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Autore: Dream89    01/06/2020    3 recensioni
Il solito gruppo di ragazzi, il solito bar, un compleanno da festeggiare.
Gli anni passano ma gli amici restano, e nel mentre combinano guai.
One shot improvvisata collegata alla storia "What color am I?"
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Eowyn, Faramir
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti!
Dopo aver terminato una storia a malapena una settimana fa, sono stata presa da atroci dubbi: continuare la mia neonata carriera di scrittrice di cose senza senso oppure no? Questo era il dilemma. Tuttavia la sessione estiva è alle porte, e non esiste miglior incentivo al mondo per ignorare ogni responsabilità e rifugiarsi in un mondo di fantasia. Ordunque, mentre mi alleno nel mio sport preferito: il salto dell'appello; ecco per voi una nuova storia sul nostro gruppo di amici.
Come anticipato dall'introduzione, questa one shot si ricollega alla ff 'What color am I?', ma credo che sia comprensibile anche se letta senza contesto.
Di seguito, vi elencherò i motivi per cui vi consiglio di commentaare:
1) ...
2) ...
3) Vi prego, dai!
Scherzi a parte, consigli, pareri, opinioni et similia sono sempre i ben accetti.
 Spero che questa storia possa piacervi e divertirvi!

Un bacio!


Il sole stava scomparendo oltre l’orizzonte, tingendo di rosso le strade e gli edifici della città, lasciando il posto alla fredda ed argentea luna di febbraio. Negozi e bar si accingevano a chiudere; i loro proprietari erano frementi di tornare dalle loro famiglie e già sognavano una meritata serata di riposo. Tuttavia c’era ancora un locale che aveva le luci accese e al cui interno c’era un inusuale brulichio. Il caffè La Contea infatti era animato da una strana frenesia. 

Al suo interno si potevano notare un gruppo di giovani, concitati, sorridenti ragazzi che si affannavano attorno ad un tavolo con cibarie e disponevano decorazioni un po’ ovunque nella sala da the.

“Ragazzi, mi raccomando non rovinate niente. Non toccate il contatore, e neanche la macchina da caffè che l’ho appena pulita. E non mangiate i panini che sono nel frigo, sono per le colazioni salate per domani. E pulite tutto dopo la festa.” Bilbo faceva queste raccomandazioni ai ragazzi rincorrendoli da una parte all’altra del suo bar. Aveva infatti concesso, dopo molte suppliche e preghiere da parte di tutti, di lasciar loro organizzare la festa a sorpresa per Boromir nel suo locale dopo la chiusura. Faramir aveva giurato e spergiurato che sarebbero stati solamente loro otto e che la mattina dopo avrebbe trovato il locale immacolato; Bilbo, che si fidava di quel ragazzo, il quale ispirava fiducia al primo sguardo, era capitolato, sentendosi un po’ più tranquillo. 

Ciononostante questo non gli aveva impedito di fare raccomandazioni su raccomandazioni ai ragazzi per un’intera settimana ogni volta che mettevano piede nel bar. 

“Non rovinate le sedia, sono di legno massello.” Oppure:  “La libreria era di mio zio e ci sono molto affezionato, non scheggiatela.” E ancora: “Non rubatemi l’argenteria come Lobelia.” Chi fosse Lobelia, i ragazzi non lo sapevano; tuttavia ogni qual volta che l’uomo faceva le sue esortazioni, essi mettevano su un’espressione seria e affidabile e, con una mano sul cuore, assicuravano di seguirle alla lettera.

“Bilbo,- intervenne una volta Thorin, prendendolo per le spalle e scuotendolo leggermente- sono solo dei ragazzi, non dei vandali rapinatori. Devi rilassarti.” 

L’uomo lo aveva guardato, poi dopo aver inspirato ed espirato un paio di volte, aveva annuito lentamente.

Quella sera il locale era totalmente trasformato: la maggior parte dei tavoli era stata addossata alle pareti, lasciando solo un unico grande tavolo centrale; palloncini, gonfiati con fatica e sudore da Eomer e Aragorn, erano stati disseminati per tutta la stanza; ai muri erano state appese delle bandierine colorate.

Mancava solo un ultimo ritocco, ma delle complicazioni stavano sorgendo.

Legolas e Gimli erano in piedi, spalla a spalla, e guardavano con aria critica uno striscione bianco su cui spiccavano, in brillanti lettere rosse, le parole HAPPY BIRTHDAY.

“Ti dico che è storto.” Affermò Legolas con sicurezza, scuotendo la testa deluso, avevano passato gli ultimi dieci minuti cercando di sistemarlo al meglio.

“Ma cosa dici?” Abbaiò Gimli in risposta, studiando la scritta con occhio critico e piegando leggermente la testa da un lato.

“Ma non vedi che obliquo? Da una parte, quella che ho appeso io tra parentesi, è posizionato perfettamente, mentre l’altro capo è all’altezza giusta per Frodo e Sam. Sapevo che avrei dovuto prenderti un rialzo.” Lo punzecchiò il ragazzo biondo, guardandolo volutamente dall’alto in basso.

“Stai insinuando che non sono capace di appendere gli striscioni? Che sono troppo basso per certe cose?” Le orecchie di Gimli si tinsero di una pericolosa sfumatura di rosso, che gli amici avevano imparato ad interpretare come un segnale di pericolo di una sfuriata in arrivo.

Per prevenire ciò, Eowyn si precipitò dai due ragazzi prima che la situazione degenerasse e la preparazione della sala subisse un ulteriore rallentamento.

“Gimli, caro, ti stavo giusto cercando. Ho bisogno di qualcuno con le braccia forti per trasportare delle casse di birra dalla macchina a qui. Mi aiuteresti?” 

Il ragazzo, sedotto dalle celate lusinghe, non se lo fece ripetere due volte e, voltando le spalle a Legolas che cercava di trattenere un risolino, uscì dal locale con l’amica.

Bilbo lanciò un ultimo, preoccupato sguardo al suo amato bar, poi affidò le chiavi del locale ad Aragorn, affinché lo chiudesse dopo la festa, e si diresse verso casa di Sam per andare a prendere Frodo.

Nel frattempo Arwen si affaccendava nella piccola cucina nel retro del bar; stava finendo di sistemare le ultime decorazioni di zucchero su una meravigliosa torta cioccolato.

“Eomer, hai preso le candeline?” Chiese Arwen, affacciandosi dalla porta che dava sulla stanza.

“Certo!” Egli si diresse verso la ragazza e, dopo aver frugato nel suo zaino, estrasse un pacchetto di candeline bianche  e rosa.

“Ma Eomer, lui detesta il rosa! E poi ti avevo detto di prendere quelle che sono simili ai fuochi d’artificio.” Quella mise su un broncetto deluso, e guardò male l’amico.

“E’ che… avevo dimenticato il portafoglio a casa.” Ammise lui con un po’ di imbarazzo, sfregandosi la nuca con una mano.

“E non potevi chiedere ad Eowyn di prestarti dei soldi?” Si intromise Aragorn, che era venuto in cucina per prendere delle ciotole e aveva sentito l’intero scambio di battute.

“Le avevo telefonato per farmi portare il portafogli; e sapete cosa mi ha risposto quella là? ‘Sono con Faramir; arrangiati e non rompere.’ Come vedete, amici, io non ho colpe!” E concluse il suo discorso, fiero come se avesse appena fatto una grandiosa arringa in tribunale.

Gli altri due si scambiarono un’occhiata significativa e, con un sospiro, tornarono ognuno al proprio compito: Aragorn cominciò a mettere patatine e salatini nelle ciotole e Arwen ripose la torta in frigo affinché la crema decorativa non si sciogliesse.

Eomer poggiò le candeline incriminate su un ripiano e poi andò a controllare se il festeggiato stesse arrivando.

Dopo aver tenuto la porta aperta affinché la sorella e Gimli potessero passare agevolmente, essendo tutti e due tornati carichi di bottiglie di birra e vino, si affacciò dall’uscio e scrutò verso la strada alla sua destra aguzzando la vista; in lontananza vide due figure familiari che si avvicinavano al locale: erano sicuramente Faramir e Boromir.

Tornò di corsa ad avvertire gli altri.

“Stanno arrivando. Nascondetevi!”  Gli amici si mossero velocemente, celandosi chi dietro un tavolo, chi dietro la libreria o una tenda.

“Qualcuno spenga le luci.” Ordinò Aragorn e Legolas, che era il più vicino all’interruttore, eseguì.

Seguirono degli attimi di silenzio ed attesa; attimi in cui i cuori degli amici battevano veloci e loro sorridevano emozionati.

Dall’esterno si udivano le voci dei due fratelli.

“Non vedi che ha già chiuso? Mi hai fatto fare una deviazione inutile.”

“Dai, magari invece è ancora dentro. Mi serve davvero quel quaderno che ho dimenticato.”

“Mamma mia, quanto sei secchione , bro.”

Faramir lo ignorò e spinse con decisione la porta del bar.

Dopo un secondo durante il quale i due fratelli rimasero in piedi al buio, le luci si accesero e tutti i ragazzi sbucarono fuori dai loro nascondigli gridando a gran voce “SORPRESA!”.

Faramir scoppiò a ridere; l’espressione shockata del fratello ripagava ampiamente tutte le sofferenze patite durante la giornata.

 

Fin dal primo mattino infatti Boromir era stato intrattabile.

Faramir si era alzato di buon ora e, vestito di tutto punto, era sceso in cucina per far colazione.

Seduto al tavolo aveva trovato il fratello, che inzuppava i biscotti nel latte con aria lugubre, i capelli arruffati e con ancora indosso il pigiama su cui era disegnato un orsetto in armatura medievale.

“Buon compleanno, bro!” Aveva quindi esclamato allegramente Faramir; lui era una di quelle persone che già di primo mattino erano belle sveglie e pimpanti, pronte a fare discorsi sui massimi sistemi ( o ‘a rompere le palle’  avrebbe detto Boromir, in un gergo poco raffinato).

L’altro sollevò gli occhi su di lui, nel suo sguardo si poteva scorgere afflizione, malumore, amarezza e depressione.

“Non dire mai più una cosa del genere.” Grugnì irritato, il biscotto che aveva appena immerso nel latte si spezzò e ricadde nella tazza con un infelice splash; Boromir sospirò sconsolato.

Nel complesso era una scena divertente e deprimente in ugual misura, pensò Faramir mentre si versava anche lui del latte.

Allungò la mano per prendere uno dei biscotti, ma l’altro allontanò repentinamente il pacchetto, tirandolo dalla sua parte.

“Ma sei scemo?” Chiese indispettito Faramir, non aveva molta voglia di litigare la mattina presto ma, se il fratello si comportava da pazzo, non c’era molto altro da fare.

“No, i biscotti sono miei. E’ il mio compleanno e sono depresso, quindi me li merito.” Affermò Boromir, tirando su col naso.

“Boromir, non puoi fare così! Dovresti essere felice, venticinque anni sono un gran traguardo; pensa al bellissimo regalo che ti farò.”

Cercò di consolarlo lui; a quelle parole l’altro sollevò il capo, in un debole accenno di interesse.

“E’un regalo costoso?” 

“Ehm… No”

“Allora puoi tenertelo.” E detto ciò tornò ad affogare i dispiaceri nel latte.

Faramir allora, per evitare di commettere un fratricidio, si alzò dal tavolo e, dopo aver indossato una giacca e afferrato il suo zaino, uscì di casa; avrebbe fatto colazione al bar con Eowyn.

 

La giornata purtroppo era ancora  lunga.

All’ora di pranzo Boromir, Faramir e il loro padre si ritrovarono al ristorante più celebre e costoso della città, dove Denethor aveva prenotato per poter festeggiare il compleanno del suo figlio maggiore.

L’atmosfera al tavolo era tesa, così come lo era stata nella loro casa da qualche mese a quella parte.

Dopo che i ragazzi erano tornati dalla vacanza e l’uomo aveva scoperto che cos’era accaduto a Boromir, era andato su tutte le furie. La sua ira si era rivolta in primo luogo contro i malviventi, i quali avevano osato compiere un crimine nei confronti del suo adorato figlio; poi contro Faramir, poiché aveva lasciato che dei delinquenti rapinassero e picchiassero il fratello mentre lui si ubriacava all’interno di uno squallido locale; e infine contro Eowyn perché ‘sicuramente quella sgualdrinella avrà fatto qualcosa di provocante nei confronti del rapinatore’. A quelle parole i due fratelli erano saltati in piedi gridando e imprecando contro il loro padre. Faramir poteva sopportare ingiurie e false accuse da parte del genitore, ormai era abituato, ma le offese e le insinuazioni senza senso rivolte alla sua ragazza gli avevano fatto andare il sangue al cervello.

Il ragazzo aveva ridotto i contatti col padre al minimo indispensabile e spesso, se capitava loro di essere nella stessa stanza, si ignoravano freddamente.

“L’anno prossimo, Boromir, ti troverò un posto in ufficio e ti mostrerò come si manda avanti un’azienda.”

Il ragazzo in questione fece un sorriso tirato. Denethor era il capo di un’impresa che si occupava dell’estrazione di marmo, di un tipo molto pregiato, bianco e puro. Il ragazzo  era già andato in azienda col padre, e gli piaceva amministrare gli affari. Tuttavia detestava essere favorito e preferiva ‘farsi le ossa’ con le sue sole forze.

Quando espresse il suo punto di vista al padre, quello lo liquidò con un cenno sbrigativo della mano.

“Tu sei nato per dirigere quell’impresa, non hai bisogno di fare la gavetta. E poi, a chi altro dovrei affidare il comando?” Chiese retoricamente e con tono pungente, mentre affettava la sua bistecca al sangue, stando ben attento a non sporcarsi il completo elegante che indossava.

Faramir intanto mangiava in silenzio e veloce, ansioso di porre fine a quel supplizio.

“Papà, io voglio che gli operai mi conoscano, che mi apprezzino per quello che sono. Voglio che siano consapevoli che loro potranno avere un dialogo con me, qualora sorgessero dei problemi. Non voglio essere IL capo inavvicinabile, sordo agli scioperi e alle proteste dei lavoratori.”

Dietro quel discorso c’era anche un rimprovero contro Denethor stesso, il quale dirigeva la sua azienda come se fosse una macchina, e non fosse composta da persone con necessità.

A quelle parole, un lampo di rabbia passò negli occhi dell’uomo, ma, tenendo alla sua immagine pubblica, volle evitare di fare una scenata in pubblico a causa dell’impertinenza del figlio e rimandò la discussione ad un altro momento.

Il pranzo finì rapidamente, e Faramir potè tornare a casa. Era esausto ed era solo metà giornata.

 

Si stava godendo un momento di pace seduto alla sua scrivania, quando il telefono squillò. Era Aragorn.

“Ciao Faramir! Senti, volevo dirti che per stasera è tutto programmato;  il tuo unico compito è quello di trovare una scusa plausibile per portarlo al bar.”

“Mi inventerò qualcosa.- Disse il ragazzo con uno sbadiglio- Piuttosto, il regalo è arrivato in tempo, vero?”

“Certo, è stato consegnato a casa di Eomer ed Eowyn. E…”

“FARAMIR!” Boromir spalancò la porta della sua camera improvvisamente e senza bussare; una cattiva abitudine che, sfortunatamente, non aveva mai perso.

“Che vuoi?” Chiese seccato Faramir.

“Tutto a posto?” Domandò la voce di Aragorn dall’altro capo del telefono.

“Con chi stai parlando?”

“Con nessuno.”

“Perché sei così misterioso? Cosa nascondi? Cosa stai combinando? Oddio, stai parlando con una ragazza! Stai tradendo Eowyn!” Man mano che sciorinava domande e sputava sentenze la voce di Boromir diventava man mano più acuta, e alla fine completò la piazzata portandosi le mani alle guance in una perfetta imitazione del quadro  L’urlo di Munch.

Faramir osservò il fratello e sbatte le palpebre diverse volte, stralunato; la capacità del fratello di saltare alle conclusioni più drammatiche lo lasciava proprio senza parole.

“Che vuoi?” Chiese ancora, cercando di non perdere la pazienza, poggiando il cellulare sulla scrivania e massaggiandosi le tempie.

“Non stai negando… Quindi…”

“COSA VUOI?” Sbottò quindi il minore, perdendo le staffe.

“Secondo te ho le rughe?” Chiese allora improvvisamente l’altro indicandosi gli angoli degli occhi e ai lati della bocca.

“FUORI DA CAMERA MIA!” Gridò Faramir mentre lasciava cadere il telefono e  spintonava il fratello fuori dalla stanza; quindi si chiuse dentro a chiave. Venir disturbato per delle cose del genere, roba da matti! Pensava mentre riprendeva il telefono in mano per tornare a conversare con Aragorn.

Non appena avvicinò il cellulare all’orecchio sentì una risata divertita che veniva dall’altro capo della linea.

“Cosa ridi? Io, quello, lo accoppo!”

“Resisti ancora un paio d’ore. Presto sarà tutto finito.” 

 

“SORPRESA!” 

Boromir era senza parole; mai avrebbe immaginato che i suoi amici si fossero impegnati in quel modo per organizzargli una festa a sorpresa. Se non fosse stato così depresso per aver raggiunto il quarto di secolo, avrebbe avuto le lacrime agli occhi dalla gioia.

“Ragazzi! Siete fantastici. Non mi sono accorto di niente!”

“Già! - Confermò Faramir- Pensate che oggi pomeriggio, quando mi ha beccato al telefono con Aragorn, ha pensato che stessi tradendo Eowyn.”

“Devi solo provarci a fare una cosa del genere, amore, poi vedi…” Disse la sua ragazza con un sorriso molto minaccioso sul volto, prima di schioccargli un veloce bacio sulle labbra.

“Dai, vieni a vedere come abbiamo decorato la sala.” Disse Arwen saltellando emozionata e tirandolo per un braccio.

“Prendi una birra, amico.” Esclamò Gimli e gli ficcò senza tante cerimonie una bottiglia in mano.

Dopo un po’ tutti i ragazzi si sedettero attorno alla tavola, pronti a consumare una cena a base di insalata di riso, pizza, gnocco, salumi e patatine fritte. Tuttavia il malumore di Boromir era ancora presente e gli amici provarono a tirarlo su di morale.

“Sai, in fondo non è una tragedia così grande compiere venticinque anni.” Affermò Eomer.

“Ma parli proprio tu? Quando hai compiuto ventiquattro anni sembrava fosse finito il mondo!” Esclamò Eowyn, tutti scoppiarono a ridere.

Nella mente di tutti passò la scena di quando, davanti alla torta con le candeline accese, Eomer aveva alzato gli occhi al cielo e aveva esclamato in un tono lamentoso; “ Perché Dio? Perché a me? Avevamo un accordo; fai invecchiare gli altri, ma risparmia me!” *

“Se ti può consolare, Boromir,- si intromise dolcemente Arwen- il giorno del mio ventiduesimo compleanno ho perso un concorso di importanza nazionale.”

“E al momento del mio diciottesimo compleanno mio padre ha affermato che a quell’età era già praticamente capo della sua azienda e che io non stavo affatto seguendo le sue orme. E poi ha buttato le mie piantine.” Aggiunse mogio Legolas, il ragazzo era da sempre stato appassionato di botanica.

“Ragazzi, è inutile cercare di consolarlo in questa maniera. -intervenne Gimli, analizzando la situazione che stava diventando criticamente drammatica- C’è solo una soluzione per casi come questo: sbronziamoci tutti!”

A quell’affermazione seguirono grida esultanti e altre bottiglie furono stappate.

 

Dopo un’ora erano tutti brilli, ridevano e scherzavano; Boromir aveva totalmente dimenticato il cattivo umore che lo aveva perseguitato durante il giorno e si gustava la compagnia.

In un angolo del tavolo Aragorn, Eomer e Gimli confabulavano tra loro, trafficando con i cellulari e inviando messaggi a destra e a manca.

“A chi state scrivendo voi tre?” Chiese Arwen incuriosita, cercano di sporgersi per vedere gli schermi dei telefoni.

I ragazzi evitarono di rispondere, facendo i misteriosi.

Dopo neanche mezz’ora i destinatari dei messaggi si presentarono al bar di Bilbo, muniti di casse per mettere la musica ad alto volume.

I compagni della squadra di basket varcarono la porta allegramente, seguiti a ruota da certi compagni di corso di Boromir e Aragorn.

E fu così che la festicciola intima per otto persone si tramutò in una serata alcolica e musicale degna di un film di serie z per adolescenti.

In un angolo fu allestito un torneo di beer pong: attività che coinvolse in particolar modo Boromir ed Eomer e che accese in loro la competitività.

“Tocca a me adesso!” Affermò il primo, spintonando l’altro brutalmente.

“Ma se hai appena tirato. Vuoi solo ritentare perché il primo tiro l’hai sbagliato.”

“Tanto sto vincendo io.”

“No, mai.” E con queste parole tirò la pallina prima dell’altro, centrando uno dei bicchieri.

La musica risuonava alta e, vicino alle casse, Legolas e Gimli stavano cantando a gran voce L’amour Toujours, improvvisando una danza scoordinata, nel mentre Aragorn riprendeva tutto col cellulare, ridendo a crepapelle.

“Gimli, che bella barba che hai stasera.” Esclamò ridendo Legolas, quella sera il ragazzo sembrava essersi lasciato andare più del solito e aver perso il suo leggendario autocontrollo e la sua compostezza.

“Grazie! Sai, a volte mi stai antipatico ma sei proprio un bravo ragazzo.- Entrambi scoppiarono a ridere senza motivo- Chi l’avrebbe detto che mi sarei ritrovato a cantare al fianco di un ragazzo vegetariano!” Continuò il ragazzo scuotendo la testa con fare incredulo.

“E invece al fianco di un amico?” Chiese il biondo, facendosi serio all’improvviso.

“Si, questo potrei farlo.”**

E i due si versarono altro vino e si abbracciarono e brindarono all’amicizia.

“Oh ragazzi, siete troppo teneri.” Esclamò Arwen, strascicando le parole leggermente barcollante; si accomodò sulle ginocchia di Aragorn, che le circondò il busto con le braccia.

In un altro angolo poco distante seduti su una poltrona, Eowyn e Faramir, persa ogni inibizione grazie all’alcool, si baciavano; ed  erano avvinghiati così stretti che sarebbe stato impossibile dire quali mani fossero di chi.

La festa era giunta proprio sul più bello quando due individui decisamente inaspettati irruppero nel locale.

Si trattava di Thorin e di un agente di polizia, calvo e con una folta barba.

“Ciao Dwalin!” Lo salutò allegramente Gimli, ignorando totalmente il fatto che la situazione aveva appena avuto un risvoltò quanto mai drammatico.

Aragorn e Faramir imprecarono, Arwen si precipitò a spegnere la musica.

“Che sta succedendo qui? Ci hanno chiamati per schiamazzi notturni.” Dichiarò Dwalin mentre si guardava attorno; avrebbe anche potuto fare a meno di chiedere, la situazione si spiegava da sola.

“E chi vi ha avvertiti? E’ stato lui?” Domandò Legolas, puntando un dito accusatorio verso Thorin, il quale sospirò e scosse la testa.

“No, non sono stato io, Legolas. Nel caso non lo aveste notato, siete in un centro cittadino e alle tre di notte le persone vogliono dormire.”

Uno ad uno gli amici di università e della squadra uscirono dal locale, fino a che non rimasero solo loro otto.

I ragazzi si profusero in un coro di scuse e diedero ragione all’uomo.

Thorin e Dwalin si guardarono, erano stati giovani anche loro e quindi decisero di chiudere un occhio per questa volta; in fondo i ragazzi sembravano sinceramente pentiti.

“Rimettete a posto tutto.- Ordinò Thorin mentre si accomodava su una sedia,- e ringraziate il cielo che Dwalin ha chiamato me e non Bilbo. Beh, che aspettate? Datevi una mossa con ‘ste pulizie.” 

Tutti i ragazzi furono occupati per le successive due ore a buttare bicchieri e bottiglie, lavare il pavimento, lucidare i tavoli e pulire piatti e ciotole; il tutto sotto la stretta sorveglianza di Thorin, il quale aveva congedato l’amico poliziotto e aveva assunto il comando della situazione.

Le operazioni di pulizia richiesero più tempo del previsto a causa della sbornia collettiva; ma, una volta che furono terminate, il locale splendeva come nuovo e profumava di pulito.

Allora Thorin si alzò con un sospiro stanco dalla sedia e si guardò attorno con approvazione.

“Dopo questo, ragazzi, siete in debito con me, sappiatelo.- disse scherzosamente- Bilbo non dovrà sapere mai niente. Tuttavia, dovreste essere un po’ più responsabili, lo dico per il vostro bene.”

“Lo sappiamo e… Hai ragione.” Convenne Legolas, sorrideva lievemente, come se stesse offrendo un ramoscello di ulivo ad uno storico nemico.

L’uomo, sorpreso, ricambiò il sorriso, e con un saluto si congedò dai ragazzi.

Gli amici tirarono un collettivo sospiro di sollievo. 

“Oh no! - Esclamò improvvisamente Arwen- Ragazzi, non abbiamo mangiato la torta.”

“E non ti abbiamo nemmeno dato il regalo.” Aggiunse Aragorn rivolgendo un’occhiata dispiaciuta a Boromir.

Non potendo restare nel locale, dal momento che Bilbo sarebbe giunto da lì a poco per iniziare la sua giornata lavorativa, decisero che la cosa migliore da fare era di dirigersi verso l’appartamento in cui abitavano Legolas, Aragorn e Gimli, che era il più vicino, e finire la festa lì.

Quando arrivarono alla casa erano tutti intirizziti dal freddo notturno; Legolas mise a bollire dell’acqua per preparare tisane e the.

“Che bustina volete? Io posso offrire: melissa, menta, the verde, the nero, tisana al finocchio, the bianco, infuso al melograno…”

“Decidi tu, noi ci fidiamo.” Disse Gimli, stroncando l’infinita lista sciorinata dall’amico.

Dopo che tutti si furono accomodati su divano e poltrone, stringendo in mano tazze fumanti, Eomer estrasse dal suo zaino una grossa scatola impacchettata alla bell’e meglio.

“L’ha incartato Eowyn, per questo è così brutto.” Disse passandolo al festeggiato e guadagnandosi un’occhiataccia da parte della sorella.

“Speriamo comunque che ti piaccia.” Aggiunse Aragorn.

Dopo aver strappato la carta e aperto la scatola, il volto di Boromir si illuminò.

Il regalo consisteva in un corno da guerra in avorio, con la punta e le rifiniture in argento e inciso con lettere dorate.***

“Magnifico! Ragazzi è splendido. Questa è una delle più belle riproduzioni che abbia mai visto. L’avranno imitato da un corno risalente al milletrecento, circa. Vedete le lettere? Indicano le iniziali dei nomi di chi ha posseduto il corno.  E poi gli intarsi… Le leggende narrano che se un guerriero si fosse mai trovato in difficoltà, suonando uno di questi, avrebbe ricevuto un aiuto insperato.”

Mentre il ragazzo parlava, gli amici lo guardavano a bocca aperta: chi l’avrebbe detto che Boromir era un nerd per la storia medievale?

Nel frattempo, mentre tutti parlavano bevendo il the, Faramir ed Eowyn, stretti l’una al fianco dell’altro, si erano addormentati sulla poltrona, la testa di lei poggiava sulla spalla di lui.

“Non trovate che siano adorabili quando dormono?” Domandò Arwen, lanciando loro un’occhiata carica di affetto.

Nonostante fossero tutti più o meno coetanei, i due erano i ‘piccoli’ del gruppo e veniva spontaneo per i ragazzi essere un filo protettivi nei loro confronti; 

Aragorn li coprì entrambi con una coperta.

“Andiamo a dormire anche noi?- Propose Legolas, guardando l’orologio e notando che erano le sei di mattina- Uno di voi può prendere il divano, mentre l’altro il letto di Gimli.” Aggiunse, rivolgendosi a Boromir ed Eomer.

“E io dove dormo?” Domandò quest’ultimo indispettito.

“Nella brandina in camera mia.”

“Ma la torta quando la mangiamo?” Domandò Eomer.

“Domani a colazione. Cioè intendo oggi, quando ci sveglieremo.” Rispose Arwen, mentre prendeva per una mano il suo ragazzo e si dirigeva verso la camera da letto.

Boromir riuscì ad accaparrarsi il letto dopo esserselo disputato a ‘sasso, carta, forbice’ con Eomer, quest'ultimo si sistemò alla meno peggio sul divano.

Il sole sorgeva e inondava di luce la città, proprio quando gli amici, chiudendo gli occhi, scivolarono nel mondo dei sogni.

 

 

 

 

*Riferimento ad una puntata di Friends; una battuta simile viene detta da Joey.

**Celeberrimo scambio di battute che avviene ne Il ritorno del re

*** E’ il corno che ha Boromir nel libro.

   
 
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