Anime & Manga > D'Artagnan
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Autore: zorrorosso    29/05/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14

 

Londra

 

Il vascello attraccò al molo coperto di gabbiani. Per qualche tempo, le loro ali e i loro versi sopravvalsero il vociare della gente, il gridare dei mercanti e il martellare dei fabbri.

 

I naviganti diedero loro le indicazioni per la porta e la dogana, gli uffici che avrebbero dovuto attraversare per avere accesso in città.

 

Una città caotica e brulicante di vita, una sorta di formicaio indaffarato su se stesso, cunicoli, strade, fornaci. Una vampata di odori nuovi e sgradevoli riempirono le narici di D’Artagnan.

 

Un pensiero oltrepassò la mente del ragazzo: come potevano tutti quei mercanti procurarsi i beni venduti così in fretta? Dove tenevano tutte le galline per le uova, le pecore per la lana e le vacche per il formaggio? Così tanta gente, ha bisogno di altrettante cose ed animali, così tanti animali hanno bisogno di cibo, campi: abbondanza che andava processata.

 

Un altro pensiero, ancora più puzzolente e imbarazzante prese la sua mente... Dove andava a finire tutto il resto? Con quel pensiero, la conseguenza che dietro qualche cosa di perfetto e laborioso, dietro la meravigliosa cattedrale ci fosse comunque la naturalezza dell’umanità: il marmo perfetto è comunque costruito da mani e spalle fatte di ossa, carne e sangue.

 

Pensò all’agire di persone perfette, impeccabili, dall’apparenza fin troppo curata, da sembrare quasi inumane, statue, macchine, quando queste fossero lasciate a loro stesse. A come avrebbero potuto nascondere la loro umanità dietro un’apparenza di perfezione.

 

Se ci fosse stato Planchet, forse lui avrebbe saputo rispondergli, senza un attimo di stupore, in tutta la sua pratica esperienza, senza mostrare imbarazzo. Come nel naturale ciclo della vita in cui qualunque cosa possa essere destinata ad un inizio ed una fine, per scoprire come in mezzo possa esistere la natura, la bellezza e la bassezza della vita terrena.

 

Però non se la sentiva di porre quella domanda agli sguardi attenti di Constance o il rapière e gli stivali lucidati di Aramis. 

 

Porthos ed Athos sembravano infatti rispondere ai suoi pensieri con molta più umanità, riconosceva se stesso in loro e le loro necessità: la barba incolta, il sonno o la fame, dimostravano infatti, come cavalieri, nobili e combattenti potessero essere esseri umani come tutti gli altri.

 

“Lasciapassare?”- disse un ufficiale di fronte a loro.

 

I tre uomini mostrarono i loro documenti di viaggio.

 

Anche Constance mostrò un lasciapassare con i sigilli reali. Questo le dava la possibilità di viaggiare al servizio della Regina, accompagnata da un interprete o un difensore. 

 

D’Artagnan non poteva essere il suo interprete, ma si offrì di essere il suo difensore. Nel caso ce ne fosse stato il bisogno.

 

Fino a quel momento Constance, per quanto potesse dimostrarsi forte e determinata, durante quel viaggio si era comportata in modo del tutto differente: al contrario dei tre uomini era stata lei la prima a trattenere il braccio di D’Artagnan perché non partecipasse a quel combattimento. 

 

Durante il viaggio era stata lei la prima a prendere il letto e addormentarsi profondamente. Non faceva domande e non destava incertezze. Ricca e organizzata, osservava attenta la mappa di D’Artagnan, come se fosse stata la sua e, al pari di Athos, i suoi occhi avevano lo stesso tipo di turbamenti per quanto riguardava la guida di Aramis e l’affabilità di Porthos.. 

 

La sera prima non si era attardata ad ascoltare le avventure dei moschettieri, per lo meno, aveva forse provato ad ascoltare in silenzio. Nessuno l’aveva interpellata e lei non aveva parlato. Per quanto avesse avuto l’iniziativa di presentarsi alla dimora dei moschettieri e fare tutto quel folle baccano, D’Artagnan si rese presto conto che aveva comunque chiesto prima il permesso e l’autorizzazione della Regina. 

 

Al suo risveglio, lasciò la stiva cercando di non svegliarli e senza dire parola. 

 

Salì sul ponte, si guardò attorno, assaporò l’aria nebbiosa di quella mattina bagnarle la faccia e, in tutta la sua naturale bellezza, si sistemò leggermente capelli e corsetto, pronta a ripartire di nuovo. Neppure lei o D’Artagnan erano i primi svegli a quell’ora. Qualcun altro, oltre ai naviganti, sedeva sul ponte ed osservava fisso la nebbia diradarsi ai raggi dell’alba... Oppure non si era addormentato affatto.

 

Aramis guardò nella nebbia, in cerca dell’orizzonte in lontananza e successivamente si soffermò su i due ragazzi, stivali lucidati sul parapetto della nave, la brezza nei capelli, barba rasata così corta da non sembrare mai cresciuta. Il giovane era stato ferito in combattimento, e neppure il suo farsetto non sembrava essere stato strappato. Stringendo lo sguardo, il ragazzo notò come il giovane aveva avuto addirittura il tempo di ricucire la lana e di come i suoi occhi mostrassero davvero i segni di una notte insonne.

 

Quel viaggio aveva cominciato a tirar fuori il meglio ed il peggio da tutti quanti.

 

Le guardie controllarono i loro volti e i loro lasciapassare. 

 

Documenti che avevano sempre considerato del tutto utili e validi, fino a quel momento, che avevano richiesto tempo prima per attraversare altri regni, altri ducati, stati e repubbliche d’oltralpe, e che ai tempi non avevano dato adito ad alcuna preoccupazione. Se il documento non era accettato, allora bastava aumentare la posta con i fiorini, i baiocchi o i ducati di quel regno. 

 

Non sembrava che gli ufficiali fossero disposti ad essere corrotti. Questo li faceva apparire onorevoli agli occhi degli altri uomini, ma in quel momento l’onore e la lealtà alla legge e al regno era l’ultimo dei loro pensieri. Desideravano proprio avere a che fare con gente disonesta e disonorevole, capace di essere corrotta con poco, molto meno di quello che potessero offrire.

 

I tre combattenti presero dunque la via onorevole. In un attimo si trasformarono in soldati del fronte, proprietari terrieri e messaggeri di Dio. 

 

Quanto ad onestà, nulla valse l’eleganza di Porthos, il rigore di Aramis o la sorprendente eloquenza della sobrietà di Athos, ancora di più per quella lingua straniera. 

 

Le guardie avevano un mandato contro due uomini. 

De la Fère, Du Vallon: Incarcerazione per vie politiche al semplice sbarco.

 

Non solo non furono lasciati entrare alla porta della città: furono legati, arrestati e trasportati via da due ufficiali.

 

“Non è possibile! Non ho mai messo piede a Londra! Non sappiamo di cosa state parlando! Crimini di Stato? Come, quando e dove?!”- disse Porthos, rivolto alle guardie. 

 

Tuttavia la carta non mentiva: gli ufficiali avevano un mandato per i due uomini, ma non avevano una chiara ragione. Alle domande di Athos, gli ufficiali dichiararono entrambi prigionieri politici. 

 

All’inizio, Constance e D’Artagnan aspettarono annoiati che quelle incomprensioni venissero presto chiarite, ma tutto risultava scritto a chiare lettere.

 

Con l’avanzare del giorno, porto in lontananza si era fatto, se possibile, ancora più rumoroso, il vociare continuo. Quel viaggio in mare era stata una strana novità per il giovane ed il suo corpo, non abituato alle onde e ne stava ancora pagando le conseguenze.

 

Da principio videro arrivare Aramis, che non era stato arrestato con gli altri, però esitava il passo e continuava a correre avanti e indietro tra le guardie, cercando di capire qual’era il problema e di trovare una soluzione per tirare fuori i suoi compagni dal fermo. Cominciò a protestare e discutere come meglio poteva, catturando le ire e l’indifferenza degli ufficiali.

 

Col passare del tempo, D’Artagnan intuì che il giovane non sarebbe mai arrivato: sarebbe rimasto con loro, al costo di essere arrestato lui stesso.

 

Forse, stringendo gli occhi, il ragazzo potè distinguere nell’immensa cattedrale che si ergeva nel mezzo della città, sulle case e i quartieri indaffarati, il ricordo di un ombroso picco montano, circondato da rocce e arbusti. 

 

In quella città così confusa e caotica, non c’era più nulla che non fosse stato costruito dall’uomo. I fuochi dei fornai e dei fabbri illuminavano la coltre di edifici, divenuti indistinguibili gli uni dagli altri. 

 

Lasciò la fantasia divagare in quei ricordi e non pensare di essere davvero in una città carica di persone, sconosciuta e senza nessuno, a parte Constance, con cui potesse comunicare.

 

Constance si rivolse silenziosa verso D’Artagnan. Lo notò cercare di nuovo la sua vista e il suo equilibrio, dopo quel viaggio. Scosse la testa e portò le mani ai fianchi: doveva tirarsi fuori da quella situazione. 

Non aveva il tempo per osservare chiese o cercare avvocati: il suo compito era quello di trovare la collana e riportarla in Francia, chiunque l’avesse presa doveva restituirla.

 

Di certo, trovò onesto e sincero il comportamento di D’Artagnan, trovò interessante ed onorevole il comportamento dei moschettieri. Tuttavia, neppure lei conosceva quella lingua e quel regno del tutto diverso. 

 

Aveva ancora una possibilità sugli altri e, presa dall’ultimo barlume di speranza, si avvicinò nuovamente ad una delle guardie che vegliavano le porte della città e disse:

 

“Abbiamo un messaggio da parte di Madame de Chevreuse!”- mentendo.

 

L‘ufficiale li guardò, la sua espressione si fece più distesa, non più seria come alla lettura dei documenti dei compagni, nessuno parlava un francese comprensibile alle loro orecchie e tantomeno D’Artagnan o Constance conoscevano la lingua.

 

“Chevreuse?”- chiese la guardia.

 

“Chevreuse!”- disse di nuovo Constance. La giovane annuì, battendo le mani in quella breve gioia di aver trovato un punto di comunicazione con gli ufficiali.

 

L’uomo prese un foglio di carta e lo lesse a voce alta, in un francese sommario.

 

“Chi amò Madame de Chevreuse?”

 

Constance esitò, strinse lo sguardo e sembrò come se stesse sfogliando un libro delle sue memorie. 

 

Guardò verso il soffitto, aggrottò le sopracciglia e passò le dita sulla sua bocca, emise un suono che ricordava quello di qualcuno pronto a recitare una frase che non ricordava da tanto tempo. 

 

Chevreuse amò Holland. E Holland amò lei...”- disse con vaga insicurezza.

 

La guardia lesse di nuovo la carta che aveva tra le mani, sempre come se stesse osservando dei caratteri a lui completamente sconosciuti, annuì, si allontanò per qualche minuto e ritornò con un cocchiere, lo presentò a Constance e in pochi minuti erano già fuori dalle mura della fortezza, avevano attraversato le porte della città, in una carrozza alla volta di una meta sconosciuta.

 

Una volta arrivati ad un palazzo ricchissimo, possibile dimora di un Re o un altissimo ministro, i due cocchieri si inchinarono alla giovane e le fecero cenno di entrare.

 

A tutto questo, D’Artagnan rimase a bocca aperta.

Non capì cos’era appena successo, sembrava stesse parlando di una donna misteriosa e potentissima, che ottiene sempre i suoi voleri e che il solo nominarla apriva porte e svarcava i confini dei regni.

 

“Constance... Chi è  questa Madame?”- chiese, cercando di togliersi da quel senso di meraviglia.

 

“Non so! Non l’ho mai vista!”

 

“Come?! Mi avete portato alla sua dimora! Portate i suoi messaggi a Corte! Consegnate i suoi messaggi avanti e indietro e non l’avete mai vista?”

 

“No. E’ in buoni rapporti con la Regina Anna e con Bloise... Rispetta i voleri del Re e non ne vuole sapere di Richelieu. Oltretutto sembra avere dei buoni rapporti con gli ambasciatori stranieri. Non vi basta?”

 

“Ma Aramis...”

 

“Aramis chiede di lei esattamente come tutti gli altri, Chevreuse manda messaggi a lui come a tanti altri personaggi a Parigi. Apparentemente ce ne sono diversi di cavalieri a cui devo schiaffeggiare le mani, invece di portare un vero e proprio messaggio. Aramis è soltanto uno dei tanti. Alle volte mi domando come faccia”- Constance sospirò. 

 

“Chi?! Aramis o Madame de Chevreuse?”

 

“Entrambi.”- la ragazza osservò il panorama con la noncuranza e la sicurezza di qualcuno che aveva ottenuto il suo volere e sapeva già dove quella carrozza sarebbe andata a finire.

 

***

 

La dimora del Duca di Buckingham era immensa e ricchissima, proprio come il palazzo di un sovrano.

Tuttavia il cocchiere non si avvicinò all’edificio, ma si fece spazio tra la tenuta ed un bosco artificiale, dove un gruppo di uomini stavano allenando i loro falchi per la caccia.

 

Fu proprio il Duca a raggiungerlo ed introdursi per primo. Vestiti da caccia e lo spallaccio da falconiere, proprio come il giovane anche lui cercava di rivedere la città sotto un’altra prospettiva: quella della lontananza.

 

“Mi ricordo di voi! Giovane Conte de Batz! Un piacere ritrovarvi qui! Cosa vi porta al mio palazzo?”

 

Il ragazzo si tolse il copricapo e si inchinò profondamente al cospetto ministro. Rialzandosi, si rivolse verso Constance e disse:

 

“Una collana di diamanti, dono del Re alla Regina.”

 

“Oh so bene di cosa state parlando! Una collana divina, per sempre nella mia memoria...”- disse trasognato, preda di un sorriso troppo aperto per essere vero.

 

Una donna inglese si presentò al Louvre e chiese la mia scorta. Proprio durante la notte la collana della Regina sparì. Come ambasciatore d’Inghilterra in Francia, mi aspettavo che voi sapeste dove si possa trovare questa persona. O questa collana.

 

Il Duca sospirò.

 

“La terra di quest’isola non può certo confrontarsi con le ricche e fertili terre di Francia, ma come sapete, abbiamo fatto di necessità virtù e nei quattro mari che ci circondano, le nostre navi non hanno uguali e le nostre genti sono sparse in tutto il vecchio e nuovo mondo. Non potete chiedermi nuove di una donna inglese, allo stesso modo come potreste con una ragazza della Guascogna!”

 

Al suo sorriso, perfino Constance ebbe un sussulto, ma D’Artagnan non si perse d’animo.

 

“Non può essere una donna qualsiasi: è una donna nobile e ricca, una Contessa! Ha una servitú al seguito. E’ una donna che ha girato il mondo e parla tante lingue! È una donna che ha amato colui che non avrebbe potuto amare.”- anche le parole di D’Artagnan colpirono l’attenzione della giovane, ma in tutt’altra maniera.

 

Gli angoli della bocca del Duca si ritrassero in un’espressione più seria.

 

“Ditemi di più.”

 

“Ha i capelli chiari in lunghi boccoli e gli occhi verdi di smeraldo, è minuta, le mani come quelle di una bambola di porcellana, parla bene il francese...”

 

Il Duca rise.

 

“Sono desolato, non so proprio di chi state parlando. Un viaggio così lungo per non ottenere assolutamente nulla. Addio, mio giovane Conte de Batz!”

 

L’uomo voltò le spalle ai due ragazzi e fece cenno alla servitù di riaccompagnarli da dove fossero venuti.

Con un movimento del braccio richiamò il suo falcone, che arrivò in un tormento di penne ed ali, costringendo D’Artagnan ad allontanarsi.

 

Il Duca corse via, ma voltandosi per un momento, li salutò gridò verso la carrozza, dicendo:

 

“Porterò i vostri saluti ai vostri compari!”

 

Quella frase, alle orecchie del ragazzo, aveva il sapore della menzogna, e l’odore di città, ma a quel punto lui e Constance furono allontanati da quel palazzo senza poter ribattere. Destini segnati.

 

Constance affondò nel sedile della carrozza, il suo silenzio fu accompagnato dalla sua assenza. 

 

Quella sicurezza tanto ostentata, sopraffatta dall’umanità dell’errore. 

 

***

 

Il Duca di Buckingham sospirò osservando l’orizzonte.

 

La caccia era finita e i doveri di Corte e Parlamento lo attendevano.

 

Tra tutti i luoghi dove avrebbe voluto essere, la sua ricchissima dimora, il suo studio dalle volute dorate era in assoluto l’ultimo. Presumeva che qualche cosa sarebbe successo, James non brillava più della vitalità di un tempo.

 

Non era più il suo James...

 

Un’altro sospiro e un’altro ricordo oltrepassò le sue memorie come se fosse stato solido, come se avesse davvero oltrepassato la sua vista.

 

Anche il ricordo di Milady era ancora vivo in lui. Pensò a quello che D’Artagnan aveva appena detto: era forse proprio lui stesso quell'uomo che la Contessa non poteva amare? Affatto! Lui era libero come il vento!

 

Ripensò al loro incontro di alcuni anni prima. Udì di nuovo la voce suadente di lei, tra i corridoi della villa a Beaugency.

 

“Ecco, per adesso potete tenerli voi...”- disse la Contessa de Winter al Duca.

 

La donna teneva in mano quei progetti, disegni di altri tempi: Rinascimento Italiano, tecnologie misteriose.

Guardandoli un’ultima volta, prima di consegnarli nelle mani dell’uomo, il petto di lei si innalzò sotto la forza di un respiro, più intenso degli altri. Osservò e lesse quelle pagine con attenzione. Lei ne trattenne una, rappresentava il progetto di un velivolo più piccolo di quello che gli aveva consegnato. Sembrava che fosse una struttura per un singolo passeggero, non un intero carro.

 

George lo lesse e lo osservò comunque, con la scusa di starle ancora più vicino.

 

Un fremito prese la sua schiena e si arrampicò sulla nuca e tra i capelli. Desiderio.

 

I messaggi lanciati da quella donna allora, come in quel momento erano finalmente chiari al suo cuore libero dalle catene di un amore finito: sarebbe tornato a Beaugency! Sarebbe stato suo e l’avrebbe amata!

 

Mentre l’idea scendeva dalla nuca e proseguiva sensuale per lo stomaco, una missiva arrivò dalla Torre di Londra.

  
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