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Autore: CaskettCoffee    27/05/2020    4 recensioni
Questo racconto prende il via dopo gli eventi del series finale, e racconta la storia di quaranta settimane della vita di Castle e Beckett. Quaranta settimane molto importanti. Quaranta settimane di attesa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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TRENTOTTO SETTIMANE - PARTE II

“Buon Dio”, Kate emise un basso gemito mentre la contrazione raggiungeva il culmine.

Castle carezzò con una mano i capelli della moglie, mentre l’altra mano stringeva forte quella di lei. Le stava accanto, le lunghe dita intrecciate, cercando di infonderle tutto il coraggio che poteva, mormorandole parole di conforto e asciugandole la fronte.

“Questa contrazione è finita, Kate” le comunicò la dottoressa Bredford controllando sul monitor. “Riposati. Avrai bisogno di tutte le tue forze, perché fra poco dovrai spingere.”

Beckett si voltò e guardò fuori della finestra. Non si vedevano nient’altro che alberi piegati, ondeggianti nel vento. Per un lungo istante ad occhi chiusi, preparandosi per quello che l’aspettava. Il pensiero che qualcosa sarebbe potuto andare male la travolse come un’ondata di disperazione. Ripensò ai vestitini nella valigia rosa, la copertina, la culla preparata con cura. Ripensò allo sguardo d’amore di Castle, e il suo stupore quando le posava la mano sul ventre e sentiva la bambina muoversi. Per favore, fa’ che vada tutto bene.

“Cerca di non trattenere il fiato quando arriva il dolore” le consigliò gentile la dottoressa Bradford. “Peggiora solo le cose”.

La dottoressa Bradford si voltò per rivolgersi a Castle, ma lui aveva occhi solo per sua moglie, chinato su di lei con una tale tenerezza che la dottoressa si sentì chiudere la gola per la commozione.

Quando giunse la contrazione seguente, forte, Kate sforzò di non gridare, ma non riuscì a reprimere un gemito profondo. “Forza”, la incitò Castle. “Grida, impreca o stritolami la mano. Qualunque cosa ti sia d’aiuto”. La sofferenza profonda dipinta sul volto di Castle rivelava eloquentemente la sua paura e l’amore per la donna che stava dando alla luce la loro figlia.

Finita quella contrazione, lui le sollevò le mani e gliele baciò con dolcezza. “Se potessi farlo al posto tuo, lo farei” ammise lui con voce rotta e la strinse, in una stretta dall'urgenza disperata.

“Lo so. Ma averti accanto mi aiuta.” Era vero. Quando Castle chinò la testa per baciarle la fronte, il sorriso che lei gli rivolse era pieno d’amore, così come i suoi occhi. 

Lo vide annuire mentre posava una mano sulla pancia, in un gesto ormai familiare dopo tante settimane di attesa. Sulla sua pelle, la mano di Castle era calda e tremante.  “Sempre”, confermò lui, emozionato. D'un tratto aggiunse la mano all'altra, coprendole completamente il grembo con i palmi e le dita allargate in una posizione protettiva.

Poi, il corpo di Kate fu di nuovo reclamato dalle necessità del parto. Castle avvertì la tensione dei suoi muscoli e, senza dire una sola parola, le prese la mano. Lei la strinse mentre l’ennesima contrazione le faceva inarcare il corpo.

Un’ora dopo, le contrazioni si susseguivano così rapidamente che Kate non aveva tempo di riprendersi tra una e l’altra. Ansante, sudata, si aggrappava forte alla mano di Rick, solo per cadere di nuovo preda del dolore. Lo sguardo di Beckett era offuscato, grosse lacrime le rotolavano fino al mento. Lo guardava e non lo vedeva. Eppure Castle era certo che lei lo sentisse.

Rick si voltò verso la dottoressa, distogliendo gli occhi da Kate per un istante. Erano lucidi, animati da una scintilla di risentimento. “Quanto ci vorrà ancora?” chiese Castle, teso, la mascella contratta.

“Quanto richiederà la bambina” rispose la dottoressa, concisa.

Soltanto il lieve lamento che si levò da Kate sembrò risvegliare i suoi battiti e il suo criterio. Le stava facendo male, la stringeva troppo... La guardò, insolitamente indifesa, fragile su quel lettino. “Kate non può sopportare questa cosa ancora a lungo”, disse alla dottoressa, in un sibilo che assomigliava a un ringhio.

La dottoressa Bradford alzò lo sguardo e lo rivolse a lui. “Ti sorprenderai nel vedere cosa tua moglie è in grado di sopportare.”

E Castle, che pure conosceva l’immane forza di Beckett, si sorprese. Negli spasmi finali del parto, Kate strinse la mano del marito con una forza che lo stupì, e lui la strinse di rimando, sperando di darle tutto il sollievo di cui era capace.

Poi, il pianto della bambina li sconvolse tutti.

“Eccola” annunciò la dottoressa ridendo. “Una bellissima bambina sana con il visino paonazzo”.

Kate sorrise sfinita, stremata, abbandonandosi sul lettino, scordando tutto tranne la consapevolezza che sua figlia era nata ed era sana, ed era poggiata sulla sua pancia. Fu stupefatta nel vedere grosse lacrime negli occhi di Castle mentre fissava la bambina. “E’ qui” riuscì solo a dirgli. “E’ la nostra bambina” le rispose lui.

Castle riuscì a tagliare e legare il cordone ombelicale nonostante le lacrime di felicità che gli scorrevano lungo le guance. La dottoressa prese la piccola per qualche minuto per un primo controllo, per poi avvolgerla in un lenzuolino rosa. Poi passò la neonata a Castle. “Mettila sulla pancia di Kate. Lily ha bisogno di continuare a sentire il battito del cuore di sua madre. E Kate ha bisogno di sentire quello di lei”. Con riverenza, Castle prese la piccolina fra le braccia, per portarla da Kate.

Delicatamente adagiò la piccina sulla pancia di Beckett, e le si rannicchiò accanto. In quell’istante, Lily aprì gli occhi, rimirò i suoi genitori con gli occhietti sgranati, e loro risero, scambiandosi un bacio leggero, le teste accostate.

Quando la dottoressa Bradford rivolse di nuovo loro lo sguardo, Kate era sdraiata tra le braccia del marito, e la bambina era sul suo seno, la testolina appoggiata alla gigantesca mano del padre.

E anche quel giorno, una nuova famiglia era nata.

-----

In comunque con quella maledetta giornata di otto mesi prima, il giorno della sparatoria, ci furono delle urla, il suono della sirena, la corsa all’ospedale. E poi due genitori anziani, una figlia, degli amici, fuori da una sala operatoria ad aspettare.

In comune con quella maledetta giornata ci furono anche tante lacrime, e un pianto disperato. Ma le lacrime in quest’occasione furono gioia, e il pianto un suono melodioso della loro bambina.

E come quella maledetta giornata, Kate era su un lettino, in una sala operatoria, circondata da medici. Però quel giorno non aveva uno squarcio sul fianco, ma c’era sua figlia appoggiata lì dove il proiettile le aveva quasi portate via.

In una camera bianca, asettica, come quella in cui aveva trascorso tanti giorni solo qualche mese prima, qualche ora dopo Beckett stava stesa, senza più pancia, a guardarsi le punte dei piedi che finalmente riusciva a rivedere, e una mano sempre stretta alla sua. Rick l’aveva lasciata solo un istante, in tutte quelle ore, per prendere Lily fra le braccia.

L’aveva presa subito dopo di lei, in sala parto. L’aveva tenuta con una premura che Kate non credeva fosse possibile. Sembrava che lui avesse remore persino di respirare, guai, che l’aria non desse fastidio alla bambina. E sembrava che quella cura, quella premura, gli venisse naturale, inevitabile, come se non ci fosse altro modo per stringere Lily fra le braccia. Se tante volte in quegli anni si era innamorata di lui, sempre di più, come uomo, quel giorno Kate Beckett si innamorò ancora di più di lui, come padre.

Sentì la porta socchiusa aprirsi, e il suo di padre avanzare curvo.

Vide Castle avvicinare Jim, abbracciarlo forte, come si abbraccia un padre. E lui ricambiò abbracciandolo forte, come si abbraccia un figlio.

“Katie sta bene?”

“Sta benissimo, è stata perfetta”

“La bambina?”

“Sta bene, è bellissima, mia madre è andata con lei nella nursery, qualche minuto e ce la portano”

Il primo pensiero di Jim, guardando sua figlia, fu che Kate era cambiata. Era sempre stata bella, fiera, forte. Ora però risplendeva, come se una luce, latente sotto la sua pelle, fosse stata finalmente accesa. L'espressione assorta e colma di tenerezza. Un'immensa tenerezza... Gli sembrò chiaro che gli ultimi brandelli del muro interiore di Kate fossero crollati. Era sbocciata.

Padre e figlia rimasero a lungo in silenzio, lui accarezzando il viso di sua figlia, senza bisogno di dirle nulla, parlando una stessa lingua che non ha bisogno di parole, in un silenzio cercato e voluto intorno a quella donna a cui entrambi stavano rivolgendo il pensiero. “Katie...”. Le disse infine. “Sei bella come un fiore”.

Fu allora Martha entrò nella stanza portando la bimba fra le braccia. “E qui c'è un altro fiore altrettanto bello”, sorrise porgendo la bambina a sua madre “E una nonna del tutto incantata”

Beckett strinse Lily fra le braccia prendendola come si prende un cristallo, che hai il terrore di rompere, ma che è molto più forte di quanto possa apparire. Lily lo aveva dimostrato di essere forte, era stata più forte di tutto.

Anche Alexis entrò qualche istante dopo. Sorrise al padre, forte, senza dire nulla, anche loro parlavano una loro lingua che non aveva bisogno di parole. 

Poi si avvicinò al letto di Beckett, che aveva Lily fra le braccia. Alexis si incantò a guardare Lily, quella bimba, così piccola nella sua grandezza, così fragile nella sua forza. Sollevò la mano per accarezzarla, con le dita le sfiorò la guancia piano, delicatamente, e Lily fece un suono che parve un risolino. “Lily, sono Alexis, tua sorella” le mormorò.

Poi alzò lo sguardo verso Kate, iniziando a chiederle come stai, come ti senti, cosa hai provato, hai avuto paura, e alla fine, sei una mamma. 

Beckett la guardò a lungo, come se la vedesse per la prima volta, perché non aveva mai visto nei suoi occhi,  né aveva ascoltato nelle sue parole, quella tenerezza.

Rivolse lo sguardo a quella stanza, a Rick, a Martha, a suo padre, ad Alexis, tutti voltati verso di lei, e verso Lily. Beckett li guardò tutti insieme, e per la prima volta le apparvero davvero come una famiglia. La sua. Quella di Lily.


L’altra famiglia di Lily fece capolino qualche ora dopo, di ritorno dal tribunale.

Il sorriso radioso di Kate tradì il pallore della sua pelle mentre dava il benvenuto ai tre amici. Castle era seduto accanto a lei sul letto.

“Gesù”, mormorò Espo rivolgendo lo sguardo a quel fagotto che giaceva fra le braccia della madre, “è proprio minuscola”.

“Per essere una neonata, no”, lo contraddisse Castle. “È lunga quasi sessanta centimetri e pesa tre chili e mezzo”

“Proprio come ho detto io. Minuscola”

Lanie prese in braccio la piccola addormentata e la guardò con una tenerezza che le addolcì i lineamenti del volto. Quando Lily aprì gli occhi assonnati, Ryan emise un suono di meraviglia. “Guarda che occhi imbronciati. È proprio figlia tua, Beckett”

Lily studiò le tre sagome senza metterle a fuoco, sbadigliò, fece un gorgoglio e si addormentò in pochi secondi. Ryan rise sommessamente e con il pollice toccò la piccola guancia perfetta.

“Sarai una testa dura come tua madre?” domandò Lanie piano alla bambina. “Io lo spero.”

I tre avevano guardato Lily, si erano congratulati, le avevano mostrato tutto quell’affetto che lei aveva sempre sentito da parte loro. E poi, infine, glie lo avevano detto. Era andato tutto come speravano. Processo concluso, condanne esemplari, giustizia fatta.

Solo Beckett si accorse che la luce, per un istante, abbandonò gli occhi di Castle. Le sue ciglia scure si abbassarono. Lei sapeva a cosa stava pensando. In quell’istante, fu lei a stringergli forte la mano.

Eppure quando Castle sollevò lo sguardo di nuovo, sul suo volto splendeva il sorriso, reale come lo era stato il dolore poco prima.

“Hai fatto una bambina bellissima”, si complimentò Lanie mentre porgeva a Beckett la sua bambina. 

“Sono stata aiutata”

“Pochissimo. Lo sappiamo il determinante contributo di Castle nell’opera” Lanie commentò sarcastica, facendo loro l'occhiolino, e tutti risero, finalmente sereni.

-----

La città era appena illuminata. Era l’alba.

Quel vicolo buio sembrava diverso, rischiarato dalle prime luci del mattino. Al centro della strada c'era lei.

Con il suo tailleur azzurro e i suoi capelli neri che splendevano nel sole. Era voltata di spalle, ma Kate l’avrebbe riconosciuta anche fra mille. “Mamma”.

Johanna ruotò lenta sui piedi e la guardò. Sorridente. Risplendente di serenità. Aveva qualcosa tra le braccia. Qualcuno... Una neonata, avvolta in una copertina rosa. La loro bambina, Lily. Rosea e paffuta, placidamente addormentata.  

“Lily…”.

Johanna sorrise di più. E nei suoi occhi Kate lesse tanta gioia. Una benedizione. Sua madre le si avvicino e le porse la bambina, e poi pronunciò un'unica frase: “Va tutto bene”.

Andava tutto bene, sì. Stavano bene tutte e due. Sarebbero stati tutti bene... Lei, Rick, la loro bambina. Il tempo della violenza, del sangue e del dolore era finito. Era tempo di una nuova alba. Lily. Un nuovo inizio.

L’ultimo sguardo di Johanna fu colmo di amore e di un vago, tenero rimpianto. Poi riprese a camminare, senza più voltarsi, superando la curva e scomparendo nella città. E Kate, con la sua bambina stretta contro il petto, la lasciò andare.


Beckett si svegliò, nella sua stanza, con Castle vicino a lei, sveglio a vegliarle premuroso, e Lily, fra le sue braccia esattamente come nel suo sogno, placida in un sonno tranquillo, la guancia liscia sopra il cuore di sua madre.

Kate comprese e una lacrima le scese piano dall'angolo di un occhio. “Grazie”, sussurrò.
 
"One may not reach the dawn by the path of the night."
"Non si può raggiungere l’alba senza passare dai sentieri della notte."


 
   
 
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