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Autore: MaxB    02/06/2020    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed ecco il nostro intendente alle prese con le prime ore da padre.
Verso l'inizio del capitolo mi sono resa conto di avere un po' pasticciato con i POV, quindi parte con Thorn poi diventa un misto tra lui e Ofelia e poi passa ad Ofelia. Non ho cambiato e sistemato questa cosa... Fatemi sapere se magari vi ha dato fastidio o se, insomma, chissenefrega avete letto lo stesso. Cercherò di stare più attenta, ma temo di stare diventando letterariamente bipolare ahahaha.
Grazie mille a tutti e buona lettura^^


Capitolo 11

Ofelia ebbe a mala pena il tempo di registrare la ricomparsa di Thorn, che si era messo al suo fianco ma in disparte, immobile come una statua, controllando ogni singolo movimento dei presenti con la coda dell’occhio. Non gli piaceva quella situazione, era evidente dalla sua fronte aggrottata e dai lineamenti tesi, o dal fatto stesso che non si fosse seduto, ma Ofelia decise di non badarci. Era doveroso che i loro parenti e amici più stretti vedessero la bambina.
Berenilde si era impossessata della piccola per prima, cullandola e parlandole con una voce calda e amorevole che Ofelia le aveva sentito usare solo con Vittoria, così carezzevole da assomigliare ad una ninna nanna. La zia Roseline invece, pratica come sempre, si prodigò per coprire con uno scialle la nipote, in modo che non apparisse troppo sconveniente di fronte allo sguardo curioso di Archibald, a cui non sfuggiva mai nulla. Quest’ultimo e Renard si trovavano ai fianchi di Berenilde, intenti ad osservare il fagottino che la donna teneva in braccio, uno con timore reverenziale e commozione, l’altro con un sorriso divertito e scintillante. Gaela, invece, si aggrappava spasmodicamente al braccio di Renard, nervosa e trepidante, lanciando occhiate furtive alla neonata e alla madre, che le sorrideva timidamente per incoraggiarla.
- Non c’è che dire, una splendida nascitura! Mi prenoto già per un possibile matrimonio, quando sarà abbastanza grande, ovviamente! Sempre che la cara piccina non si accontenti di un flirt, la qual cosa mi renderebbe in ogni caso soddisfatto – esordì Archibald, lanciando occhiate estasiate ai genitori.
Thorn, da parte sua, si irrigidì ancora di più e chiuse le mani a pugno, un chiaro intento violento nello sguardo. L’ambasciatore, oltre ad essere impudente, non aveva alcun riguardo apparente per la propria vita, dal momento che sfidava apertamente, in continuazione, la pazienza già scarsa di quell’intendente così poco tollerante nei confronti degli scherzi.
La zia Roseline bofonchiava irritata, ma Ofelia decise che il modo migliore per sminuire le parole di Archibald fosse il silenzio, così lo ignorò.
Berenilde aiutò Renard a prendere in braccio la piccola, mettendo in allerta Thorn, che avrebbe tanto voluto storcere il naso di fronte alla vista di sua figlia che veniva passata di mano in mano come un pacchetto o un piatto. Era sua, ed era anche fragile, si stava sforzando più di quanto avesse mai fatto per non cacciare tutti fuori dalla camera, riprendersi la neonata e obbligare Ofelia al riposo.
Quest’ultima, dal canto suo, non condivideva affatto i sentimenti possessivi e angosciati del marito. Vedere Renard, così grande e grosso, impaurito di fronte a quell’esserino minuscolo le strinse il cuore, convincendola del fatto che non avrebbe potuto scegliere padrino migliore per sua figlia. La guardava incantato, non quanto Thorn, ovviamente, ma Ofelia percepì che Renard stava già cominciando a provare affetto per quella piccola creatura quanto aveva imparato a provarne per Ofelia.
E poi Gaela le si avvicinò, in evidente apprensione. – Perché io?
Ofelia sorrise un po’ e la guardò dritta negli occhi. O meglio, nell’occhio, quello libero dal monocolo. -  Perché era giusto così. Volevo avere al fianco persone di cui mi fidassi, a cui avrei potuto affidare la vita stessa di mia figlia. E io già una volta ho riposto la mia vita e quella di mia zia nelle vostre mani. Non mi avete mai tradita, e speravo di farvi cosa gradita con la mia richiesta.
Gaela si strinse nelle spalle, per una volta priva della sua arroganza e sicurezza. – Non sono molto pratica di bambini – ammise, quasi in imbarazzo.
- Nemmeno Renard, eppure non è spaventato. Credevo che non ci fosse nulla in grado di mettervi in difficoltà.
Provocata, Gaela capì l’antifona. – Non ho paura – ribatté sfrontata. – Solo… ah, chi se ne importa. Dammi qua, rosso, fammi reggere la mia figlioccia.
Ofelia capì più che mai di aver fatto la scelta giusta quando vide Renard quasi abbracciare Gaela nel tentativo di passarle delicatamente Serena, che la meccanica prese saldamente e osservò con attenzione. Poi, inaspettatamente, la fissò incantata e sorrise guardandone il volto piccolo con gli occhi grandi, senza scostare il braccio che Renard le teneva sulle spalle. Ofelia avrebbe voluto immortalare quel momento, sperando che fosse un preludio a qualcosa tra quei due cari amici. Renard ci teneva così tanto!
- Ora basta – si intromise la zia Roseline dopo alcuni minuti passati a gironzolare per la stanza rassettando, cosa completamente inutile dal momento che la sua trepidazione innervosiva il mobilio e quanto li circondava. Se Ofelia avesse dovuto descriverla con uno dei paragoni incalzanti della zia stessa, l’avrebbe definita “tesa come una molla”, mentre saltellava di qua e di là con una carica inaudita. – Datemi qua la figlia della mia figlioccia. Sono prozia per la terza volta, dopo i due bambini di Agata.
La zia Roseline sparì nel bagno della camera con la levatrice al seguito, pronte per lavare la piccola che era ancora nuda e sporca. Berenilde invece si adoperò per far sloggiare tutti in modo da lasciare un po’ di pace alla puerpera che era sicuramente sfinita. Archibald, la cui presenza era stata inutile se non per ciarlare a vuoto, presentò i suoi ossequi e si avviò per primo, pronto a rilasciare interviste e spargere ai quattro venti la notizia che si sarebbe presto sposato con la figlia dell’intendente.
Renard invece si avvicinò ad Ofelia, tallonato da Gaela, e si chinò su di lei: - Ottimo lavoro ragazzo. Sono fiero di te – le disse con gli occhi lucidi, e Ofelia provò l’impulso di abbracciarlo e stringerlo forte.
Invece lo lasciò uscire guardandolo con affetto. Rimaneva solo Gaela, che le sfiorò la mano con aria impacciata. – Grazie – mormorò soltanto prima di andarsene, in un soffio d’alito così delicato e dolce che Ofelia temette di essersi immaginata tutto.
Per ultimo, Berenilde fece uscire Thorn, perché dovevano finire di “pulire e sistemare anche Ofelia e il suo ventre”, come disse al nipote senza mezzi termini, facendolo inorridire internamente. Sistemare cosa?
Alla fine gli chiusero nuovamente la porta in faccia, lasciandolo perplesso e disorientato nel corridoio. Decise che i parti non gli piacevano, e si augurò di non doverne affrontare un altro nell’arco di breve tempo. Non era un evento che rientrava nella sua quotidianità, e sperò che la cosa continuasse a funzionare così. Alla fine si allontanò per chiamare l’Intendenza e sbrigare alcuni appuntamenti e faccende, cercando di distrarsi rendendosi utile, sopprimendo il tumulto interiore che si agitava dentro di lui.
 
Thorn tornò nella propria camera alcune ore dopo. Non aveva più visto Ofelia perché la zia Roseline lo aveva raggiunto per informarlo che stava dormendo e non era il caso di disturbarla. Così aveva lavorato ancora, tirandosi avanti e ordinando al suo assistente di spedirgli le nuove pratiche: le avrebbe esaminate il giorno dopo da casa. Non aveva intenzione di allontanarsi da lì.
Nel passare per il salotto si era però immobilizzato, notando con la coda dell’occhio un dettaglio fuori luogo: Gaela e Renard, abbrancati l’uno all’altra accanto a una finestra. Il consigliere con i folti favoriti rossi era chino sulla piccola meccanica, gli occhi chiusi. I due stavano indubbiamente amoreggiando. Gemiti sommessi e schiocchi riempivano l’aria, mentre le loro mani vagavano tra viso, collo, schiena e nuca.
Thorn era rimasto così perplesso di fronte alla scena da impiegare un secondo di troppo per registrarla e lasciare la stanza. Renard lo aveva visto con la coda dell’occhio e si era bloccato, le labbra ancora premute contro la spalla di Gaela. Il suo viso non aveva impiegato molto a diventare dello stesso colore fulvo dei suoi capelli, e Thorn si era affrettato ad uscire senza dire una parola. Quelli non erano affari suoi. Il fatto che quegli affari accadessero sotto il suo tetto lo era un po’ di più, ma qualcosa gli diceva che Ofelia non avrebbe gradito la cacciata del padrino e della madrina della figlia da parte del marito.
Aprì la porta della camera con estrema cautela, trovando Ofelia sdraiata a letto che allattava la piccola. Lei gli rivolse un gran sorriso, seppur stanco, e la cosa non gli sfuggì.
- Non hai riposato?
Ofelia scosse la testa. – Un po’, ma tra la pulizia della piccola e della camera, mi sono riseduta solo ora. E Serena aveva di nuovo fame.
Thorn rimase ad osservarle, in piedi di fronte a loro.
- Sconsiglio caldamente la tua presenza a tavola questa sera.
Ofelia increspò le sopracciglia com’era solito fare lui. – Non sto male. Sono solo stanca. Mangerò e poi dormirò.
Thorn imitò la sua espressione, scrutandola intensamente da sotto le palpebre chiuse a fessura. Sapeva che Ofelia avrebbe fatto di testa propria, così si abbassò a fare l’unica cosa che sarebbe stata in grado di convincerla: girò la questione in modo che risultasse come una proposta, un favore che faceva a lui. – Preferirei davvero che riposassi, farò portare la cena in camera. Non puoi… accogliere questa richiesta? Accondiscendere alla mia volontà?
Ofelia lo guardò in silenzio, soppesando la domanda.
Poi scosse la testa in diniego mentre staccava da sé Serena per farla attaccare all’altro seno. Thorn continuava a scrutarla negli occhi, immobile, i tratti del volto rigidi.
- Mi aiuterà uscire un po’ da questa camera, sono stata qui tutto il giorno, e non certo a divertirmi. Mangerò, saluterò e tornerò qui, davvero – argomentò, nel tentativo di convincerlo.
Cosa che non riuscì a fare. Thorn era quasi infastidito dalla sua caparbietà, sebbene fosse un tratto che lo aveva fatto innamorare: nessuno gli aveva mai tenuto testa come faceva lei, senza timore o ipocrisia. Ofelia si batteva per le sue idee e azioni. Alla fine, accettando di malavoglia quella decisione, o meglio, subendola, andò in bagno a rinfrescarsi e cambiarsi per la serata. Quando uscì vide che Ofelia batteva dei piccoli colpi sulla schiena di Serena, abbarbicata al suo collo.
- Cosa fai? – le chiese, perplesso.
- Deve fare…  - si bloccò, pensando a quanto fosse strano inserire la parola “ruttino” in un discorso con Thorn. – La aiuta a digerire.
Proprio in quel momento Serena fece l’agognato ruttino e Ofelia quasi scoppiò a ridere notando l’espressione impassibile eppure perplessa di Thorn. Compassato com’era, ci sarebbero sicuramente stati un mucchio di atteggiamenti che nel futuro avrebbero suscitato il suo sgomento. Stringendo le labbra in un sorriso, Ofelia si mosse per alzarsi e metterla nella culla che la zia aveva ordinato di portare in camera, di fianco al grande letto matrimoniale, ma Thorn la precedette.
- Posso… prenderla io, se vuoi. Mentre tu ti cambi per la cena.
Impalato di fronte a lei, fissandola dall’alto, Ofelia si sentì come sempre schiacciata dalla sua presenza. Serena no, invece, e lo fissava con gli occhi vispi e ben aperti. Mostrandogli nuovamente come tenere le braccia, intuendo la sua reticenza, Ofelia dovette alzarsi sulle punte per mettere la bimba in braccio al marito. Osservando il modo rigido in cui Thorn la teneva, senza cullarla, camminare, senza nemmeno muoversi a dire il vero, Ofelia sorrise e andò verso il bagno a darsi una rinfrescata veloce. Quando tornò trovò Thorn immobile di fronte alla finestra della loro camera, che scrutava l’esterno scuro nel cui cielo baluginavano le stelle, e si cambiò in fretta.
Alla fine si sedette sul letto, con la testa che girava per la stanchezza, lasciandosi sfuggire un sospiro.
- Devi riposare – le intimò Thorn, con la sua vibrante voce gelida, continuando a darle le spalle.
- Dopo riposerò – ribatté lei, per nulla scalfita dal suo tono secco. – Vuoi darmi Serena, ti pesa?
- Affatto, credo che sia sottopeso. Ho dato un’occhiata alle medie di massa ponderale neonatali, lei è al di sotto del livello considerato ottimale dell’undici percento. E poi tu sei stanca, per non parlare del fatto che l’hai tenuta per otto mesi e…
- Thorn – lo interruppe Ofelia, suo malgrado intenerita dall’atteggiamento del marito. – Ti chiedevo se pesa in senso lato. I bambini non sono proprio il tuo forte.
Lui si girò verso di lei, tenendo Serena con più delicatezza di quanto Ofelia si sarebbe aspettata. – Sono incomprensibili, difatti, e imprevedibili. Ma ho appurato che quando sono così piccoli il loro unico difetto è che dipendono eccessivamente dalle cure altrui. Per il resto non disturbano, sono silenziosi…
Serena scoppiò a piangere proprio in quel momento, bloccando Thorn nel pieno della conversazione e, se possibile, rendendolo più altero e imbalsamato di prima. Ofelia si alzò e le mormorò paroline dolci, ma Thorn si rifiutò di cederle la piccola. Dopo avergli mostrato come cullarla, lui iniziò a muoversi poco fluidamente a destra e a sinistra, ondeggiando e molleggiamento lievemente le gambe, con la fronte così increspata da far credere che stesse decifrando una complessa equazione matematica, non cullando una bambina piangente.
Alla fine Serena si calmò e mosse un pugno nell’aria, agitata.
- Credo che dovrò abituarmi a questi lamenti… - mormorò Thorn, in un farfuglio così basso che Ofelia dubitò di averlo sentito. – Forza, dirigiamoci in sala da pranzo così poi potrai tornare a dormire.
Senza attendere una risposta o far uscire la moglie per prima, aprendole la porta come da buona cortesia, Thorn si affrettò nel corridoio, precedendola nella sala da pranzo accogliente e… rumorosa. Vittoria parlava da sola giocando con il disegno di carta animato che Ofelia le aveva prodotto qualche giorno prima, Renard cercava di tenere una Gaela infuriata lontana da un Archibald colpevolmente divertito, e Berenilde impartiva ordini a destra e a manca ai domestici affaccendati. Persino la sua sciarpa cominciò ad agitarsi, sventolando le frange sulle due estremità.
Insieme a loro arrivò la zia Roseline, alle spalle di Thorn, e si trovò a fissare la sua ampia schiena insieme alla nipote. – Dov’è la piccola, Ofelia? – le chiese mellifluamente.
- In braccio a Thorn.
Il diretto interessato si voltò verso di loro e la zia Roseline lo fissò con tanto d’occhi. – Per tutti gli orologi. Non avrei mai creduto di poter assistere ad una scena del genere. È anacronistica quanto uno dei pizzi di Berenilde nel museo del prozio. Chi l’avrebbe mai detto…
Per nulla infastidito da quell’osservazione, Thorn non disse nulla, si voltò e si diresse verso la tavola, dove venne intercettato dall’altra zia.
- Mio caro nipote, concedimi di tenere la nuova pronipote in braccio. Oh, povera me, già una pronipote. Tu e Ofelia sarete responsabili del mio invecchiamento precoce… prozia…
Thorn le cedette Serena di malavoglia; più che altro, Berenilde si impossessò della neonata, andando a sedersi sul divano di fianco alla figlia, presentando le cuginette per la prima volta. Ormai era prossimo il momento di sedersi a tavola per consumare la cena, ma nell’aria aleggiava un sentore di stranezza che Ofelia non avrebbe saputo definire. Mentre la zia Roseline raggiungeva Vittoria, Serena e Berenilde, e Thorn si teneva in disparte come suo solito, Ofelia osservò il trio che stava facendo più baccano del solito.
Gaela era decisamente infuriata, Archibald doveva aver combinato qualcosa, e Renard, nonostante la stazza da armadio, sembrava quasi impotente di fronte a quella forza della natura dai serici capelli neri e quell’ometto buono solo a corteggiare dame irraggiungibili. O che avrebbero dovuto essere irraggiungibili, ma si facevano raggirare facilmente. Quando Renard incrociò erroneamente il suo sguardo, invece di sorriderle o ammiccare come suo solito, in un gesto cameratesco di affezione, avvampò, e la sua pelle assunse la tonalità infuocata di basette e capelli.
Ofelia pensò che fosse alquanto bizzarro.
Ma mai bizzarro quanto la cena, in cui la presenza di Serena veniva quasi litigata, Archibald sproloquiava a sproposito e Gaela ribolliva di nervosismo, influenzando anche Renard, sensibile ai suoi sbalzi d’umore. L’unico tranquillo era Thorn, che mangiava con poco interesse sia per il cibo che per i commensali, lanciando giusto qualche occhiata protettiva a Serena di tanto in tanto. Se tutti i presenti fossero stati Animisti, Ofelia non si sarebbe sorpresa nel vedere le posate cominciare a saltare impazzite per tutta la tavola, o infilzare le mani di qualcuno. La cosa le fece sorgere dentro un’inattesa malinconia, causata in parte dalla mancanza della famiglia che, per quanto fosse esuberante e antitetica rispetto alla sua famiglia del Polo, aveva rappresentato una parte fondamentale della sua vita. O forse era solo colpa degli ormoni.
Non le sfuggì comunque l’occhiata intensa che Thorn le scoccò, facendole capire che aveva intuito che qualcosa non andava, ma non si azzardava a discuterne a tavola, dove una faccenda privata sarebbe diventata un pettegolezzo da salotto dissezionato da Archibald e Berenilde.
Ofelia però, nonostante la tristezza, si sentiva in qualche modo anche appagata: le persone con cui stava cenando erano le uniche di cui si fidasse veramente, lì al Polo, e non avrebbe esitato a definirli parte integrante della sua famiglia Con qualche remora su Archibald, però… Se ne rese conto con certezza quando Serena, innaturalmente docile per essere una neonata con appena qualche ora di vita, arrivò tra le braccia di Gaela. La meccanica aveva rivelato un lato del tutto nascosto con la piccola: un lato dolce, compassato, ben lontano dalla sua consueta alterigia e impulsività. Le si strinse il cuore quando vide Renard, al suo fianco, chinarsi su di lei e sulla bambina sorridendo, come se i genitori fossero loro, invece di essere solo la madrina e il padrino, ma del resto l’intento di Ofelia era quello: far avvicinare quei due. Non era solita ficcare il naso in faccende che non la riguardavano, ma con tutto quello che Renard aveva fatto, e avrebbe sicuramente continuato a fare, per lei, cercare di creare un’occasione perché quei due potessero stare insieme le sembrava il minimo. Sorrise leggermente, certa di essere passata inosservata, ma con la coda dell’occhio vide Renard alzare o sguardo su di lei. Allora gli sorrise apertamente, sicura di ottenere un occhiolino in cambio, e suscitando invece un’altra esplosione di rossore sulle guance rubiconde dell’amico.
Il sorriso si spense: era interdetta. Renard si era comportato in modo tanto dimesso e sussiegoso solo quando lei lo aveva assunto, e lui si era vergognato all’idea di essersi mostrato nudo di fronte a lei ed essersi preso troppe confidenze. Come mai si stava nuovamente comportando in quel modo?
Fu un sollievo salutare tutti e ritirarsi in camera alla fine della cena. Era davvero spossata e le zie insistettero perché riposasse, mentre Thorn le scoccava un’occhiata gelida e imperiosa. Lei obbedì prontamente, per una volta, sperando che gli ordini e la voglia delle zie di comandare non diventasse un’abitudine: quelle due insieme le facevano una certa paura.
Si buttò a letto stremata, senza quasi la forza di cambiarsi, e si addormentò immediatamente.
Thorn la trovò così un’oretta dopo, quando entrò in camera alle spalle della levatrice, che portava in braccio una Serena disperata e urlante. Una piccola poppata dopo la bambina si calmò, e Thorn la mise, con gesti impacciati e rigidi, nella culla accanto al letto.
Ormai sveglia, Ofelia si raddrizzò gli occhiali storti sul naso. Erano rimasti solo loro due, anche gli ospiti erano tornati a casa loro. O nelle loro stanze, nel caso di Berenilde, che aveva deciso di passare la notte lì. Persino Archibald aveva mezzo tentato di autoinvitarsi, più per fare dispetto a Thorn che per altro, ma quest’ultimo gli aveva chiuso la porta in faccia senza sentire ragioni.
- Se muovi un po’ la culla la fai addormentare – gli suggerì Ofelia dopo un po’, notando che Thorn non accingeva a spostarsi dalla sua posizione e continuava a fissare la piccola, accigliato e con la fronte solcata da rughe.
Allungando quasi timidamente la mano, obbedì, facendo ondeggiare la culla e continuando ad osservare la piccola creatura stanca al suo interno. Ofelia sorrise e si avviò verso la porta della camera.
- Dove vai? – le chiese Thorn, che a quanto pareva non era così assorto da non averla notata.
Ofelia doveva aspettarselo, che non gli sarebbe sfuggito nulla.
- Temo di aver dimenticato una cosa in salotto, sarò di ritorno immediatamente.
Per un istante fugace le sembrò di vedere gli occhi affilati di Thorn saettare da lei alla bambina con preoccupazione, ma fu solo un attimo. Lui non ribatté nulla e lei si affrettò ad uscire.
Trovò quello che cercava proprio nel salotto, stravaccato sul divano con una bottiglia di liquore sul tavolino da tè di fronte a sé, la testa reclinata all’indietro e un’espressione beata in volto. Questa volta il colorito roseo delle gote non era causato da chissà quale fonte di imbarazzo, ma dall’effetto dell’alcol in corpo.
- Renold… - lo chiamò Ofelia, per annunciare il fatto che era lì vicino a lui.
L’uomo scattò in piedi, torreggiando su di lei, non quanto Thorn, ma compensando la differenza d’altezza con la larghezza delle spalle. Ampio, ecco cos’era.
- Sì, madama? Cioè, signora? Ehm… padrona?
Ofelia aggrottò le sopracciglia. – Ho bisogno di un consiglio.
Renard impiegò qualche secondo per metterla a fuoco. O forse stava mettendo a fuoco i suoi stessi pensieri. Doveva aver bevuto davvero più del previsto.
- Comandate, sono al vostro servizio.
- Come dovrei comportarmi nel caso in cui il mio consigliere cominciasse di punto in bianco ad arrossire d’imbarazzo quando gli rivolgo un’innocua occhiata?
Al contrario di ciò che aveva detto, Renard sbiancò. Ofelia lo vide boccheggiare, ma alla fine di quella scena muta il suo consigliere confermò le sue parole: avvampò come il bocchino della pipa di Thorn quando lui lo accendeva e tirava una boccata.
- Perbacco… mi rincresce. Sono terribilmente mortificato, un simile episodio non accadrà più, posso giurarlo sul mio onore di consigliere e sulla gratitudine e il rispetto che nutro nei vostri confronti, mia signora. Tenete solo conto che la carne è debole e io aspettavo da così tanto tempo che non mi sono potuto rifiutare e… oh, per tutte le clessidre dorate, è stato così bello che mi sento rizzare i peli al solo ricor…
- Non vi seguo, Renold – lo interruppe bruscamente Ofelia, confusa. – Che episodio?
Fu il turno di Renard di assumere un’espressione perplessa. – Il signor intendente non vi ha riferito della mia condotta deplorevole?
Ofelia fece mente locale, cercando di ricordare se per caso Thorn le avesse accennato a qualche informazione concernente il suo consigliere e una situazione incresciosa, magari in un momento di eccessiva stanchezza durante quella giornata, ma non ricordava nulla del genere.
- Non mi ha detto nulla, credo. Di cosa si tratta?
Renard era più erubescente di un pomodoro maturo, e con gesti impacciati si versò un altro bicchierino di liquore che mandò giù tutto d’un fiato, come per darsi coraggio.
- Davvero, non credo sia il caso di…
- Renold… - lo ammonì Ofelia, spronandolo a parlare e allo stesso tempo facendogli capire che il silenzio non era un’opzione.
- Oh, va bene! Vedete, il signor intendente mi ha… come dire, ha assistito ad una scena poco professionale, questo pomeriggio. In soggiorno. Io ho tentato di fermarla, ve lo giuro, ma la mia volontà era così debole e lei era così morbida e calda…
- Di cosa stai parlando?
- Ma di Gaela ovviamente! Quella donna così meravigliosa e imprevedibile. Subito dopo aver visto la vostra meravigliosa primogenita, siamo tornati in salotto, e lei era così diversa dal solito… raggiante, credo che si possa definire così. Allora mi ha preso per il bavero della giacca e mi ha trascinato vicino alla finestra, assalendomi.
Fu il turno di Ofelia di arrossire: quei discorsi non erano proprio il suo forte. – Intendete dire che vi ha baciato?
- Baciato? Santi numi, no! Mi è saltata addosso, obbligandomi consenzientemente a ricambiare le sue effusioni e…
- Posso intuire come sia andata, Renold, risparmiate i dettagli per voi.
Per quanto imbarazzata, nulla poté impedire ad Ofelia di sorridere. Il suo piano aveva funzionato.
- Ovviamente è finito tutto lì – continuò Renard, con la lingua sciolta dall’alcol che metteva in risalto che lui era abbastanza contrariato dal fatto che fosse finito tutto lì. – Davvero il signor intendente non vi ha riferito nulla della mia condotta? A dire il vero non ha detto nulla nemmeno quando ci ha colti in flagrante. Dite che devo attendere una lettera di licenziamento da un momento all’altro? O, padrona, come ho potuto cedere alla tentazione e…
Ofelia ridacchiò. Renard era più buffo del solito in quella situazione. – Non penso proprio che vi arriverà alcuna lettera. Il fatto stesso che Thorn abbia taciuto e ignorato la cosa ne è una prova. Piuttosto spero che l’episodio non sia una tantum. Datevi da fare, ora che la strada si è aperta…
Ofelia non credeva che sarebbe mai arrivato il momento in cui avrebbe dato consigli amorosi a qualcuno. Eppure era lì, nel suo salotto, poche ore dopo il parto, a parlare con il suo consigliere di un amoreggiamento avvenuto sotto il suo tetto, e a spronarne la ripetizione. Lei, che non voleva nemmeno sposarsi…
- Dite? Magari dovrei andare a trovarla domani, quando la memoria è ancora fresca e la mia bella conserva sulle labbra il sapore del nostro bacio.
Divertita, Ofelia annuì. – Prendetevi la giornata libera domani, basta che concludiate qualcosa.
Lo sguardo ebbro di Renard si illuminò. – Senz’altro ragazzo. Vedrai che scintille farò domani. Sei un ottimo consigliere, sai?
Ofelia non ribatté, gli augurò la buona notte e si diresse verso la camera, nascondendo un sorriso. Era bello essere lei la dispensatrice di opinioni nei suoi confronti, per una volta.
Tornata in stanza trovò Thorn fermo nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, ancora intento a far ondeggiare la culla. Si avvicinò e vide che Serena era profondamente addormentata, così scosse la testa e tirò la manica della giacca del marito.
- Non credi che sia ora di dormire?
- Dovrei porre io la domanda a te, semmai.
Senza aggiungere altro si spogliarono per infilarsi sotto le coperte. Ofelia prese sonno immediatamente, ma Thorn rimase a fissarla al buio per parecchio tempo dopo che lei ebbe chiuso gli occhi. In un singolo giorno erano cambiate così tante cose. In meno di ventiquattro ore era diventato padre, un altro appellativo che non avrebbe mai pensato di indossare, oltre a quello di marito.
Padre.
Alla fine si addormentò stringendo a sé Ofelia, apprezzando il fatto che non ci fosse più la pancia ad intralciarlo, e sperando che lei potesse dormire serenamente e a lungo.
Quel lungo durò poche ore, perché prima dell’alba Serena ricordò a tutti la sua presenza, costringendo i genitori ad alzarsi per nutrirla.
Era decisamente una cosa a cui Thorn avrebbe dovuto abituarsi.
  
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