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Autore: seventhe    11/08/2009    3 recensioni
“Ehi, nanerottola, sta’ a sentire. Lo sai che le nostre anime si trasformano in mako, no? Allora cosa accadrebbe se ci fossero persone con l’anima scaduta? Per esempio, mia nonna, insomma, io sarei felice di bruciare la sua anima eccetera, ma sono sicuro che non riuscirebbe neanche ad accendere una candela. Che ne pensi?”
Reno e Yuffie: una mappa mangiata, molti bastoni, niente hamburger, e la chiara mancanza di Sunrise Sours.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Reno, Yuffie Kisaragi
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
- Questa storia fa parte della serie 'Warming Up'
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Swirl and Sours è la prima fanfiction di Warming Up, che per citare l’autrice seventhe è “una serie di one-shot su diverse coppie di Final fantasy VII. Il titolo si riferisce tanto a (1) persone che si scaldano a vicenda quanto a (2) seventhe che si riscalda in un altro fandom prima che quello di FFVIII la inghiottisca del tutto. Inoltre, qualcuno una volta disse: “la brevità è l’essenza dell’ingegno”. Beh, di sicuro non si stava riferendo a me…
Attenzione: l’intero proposito di questa fanfiction è tentare di portare i personaggi un pochino oltre i loro stereotipi*. Non venitevene a strillare ‘OMFG OOC’ da me perché non ascolterò, e anche perché sembrereste dei cretini.”
*Per "stereotipi" seventhe intende chiaramente gli stereotipi del fandom anglofono. La fanfiction è ’OOC’ rispetto a quegli schemi, non rispetto al gioco originale.



(xxx)


Sembrava proprio che si fosse perso in quella stupida foresta su quella stupida isola.

Sembrava anche che si fosse perso con lei.

E sembrava che fosse stata lei a baciare lui per prima, non il contrario.


(xxx)


Era stato mandato a Wutai per una commissione per Reeve, e gli era stato affidato il compito di riportare alla luce una delle vittime a lungo sepolte della guerra tra Wutai e la Shinra, una specie di generatore su ruote che trasformava la luce del sole in elettricità. Reeve era certo che Wutai sarebbe stata amichevole, generosa e disponibile. E Reno era ugualmente sicuro che qualsiasi antiquato pezzo di merda stesse cercando fosse già rotto da diverse decadi, e che avrebbe dovuto smetterla di assecondare l’ovvio ottimismo di un tizio che sognava di scorrazzare in giro in un completo da gatto.

Tuttavia, Wutai aveva un bar decente, e la paga era buona, e le missioni erano sempre state moderatamente schifose da quando la Shinra era partita, l’economia era quindi precipitata nella merda e tutti si erano messi a raspare dappertutto per trovare una qualche fonte di energia, prima di tornare a bruciare le anime mako delle proprie nonne o di svanire nell’oblio come i Cetra.

Reno era in favore della prima, e ordinò un altro giro. Sua nonna era stata una vecchia taccagna, da quel che ricordava. Probabilmente la sua anima non avrebbe comunque emanato chissà quale calore. Il pensiero solleticò Reno, facendolo ridere sommessamente mentre mandava giù un altro Sunrise.

Ma allora da dove veniva il calore? Cosa sarebbe successo se ci fosse stata una generazione di anime deboli, ciniche fino al midollo, ombre nella nebbia con nessuna fede negli Ancient o in qualcosa di Sacro? C’era il rischio che la generazione successiva si ritrovasse con il culo congelato fino alla morte perché le insignificanti, inutili anime dei loro antenati non riuscivano a produrre un po’ di dannatissimo calore nella fornace-Mako?

E ora che gli veniva in mente: come aveva fatto Midgar ad essere così disgustosamente ricca di Mako se nessuno in città aveva mai avuto un’anima?

Reno ridacchiò. Gli sarebbe piaciuto che Rude fosse stato lì, in modo da poter elaborare la sua teoria ad alta voce. C’era qualcosa nel parlare ad alta voce che apprezzava: rendeva le sue parole reali. Reno amava dire cose molto stupide perché dirle le rendeva reali. Amava dirle a Rude perché era meglio che parlare da solo.

In più, se faceva ridere Rude guadagnava un punto. Si era conquistato trentasette punti negli ultimi tre mesi. Tre punti Prima della Crisi, e i rimanenti trentatré dopo la Meteora. Ehm, trentaquattro. Reno ordinò un altro Sunrise. Non poteva eseguire correttamente la matematica se non era ubriaco. E eseguire correttamente la matematica significava ignorarla.

… Avrebbe dovuto prevedere quello che sarebbe successo.

“Oh, Santissima Maledettissima Asura, sei tu.”

Lunghe gambe magre, grandi piedi e mani sorprendentemente graziose si fiondarono nella sedia accanto a lui ed ecco che improvvisamente stava guardando Yuffie Kisachicazzoera. Quella ragazza che era stata collegata all’AVALANCHE. Sapeva che era di Wutai. C’era scritto nella sua scheda.

Lo stava fissando. Reno era abituato alle occhiatacce. Anzi, le consoceva benissimo. Rude gliene faceva in continuazione. In realtà aveva addirittura messo insieme un catalogo di occhiatacce con il loro significato nascosto. Quando Elena era stata promossa a Turk l’aveva confrontato con le e aveva funzionato, ogni volta.

Yuffie gli stava recapitando l’Occhiataccia Numero Dodici, che voleva dire: Farò finta di essere arrabbiata perché l’ultima cosa che vorrei è essere felice di vederti, ma la verità è che non sono sicura di come cazzo comportarmi con te.

“Avrei dovuto capire che eri tu quando hanno detto che erano a corto di Sunrise Sours,” disse, quasi grugnendo. Stava facendo girare un bicchiere mezzo vuoto tra le dita abili.

Reno osservò tutto compiaciuto il suo bicchiere pieno. “Sei abbastanza grande per bere, nanerottola?”

L’Occhiataccia Numero Dodici si tramutò nella Numero Ventiquattro, e cioè: Wow, con quel commento hai veramente superato il limite e sono incazzata nera, ma mi comporterò in un certo modo solo per dimostrare che ti sbagli. Questo l’aveva brevettato Elena; Reno era stato costretto ad aggiungerlo alla lista quando l’aveva conosciuta. Chiamava nanerottola anche lei.

Yuffie portò gli occhi al cielo. “Per caso sai da che età in poi ai wutaiani è permesso bere e acquistare alcolici?”

Continuò a far girare il bicchiere sul tavolo con grande maestria. Yuffie era una maga dell’equilibrio, e probabilmente avrebbe potuto scrivere il suo nome in wutaiano con quel bicchiere tramite un semplice colpo di polso. Non che importasse più di tanto, visto che se scritti in wutaiano Reno non avrebbe saputo distinguere Yuffie Kisablabla da Testa di Chocobo neanche se ne fosse andato della sua stessa vita.

Gli venne in mente lo scenario perfetto: dei ninja wutaiani che indossavano una bandana come i vecchi banditi di Kalm lo circondavano e gli puntavano le pistole alla testa prima di schiaffargli in faccia due fogli ricoperti di quei caratteri che a Wutai chiamavano scrittura. Bene, Turk, diceva il leader, con un’espressione molto seria; e Reno scoppiò a ridere.

La ragazza lo guardò, scosse la testa, e vuotò il proprio bicchiere prima che lui potesse vedere in cosa si stesse trasformando l’Occhiataccia Numero Ventiquattro.

In quel momento ebbe un’illuminazione: visto che Rude non c’era, forse la ninjetta avrebbe potuto essere la sua cassa di risonanza. Voleva farle una domanda. “Ehi, nanerottola, sta’ a sentire. Lo sai che le nostre anime si trasformano in mako, no? Allora cosa accadrebbe se ci fossero persone con l’anima scaduta? Per esempio, mia nonna, insomma, io sarei felice di bruciare la sua anima eccetera, ma sono sicuro che non riuscirebbe neanche ad accendere una candela. Che ne pensi?”

Yuffie lo squadrò, e l’Occhiataccia Numero Ventiquattro sfumò fino a diventare confusione più totale, e poi divertimento. Le scappò una risatina. Una, poi due, poi cominciò a ridere senza ritegno come se avesse acceso un motore ridacchiante. Reno si domandò, per un secondo, se un motore ridacchiante avesse le stesse probabilità di sopravvivere a Midgar di un pupazzo di neve all’Inferno, o ancora di meno. Beh, tanto Midgar era sempre stata una sorta di grande beffa.

Lei smise di ridere, allungò una mano, e lo derubò del suo Wutai Sunrise. “Ti sei fatto?” chiese, ridendo ancora sotto i baffi, prima di tracannare la sua conquista in un sorso.

Reno sentì la propria faccia adattarsi all’Occhiataccia Numero Uno. Si trattava della più importante e utilizzata, ed era l’unica di cui lui avesse mai fatto uso. L’Occhiataccia Numero Uno era la Ehi, Quello Era Il Mio Drink.

“Ehi, quello era il mio drink.”

Yuffie scosse la testa e roteò gli occhi, ancora sogghignante, prima di posare lo sguardo sul fondo del bicchiere. “Non fa niente, posso averli gratis. Che vuoi?”

“Gli amari sono finiti?”

“Già.”

“Accidenti. Qualsiasi cosa, allora.”

Davanti agli occhi di Reno, Yuffie si diresse dal barista, restituì entrambi i bicchieri, fece un’orribile smorfia nella sua direzione e ordinò quello che sembrava essere tutto il terzo scaffale della vetrinetta. Alla faccia dell’età legale per bere. Probabilmente il barista era un suo lontano cugino di quinto grado o qualcosa del genere. D’altro canto, l’intero pianeta doveva all’AVALANCHE fondamentalmente la propria vita. Chi avrebbe rifiutato alla ninjetta un goccetto?

Secondo Reno, qualunque debito poteva essere ripagato con abbastanza alcol.

Così fissò il tavolo e provò a pensare ad una situazione in cui Yuffie gli dovesse la vita e fosse costretta a ripagarlo con una quantità infinita di alcol. Il massimo che gli veniva in mente era che i Turk non avevano ucciso nessuno di loro quando ne avevano avuto l’opportunità. Che fosse stato un atto intenzionale o meno, fortunatamente, non rientrava nell’equazione.

Gettò un’occhiata a Yuffie, che apparentemente stava giocando al piccolo chimico con il barista per scoprire a quale percentuale di alcol il bicchiere si sarebbe dissolto. Reno ci rimuginò su. Se quella roba fosse riuscita a sciogliere il bicchiere, avrebbe probabilmente corroso anche il legno, e poi avrebbe corroso tutto ciò che avrebbe incontrato fino a che non si fosse diluito o cose così. E non era inverosimile pensare che una roba in grado di corrode il legno avrebbe corroso anche il suo stomaco. Si chiese come potesse apparire l’interno del suo stomaco.

“Com’è lo stomaco da dentro?” domandò a Yuffie quando tornò lasciando cadere con un tonfo un bicchiere non liquefatto di fronte a lui.

“Uno schifo,” asserì Yuffie con praticità.

“Com’è lo schifo?” Bevve un sorso. Era alcol, perciò poteva andare.

“Semplicemente uno schifo.” spiegò lei. “Guarda, Turk, sto cercando di essere carina. Vedi, ti sto accudendo con l’alcol. Che ci fai qui?”

“Guarda, Ninjetta, sto cercando di essere carino anch’io. Per favore, prendi nota dell’assenza di pistole, EMR, e Rude.” Altra sorsata. “Sono qui, punto.”

Yuffie lo stava fissando con gli occhi sgranati. “Come mi hai appena chiamato?”

Reno le sorrise affettatamente. “Non ti piace? Preferisci nanerottola?”

“Io ho un nome, sai,” brontolò nel suo stesso bicchiere.

“Sì, beh, ce l’abbiamo tutti,” disse Reno, con un tono che faceva intendere che quella fosse l’affermazione più ovvia e chiara mai fatta nella storia dell’umanità e non c’era molto di cui discutere. “Oh, ehi, e tu mi devi da bere per il resto dell’eternità.”

“Ci penserò. Se risponderai alla mia domanda, ovviamente,” continuò Yuffie tranquillamente. “Che cosa fai a Wutai?”

“Bevo,” rispose Reno.

Gli occhi di Yuffie si strinsero, e Reno vide un’ombra appena percettibile dell’Occhiataccia Numero Sette: Santo Pianeta, mi fai girare le palle in una maniera assurda, e a volte penso che un bel calcio in culo sarebbe la cosa migliore per te. La Numero Sette era uno dei preferiti di Rude.

“Okay, Reno. Perché sei venuto a Wutai? Sto iniziando a preoccuparmi - non sei un idiota totale, quindi c’è sotto qualcosa. Perché mai Wutai?” Suonava come un’inserzione pubblicitaria: Perché mai Wutai? Gli piaceva la rima.

“Non saprei,” Reno si prese qualche secondo per riflettere. “Forse… perché mi devi da bere per il resto dell’eternità?”

Lei scosse la testa. Aveva dei capelli veramente, veramente tanto scuri, notò Reno. Superscuri. “Farò finta di ignorare l’ultima cosa che hai detto. Dimmi per favore che cosa vuoi da Wutai prima che ti faccia del male, o peggio, diventi la tua stalker.”

“Hai dei capelli veramente scuri,” osservò il Turk.

“Oh, diiiio,” esplose Yuffie, trasalendo in una risata spezzata. “Hai ascoltato almeno una parola di quello che ho detto?”

“Certo che sì,” assicurò lui. “Ma non c’è scritto da nessuna parte che io debba rispondere in maniera pertinente. E poi hai dei capelli veramente tanto scuri.”

“Lo so che li ho, sono una fottuta wutaiana,” fu la graziosa risposta della ragazza. “Tu invece hai dei capelli rossi davvero brutti. Rossi come materia.”

“Lo so che li ho, sono un fottuto gongaganiano,” replicò lui.

“Ah sì?” L’ostilità e il sospetto sul viso di Yuffie mutarono in un attimo in interesse. Reno ricordò: Yuffie era un’avida ladruncola, e non solo di materia, ma anche di informazioni.

“Boh.” ammise con un’alzata di spalle, e buttò giù un grande sorso.

“Sei proprio un idiota.” L’irritazione rifiorì subito sul suo viso come il sorgere del sole. “Allora, cosa può offrire Wutai ad un ex-Turk?”

Reno sorseggiò ancora un po’ la sua bevanda, guardandola agitarsi con la coda dell’occhio. Ora che ci faceva caso, aveva anche dei piedi molto grandi. Se avesse dovuto disegnare un fumetto su di lei, una di quelle caricature tanto esagerate, si sarebbe concentrato sui suoi piedi: un sottile taglio di capelli e mani esili e graziose da ninja posati su stivali grossi quanto Midgar. Diverse immagini ora si riversavano nella sua testa come su un album da disegno. La testa pelata di Rude, un uovo gigantesco, e un blando casco di capelli biondi sarebbe stato perfetto per Elena, quella poverina. Poi iniziò a vagliare l’AVALANCHE: i capelli di Cloud sarebbero stati alberi alti mille miglia, Highwind sarebbe stato semplicemente una gigantesca sigaretta ambulante, e Lockheart - beh, Tifa non aveva bisogno di esagerazioni.

“Reno, fa’ come ti dico una buona volta,” disse Yuffie, e stava iniziando ad incazzarsi. Non Falsa Incazzatura, ma Vera Incazzatura.

Pertanto, Reno le diede una risposta. “Ricognizione,” spiegò. “Perché pensi che sia qui da solo? Sto semplicemente dando un’occhiata in giro. Guardo solo.”

“E ora ti sto guardando io, Turk. Hai Yuffie la Grande Ninja alle calcagna. Qualsiasi cosa tu voglia da Wutai, dovrai vedertela con me.”

“Ninjetta,” la corresse. Il bicchiere era vuoto. Poco dopo lo fu anche quello di lei.

“Ninjetta?” ripeté Yuffie, divertita. “Non - non ha alcun senso.” Si alzò, raccogliendo i bicchieri vuoti. “Puoi comprarti da bere da solo, Reno. Non ti darò niente se non mi dici che sta succedendo.”

“Buonanotte, Ninjetta.”

Yuffie andò a sedersi al bancone, dove deliziò il barista con qualche storia su Reno da Turk, con tutta probabilità orribilmente abbellita da sette colori diversi, incantesimi che nemmeno esistevano, e una splendida strega di nome Hypella Nightshade Crystal Moonshine. Reno tamburellò sovrappensiero sul suo bicchiere vuoto. Yuffie era stata più gentile di quanto si fosse aspettato considerato che era dell’AVALANCHE; forse era solo annoiata. In ogni caso, non l’aveva cacciato a calci dal bar. Anzi, gli aveva offerto da bere gratis.

Secondo il Manuale Personale di Reno, chiunque poteva essere comprato con abbastanza alcol.


(xxx)


Più tardi, quella stessa notte, lievemente preoccupato dalla possibile presenza di ninjette potenzialmente fastidiose, strisciò fuori dal suo albergo, incamminandosi verso il luogo sulla mappa che Reeve aveva cerchiato con una penna verde vivo. L’idiota aveva aggiunto un Qui!, e qualche freccia nel caso in cui Reno non sapesse cosa significasse un cazzo di cerchio. Le frecce erano pure dei punti esclamativi.

La mattina successiva si svegliò in una valletta della giungla con la figura di Yuffie Kisachecazzovuole che si stagliava su di lui, trionfante.

“Dubito che fossi abbastanza ubriaco per vagabondare qui senza motivo,” lo salutò, aspramente. “Allora, perché non mi dici che stai cercando?”

“Un paesaggio adorabile,” mormorò Reno, “Che stai rovinando con la tua presenza.”

“Quanto mi dispiace,” ironizzò lei. Reno riusciva quasi a percepire l’urgenza arrabbiata che premeva sulla sua voce.

Aveva la sua mappa tra le mani. “Che cos’è ‘Qui’?”

“Un cazzo di cerchio verde molto grande,” spiegò, tentando di sedersi. Dio se odiava dormire all’aperto. Essendo un Turk si era dovuto abituare anche a quel genere di situazioni, ma sopportare e amare alla follia erano due cose completamente differenti.

“Fin lì ci arrivo,” sussurrò Yuffie, con un pizzico d’incuriosito divertimento che s’insinuava nella sua voce. “Che c’è, una normale croce non andava bene?”

“Hai viaggiato con Reeve,” si rese conto Reno. “Non faceva stronzate come questa con voi?”

“Era un pupazzone ambulante e robotico. Non ti basta?” replicò Yuffie, ridendo; poi si fece improvvisamente sospettosa. “Che sta cercando Reeve?”

Reno scrollò le spalle. “Qualcosa di lucente e verde. E scintillante.”

“Vengo con te,” pretese Yuffie.


(xxx)


Provò a seminarla tre volte. Lei lo localizzò seguendo le sue tracce tutte e tre le volte, anche se l’ultima le richiese quasi un giorno intero.

Allora lei gli rubò la mappa, la strappò in tanti pezzettini, ne mangiò alcuni e gettò il resto in un fiume. Poi lo lasciò dormire e fece per tornarsene a Wutai.

Reno rintracciò lei dopo un giorno e mezzo. Evidentemente i ninja di Wutai venivano addestrati benissimo ad oltrepassare foreste e giungle, a leggere le stelle, a riconoscere la posizione in cui si trovavano grazie alle proprie ossa e altre stronzate come queste. Yuffie sembrava essere una maestra in tutto ciò.

Così Reno, per vendetta, la colpì con uno Sleepel e trascinò il suo corpo privo di sensi per ore lungo il fiume. Al suo risveglio, Yuffie provò a lavorare di memoria e conoscenza dell’imponente foresta antica, e ad usare il senso d’orientamento presente nelle sue ossa.


Fu effettivamente impressionante il fatto che le ci vollero solo undici minuti per rendersi conto della sua attuale posizione, e che il luogo presente nei suoi ricordi più recenti non combaciava; la cosa veramente impressionante, tuttavia, fu che riuscì a sputare tutte le imprecazioni che conosceva in meno di un minuto. Si trattava di un vasto e colorito campionamento di parole poco raffinate tanto wutaiane quanto dei risultati dell’influenza di Cid Highwind; e la maggior parte degli epiteti preferiti di Cid Highwind era una versione alterata ma ugualmente se non più offensiva delle imprecazioni tradizionali.

Impiegò solo altri sette minuti per scovarlo. Finirono per combattere per circa ventitré minuti, ma una volta resisi conto della futilità della battaglia si ignorarono per le quattro ore seguenti.

Ora sono entrambi persi nella giungla. Alla fine hanno entrambi riconosciuto la presenza dell’altro.


(xxx)


“Porca miseria, Turk, ci siamo persi, ed è tutta colpa tua!”

Yuffie è molto, molto arrabbiata. Il suo viso sta diventando molto rosso, come se il colore fosse la rappresentazione del suo umore. Su una scala di tonalità scarlatte dove dieci è il valore più alto sono un POCHINO incazzata, tipo intorno a mille, urlava la sua faccia. Poi a Reno viene in mente Scarlet, e fa del suo meglio per non rabbrividire.

“Tu mi hai preso la mappa,” afferma lui, come se quello spiegasse tutto.

“E allora? Tu stai invadendo il mio fottuto continente!” strilla Yuffie. “Tu meriti di esserti perso, e di essere mangiato da qualche massiccio – non so, troll di caverna! Bavoso! Così potrai vedere com’è lo stomaco da dentro,” aggiunge con cattiveria.

“Non penso ti abbiano sentito a Midgar,” replica Reno. Dietro di lei c’è un albero puntellato da giganteschi fiori gialli, ed i suoi occhi ne vengono attratti.

“Oh, dolce Asura,” declama Yuffie, esasperata oltre l’impossibile, disperata e altre cose del genere. “Sono bloccata qui con Mr La Durata Della Mia Attenzione È Lunga Quanto Il Mio Microscopico Cazzo.”

Gli occhi di Reno si stringono leggermente a quest’accusa sfrontata. “Tu mi hai preso la mappa,” ripete. “Ti ho visto mangiarla. Hai iniziato tu.”

“Io - io conosco questa foresta come il palmo della mia mano,” dice Yuffie, indignata con la fierezza che solo una giovane ninja arrogante può avere.

“Allora vattene a casa.” taglia corto Reno, sedendosi e appoggiando la schiena ad un albero vicino.

“Io -” Yuffie si ferma, e poi si siede bruscamente, buttandosi contro un albero di fronte a lui.


(xxx)


Yuffie parla nel sonno, scopre Reno la prima notte che trascorrono insieme.

Sono solamente piccoli mormorii, non parole comprensibili, e Reno ne è affascinato. Le escono dalla bocca in piccole sillabe, minuscole schegge di parole pronunciate con violenza dal suo subconscio. Nessuna di esse assomiglia ad una qualsiasi lingua che Reno abbia mai sentito.

Lui non ha bisogno di dormire molto. Quando gli fu fatta la prima infusione Mako non dormì per un paio di settimane. Più passano gli anni e più riesce a sentirne svanire la forza a poco a poco, perciò è costretto a ritagliarsi brandelli di sonno un’ora qui e una lì. In un certo senso è interessante. L’anno scorso poteva restare in piedi per quaranta ore dormendone una. Ora è salito a tre.

Si accorge di non riuscire a dormire mentre Yuffie biascica con violenza consonanti e vocali. Il suo cervello viene sopraffatto e si distende sulla schiena, fissando le stelle e domandandosi cosa ci sia in quei suoni spezzati.

(xxx)


Yuffie sta scribacchiando qualcosa per terra. Ha un piccolo bastone quasi affilato sulla punta. Sta disegnando linee grandi e piccole e Reno le sorride e le chiede, “Che scrivi?”

Lei viene distratta dal sorriso, ma poi ribatte, “Il mio nome,” come se una giovane wutaiana folle con sogni al sapore di materia potesse scrivere qualcos’altro.

Reno le si avvicina per guardare, e Yuffie distende la sabbia per ricominciare. Scrive rispettosamente, come se l’anima della sua grammatica risiedesse in ogni lettera e in ogni curva. Parla ad alta voce mentre scrive, con noncuranza, presuntuosa; non sta nemmeno pensando alle parole, è concentrata sulla sabbia, e Reno la osserva mentre ogni carattere si congiunge. Yu Fei Kis Ah Ra Gi.

“Yu Fei?” legge, e si stupisce quando un piccolo sorriso le sfiora le labbra.

“Per Asura, sai pronunciarlo,” proclama, come se fosse arrivata la fine del mondo.

“Dimentichi Tseng,” dice Reno, compiaciuto, ma quello strano sorriso è ancora lì. “Tseng sapeva parlare tutte le lingue di questo maledetto mondo. Ce l’ha trasmesso.”

Lei sogghigna. “Qui, faremo il tuo.” Appiana altra sabbia, iniziando a scrivere. “Rei Noh,” intona. “C’è un suono in wutaiano antico che gli si avvicina, ma non mi ricordo qual è.” Sistema una delle lunghe ramificazioni a spirale della lettera. “Ehi, Reno, come fai di cognome?”

“Reno.”

“Ma non mi dire. Qual è davvero?”

“Reno.”

Segue un orribile schiamazzo. Yuffie si sente offesa dalla sua riservatezza, dalla sua testardaggine, e nel profondo dentro di lei le dà un po’ fastidio il suo stesso desiderio di conoscere il suo nome completo. Non ha importanza, no? Ma per qualche ragione comincia ad averne, e perciò inizia ad urlare. Odia anche perdere, e soprattutto odia perdere con bastardelli impertinenti come lui.

Reno non capisce perché dovrebbe farle sapere questo cognome, questo frammento casuale di qualcuno che non è lui, questa parola che per lui non significa niente ma su cui vale ancora la pena aggrapparsi. Una volta ha letto una storia sul potere dei nomi e ripensarci, allora come oggi, gli fa venire la pelle d’oca. Era una storia sui vampiri. I vampiri gli danno i brividi ma sono affascinanti. Gli piacerebbe vedere un vampiro. Porca miseria, gli piacerebbe essere un vampiro, se potesse anche solo per un giorno.

I pensieri sui vampiri l’hanno distratto e Yuffie lo capisce.

“Dannato Turk, non puoi mai tenere la testa fissa su qualcosa? Come riesci a non farti sparare?”

Lui le sorride, dimenticata tutta la malizia. Vuole farle una domanda. “Yuffie, che ne pensi dei vampiri? Ci credi? Hai mai voluto essere un vampiro?”

Yuffie è abbastanza arrabbiata da non scoppiare immediatamente a ridere, ma rimane in silenzio per qualche secondo. “Ho creduto che Vinnie fosse un vampiro per qualche tempo,” dice burberamente, pensierosa. Poi ritorna sulla terra. “Maledizione, Reno. Qual è il tuo dannatissimo cognome?”

“Reno.”

Lei si butta a terra accanto a lui, esausta. “E il tuo nome?”

“Jordan.”

Le si spalanca la bocca. Reno ci guarda dentro. È veramente buffo - è la prima volta che la sua bocca rimane aperta senza che ne esca alcun suono. Cerca a tentoni qualcosa da metterle in bocca prima che la mascella si richiuda. Un’immagine di lui che ammassa ramoscelli nella bocca di Yuffie come se fosse il nido di un uccello gli attraversa la testa, e ridacchia.

Yuffie chiude la bocca e gli dà un bacio bello e educato sulla testa.

Più tardi si stupisce dell’intensa bellezza generata dalle curve che formano i loro nomi, adagiate lì sulla sabbia. Sono così spiraleggianti. Non riesce nemmeno a descrivere il modo in cui interagiscono tra di loro tanto ne è rimasto colpito e così chiede a Yuffie di scrivere Testa di Chocobo in wutaiano, giusto per stare sicuro. Per farlo, lei cancella i loro nomi dal terreno, e quella strana sensazione lascia Reno, rimpiazzata da qualcosa di altrettanto intenso che sa leggermente di perdita.

Yuffie ride di lui, ma Reno è segretamente sollevato dal fatto che Testa di Chocobo non assomigli per niente a YuFei KiSahRaGi; e che, se ne andasse della sua vita, saprebbe probabilmente distinguere l’uno dall’altro.


(xxx)


Reno viene svegliato di nuovo dai borbottii per la miliona… miliar… l’ennesima volta di seguito. Ma stavolta è diverso. È un flusso silenzioso e riverente, non a scatti, violento e instabile. Si gira e il sussurro si interrompe per un istante, e Reno si rende conto che o Yuffie sta parlando da sola, o sta pregando.

Non pensava che la ninjetta fosse una tipa religiosa, ma che potrebbe essere allora? Secondo Tseng, Wutai ha un numero abnorme di dei. Reno comincia a immaginarsi una Yuffie vestita di un abito lungo da convento con tanto di cappuccio che si trascina una staffa con una mano e porta il suo enorme shuriken sulla schiena. È divertente, ma deve tentare di fingersi addormentato.

La litania mormorata continua. Reno rimane immobile, per provare ad ascoltarla. La immagina sdraiata sulla schiena, lo sguardo rivolto al cielo.

… E darei qualsiasi cosa per un cavolo di hamburger, sapete? So che dovrei mangiare solo verdure per l’anno di addestramento, ma l’anno non è ancora iniziato, giusto? Mangerò moltissimi hamburger prima di allora.

Sta pregando per un hamburger. Questa, almeno, è una preghiera che può capire.


(xxx)


Yuffie gli sta nuovamente urlando contro ma l’attenzione di Reno viene catturata da alcune farfalle e si perde gli ultimi tre minuti della tirata. Stranamente, questo la fa arrabbiare ancora di più: niente furia, ma molta più concentrazione.

“Reno, ma che cazzo, come facevi a concentrarti sempre in battaglia? Voglio dire, ti abbiamo combattuto, non passavi tutto il tempo con la testa tra le nuvole.” Gli occhi luminosi di Yuffie sono puntati su di lui. “Pensavo fossi, che so, Mr Dark Angsty Sarcastic SuperTurk, no?”

Reno scuote la testa. “C’è più di un modo per essere un Turk.”

“Ma-” Yuffie farfuglia, indignata. “Non riesci a stare attento nemmeno ai lacci delle tue scarpe.” Ha ragione; una è rimasta sciolta per tre giorni. “Come ti concentri in battaglia?”

“Non lo faccio io,” spiega Reno con semplicità. “Lo fa Rude.”

“Oh,” E ora il suo tono è sarcastico, “Quindi lui fa tutto il lavoro e tu te ne stai semplicemente seduto in un angolino?”

“Ci sono cose che ti perdi se sei concentrato,” replica Reno pacatamente. Ora sta seguendo la farfalla che danza di albero in albero e Yuffie, così presa dalla sua filippica, sta seguendo lui senza accorgersene. “Rude si focalizza sulla battaglia. Perché io non lo faccio, vedo tutto il resto. È bello. Perciò lavoriamo insieme.”

“Bene,” ammette Yuffie, “Che -” Ma poi si rende conto che hanno seguito una lucente farfalla arancione nella foresta. Sul suo viso germoglia un po’ di imbarazzo che si converte rapidamente in collera.

“Dannazione, Reno, non puoi mai essere serio su niente?” Gli scalpiccii pesanti di Yuffie nel fango tradiscono la sua seccatura. “Pensi mai a qualcosa?”

“Io penso molto,” dice Reno, sogghignando. “Penso a cose serie e profonde dozzine di volte al giorno.”

“Di sicuro non sembra così,” brontola lei. “Allora perché non dici mai a che stai pensando?”

“Lo dico tutte le volte,” risponde Reno, fermandosi per guardarla. “E tu ridi.”

Le sopracciglia di Yuffie si inarcano da sole quando capisce che è serio.


(xxx)


Quella notte i violenti sussurri di Yuffie svegliano ancora una volta Reno, che si domanda se queste infinitesimali porzioni di parole siano sillabe wutaiane di qualche specie, piccole schegge di parole di una lingua maggiore. Chissà se le dice a caso o se costituiscono parole vere. Sillabe su di una corda, piccolissimi frammenti intrecciati a formare un enigma. Vorrebbe prenderli e riordinarli, farne ruotare le parti finché non s’incastrino insieme come le curve del proprio nome.

Alla fine i borbottii di Yuffie svegliano lei e cade il silenzio mentre si ricompone e cerca di fingere di non essersi svegliata da sola con i suoi sproloqui. Reno si immobilizza, il suo respiro pure.

“Turk,” lo chiama lei bruscamente, “Sei sveglio, lo so. I tuoi occhi scintillano come disgustosa Materia. Non cercare di recitare con me.”

“È una notte limpida,” dice piano Reno. La mako nei suoi occhi migliora leggermente la sua vista, e gli dona una visione molto chiara della notte. Ma lui non è Vincent Valentine. Il meglio che riesca a fare è gettare un flebile bagliore iridescente sugli oggetti intorno a lui. È abbastanza per leggere un pezzo di carta, ma giusto giusto.

“Dio, capisco perché non riesco a dormire,” si lamenta Yuffie, e poi si gira dall’altra parte. “Vuoi piantarla, sì?”

“Ehi, Yuffie, tu sai già dove siamo?”

“Chi se ne frega,” mormora lei, ma è già mezza addormentata. Reno rimane sdraiato e sveglio, in attesa che il linguaggio del sonno ricominci e desiderando di avere il Manuale Personale di YuFei KiSahRaGi con cui tradurlo.


(xxx)


Questa mattina mentre Yuffie si lava la faccia Reno si ritrova a scribacchiare nella sabbia con un piccolo bastone tutto suo raccattato da qualche parte. Lei lo coglie sul fatto, e il suo viso è straordinariamente contento.

“Che fai?”

“Sto cercando di scrivere i nostri nomi.”

Lei guarda, e il sorriso soddisfatto si trasforma in shock. “Conosci il wutaiano?”

“No.” ribatte lui. Sono suoi ormai. Sono grezzi ed elementari se paragonati a quelli di Yuffie, ma è abbastanza sicuro che siano corretti. La sua calligrafia è instabile e goffa, irregolare come quella di un bambino non allenato. Ma le forme sono giuste.

“Allora come fai - hai una memoria fotografica o qualcosa del genere?”

“Già,” risponde lui con un ghigno. “Non è perfetta, ma me l’hanno allenata.”

Yuffie annuisce con rispetto. “Chiuso,” dice, e si allunga per correggere una spirale qui, raddrizzare una linea lì. “Questo dovrebbe essere più alto.”

Reno fa un cenno col capo, e continua a studiare.

“Questi due sembrano simili,” sentenzia lui, rivolto più a se stesso che alla ninjetta, e inizia a scriverli uno affianco all’altro. Sono come blocchi con due spigoli e una curva, anche se le curve si trovano in posti differenti. Pensa alle antiche rune Cetra che spesso traduceva, quel linguaggio geroglifico, e si chiede dove abbiano preso i wutaiani le loro curve e decorazioni extra. C’è così tanta acqua in queste persone, il sangue acquoso del Leviathan scorre nelle loro vene.

Yuffie rimira il suo lavoro, e poi sbuffa in una risata poco aggraziata.

“Tu - tu l’hai capovolto,” dice, e Reno le sorride.

“Che dice ora, ninjetta?”

Lei stringe gli occhi. “Rei Fei,” bisbiglia, e la sua voce si carica improvvisamente dell’accento e del ascino di Wutai: in quelle parole sono palpabili secoli e secoli di tradizione. Poi scuote la testa, e sul suo viso appare un sorriso solare che potrebbe sconfiggere tutti i mali del mondo. “Reffie.”

Reno sbuffa anche lui, e storce le labbra in un ghigno. “Reffie. Che parola stupida.”

“L’hai fatta tu,” ribatte lei, continuando a sorridere. “Reffie. Tu ed io. Ah.”

Non è un momento imbarazzante ma c’è vicino, e Yuffie ricorda appena in tempo che lei odia Reno e lui lei, e cosi chiede, rapidamente, “Chi altro possiamo fare?”

Reno sogghigna. Ha tutta l’aria di un gioco divertente.

“Hmm,” mormora lei, saltellando a terra sul sedere e raccogliendo un bastone, “Cloud e Tifa. Clofa? Cloti?” Inizia a scribacchiare nella sabbia; senza la sua attenzione tutto quello che ne viene fuori assomiglia a qualcosa che Reno potrebbe interpretare al massimo come Tetta di Chocobo. “Tocca a te,” gli intima, puntando imperiosamente il bastone contro di lui. “Fai i Turk.”

Reno si rigira le parole in bocca per un po’ e poi se ne esce con “Rulena.” Gli lascia la lingua che sta già ridendo.

Yuffie strilla una risatina imbarazzata. “Rulena,” ripete, ridendo pure lei. “Io ed Elena, noi saremmo Yulena. Voi sareste Relena.”

Anche Reno sta ridendo. È anche convinto che Yuffie stia solo scarabocchiando distrattamente per terra e non scrivendo davvero cose come Testa di Chocobo. “Hm,” dice, apprezzando il gioco, giulivo. “È il tuo turno.”

“Oh cavolo,” fa Yuffie, “Chi altro c’è? Oh, Vincent, Vincent e, uh, uh…” Cerca a fatica un’altra persona da affibbiargli.

Così Reno inizia a sparare nomi.

“Tifa?”

“Okay.” Questa è facile, richiede solo qualche secondo di meditazione. “Ticent. Molto meglio di Vinfa.” La sua voce è ostacolata dalle risate e proclama a tutto il mondo: “È divertente!”

Reno lancia una sfida. “Cloud.”

“Che cosa?” Sta ridendo troppo. “Vincent e Cloud? Oh, santi numi. CloCent. Clocent -” Pensa a qualcos’altro e soffoca nella sua risata, che diventa un rumore contento a singhiozzi. “Clocent Strifentine,” Prova a calmarsi prima di rotolarsi per terra, seppellendo il volto tra le mani mentre le sue spalle atterrano sull’ammasso di sabbia. Reno osserva, folgorato, l’energia presente nella sua risata. Capisce che c’è qualcosa di perfetto in questa intensità, qualcosa di così vicino alla perfezione che vorrebbe prenderla e assorbirla in modo che non riesca a scappare.

“Yuffie…” inizia, ma Yuffie adesso sta ridendo senza ritegno, e gli lancia indietro un:

“Yuffentine, oddei,” E subito si raggomitola in una palla.


(xxx)


Hanno trovato un lago. È piccolo ma grazioso, circondato da una strisca carina di terra che allontana di qualche metro la presenza massiccia di rocce e alberi. Ci sono arrivati seguendo il fiume, nella speranza che (1) Yuffie riconosca qualcosa lungo la strada e recuperi il suo senso dell’orientamento sopraffino o che (2) il fiume li conduca da qualche parte, preferibilmente abitata, idealmente Wutai.

Il lago ha un aspetto delizioso; l’acqua luccica di una pulizia che suggerisce tracce di Mako, qualche parte per milione. Reno capisce che sia lui che la ninjetta l’hanno notato. Gli occhi di lei s’illuminano al pensiero di materia dove quelli di lui sanno molto di più di Oh no non di nuovo.

Ma per ora probabilmente nuoteranno nel lago.

Qualche parte su un milione, dovrebbe essere abbastanza sicuro. E poi non sarebbe il primo contatto con la mako per nessuno dei due.

È una giornata soleggiata e ragionevolmente calda, e Yuffie è già in quel lago maledetto con tutti i vestiti addosso. Si è portata anche il suo pacco, a riprova della fiducia che nutre per Reno. Lui sa che il pacco è pieno di scorte, sia medicinali che puramente nutrizionali. Sa anche che sarebbe nei guai senza quelle scorte dato che lui non ha portato niente per sé.

Si immagina aprirlo e ficcarsi in bocca tutte le sue barrette iper-nutritive al muesli in un solo boccone e poi correre in giro grugnendo. E magari sbavando. Ha una bocca discretamente grande. Riesce a metterci dentro un’intera portata prima di richiuderla, in un modo che lo fa sembrare parzialmente deformato. La prima volta che lo fece Elena rise così forte che dovette scusarsi prima di bagnarsi i pantaloni.

“Ehi, Turk, prendiamoci un avvelenamento da mako, vieni dentro,” lo chiama Yuffie, galleggiando sulla schiena. Ha provato a chiamarlo Jordan, ma Reno a stento riconosce il nome. Non può irritarsi per questo; lui non è davvero stato nient’altro che Reno per tutta la sua vita. Il suo nome è solo un’etichetta appiccicata a qualche pezzo di carta che si trova in quello che una volta era l’ufficio di Tseng.

Reno si toglie la giacca e la camicia. Riesce a fare bene il cretino con solo i pantaloni. Lì vicino c’è un piccolo monte di rocce; ci si arrampica sopra e si guarda in giro.

“Ninjetta, dovresti venire quassù per vedere se il tuo stupido culo riesce a riconoscere qualcosa.”

Jordan, dovresti chiudere quella fogna, visto che è colpa tua se ci siamo persi.”

Reno si accovaccia, e poi prende la rincorsa prima di fare un salto dal monticello e raggiungere così l’acqua in una perfetta posa a palla di cannone. Yuffie ride, e la sua risata ha lo stesso suono delle goccioline che gli ricadono attorno.

Poi lei lo imita, con i vestiti inzuppati tutti spiegazzati e aderenti, e tocca l’acqua con uno schizzo sorprendentemente grosso per la sua corporatura. Devono essere i piedi. Sono grandi e piatti anche senza stivali.

Si tuffano per un po’. I salti si trasformano in capriole, poi di nuovo in tuffi, poi diventano gare di schizzi. Alla fine si siedono semplicemente nell’acqua. Reno sta facendo il morto e Yuffie sta lottando con un pezzo di legno, nel tentativo di tenersi in equilibrio come se fosse su una tavola da surf.

Tutto il viaggio sta diventando così: se non parlano, vanno d’accordo in maniera fantastica, due pezzi che si incastrano tra loro in maniera sorprendente.

La sente sprofondare per l’ennesima volta con un’imprecazione strozzata, ma quando riemerge urla un, “Ehi, guarda!”

“Che cosa, una città con un hamburger?”

“No, una caverna!” Yuffie sembra euforica.


(xxx)


La caverna è vecchia, alta, e stratificata. Una parete è coperta di fessure, protuberanze, fiumicelli e tessitura; l’altra è liscia come il vetro. Nel centro l’acqua all’interno della caverna gli arriva alle ascelle, ma ai lati quasi a metà coscia.

Yuffie s’immerge per un momento, e poi torna su con in mano una pietra. Si scrolla l’acqua dagli occhi e i capelli dal viso. I capelli sono infradiciati, tutti increspati da minuscole goccioline d’acqua alla fine di ogni punta. Sono ancora più scuri di prima, se possibile. Reno vorrebbe avvicinarsi e toccarli e scoprire se sono veri o se l’oscurità gli macchierà la mano come carbone.

Lei osserva tutta felice la parete della caverna liscia e luccicante, mordendosi il labbro inferiore, e si arrampica su una piccola roccia affiorata per iniziare a scrivere. Yuffie è in un equilibrio stranissimo: entrambi i piedi e il braccio libero si agitano quasi fosse un angelo in un modo che farebbe sembrare facile lo yoga. Ma pare che per Yuffie sia naturale.

La pietra che ha in mano sta tracciando linee bianche sulla parete liscia, come un gessetto ritardato, e dopo che ha finito di scarabocchiare Reno può finalmente riconoscere le parole: YUFFIE È STATA QUI!!! È riuscita ad usare più punti esclamativi di Reeve.

Rimira il suo lavoro sogghigna tutta fiera, e quando si volta per fissarlo gli mostra di nuovo quel sorriso talmente bello che potrebbe resuscitare Sephiroth. Reno non può farci niente, è splendida lì in piedi col suo orgoglio e la sua sicurezza e le sue piccole mani da ninja e i piedoni enormi, e non può non ricambiare il sorriso: un vero sorriso, il sorriso più vero che le abbia mai fatto.

Reno cataloga gli sguardi. E a dirla tutta, Rude cataloga i sorrisi. Rude è un bravissimo bugie-detector, e questo implica la conoscenza profonda dei sorrisi, dei muscoli dietro di essi, e di come leggere i pensieri negli occhi. Rude ha un proprio segnapunti per tutte le volte che Reno ha sorriso davvero, impiegando tutti i muscoli della faccia. Il sorriso è diverso dalla risata, che invece Reno fa piuttosto liberamente e spesso: ci sono un paio di muscoli nella gola che si muovono in maniera leggermente differente. Il punteggio di Reno è molto, molto più basso di quello di Rude.

Ed è una vergogna che Rude non li stia spiando, perché il suo conteggio salirebbe alle stelle.

Il sorriso di Yuffie diventa qualcosa di più; non è troppo marcato, ma un po’ più intenso, come se qualcuno avesse preso un verde acceso e l’avesse sfumato di un paio di tacche. Reno non riesce a smettere di sorriderle, non riesce a mettere via questo sguardo rivelatore dal viso, così decide di fare qualcosa - l’unica cosa possibile.

S’immerge sott’acqua, cercando a tentoni un pezzo che si sia staccato dalla roccia, e quando ne trova uno spunta in superficie e si avvicina anche lui alla parete. È un po’ più alto di Yuffie, così riesce a raggiungere una superficie bella liscia allungandosi giusto un po’ e stando in piedi su una sporgenza più bassa di quella su cui si trova lei. Allunga le mani ruvide e inizia a scrivere. Anche con la più rudimentale delle matite il lavoro di Yuffie è molto più elgante del suo, ma la sua mano è ferma, dritta e forte, in un modo essenziale che la sua grazia complicata non raggiungerà mai. Dopo un po’ i due caratteri diventano riconoscibili e fa un passo indietro, orgoglioso come non mai.

Rei Fei, recita il muro. “Reffie,” legge Yuffie, e nella sua voce c’é divertimento, riso, orgoglio e speranza in uno.

Reno apre la bocca per dire qualcosa, ma non ci riesce, perché le labbra di Yuffie KISARAGI ostruiscono la strada.

Lo sta baciando, per tutti gli dei, e sono entrambi bagnati e gocciolano l’uno nella faccia dell’altra e tutti e due hanno gli occhi chiusi. Reno ricambia il bacio. La purissima acqua mako ha un sapore dolce sulle sue labbra. Yuffie sa di acqua scintillante e stranamente di sogni, sogni ricchi e meravigliosi, sogni da ninja pieni di materia e grandi aeroplani ed esplosioni e un lieto fine e di abbastanza fuoco da rifornire un piccolo esercito.

Reno sa di avere il sapore degli incubi, e della delusione, e improvvisamente si chiede perché Yuffie lo stia baciando, e vorrebbe chiederglielo, improvvisamente, ma non può pronunciare una sola parola con lei premuta contro di lui in quel modo -

Lo ha inchiodato alla parete della caverna, oh, Dio, e ora gli ha circondato il collo con le braccia, e una delle sue mani sta cercando la parte iniziale della sua coda di cavallo, nascondendocisi, attirando la sua testa verso di lei.

A quanto pare è stata proprio lei a baciare lui per prima.

Reno le mette le mani sul viso, facendo scorrere i pollici lungo le sue guance, le lunghe dita le curvano e le piegano la testa a suo vantaggio. La sua pelle è soffice e bagnata e rabbrividisce contro di lui; tutto il suo corpo è caldo e umido. Le loro gambe sono ancora immerse fino alle cosce e si stanno inzuppando a vicenda e la sua schiena è ancora appoggiata a stupida parete che improvvisamente è diventata la cosa più sexy che Reno abbia mai visto.

Yuffie geme contro le sue labbra, e la vibrazione contro la sua bocca quando lui ritira la lingua ha dell’incredibile. Vorrebbe incorporare anche quel suono, renderlo parte del proprio corpo e del proprio sangue, che al momento bruciano e pizzicano come pioggia. Le mani di Reno si tuffano sulla sua vita sottile e risalgono la schiena nuda sotto quello stupido top fradicio che si è scurito di acqua. Anche la sua pelle è bagnata, ma è liscia, incredibilmente liscia, e sotto le mani di Reno ve ne sono miglia e miglia. Yuffie emette ancora un altro gemito, uno piccolo e chiaro, e Reno la trascina più vicino.

Alla fine devono riprendere fiato, e si separano tanto violentemente e improvvisamente come avevano cominciato. Gli occhi di Yuffie sono enormi quando lo guarda; non solo gli occhi, ma anche il nero al loro interno si è espanso fino a lasciare colorata solo una piccola corona chiara. Hanno il fiatone come se avessero nuotato per tutta la caverna.

Lei si morde le labbra e inspira profondamente. “So dove siamo ora,” afferma con calma. La sua voce è diversa.

Reno ha ancora le mani sulla sua schiena, sotto la sua maglia; Yuffie ha ancora le mani intorno al suo collo. “Bene.” dice, e la sua voce si è fatta profonda, e roca.

“C’é solo un gruppo di caverne su Wutai,” sussurra. “Possiamo seguirla e tornare in città.”

Città. Dei lampi improvvisi illuminarono il cervello di Reno. Città. Calore. Letto. Hamburger. Bourbon.

“Non possiamo,” mormora in risposta, avvicinandosi ancora un po’. “Devo trovare una cosa per Reeve.”

Yuffie si morde il labbro inferiore e lo guarda. “Ma io ti ho mangiato la mappa,” gli ricorda, e anche se sembra incredibilmente dispiaciuta c’é ancora un guizzo nei suoi occhi.

“Memoria fotografica.” bisbiglia Reno. “Se puoi disegnarmi un’altra mappa, ti mostrerò dove dobbiamo andare.”

“Che cos’è?” La loro vicinanza non sembra intaccare le loro capacità di fare conversazione, eppure continuano ad usare voci esili e bassissime, mormorii e sussurri, e maledizione, sembra che abbiano fatto l’amore per anni, e non che abbiano semplicemente condiviso un piccolo, gocciolante e umido (per quanto meraviglioso) bacio in una caverna.

“È un segreto, ninjetta,” dice Reno.

“Fai schifo,” replica Yuffie, nel suo tono normale. “Jordan, fai schifo, e tanto. Anche per essere un Turk.”

Sul suo viso c’è l’Occhiataccia Numero Dieci: Questa cosa mi irrita tantissimo, ma mi piaci lo stesso. Questo l’ha usato Rude, benché di rado.

Reno soffoca non troppo bene una risata. Si chiede se sia il caso di inaugurare un segnapunti anche per Yuffie, e a cosa servirebbe.

Si abbassa per baciarla di nuovo, e lei risponde appassionatamente; e il suo cervello, prima di annebbiarsi, pensa, questo fa due punti.


(fin)


Sev: Apparentemente non sono capace di scrivere cose brevi. Questa è stata divertente. silly!Reno è abbastanza raro, ma ho pensato che fosse arrivato il momento di farlo uscire a giocare un poco.

Note conclusive della traduttrice (youffie): innanzitutto, AWWWW una precisazione, giusto nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo. Benché questa fanfiction faccia parte, appunto, di una serie di fanfiction, ho creduto fosse meglio postare le one-shot separatamente come in originale perché veramente molto diverse l’una dall’altra, tanto per tematiche quanto per personaggi e generi. È un progetto troppo eterogeneo per essere unificato e segnalato come “Raccolta”. Per chi non conosce il fandom inglese e non ha letto parecchie fanfiction su queste coppie probabilmente queste fanfiction hanno poco a che vedere l’uno con l’altra.
Prima di lasciarvi devo poi fare un ringraziamento speciale a kar85, cui si devono molti giochini di parole come quelli sul cognome di Yuffie o su Cloud e Tifa. Anche se poi la fanfiction fu corretta di nuovo da caith_rikku (che comunque ringrazio di cuore *heart*) e l’ho rivista io stessa più volte (tante, tante volte), questa traduzione non sarebbe stata la stessa senza la sua inventiva. Grazie.
   
 
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