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Autore: _Cthylla_    29/05/2020    0 recensioni
“Tutto lascia una traccia e ha la sua importanza”, soprattutto le piccole cose in una relazione a due.
Raccolta che verrà aggiornata nei momenti di “noia”, probabilmente destinata a restare incompiuta. Verranno mostrati momenti casuali della relazione tra Nickel, alias la minicon della Decepticon Justice Division, e il mio OC Bustin, il tutto ambientato prima della distruzione della colonia di Prion (il posto dove Nickel è nata e cresciuta).
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nickel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Generation I, Transformers: Prime
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Inter Sidera Versor

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Quello che Nickel poteva osservare dall’ampio balcone della camera da letto era un panorama piuttosto invidiabile.
La sua abitazione era posta in alto su una delle colline che circondavano la cittadina nella quale aveva studiato -e ora lavorava- e grazie a questo le bastava abbassare lo sguardo per godere di una visuale quasi completa sulle luci che rendevano la valle brulicante di vita. Allo stesso tempo però la posizione della casa non permetteva all’inquinamento luminoso di rovinare troppo lo spettacolo offerto dal cielo notturno, particolarmente limpido quella sera e pieno di stelle che pulsavano leggermente come tante piccole Scintille.
 
Atmosfera tranquilla, peccato che l’animo di Nickel non lo fosse altrettanto, e non solo perché stava ripassando mentalmente per l’ennesima volta la lista di tutto quel che andava messo nella valigia.
 
«Il datapad di riserva per gli appunti!» esclamò, sbattendo una mano contro la fronte.
 
«Ne hai messi due la terza volta che hai ricontroll-ahio. Devo ritenermi fortunato che fosse solo un pugno e non la chiave inglese» fu tutto ciò che disse Bustin, massaggiandosi il petto appena colpito.
 
«Ooooh, tu!... lo sai che per colpa dei miei cugini faccio così quando la gente mi arriva dietro all’improvviso come facevano loro!» esclamò Nickel, un po’dispiaciuta per il pugno nonostante il tono di rimprovero «E se fossi stato uno di loro ti avrei beccato in piena faccia!»
 
Lui sorrise. «Questo perché anche loro sono dei nane-»
 
«Faccio in tempo a rimediare, sai?!» lo interruppe la minicon, incrociando le braccia davanti al petto.
 
«Io comunque ti avevo chiamata due volte» disse Bustin «Solo che a quanto pare non mi hai sentito».
 
L’affermazione fece dissolvere l’aria bellicosa di Nickel. «Sul serio?... è che ero persa nei miei pensieri. Mi spiace, scusami».
 
Si lasciò condurre placidamente su uno dei due lettini da esterno, sedendosi poi accanto a lui. Perfettamente consapevole di avere un carattere impulsivo, a volte si chiedeva come a Bustin, che di impulsivo non aveva granché, potesse star bene una cosa del genere.
 
«Fino a stamattina mi sembravi contenta di andare a quella conferenza. Che il professore abbia pensato a te per sostituirlo è un’ottima cosa a tanti livelli» disse Bustin «Perché significa che al lavoro ti stai facendo notare e lo stai facendo in bene. E per tre giorni non dovrai farmi da beta per la mia song-fic su Wallop Prion Ranger!»
 
Wallop Prion Ranger, una serie tv che Bustin ormai conosceva a memoria, cosa che Nickel ormai sapeva bene dato che l’aveva sentito più volte anticipare i dialoghi. Ricordare i tentativi imbranati del suo compagno di imitare i calci rotanti del protagonista, di solito finiti con qualche soprammobile rotto a terra, minacciò perfino di farla sorridere nonostante la tensione.
 
«Ecco, questa è una buona cosa» scherzò Nickel «Comunque: sono contenta quanto stamattina all’idea di andare, e voglio andare. È solo che è una cosa piuttosto importante, ci saranno tanti transformers comuni e non ci saranno molti altri minicon, e quei pochi contrariamente a me saranno professoroni conosciuti, e… e sarà la prima volta in assoluto che uscirò fuori da Prion!»
 
Nickel aveva sempre vissuto la vita semplice di una persona semplice nata in una famiglia semplice, cosa che di per sé non aveva proprio nulla di negativo, ma era per quella ragione che, se da un lato era felice all’idea di un viaggio tra le stelle, dall’altro non riusciva a negare che l’idea la rendesse un po'nervosa. Inoltre le aspettative e i timori riguardo le proprie capacità -timori infondati, dovuti solo a una comprensibile ansia- non l’aiutavano a sentirsi meno tesa.
 
«Quella della conferenza è una zona tranquilla, abbiamo già dato un’occhiata insieme» le ricordò Bustin «E tu e gli altri starete in un ottimo albergo, belle camere, tanti servizi e un buffet al top. Uno dei migliori nella lontana Crystal City».
 
«Mi avevi accennato di esserci stato qualche tempo fa, sbaglio?»
 
Lui annuì. «Ben prima di conoscerci, sì. Però la gestione non è cambiata e, credo, nemmeno la qualità».
 
«Eri con qualcuno della tua famiglia?»
 
La domanda le era sorta spontanea sapendo che la loro bella casa in collina era dovuta in parte al fatto che la famiglia di origine di Bustin fosse -fosse stata- benestante anche se non “ricca” nel senso milionario del termine, e che quindi era plausibile che potessero aver portato lì Bustin in vacanza o qualcosa di simile, però si pentì rapidamente di aver tirato in ballo la questione, ricordando che non era il suo argomento preferito.
Il che era comprensibile dato che lui nel parlarne aveva lasciato intendere di essere rimasto il solo della sua famiglia a non trovarsi nell’Allspark.
Nickel non sapeva bene cosa fosse successo, però collegando i pochi elementi che era riuscita a estrapolare le volte in cui era venuto fuori l’argomento aveva concluso che l’intera famiglia di Bustin -lui incluso- fosse rimasta coinvolta in un incidente, e che Bustin si fosse salvato ma fosse rimasto sfigurato in volto in modo irreparabile: avrebbe spiegato il motivo per cui non toglieva la maschera neppure con lei, non se lei poteva vederlo. In certi frangenti piuttosto intimi Nickel aveva avuto modo di tenerla in mano, ma era sempre stata bendata e, doveva dirlo, lui aveva fatto in modo che in quei momenti avesse avuto per il processore tutt’altro.
Neppure le rassicurazioni sul fatto che l’avrebbe amato lo stesso anche se lì sotto ci fosse stato un disastro erano servite a convincerlo, e lui riusciva perfino a mangiare senza toglierla, questo grazie alla tecnologia che permetteva alle “celle” all’altezza della bocca di spostarsi continuando però a nascondere quel che c’era sotto.
 
«Nah! Nessuno di loro» rispose Bustin «Tornando a noi: capisco che tu sia tesa ma sono sicuro che andrà tutto bene. Se il professore pensasse che non sei all’altezza del compito non avrebbe scelto te, se l’ha fatto vuol dire che non ha dubbi sulla tua competenza e che riuscirai a stare tranquillamente al passo. Ne sono sicuro anche io».
 
«Tu però non sei un medico e non sai come sono le cose di medicina» replicò Nickel, un po’più tranquilla ma ancora non del tutto «Non sono più solo le cose che mi aiutavi a ripassare per gli esami».
 
«Non so come siano le cose di medicina ma so come sei tu. Tanto mi basta».
 
«Non è che lo stai dicendo solo perché sono io o per farmi stare tranquilla?»
 
Bustin scosse la testa. «Se non lo pensassi ti farei complimenti su altre cose. La forza del tuo pugno destro, per esempio!»
 
«Non ho fatto apposta a dartelo! Cioè, in realtà sì, ma allo stesso tempo no!» si difese la minicon, mentre lui rideva «E non ridere!... che antipatico» borbottò, lasciandosi comunque stringere tra le braccia.
 
Bustin ovviamente non se la prese. «La mia antipatia è un’altra cosa di cui per tre giorni potrai fare a meno».
 
«Ti chiamerò appena arrivo nella mia camera d’albergo».
 
«Non mi aspettavo altro».
 
«E guai a te se ti dimentichi di curare le mie piantine!» lo avvertì Nickel, indicando una serie di vasetti accanto al parapetto. Erano una delle cose che i suoi parenti le avevano mandato da casa quando lei si era trasferita da Bustin.
 
«Agli ordini, capo!» esclamò lui, con un gesto da militare «E tu, se nella conferenza o lì in giro vedi qualche spunto per la fanfic su Wallop, mandamelo a dire. Andiamo a letto? Domani devi alzarti presto, quindi sarebbe bene se andassi in ricarica alla solita ora».
 
«Alla solita ora manca un’ora» disse Nickel, perplessa, per poi comprendere «Ma tu in effetti hai detto “a letto”…»
 
«L’importanza dei dettagli, visto?» annuì lui, mentre rientravano in casa decisi a compensare ciò che nei tre giorni successivi, causa lontananza, sarebbe mancato.
 
 
 
 
 
 
.:: Sera del giorno successivo ::.
 
 
 
 
 
 
Portando il datapad accanto ai recettori audio, Nickel attese con impazienza che Bustin rispondesse alla chiamata. Pur essendo arrivata in albergo all’incirca mezz’ora prima sentiva di avere già di che raccontargli.
 
Il viaggio, durato parecchie ore, era andato bene. Nell’astronave aveva avuto modo di conoscere i colleghi minicon del suo professore, aveva parlato con loro e, con suo sollievo, si erano rivelate tutte persone molto cordiali -cosa dovuta anche al fatto che il suo superiore le avesse fatto un’ottima pubblicità-. Sarebbe stata capace di farsi rispettare lo stesso se fossero stati maleducati, perché Nickel non era tipo da farsi mettere i piedi in testa da chicchessia, però che tutto fosse filato liscio come l’olio era stato molto meglio.
Essere integrata nel gruppo l’aveva anche aiutata a sentirsi molto più entusiasta che intimidita davanti all’architettura imponente e pomposa di Crystal City, che teneva fede al proprio nome grazie a palazzi alti, strade e ponti sospesi sinuosi, edifici più bassi spesso tondeggianti in certe parti e, soprattutto, pieni di vetrate. Era stato interessante trovarsi sotto gli occhi qualcosa di tanto diverso dal solito, però non aveva impiegato molto a capire che, per quanto affascinante potesse essere quello stile, lei preferiva quello più semplice delle cittadine di Prion. Per i suoi gusti c’erano anche poche piante tecnorganiche, il che era un po’triste.
L’unica nota stonata fino a quel momento c’era stata al suo arrivo in hotel, quando le avevano comunicato che purtroppo, a causa di un disguido, la camera in cui lei avrebbe dovuto soggiornare non era disponibile. Anche quella però era stata una fortuna e lo aveva capito subito dopo, perché avevano messo a sua disposizione una delle suite più belle dell’albergo -in quanto partecipante a quella conferenza lei e gli altri erano considerati ospiti “importanti”, le avevano detto.
Risultato: in quel momento si trovava al penultimo piano, stesa su una cuccetta in cui venti minicon sarebbero stati larghi, e meditava di entrare nella vasca idromassaggio all’energon posta accanto a una vetrata immensa per guardare da lì il sole artificiale tramontare su Crystal City.

 
“Dai, rispondi!” pensò Nickel, iniziando a tamburellare con le dita sul bordo della vasca.
 
 
Nanetta. Come sta andando? È tutto a posto?
 
 
«Sì! Ma dov’eri?! Ci hai messo una vita a rispondere!» lo rimproverò, seppur sorridendo nel sentire il suono della sua voce.
 
 
Oggi è una delle serate in cui sono al Crawling Mist!
 
 
Mentre Nickel aveva studiato da medico e puntava a un posto fisso nella clinica dove lavorava attualmente, il suo compagno non aveva mai mostrato interesse a cercare qualcosa di altrettanto stabile, preferendo lavorare da tecnico freelance -con un buon numero di clienti fissi che garantivano entrate regolari- e, in linea con quel che faceva durante gli studi, come bartender a chiamata al Crawling Mist, un locale carino nella loro cittadina.
Tutte scelte che Nickel non aveva mai criticato, trovava una buona cosa che il suo fidanzato avesse voglia di lavorare e che quei mestieri fossero di suo gusto, specie il secondo, che gli permetteva di conoscere molta gente.
 
«Già a quest’or… ah! Dimenticavo, a Prion siete tre ore avanti rispetto a qui» ricordò Nickel.
 
 
Esatto. Ma non c’è problema, sono entrato in pausa poco fa!
 
 
Nickel stava per riprendere parlare, però fu interrotta dall’avviso che un cameriere ai piani -un minibot per la precisione, tipo di transformer spesso addetto a certi tipi di lavori- si trovava fuori dalla porta ed era stato incaricato di consegnarle qualcosa.
 
«Non ho ordinato niente» disse Nickel, perplessa.
 
 
Se fossi in te però andrei a vedere cos’è.
 
 
Qualcosa nel tono del suo compagno la persuase a far entrare il minibot, che le consegnò con garbo un pacco di medie dimensioni e si congedò dopo un lieve e garbato inchino.
 
«Tu c’entri con questa cosa, Bustin?...» disse nel datapad mentre apriva il pacco.
 
Ai suoi occhi si palesò un delizioso vasetto con una piantina di campanule vosniane cristalline dalla sfumatura rosa perla, un fiore che lei, in quanto amante di certe cose, sapeva essere difficile da reperire al di fuori di Vos stessa.
 
 
Un’altra pianta di cui prendermi cura quando andrai alla prossima conferenza, se ti piace.
 
 
Nickel non riuscì a dire una parola, impegnata ad aprire una scatola accanto al vasetto e scoprendo all’interno due ornamenti per le braccia che, seppur di fattura semplice, erano visibilmente costosi.
 
 
Rimprovero per il regalo numero due in arrivo in tre, due, uno…
 
 
«Tu non devi… cioè, già solo la piantina…» furono le prime parole di Nickel, alla quale sembrava di aver perso la capacità di mettere le parole in fila e aveva le ottiche pericolosamente lucide «I-io amo tutto, adoro tutto, ti ringrazio TANTO, però non dovresti-»
 
 
Però voglio. Voglio fare un regalo alla mia compagna, che col suo impegno sta facendo carriera e si merita questo e di più – replicò Bustin – E sono felice che ti piaccia, Nanetta.
 
 
«Come… come hai fatto? Voglio dire, come hai fatto a prevedere… e sono arrivata nella mia stanza cinque minuti fa e non è nemmeno quella prevista, perché quella non era disponibile!»
 
 
Sono uno dei principali azionisti di quell’albergo, quindi non era difficile!
 
 
«Oh, su!» sbuffò Nickel.
 
 
Ho fatto qualche lavoro lì quando ero ancora uno studente. Quando ci siamo conosciuti ero già piuttosto avanti nel corso, se ricordi – disse Bustin – Ho conosciuto parte del personale dell’albergo, sono rimasto in contatto con vari di loro e mi hanno dato un aiutino a organizzare questa sorpresa.
 
 
Nickel concluse che la spiegazione fosse sensata. «Ho capito. Però davvero, io ti ringrazio molto, mi è piaciuta tantissimo, solo… non posso fare a meno di pensare che non posso ricambiare allo stesso modo, né adesso né, forse, mai».
 
 
Noi due abbiamo già affrontato più volte l'argomento...
 
 
«Non è tanto per una questione di soldi, è che… è… l’ultimo regalo che ti ho fatto è stata una coppia di gnomi da giardino!» esclamò la minicon, passandosi una mano sul viso al ricordo «Non saprei scegliere un regalo decente nemmeno se ne andasse della mia vita!»
 
 
Scherzi? Sono perfetti, ricordano noi due: lei gli arriva a stento alla spalla!
 
 
«Te ne approfitti perché non sono a casa, ma ricordati che dopodomani torno! E mi vendicherò!» lo avvertì Nickel.
 
 
E io non vedo l’ora. Casa è un po’troppo silenziosa senza di te che protesti per quel che combinano i tuoi colleghi, per quel che combino io o perché il mio tempo di lavaggio delle mani è inferiore al minuto! “Palmo contro palmo/ cooosììì!/ la sinistra sulla destra! La destra sulla sinistra!...”
 
 
«No, la canzone del lavaggio delle mani NO, ti prego!» esclamò Nickel, inutilmente dato che le stava venendo da ridere e lui se n’era accorto benissimo.
 
 
– “E sfregare bene qui! Così, così, così!” –
 
 
Dopo qualche secondo di canzone, Nickel si accorse di rumori di sottofondo dalla parte di Bustin simili a dei cori, o delle invocazioni, o qualcosa di simile. Cercò di ascoltare meglio ma non riuscì, dunque chiese direttamente delucidazioni.
 
«Sento come dei cori dietro di te, non capisco…»
 
 
La partita a Cube tra l’East Prion e il West Prionia è ancora in corso, sono gli ultimi dieci minuti e qui sono tutti abbastanza presi, tanto per cambiare!
 
 
«Il Cube non l’ho mai capito granché» sbuffò Nickel «Non so proprio perché ne vadano matti. Anche i colleghi del mio professore, me l’hanno detto durante il viaggio…»
 
 
Filato tutto liscio?
 
 
«Sì, assolutamente! Ora ti racconto!»
 
La telefonata andò avanti per altri dieci minuti prima che Nickel decidesse di concludere il suo racconto. Si disse che avrebbe avuto più tempo e più cose da raccontargli il giorno dopo o direttamente al ritorno, però avrebbe mentito se avesse detto che non avrebbe voluto continuare la chiamata a oltranza. Si diede perfino della sciocca per questa ragione, per il fatto di sentire la mancanza del suo ragazzo pur avendolo appena concluso la chiamata: era roba da ragazzine e lei non era una ragazzina, era biologicamente adulta da tempo, era in carriera e di carattere volitivo, poteva tranquillamente riuscire a stare senza di lui per un giorno, tre, una settimana o mesi, lo sapeva.
 
“Potrei” concesse la minicon, mentre osservava la piantina di campanule vosniane “Ma preferisco averlo vicino, se posso scegliere”.










Ringraziamo Highlander DJ e Barbara D'Urso per la canzone del lavaggio delle mani :'D
Grazie a chi ha letto fin qui e alla prossima, qui o su TSB 2 :)


_Cthylla_
   
 
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