si che potesse iniziare a fidarsi di lui “Non fare il modesto Arthur, per questo giovane ragazzo sarà un onore servirti” Merlin non aveva proferito parola, era incredulo, tutto aveva pensato una volta arrivato a Camelot, fuorché una cosa simile. Non voleva stare con Arthur tutto il giorno, da quello che aveva capito stando a palazzo, il servitore personale stava con il suo signore continuamente: lo spogliava, lo vestiva, lo lavava… no! Merlin non avrebbe mai potuto fare tutto questo, vedere Arthur nudo?! No, era fuori discussione. Doveva trovare una soluzione a quel disastro. 

 

“Non posso crederci che dopo avergli salvato la vita mi sia toccata una punizione simile” entrando nelle stanze di Gaius iniziò a lagnarsi come un bambino “Ma di cosa parli Merlin? - lo redarguì il cerusico, piccato - essere servitore personale del principe ereditario è un onore, molti vorrebbero essere al tuo posto” Merlin lo guardò con un sorriso sarcastico “Possono accomodarsi, non li intralcerò minimamente”, dopo essersi guadagnato uno sguardo accigliato da parte del suo mentore, Merlin si sdraiò sul letto, pensando alla terribile giornata che lo avrebbe aspettato l’indomani. 

 

Il mattino seguente Merlin si alzò con un groppo allo stomaco, non voleva vedere Arthur, tanto meno vederlo di primo mattino, con gli abiti da notte. Mentre si dirigeva verso le stanze del principe, mille pensieri gli balenavano in testa e uno di questi lo riportò a qualche giorno prima, quando Arthur lo aveva fatto andare in camera sua per farsi aiutare, Merlin ricordò il suo petto forte, il calore che il suo corpo così vicino emanava, per quale motivo si sentiva così tanto attratto da quell’idiota, ancora non lo aveva capito. Entrando nella stanza di Arthur notò che era tutto buio, senza pensarci si diresse verso la finestra e spalancò le tende, il biondo grugnì e si girò dalla parte opposta per avere ancora un po’ di buio, era a torso nudo “Perfetto - pensò Merlin tra sé e sé - dorme nudo”. “Forza mio signore è ora di alzarsi, vado a prendervi la colazione voi intanto tornate nel mondo dei vivi” Arthur in risposta fece un lamento, ma Merlin provò a tirare fuori un po’ di ottimismo, dovevano convivere e ormai era appurato, tanto valeva farlo nel miglior modo possibile. Tornato dalle cucine lo trovò ancora sdraiato, ma sveglio. “Buongiorno mio signore” il biondo sorrise “Come siamo arrivati da asino reale a “mio signore” esattamente?”, chiese Arthur mimando con le mani delle virgolette sull’ultimo appellativo. Merlin poggiò il vassoio sul tavolo imponendosi di non imbambolarsi troppo a guardarlo “Chiamarvi asino mi ha causato non pochi problemi, siamo a corte, quindi se è l’accondiscendenza che cercate, l’avrete” Arthur si alzò dal letto e, Dei del cielo era completamente nudo e completamente… sveglio. Nel girarsi e trovandolo lì davanti in tutte le sue perfette e scolpite grazie, Merlin divenne rosso come un peperone e chiuse gli occhi “Dei del cielo Arthur, ma siete nudo. Avete finito gli abiti per la notte per caso?” così dicendo tornò a dargli le spalle imbarazzo. Il biondo sorrideva compiaciuto e avvicinandosi lentamente alla schiena del moro iniziò a parlare “No, è il tuo compito prendermeli, prepararli e farmeli indossare” ora erano appiccicati, schiena contro petto, Merlin aveva il cuore in gola ma non accennava a spostarsi da quella posizione “Se avessi voluto vicino a me una persona accondiscendente avrei fatto in modo di trovarne una, avrei detto che tu non eri in grado di soddisfare le mie necessità” Arthur parlava sussurrando nell’orecchio di Merlin e nel farlo a volte le labbra toccavano la parte superiore dell’orecchio. Merlin aveva gli occhi chiusi, si stava inebriando e riempiendo di tutto quel momento “Voglio l’arroganza che hai quando parli con me, voglio che mi sfidi, che mi tieni testa, che mi dici quando sbaglio, che mi dici che sono un asino, voglio che mi sorridi, che ti arrabbi con me, che non hai paura di me solo perché sono un principe” Arthur si bloccò e lentamente fece voltare Merlin, lo voleva guardare negli occhi, erano faccia a faccia e il moro sembrava non volersi muovere da dove era. Il biondo gli fece una carezza e con il pollice carezzò le labbra del suo servitore, erano morbide, delicate, carnose “Voglio che mi lasci nuotare senza farmi affogare” nel tono di Arthur c’era solo dolcezza e forse una preghiera, la preghiera di non essere lasciato. “Arthur, non vi lascerei mai affogare”.

 

Merlin era intento a sistemare la stanza di Arthur, mentre quest’ultimo era al campo di addestramento insieme ai cavalieri. Non avevano più avuto modo di vedersi dopo quella mattina, quando, se non fosse stato per Sir Leon che aveva bussato alla porta, chissà cosa sarebbe potuto succedere. Avere Arthur così vicino, sentire le sue mani addosso, d’un tratto non faceva più paura. Anzi, più andava avanti, più Merlin le sognava. Le cicatrici che aveva sulla schiena, che si ostinava a lasciare lì, non portavano più con loro quel senso di paura e di monito, bensì gli sbattevano in faccia il cambiamento che Arthur aveva fatto da quel triste giorno. Rimaneva comunque un asino borioso ed arrogante, sia chiaro, ma non avrebbe mai più fatto male a nessuno, a meno che non fosse stata una questione di vita o di morte. Gli facevano male, le cicatrici, a volte, se trasportava qualcosa di pesante, doveva fermarsi e riprendere fiato, perché le ferite tiravano al punto da sentir come se la pelle si strappasse. Tornando dagli allenamenti, Arthur trovò Merlin fermo in corridoio, ai suoi piedi c’era un cesto di panni sporchi, probabilmente li stava portando alle lavandaie, ma Arthur, senza farsi vedere, si concentrò nel capire cosa il ragazzo stesse facendo, si stava massaggiando la schiena, all’altezza del rene, e quando tolse la mano notò che era sporca di sangue. Merlin si guardò intorno imbarazzato e sfilando il fazzoletto dal suo collo si tamponò la ferita che si era riaperta con lo sforzo. Arthur sentì una morza attanagliargli la bocca dello stomaco. Era passato tanto tempo da quel giorno orrendo, e se le ferite gli causavano ancora problemi vuol dire che erano davvero gravi. Merlin se ne andò, portando con sé il pesante cesto di vestiti sporchi, sorrideva e salutava chiunque incontrasse nel corridoio, come se non fosse stato intento a tamponarsi una ferita sanguinante fino a un attimo prima. Arthur non era certo che sarebbe mai riuscito a perdonarsi; aveva scelto la persona più sbagliata a cui fare una cosa simile, Merlin era così gentile e giusto. Con questi pensieri che gli martellavano nella testa iniziò a pensare cosa poter fare. 

 

Merlin era appena arrivato in lavanderia quando un servitore gli comunicò che Arthur era nelle sue stanze e lo stava aspettando. Lasciato il cesto di panni da lavare, il moro si precipitò, forse con troppo impeto, nella stanza del principe, che lo attendeva ancora con l’armatura in dosso. “Allora Merlin, dov’eri? Sai che quando torno dagli allenamenti la prima cosa che voglio trovare è un bagno caldo pronto” Merlin lo guardò, il biondo era sudato, il viso acceso per il sangue e l’adrenalina ancora fortemente in circolo, le labbra più rosse del normale. Impacciato e imbarazzato per i suoi pensieri, Merlin fece per andarsene e preparare la tinozza con il bagno caldo “Merlin…” il moro si girò “Si Sire?”, il biondo aprì le braccia “L’armatura…” “Giusto…” molto goffamente Merlin iniziò ad armeggiare con quella ferraglia, Arthur era un misto tra l’irritato e il divertito nel vedere la difficoltà del giovane, che dopo un paio di minuti, riuscì a sganciare anche l’ultimo pezzo. Arthur rimase con la cotta di maglia “Pensavo che non ce l’avresti fatta, allora il mio catino di acqua calda?”, Merlin fece un leggero e impacciato inchino per congedarsi alla ricerca di un catino e quando tornò, trovò il principe a torso nudo, con solo i pantaloni in dosso. La visione lo lasciò senza parole, arrossì e il principe se ne accorse, compiacendosi. Il bagno era pronto e in modo molto agitato, Merlin aspettava che Arthur si spogliasse completamente e entrasse nell’acqua calda. “Merlin… non posso fare il bagno vestito” il moro lo guardava con aria interrogativa… dove voleva arrivare? “Spogliami” il moro sgranò gli occhi e deglutì “Non potete farlo da solo? Avete già iniziato… oppure siete uno che non porta mai a termine ciò che inizia?” eccola l’arroganza che faceva andare fuori di testa Arthur, per un momento, dopo l’inchino di poco prima, aveva temuto che non l’avrebbe più vista. Il biondo sorrise “Con lo stupido inchino di poco fa mi avevi quasi spaventato” si avvicinò al moro con passi lenti, fino ad arrivare a pochi centimetri da lui, Merlin era di poco più alto, una differenza quasi impercettibile, si guardavano negli occhi, tra loro era una continua sfida “Spogliami. Mi si fredderà l’acqua”. Un mare burrascoso e un cielo in tempesta, questo erano i loro occhi. “Se vuole la guerra, l'avrà" pensò Merlin che, senza mai distogliere lo sguardo portò le mani sull’elastico dei pantaloni e con un colpo secco li abbassò, liberando le grazie del principe in evidente eccitazione. Il moro gli girò intorno fermandosi alle sue spalle, molto lentamente si abbassò fino ad avere gli occhi all’altezza dei glutei perfetti del principe, lentamente, assicurandosi di toccare le gambe del biondo con entrambe le mani, gli sfilò i pantaloni, una gamba per volta e cercando di fare più rumore possibile li gettò lontano. Arthur era immobile, sentire le mani di Merlin sulla propria pelle lo aveva ricoperto di brividi. Venne ridestato solo dalla voce del moro “Il bagno vi aspetta, Sire” c’era quasi malizia nella sua voce. Merlin iniziò ad insaponare la schiena del biondo che a contatto con l’acqua calda si rilassò vistosamente. “Entra anche tu”, Merlin era convinto di aver capito male, Arthur non poteva veramente averlo invitato a fare il bagno con lui. “Scusate?”, Merlin era dietro di lui, mentre il biondo era con la schiena poggiata a un lato del catino, aprì gli occhi e si girò lentamente “Vieni qui dentro con me, voglio che ti rilassi anche tu… con me” il suo tono era basso, non c’era sfida, non c’era guerra, non era un comando, se Merlin avesse voluto avrebbe potuto rifiutare. Rimanendo alle spalle del principe, iniziò a spogliarsi “Chiudete gli occhi” il biondo sorrise “Cosa?” “Chiudete gli occhi, non voglio che mi vediate” “Merlin non fare la ragazzina, ti ho già visto senza maglia” quelle ultime parole gli morirono in gola, ricordando il motivo per cui lo aveva già visto senza maglia e improvvisamente il suo ricordo tornò al giorno nella cella, quando si parò davanti a lui quello spettacolo atroce. Merlin fermò i suoi pensieri cupi, come se lui non ci stesse pensando “Mi avete visto senza maglia ma non senza il resto. Chiudete gli occhi” Arthur acconsentì, come tacito ringraziamento per averlo strappato ai brutti pensieri “Come volete che mi metta?” “Con le spalle rivolte a me” sussurrò Arthur rimanendo ad occhi chiusi. Merlin entrò e lentamente si sedette. L’acqua era molto calda e sulle sue ferite bruciò, specialmente su quella che gli si era riaperta quella stessa mattina. Fece un piccolo lamento che non sfuggì al principe che aprì gli occhi. Merlin era seduto davanti a lui, la schiena martoriata, dritta, in una posa nervosa. Lentamente staccò la schiena dal catino e si avvicinò al moro, portò le mani a circondargli il petto e parlò tra i suoi capelli, vicino l’orecchio “Ti fanno male?” il moro si rilassò quando sentì Arthur iniziare ad accarezzargli il petto con dolcezza “L’acqua è molto calda. Bruciano un po’” il biondo tornò ad appoggiare la schiena al catino trascinando Merlin con sé. Erano abbracciati, nudi, a fare il bagno insieme. Se qualcuno fosse entrato in quel momento avrebbe gridato allo scandalo, fortuna che Arthur faceva sempre chiudere la porta a chiave quando doveva fare il bagno. Merlin era con la testa poggiata sul petto del principe, sembravano così beati e tranquilli in quel momento, tanto che a Merlin uscì un sorriso che fece rumore “Che c’è?” chiese il biondo sorridendo a sua volta “Ditemelo voi. Guardate come stiamo ed è solo il mio primo giorno, tra un mese che facciamo?” entrambi risero, da quando si conoscevano, per la prima volta stavano ridendo insieme. Era così bello. “Ti ho visto oggi…” iniziò il biondo di punto in bianco “Quando stavi faticando con la cesta dei vestiti e ti si è aperta una ferita. Ho visto il sangue che ti è uscito” a quel ricordo il biondo strinse ancora di più il giovane a sé, quasi per paura che potesse perderlo o potesse andarsene via. In tutta risposta il moro portò la mano su quella del principe e la strinse “Arthur… non dovete pensarci più. Se sono qui, con voi, vuol dire che non dovete pensarci più”. Il principe lo strinse ancora di più, Merlin non lo sapeva, ma in quel momento rappresentava un’ancora di salvezza “Mi dispiace” il biondo aveva la voce rotta, parlava con la testa china sulla spalla di Merlin e un sussulto gli fece tremare le spalle. Stava piangendo? Istintivamente Merlin si staccò e si girò verso di lui “Arthur…” portò una mano sulla guancia del principe e cercò di fargli alzare la testa, Arthur lo fece ma si girò per non incrociare i suoi occhi, non poteva accettare di piangere davanti a qualcuno. “Arthur basta”, la posizione in cui si trovavano non era delle migliori, eppure Merlin lo riuscì ad avvolgere in un abbraccio caldo; pelle contro pelle, senza nulla a separarli. Cos’era tutto questo? Cos’era che li univa così? “Non posso fare niente Merlin” il principe sussurrava, più che altro per paura che la voce gli si spezzasse troppo vistosamente “Non posso fare niente per cancellare quello che ho fatto” Merlin doveva pensare a cosa fare, non voleva che Arthur si sentisse in quel modo. Da quel giorno erano successe tante cose, Arthur aveva fatto tante cose per farsi perdonare, oppure per cercare di perdonare se stesso “Avete fatto tanto Arthur. Tutti si sono accorti del vostro cambiamento nei confronti degli altri” Merlin sapeva che probabilmente non era abbastanza per convincere il principe che non c’erano più colpe da espiare, e così optò per la cosa migliore che gli passò in mente, farlo sentire utile. Si staccò delicamentamente dall’abbraccio e lo guardò “Vi andrebbe di aiutarmi… a medicarmi?” sapeva che stava oltrepassando un limite, stava chiedendo al principe ereditario di fare un lavoro che non gli spettava, non era certo di come Arthur avesse potuto reagire, dato che pretendeva che gli tagliasse la carne durante i pasti… In tutta risposta il principe alzò lo sguardo, nei suoi occhi arrossati, ma sempre fieri, vi era gratitudine “Assolutamente si, Merlin” il moro fece per alzarsi e uscire dal catino, ma si fermò “Chiudete gli occhi, devo uscire” il biondo sorrise “Dei Merlin, sei incorregibile” senza aggiungere altro chiuse gli occhi, sentì l’acqua muoversi e abbassarsi una volta che Merlin uscì completamente. Il moro si avvolse velocemente in un telo coprendosi dalla vita in giù, dimenticandosi di asciugarsi “Va bene, potete uscire”, quando il biondo aprì gli occhi e fece per uscire, rimase incantato a guardare Merlin. Sembrava magro al punto che potesse spezzarsi invece aveva un fisico delicatamente scolpito e asciutto, con le gocce d’acqua che usavano il suo corpo come una tracciato su cui correre come cavalli impazziti. “Tu sei perfetto” gli sussurrò avvicinandosi e facendogli una delicata carezza sul volto. Il moro arrossì “E voi siete costantemente nudo. Vi prego Arthur copritevi, sta diventando faticoso” il principe rise e a sua volta si coprì con un telo, nel medesimo modo di Merlin. Nel frattempo il giovane mago si era diretto verso il letto a baldacchino del principe ed estrasse dalla tasca dei pantaloni che aveva in terra un unguento medicinale “Questo aiuta a cicatrizzare, così non dovrebbero più aprirsi, posso sedermi?” chiese indicando il letto. Arthur non parlava più, l’unica cosa che riusciva a fare era ammirarlo dalla testa ai piedi, fece segno di si con la testa e si avvicinò, l’unica cosa che riusciva a pensare era che voleva baciarlo. Merlin gli porse la boccetta e gli spiegò come doveva fare “Sdraiati” il moro si girò con un sorriso impacciato “Non serve Arthur, va bene anche così” “Voglio fare le cose fatte bene, sdraiati”. Senza controbattere ulteriormente Merlin si sdraiò prono. Improvvisamente sentì del sollievo sulla schiena quando Arthur iniziò a mettere l’unguento. Decise di partire dalla ferita aperta “Prende sempre i problemi di petto, è fatto così” pensò Merlin. Ad un tocco troppo duro il moro ebbe un sussulto “Ti ho fatto male?” Arthur era così premuroso, ma lui non era così, eppure con Merlin non riusciva a non esserlo. “Possibile che sia tutto dovuto al senso di colpa che gli attanaglia il cuore?" In Merlin cominciò a farsi strada quell’idea, che lo incupì leggermente. “Non vi preoccupate” rispose il moro “Non ho le mani molto delicate” disse Arthur quasi giustificandosi “Avete le mani di un cavaliere, eppure riuscite comunque ad avere un tocco molto dolce” Merlin si pentì immediatamente di averlo detto, aveva oltrepassato un limite e il silenzio che ricevette come risposta ne era la conferma. Dal canto suo Arthur non seppe cosa rispondere, era imbarazzato per il complimento ricevuto, ed era una cosa assurda, perchè lui riceveva complimenti da centinaia di fanciulle e non si era mai imbarazzato, anzi, era sempre stato motivo per pavoneggiarsi. Ma ora, con Merlin, tutto quello che stavano vivendo era esclusivamente loro, non voleva pavoneggiarsi, non voleva vantarsi. Voleva che quel momento rimanesse esattamente così, esclusivamente loro. Complice la stanchezza, il tempo infinito che impiegava l’unguento per asciugarsi e il comodissimo letto di Arthur, Merlin si addormentò dimenticandosi di tutto. 

 

Dopo diversi minuti di silenzio in cui Arthur si era rivestito, nell’attesa che l’unguento si asciugasse, si avvicinò al letto facendo più piano possibile avendo intuito che con molta probabilità Merlin si era addormentato. “Può esistere un servitore peggiore? E' il suo primo giorno e già si addormenta sul mio letto” Arthur formulò quel pensiero senza malizia o cattiveria, non gli importava veramente che Merlin si fosse addormentato durante il turno di lavoro, anche perché il bagno era stata una sua idea, e medicarlo aveva fatto si che il suo morale salisse un po’, anche e soprattutto perchè aveva potuto toccare e accarezzare la schiena di Merlin per tutto il tempo che aveva voluto. Chiuse il baldacchino per proteggere Merlin da altri occhi, aprì la porta e fece chiamare una serva “Il mio servitore è andato a fare una commissione per me, porta via tu questo catino” la giovane fece un inchino e iniziò a svuotare il catino, secchio dopo secchio. Arthur era seccato per il rumore che stava facendo, aveva paura che il moro si potesse svegliare “Potresti essere un po’ meno rumorosa possibilmente?” chiese “P-perdonatemi Sire, farò più attenzione”. Quando la serva ebbe finito e portò via il catino, Arthur richiuse la porta a chiave e riaprì il baldacchino, facendo attenzione si sdraiò accanto a Merlin, coprendo entrambi con le calde coperte, nel sonno Merlin si avvicinò a lui, poggiando la testa sul suo petto. Arthur era impietrito, il cuore gli martellava nel petto e aveva paura di muoversi temendo che Merlin potesse staccarsi da lui. Piano avvolse le spalle di Merlin con un braccio e rilassandosi, si lasciò abbandonare al mondo dei sogni. 

 

Quando Merlin si svegliò, il sole era quasi tramontato. Ci mise un po’ per focalizzare la scena: era nel letto di Arthur, sotto le coperte, e il principe era al suo fianco che dormiva beatamente, ed erano abbracciati. Si fermò ad osservarlo e notò quanto ai suoi occhi, ogni aspetto di Arthur fosse indiscutibilmente perfetto, istintivamente gli fece una delicata carezza e guardando le sue labbra pensò che volesse baciarle ed essere baciato. Sconvolto dai suoi stessi desideri e da tutta l’intimità che aveva vissuto con Arthur in un solo giorno, lentamente si alzò dal letto e si rivestì; facendo più piano che poté si diresse verso la porta “Stai scappando come un marito fedifrago?” non aveva fatto abbastanza piano. Ovviamente. Si voltò imbarazzato e trovò Arthur con la schiena poggiata allo stipite del letto “N-no, no è che…” non sapeva cosa dire, era così imbarazzato. “Arthur mi dispiace di essermi addormentato nel vostro letto, non succederà più lo prometto. Ero molto stanco, e il sollievo sulla schiena mi ha fatto così rilassare che mi sono addormentato. Mi dispiace davvero” Arthur lo guardava intensamente, gli dispiaceva che se non si fosse svegliato in tempo, avrebbe trovato la stanza vuota “Perché stavi scappando via?” “N-non volevo svegliarvi” eccolo, il cielo in tempesta, in così poco tempo Merlin aveva già imparato a riconoscerlo “Secondo te, se mi sono addormentato vicino a te, era un problema così grave che ti fossi addormentato nel mio letto nel tuo primo giorno di lavoro? Secondo te, se fosse stato davvero un problema o un affronto, pensi che non ti avrei con poca delicatezza buttato giù dal letto per farti alzare, cosa credi che significhi tutto questo?” con le mani Arthur indicò il letto e tutto quanto li circondasse, compresi loro “N-non lo so” “Sai la verità? Sei un idiota Merlin. Forza vattene” Merlin era pietrificato dal tono così freddo di Arthur, non pensava che rivestirsi e andarsene mentre Arthur dormiva fosse una cosa tanto brutta, però ora che ci pensava, se fosse successo il contrario ci sarebbe rimasto piuttosto male. Era ancora imbambolato davanti alla porta, rivolto verso Arthur che aveva distolto lo sguardo da lui “Non mi hai sentito Merlin? Ti ho detto di andar via”. Con un nodo allo stomaco Merlin se ne andò. 

 

Arthur si sentiva così sciocco. Si era comportato come una fanciulla ferita, ma la verità è che si sentiva veramente ferito. Stava facendo di tutto per guadagnarsi il rispetto e la fiducia di Merlin. Lo aveva fatto dormire nel suo letto, avevano fatto il bagno insieme e, maledizione si era anche scusato con un servitore. Che cosa poteva volere di più? Arthur era arrabbiato e in quel momento fu la sua immaturità a prendere il sopravvento. Chiese al primo servitore che incontrò di portargli la cena e se avesse incontrato Merlin, di riferirgli che non c’era bisogno che se ne occupasse lui, e di fare la stessa cosa per la colazione del giorno dopo. “Non vuole avermi intorno? Bene. Vediamo chi cederà per primo" infantile, ma sempre condottiero, era tutto uno sfida, sempre. 

 

Merlin si stava recando alle cucine e prendere la cena per il principe, voleva scusarsi con lui, effettivamente Arthur era stato molto gentile, lo aveva fatto sentire protetto, al sicuro e la sua codardia lo aveva spinto a scappare, non si sa neanche da cosa o perché. Era stato veramente un idiota ma avrebbe rimediato. Arrivato alle cucine trovò un giovane intento ad aspettare “Immagino che a te sia toccato Sua Maestà in persona, considerando che a Lady Morgana ci pensa Gwen” dovevano aspettare, tanto valeva fare un po’ di conversazione. Con naturalezza e senza malizia il giovane rispose prontamente “No, sono qui per prendere la cena per il principe Arthur” Merlin aggrottò le sopracciglia “Sono io il servitore del principe Arthur, spetta a me farlo” disse con tono sorpreso “Ah, tu sei Merlin. Il principe ha detto che stasera affidava il compito a me, e lo stesso vale per la colazione di domani. Ritieniti fortunato amico” disse il giovane sorridendo mentre la cuoca gli passava un enorme vassoio pieno di pietanze calde. Merlin era incredulo, lo aveva rimpiazzato, e tutto per uno stupido malinteso, ma era veramente un asino babbeo. La cosa positiva era che poteva andare nella sua camera e rilassarsi. Quando Gaius lo vide rientrare così presto si interrogò sul come mai e Merlin rispose in modo molto evasivo, ma il cerusico non si fece tante domande e tornò alla sua cena. “Ma che comportamento è? Neanche fosse una moglie ferita” Merlin era sul letto fingendo di sfogliare il libro di magia, ma in realtà la testa era altrove. Perché Arthur lo aveva sollevato dai suoi incarichi? Era certo che fosse per il battibecco di quel pomeriggio. Poi lui non stava nemmeno scappando, stava… già… cosa stava facendo? E perché non era stato in grado di rispondere alla domanda di Arthur “Cosa credi significhi tutto questo?" già… cosa significava? C’era qualcosa tra loro? L’attrazione reciproca era evidente, ma perché Arthur si era tanto fissato con lui? Merlin lo sapeva, era semplicemente senso di colpa, e non voleva avere a che fare con qualcuno che voleva stare con lui per rimorso, voleva qualcuno che lo amasse completamente, per quello che era. Era certo del fatto che se non fosse stato attento, sarebbe stato lui a rimanere scottato dal biondo, perché Merlin sapeva, che una parte di lui, era già inevitabilmente legata al principe. Doveva mettere una distanza, era necessario. Secondo lui il miglior modo per farlo, era andare a dirglielo in quel preciso momento. “Devo andare a parlare con il principe, perdonatemi se rientrerò quando siete già a letto, cercherò di fare piano” disse quelle parole senza voltarsi e passando davanti a Gaius alla velocità della luce, tanto che il medico non riuscì nemmeno a rispondere. Entrò nelle stanze di Arthur senza bussare mentre il biondo era intento a mangiare nella più completa solitudine “Non ho mai pensato che foste un pozzo di intelligenza ma neanche che eravate così babbeo da sostituirmi dopo solo un giorno per uno stupido battibecco” Arthur lo guardava perplesso, ma segretamente soddisfatto, Merlin gli stava facendo una scenata. Trasudando calma e sicurezza Arthur si portò il bicchiere alla bocca e bevve un sorso di vino “Merlin, non si usa più bussare?” il moro lo guardò, e Arthur riconobbe quegli occhi: mare in burrasca “Oh si, scusate” e avvicinandosi al tavolo diede due colpi con il pugno “Permesso!”. Arrogante. Pensò Arthur. “Non ti ho sostituito per il battibecco Merlin, sembrava avessi bisogno di riposo” Arthur continuava a mantenere la facciata di sicurezza che lo contraddistingueva, chissà se funzionava. “Balle. Allora visto che siete così borioso perché non me lo dite voi, cos’era tutto quello che c’è stato oggi?” A quella domanda Arthur vacillò, e per non farlo notare, rispose senza guardarlo, tagliando la sua bistecca “Dalla tua reazione di oggi ho dedotto che è stato qualcosa che non abbiamo visto allo stesso modo. Quindi non importa più” questa volta era convinto di avere ragione, fare il sostenuto era necessario. “Arthur… ma che cosa volete da me?” in quel momento Merlin poggiò entrambe le mani sul tavolo e Arthur decise di alzare lo sguardo, cielo e mare, di nuovo, come sempre. “Ve lo dico io, niente. Non c’è niente che vi lega a me se non senso di colpa. Non mi serve che mi stiate vicino per ripulirvi la coscienza, ve l’ho già detto, è tutto passato. E’ tutto apposto. Non ce l’ho con voi. Siete stato gentile a sforzarvi per avere il mio perdono anche se non so perché lo volevate. Io non sono nessuno, quindi potete dormire sogni sereni, mio signore”. Arthur lo guardava senza parlare, il respiro era inevitabilmente accelerato, non si aspettava tali parole, lui che da quando aveva incontrato Merlin, si era impegnato per agire solo nei modi giusti. Merlin era un fascio di nervi, entro poco sarebbe crollato e non voleva accadesse davanti ad Arthur, per questo decise di girarsi e andarsene senza attendere una risposta. Appena gli diede le spalle sentì la voce di Arthur trapassarlo “Pensi che mi sia avvicinato a te per senso di colpa?” Merlin si fermò, erano entrambi impietriti nelle loro posizioni “Non vedo altro motivo, Sire”, il moro fece due passi e si avvicinò alla porta “Mi hai fatto sentire umano” Merlin sgranò gli occhi, avrebbe voluto voltarsi ma non ne ebbe il coraggio. Nella stanza calò un silenzio irreale interrotto solo dalla voce piatta di Arthur “Puoi andare Merlin, considerati sollevato dai tuoi impegni definitivamente”. Merlin uscì senza rispondere e chiudendosi la porta alle spalle vi si appoggiò lasciandosi scivolare fino a sedersi a terra. Era stato un idiota, non voleva che la discussione prendesse quella piega, ma quando era vicino ad Arthur non riusciva più a ragionare. Entrò nelle stanze di Gaius con il morale a terra, il medico già dormiva e cercò di fare più piano possibile. Messosi sotto le coperte, la mente iniziò a non dargli tregua: le mani di Arthur che lo accarezzavano con dolcezza, la sua bocca che lo sfiorava ma che non aveva mai osato dargli neanche un piccolo bacio su una spalla, sempre rispettoso. Gli tornò in mente il momento in cui si svegliò al suo fianco, Arthur lo abbracciava, come qualcuno che voleva proteggerlo da tutti i mali del mondo, “Cosa pensi significhi tutto questo?" a Merlin veniva in mente solo una risposta in quel momento. Significava che era stato un idiota.

 

Per giustificare a Gaius la sua presenza, Merlin decise di rimanere sul vago dicendo che a seguito di un piccolo battibecco, Arthur lo aveva sospeso per qualche giorno “Sei riuscito a farti sospendere nel tuo primo giorno di lavoro? Sul serio?” il moro rispose con un’alzata di spalle, non aveva alcuna voglia di discutere, né di essere sgridato. Chiedendo al medico le consegne da fare, iniziò il suo giro sperando che nessuno gli rivolgesse la parola. Speranza che ovviamente, rimase vana “Merlin, sei a fare commissioni per il principe?” la voce allegra di Gwen lo fece sorridere, anche se era dura ammetterlo, aveva bisogno di una figura amica in quel momento “Gwen… no sto portando le medicine ai pazienti di Gaius” “Oh…” la giovane fu tentata dal chiedere il perché non stesse con Arthur, ma come se udisse le preghiere mentali di Merlin di essere lasciato in pace decise di lasciar perdere “Beh… domani arriveranno i cavalieri dai regni vicini per l’inizio del torneo, sei pronto per tutta la baraonda?” “Non molto in realtà, spero di non combinare molti disastri” entrambi sorrisero. Merlin era grato a Gwen perché riusciva sempre a strappargli un sorriso. Tra le varie medicine aveva anche delle erbe per aromatizzare i sapori troppo amari, tra cui vi era un ramoscello di lavanda. Senza pensarci Merlin lo donò a Gwen che arrossendo si aprì in un gran sorriso “Grazie Ginevra, sei un’amica molto preziosa” le disse dandogli un impacciato bacio sulla guancia che lasciò la giovane imbambolata. Nel frattempo Arthur, che aveva seguito tutto da lontano, sentì il sangue ribollire nel petto notando che per Merlin era come se non fosse successo nulla, mentre lui ancora si sentiva male per la discussione avuta il giorno prima “Forse davvero per lui non è stato niente" pensò amaramente il principe, che da quel momento decise che avrebbe lasciato perdere definitivamente. Mentre camminava da una casa all’altra, Merlin pensava che voleva trovare un modo per parlare con Arthur e per farsi perdonare, sapeva di aver sbagliato, sapeva che Arthur aveva fatto tanto per lui e il senso di colpa non poteva arrivare tanto lontano "Mi hai fatto sentire umano" queste parole gli martellavano in testa e sembravano non volergli lasciare tregua. Da quanto tempo Arthur cercava qualcuno che lo trattasse normalmente? Da quanto tempo Arthur si sentiva spaventosamente solo? Improvvisamente gli prese una morsa allo stomaco pensando quanto il principe, pur avendo tutto, si dovesse sentire in un baratro di solitudine inimmaginabile. Avrebbe dovuto trovare il coraggio di affrontarlo, di andare da lui a scusarsi. 

 

Il palazzo era in subbuglio per l’arrivo dei cavalieri, il giorno seguente sarebbe iniziato il torneo e come di consuetudine, la sera prima si fa una festa per augurare a tutti buona fortuna. Merlin era certo che ci sarebbe stato Arthur, avrebbe cercato di parlarci quella sera, almeno tra le altre persone non poteva fargli una scenata. Poi pensò che lui era un servitore e Arthur il principe, se avesse voluto avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. La sera arrivò e Merlin era nervoso, si sentiva una fanciulletta alla sua prima cotta, era davvero ridicolo. La festa iniziò e fino a quel momento Arthur non lo aveva degnato di uno sguardo, almeno il moro così pensava mentre continuava ad assicurarsi che tutti avessero sempre i bicchieri pieni. Scorse molto alcool e i cavalieri erano tutti piuttosto allegri. Tra tutti Valiant, un uomo dal fascino tenebroso che aveva attirato l’attenzione di tutte le dame, di qualsiasi rango. Stava parlando con Arthur e si accorse che l’attenzione del principe era tutta per un servitore con i capelli neri “Se volete congedarvi e godervi un po’ di compagnia fate pure mio signore” proferì Valiant con malizia. Arthur si maledì per essere stato colto in flagrante e immediatamente si ricompose “Ma no, cosa vai a pensare” iniziò con un sorriso di sufficienza “E’ il mio servitore e ha combinato talmente tanti guai che se continua sarò costretto a mandarlo via, mi stavo assicurando che non infastidisse nessuna dama” ma che cavolo gli era venuto in mente? Far passare Merlin come un imbecille molestatore, era proprio un asino. Appellandosi da solo in quel modo non poté far a meno di ammettere a sé stesso quanto Merlin gli mancasse. “Allora, se non c’è altro, non vi dispiacerà se proverò a godere io stesso della sua compagnia” Arthur non credette alle sue orecchie, improvvisamente la voglia di uccidere Valiant divenne tremante sulle sue mani “Se lui sarà d’accordo non vedo perché no” pronunciò in un sorriso stirato. Sperava con tutto se stesso che Merlin lo cacciasse in malo modo, altrimenti non sapeva cosa avrebbe fatto. Il cavaliere si congedò e guardando Merlin come un leone guarda un preda gli si avvicinò “Ciao, tu devi essere Merlin” il moro si girò e quando incontrò gli occhi del cavaliere sentì un senso di inquietudine balenargli sotto pelle, quel tipo non gli piaceva “Si” rispose vagamente “Io sono Valiant, sono qui per il torneo che inizierà domani. Potrei parlarti un momento in disparte, sono un po’ nervoso” Merlin non si fidava minimamente, ma non voleva giudicare male nessuno, quindi acconsentì ad uscire dalla sala. Arthur aveva assistito alla scena in disparte e pur pensando che Merlin fosse un vero idiota, pensava che se era uscito così in fretta dalla sala, il cavaliere gli dovesse aver celato le sue vere intenzioni. Valiant e Merlin stavano passeggiando per il corridoio, il chiasso della festa ovattato gli lasciava spazio per parlare “Allora Valiant, cos’è che vi turba” il cavaliere decise di scoprire le sue carte, non voleva perdere tempo con un servitore “In realtà nulla, Merlin. Sono voluto uscire per rimanere da solo con te, ci possiamo divertire parecchio insieme”. Gli occhi di Merlin si velarono di panico, era caduto nella trappola come uno sciocco “Mi dispiace se vi ho dato l’impressione sbagliata, ma non sono interessato a questo genere di conoscenza” mentre il moro fece per andarsene sentì un forte presa avvolgergli il braccio e la schiena dolente per il contatto violento contro il muro “Io invece si e penso proprio che mi darai quello che voglio” Merlin iniziò a dimenarsi e nel farlo diede un leggero calcio tra le gambe a Valiant che si chinò senza mai perdere il suo sorriso beffardo “Sei andato a parare subito lì, allora vedi che lo vuoi anche tu” con brutalità prese le gambe di Merlin e le allargò portandosele alla vita. Quando il moro sentì il sesso del cavaliere a contatto con i suoi pantaloni non riuscì a non gridare “Lasciami bastardo” più il moro gridava, più il cavaliere rideva e si beava della sua paura. Merlin era talmente preso dal panico che non si accorse che improvvisamente le mani del cavaliere lo lasciarono e il suo corpo si allontanò da lui. Nell’ombra vide solo dei capelli biondi illuminati dalla luce della luna e vide distintamente Valiant cadere a terra dopo essere stato preso a pugni. In un momento Arthur fu vicino a lui e gli prese il viso tra le mani “Stai bene?” Merlin era spaesato e sotto shock e appena vide Arthur l’unica cosa che riuscì a fare fu gettargli le braccia al collo “Arthur” lo strinse fortissimo, tanto che al biondo per un momento mancò il respiro. Lentamente portò le braccia intorno alla schiena di Merlin e l’accarezzò prima dolcemente, poi lo strinse con tutto il vigore e la necessità che aveva in corpo. Portò le mani tra i suoi capelli e sentì male al solo pensieri di quello che Valiant avrebbe potuto fare se non fosse arrivato in tempo “Va tutto bene Merlin. Non ti lascio, te lo prometto”. I due si staccarono e si guardarono negli occhi, si mancavano talmente tanto che ogni voglia di farsi la guerra era sparita “Arthur…” mentre il moro iniziò a parlare, dalla festa uscirono dei cavalieri ubriachi fradici che facevano una gran confusione. “Che ne dici di andare da un’altra parte?” Merlin sorrise e fece un tacito segno di assenso. 

 

Arrivati in camera di Arthur, Merlin si lasciò cadere su una sedia, dimenticando completamente ogni regola di comportamento. Arthur non se ne curò e poggiò delicatamente una coperta sulle spalle del moro “Grazie”. Fu l’unica parola che per minuti interminabili si sentì nella stanza. Arthur era un fiume in piena di pensieri; si era spaventato a morte all’idea che fosse potuto accadere qualcosa a Merlin. Lui non si era mai preoccupato veramente di nessuno, ma con Merlin non riusciva a non farlo. Anche il moro era rinchiuso nei suoi pensieri, se non fosse arrivato Arthur non voleva sapere cosa sarebbe potuto succedere. Probabilmente alla fine avrebbe ceduto e avrebbe usato la magia nel castello, nonostante Gaius gli avesse più volte detto di non farlo mai. Quando succedono cose del genere, pensava Merlin, ci si rende veramente conto di quanto anche la lite più grave può diventare banale. “Arthur mi dispiace” il moro finalmente trovò il coraggio di parlare, non aveva senso rimanere arrabbiati, Arthur gli era mancato terribilmente. Il biondo era seduto sul letto e nel sentire quelle parole, portò i suoi occhi in quelli del moro “Io… mi sono spaventato e… sono stato un idiota” Arthur non riuscì a reprimere sorriso stanco “Di cosa ti sei spaventato di preciso? Pensavi potessi picchiarti nel sonno?” “Dei piantala Arthur” “Chi ti ha dato il permesso di parlarmi in questo modo?” “Oh, scusate Sire, dimenticavo che voi siete il principe e l’etichetta viene prima di tutto” “Beh, mi da fastidio quando usi l’etichetta anche se siamo soli” “Ma mi hai appena sgridato perché non l’ho fatto” “Beh si, ma se lo fai mi da ancora più fastidio” “Sei un asino babbeo” “E tu sei un idiota” dopo pochi secondi di silenzio entrambi scoppiarono a ridere come bambini. Arthur chiese a Merlin di raggiungerlo e sedere vicino a lui sul bordo del letto e il moro non se lo fece ripetere due volte “Avevo paura che mentre io già mi sentivo veramente legato a te… tu mi volessi vicino solo per senso di colpa e quando poi ti fosse passata, avresti capito che in realtà non volessi avermi intorno” Arthur non rispose, istintivamente portò entrambi le mani sul viso di Merlin in segno di possesso e delicatamente poggiò le labbra su quelle del moro, il loro bacio fu un misto di morbidezza, dolcezza, possesso e desiderio. Merlin aveva portato le mani tra i capelli color del grano di Arthur e li stringeva forte. Quando si staccarono Merlin sussurrò un “No”, come se la bocca di Arthur fosse l’unica cosa che gli desse aria “Non ti lascerò più andare via Merlin” Arthur sovrastò Merlin con il corpo finché entrambi non si trovarono sdraiati, ripresero a baciarsi e lentamente iniziarono a spogliarsi, non c’era più imbarazzo, non c’era più paura. Fecero l’amore con passione, non riuscendo a credere che finalmente entrambi erano riusciti a colmare quella mancanza che avevano silenziosamente sempre provato. Ora Arthur guardava Merlin e sapeva che quegli occhi per lui sarebbero sempre stati un mare in cui poter nuotare sicuro; ora Merlin guardava Arthur con la consapevolezza di poter volare in quel cielo limpido solo ed esclusivamente suo.

Angolo Autrice:
Buongiorno a tutti. In questo periodo di chiusura forzata ho avuto modo di riprendere qualche mio scritto, tra cui questo che era fermo da diversi mesi. Chiedo scusa se avete trovato errori di battitura o di qualsiasi natura, ma la storia non è betata quindi, forse, avendo letto la storia troppo spesso, non mi sono saltati all'occhio. Spero vi sia piaciuta, mi farebbe piacere ricevere vostri pareri per sapere cosa ne pensate. Un grande abbraccio. Alla prossima.

 

   
 
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