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Autore: Stella Dark Star    02/06/2020    2 recensioni
Anche se ormai lui e suo marito si sono affacciati alla quarantina, Chuuya viene nuovamente investito da quel desiderio di maternità che credeva di aver spento molti anni prima. Non riesce ad arrendersi, desidera così tanto fare un figlio con Dazai che si ritrova ad implorare Atsushi affinché trovi un modo per cedergli la sua abilità di generare la vita. Data la serietà della richiesta, vengono chiamati in appello anche due indiscussi geni come Ranpo e la Dottoressa Yosano, ma...è davvero possibile una cosa del genere?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Mpreg
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Dazai x Chuuya:
Non è mai troppo tardi…

 
 
“Ahhh sono contento che Riku sia entrato ufficialmente nella Port Mafia!” Con l’aria beata e un tenue sorriso sulle labbra, Dazai si sistemò meglio sul materasso e incrociò le braccia sotto la testa pur avendo già un grande e morbido cuscino a sostenerlo. Dopo tanti anni, ancora non si era abituato alla morbidezza di quel letto a baldacchino che Chuuya si ostinava difendere con le unghie e coi denti. E pensare che lui stava tanto comodo sul suo caro vecchio futon! Invece niente, non appena si era trasferito nell’appartamento di Chuuya aveva dovuto rinunciare al suo stile di vita semplice e agli arredi minimali e sottomettersi allo sfarzo di sua moglie. E la cosa lo irritava anche dopo diciotto anni di matrimonio!
“Nonostante sia così giovane ha dimostrato di avere tutto il necessario per diventare un buon agente, non trovi?” Proseguì, fingendo di non stare pensando a quanto sarebbe stato bello dare fuoco a quel letto pomposo!
A poca distanza, seduto sullo sgabello della toeletta, Chuuya stava spazzolando i lunghissimi capelli con grande cura e movimenti gentili, la spazzola che li accarezzava e la luce gialla della lampada a collo lungo accanto al tavolino creavano un effetto dorato sulla splendida chioma, facendola sembrare una distesa di lava incandescente. Un motivo d’orgoglio per lui.
“Anche Akutagawa era giovane quando lo hai preso come tuo sottoposto. Non mi sorprende che suo figlio abbia raggiunto questo primo traguardo così presto. Di sicuro è stato per Riku un insegnante migliore di quanto lo sia stato tu per lui.” Rispose con tono neutrale.
Dazai ridacchiò. Abbandonò la ‘comoda’ posizione per girarsi sul fianco, si sollevò un poco puntellando il gomito sul materasso e poggiò la guancia contro la mano aperta. “Hai ragione. Sono io il primo ad ammetterlo! Ed è probabile che tra pochi anni avrà accumulato una lista di missioni ben riuscite, così potrà passare al tuo servizio. E’ quello che desideri, giusto?”
Lo sguardo di Chuuya incontrò il suo attraverso il riflesso dello specchio, le iridi di ghiaccio avrebbero potuto gelarlo all’instante. “Anche se fosse? Riku non è solo il mio nipotino, è anche una valida risorsa con cui potrei instaurare un ottimo rapporto di lavoro.”
“Rapporto di lavoro, eh?” Il tono di Dazai era malizioso tanto quanto il suo sguardo. Il tipico atteggiamento che a Chuuya dava ai nervi e che lui assumeva di proposito per stuzzicarlo. “A chi vuoi darla a bere? Lo sanno anche i muri che gli vuoi un bene dell’anima e che vuoi tenerlo al tuo fianco per coccolarlo e viziarlo! Be’…come hai fatto negli ultimi quattordici anni, per inteso!”
“Tsk! Idiota.” Lo riprese Chuuya.
“Non hai niente di cui vergognarti! Lo hai sempre adorato. Ricordo benissimo la prima volta che lo hai preso in braccio, sai? Sei arrivato all’ospedale di corsa, tre ore dopo la sua nascita perché eri incastrato con un affare urgente che dovevi per forza portare a termine, hai dato giusto uno sguardo ad Atsushi e poi hai chiesto subito di poter prendere in braccio il bambino. E lì l’ho visto. Il tuo sguardo si è illuminato e poco dopo una lacrima ti ha attraversato il viso. Credo tu abbia avuto una sorta di imprinting!” Sollevò lo sguardo e sorrise inseguendo un ricordo: “La stessa cosa che è successa a me con la mia piccola Hana!” Aggrottò un po’ le sopracciglia: “Dovrei smetterla di chiamarla piccola! Tra poco prenderà il diploma e andrà all’università, non è più una bambina.” Di nuovo la sua espressione tornò allegra, anzi, da perfetto ebete. “Ma resterà per sempre la mia piccolina!!!”
Era così preso dai propri vaneggiamenti da non essersi accorto in che condizioni era Chuuya da quando aveva nominato una certa cosa. Non notò che la mano di Chuuya aveva smesso di muoversi, che la spazzola tremava fra i capelli…e che il suo sguardo riflesso sullo specchio era diventato così cupo da far paura. Semplicemente si mise di nuovo disteso, questa volta con le braccia incrociate al petto nudo, e continuò a dire scemenze per conto suo! Fino a quando…
“Uff, Chuuuuyaaaaa!!! Ne hai ancora per molto con quei capelli? Vieni a letto! Ho voglia di baciarti e accarezzarti tutto!” Piagnucolò, agitando un braccio in aria per richiamare la sua attenzione e addirittura dando un pugno al materasso come un bambino capriccioso. “Ti prendi più cura della tua chioma che di me!” Era un caso disperato. A nulla serviva il fascino maturo che gli davano i capelli grigi comparsi nella folta chioma bruna, se poi continuava a comportarsi come un bambino.
In un qualche modo Chuuya si riprese, posò la spazzola sul ripiano e si rialzò dallo sgabello ma, invece di raggiungere suo marito a letto, si lisciò distrattamente la lunga e delicata camicia da notte di seta, come per temporeggiare. I capelli talmente lunghi che quasi toccavano terra fungevano da manto sulla sua schiena.
“Vado…vado un attimo di là. Non ricordo se ho chiuso la finestra della camera dei ragazzi. L’avevo aperta nel pomeriggio per far entrare un po’ di sole e aria tiepida.” Sperò che la voce improvvisamente roca non lo avesse tradito. Scivolò fuori dalla stanza, senza curarsi delle nuove proteste di lui.
Non aveva mentito del tutto, si recò veramente nella stanza che i loro nipoti usavano quando si fermavano lì a dormire, magari durante le vacanze o per qualche altro motivo particolare. Dopo aver premuto l’interruttore della luce, scorse con lo sguardo tutto attorno, la finestra chiusa i cui vetri erano coperti da tendine color pesca, la carta da parati di tinta beige, i due letti singoli posti alle estremità dove una serie infinita di cuscini di tutte le forme e colori rendevano difficile vedere i materassi sottostanti, ed infine, un armadio a muro le cui ante erano state marcate dai Kanji che dicevano “Riku” e “Hana”. Chuuya camminò fino a quell’armadio ed aprì l’anta su cui era scritto il nome Riku. L’interno era abbastanza ordinato, considerato che si trattava dell’armadio di un ragazzo iperattivo di quattordici anni appena compiuti. Conteneva una serie di maglie e pantaloni appesi alle grucce, una borsa a tracolla nera decorata da spille di videogiochi di combattimenti, una divisa scolastica estiva ed una invernale, un berretto nero, una cintura dalla fibbia raffigurante un bulldog arrabbiato. Chuuya si chinò e si piegò ginocchia al petto. Sotto a tutto c’era un piccolo scompartimento da cui si intravedevano le punte di un paio di scarpe da ginnastica bianche. Allungò il braccio per inserire la mano nello spazio accanto a quelle e ne estrasse una scatola decorata da fantasie azzurre e un fiocco dello stesso colore sul coperchio. Una scatola che probabilmente Dazai non ricordava nemmeno, come anche Riku, dato lo strato di polvere che c’era sul coperchio. Lo sollevò e lo ripose lì accanto. L’interno di quella scatola conteneva il suo tesoro più prezioso, qualcosa che gli rammentava alcuni dei ricordi più belli legati al nipotino. Una ciocca di capelli legata con un nastro bianco (che lui gli aveva tagliato di nascosto), una scatolina trasparente da cui si poteva vedere un dentino ancora in perfette condizioni (che il piccolo aveva perso dopo una rovinosa caduta sul pavimento d’ingresso del palazzo), una scarpina che aveva perso la sua gemella da qualche parte in giro per Yokohama, una tutina azzurra da neonato. La prese fra le mani con gesto delicato. Era stato lui a regalarla ad Atsushi poco prima del parto e poi gli era stata restituita quando era diventata troppo piccola. Era la tutina che Riku aveva addosso la prima volta che lui lo aveva preso in braccio. Ricordava quel momento in ogni dettaglio, come se potesse rivederlo sullo schermo della tv, riavvolgerlo, fermarlo, mettere lo zoom. Ricordava la sensazione calda e piacevole di quel fagottino quasi senza peso che gli stava giusto tra il petto e l’incavo del gomito, la sua testolina ancora un po’ informe dal parto ma già ricoperta di piccoli e lucidi capelli corvini e un minuscolo ciuffo bianco proprio sopra la fronte spaziosa, gli occhietti socchiusi che sembravano la gemma di un fiore.
“Sei la cosa più bella che abbia mai visto.”
Le esatte parole che aveva pronunciato mentre una lacrima gli attraversava il viso, per poi ricadere su quello del bimbo come una benedizione. E allora gli aveva baciato la fronte ed aveva inspirato il suo odore, una fragranza dolce e delicata come nessun’altra.
Chuuya premette il viso nella tutina. Che fosse vero o si trattasse solo di un’allucinazione, gli parve di sentire ancora quel profumo. Non si era trattato di imprinting, ma di amore a prima vista. Non un amore come quello che provava per Dazai, bensì uno puro e innocente, senza condizioni. L’amore di una madre per il proprio figlio. Però Riku non era suo figlio. Era nato dall’amore di Atsushi e Akutagawa, con l’aiuto di un’abilità che lui purtroppo non possedeva. Quella di generare la vita pur avendo un corpo maschile. Le mani gli tremarono, dovette abbassarle e appoggiarle sopra agli altri tesori dentro la scatola. Dapprima il respiro gli si bloccò nel petto, pochi istanti dopo gli attraversò dolorosamente la gola attraverso un singhiozzo. Le lacrime precipitarono dai suoi occhi una dopo l’altra.
“Sss- S-sei la cosa…hic…più bella….che abbia mai visto…”
Senza rendersene conto prese a stringere nei pugni la tutina, il suo corpo tremava come una foglia al vento. Appena se ne rese conto, lasciò la presa e si affannò per lisciare il tessuto nei punti in cui lo aveva sgualcito. Possibile che le sue mani fossero fatte solo per distruggere? Che il suo intero corpo fosse solo un contenitore per una creatura che seminava morte?
“Perché non posso avere un figlio mio?” La voce spezzata dal pianto e dal respiro affannato.
In un qualche modo perse l’equilibrio, nonostante fosse piegato in avanti, e si ritrovò seduto di colpo, una mano premuta a terra per sostenersi. Cosa stava facendo? Si faceva pena da solo. Prese un respiro profondo, il petto gli faceva male, ma doveva smettere di piangere. Si passò una manica sugli occhi e sul viso con forza, come per tentare di cancellare ogni segno di pianto. Non poteva continuare così.
“Devo parlare con Atsushi.” Bisbigliò fra sé.
Nel buio del corridoio fuori dalla stanza, spalle contro il muro, Dazai se ne stava mezzo nudo a capo chino. I capelli ribelli che gli coprivano gli occhi non erano sufficienti a nascondere completamente la sua espressione triste, né le sue braccia abbandonate lungo i fianchi potevano celare la forte tensione dei suoi muscoli.
*
 
Atsushi entrò nella saletta sostenendo un vassoio tra le mani e richiuse la porta dietro di sé dandole un colpetto col piede. Era molto più comodo ricevere lì i clienti, invece che accanto all’ingresso in quella specie di cabina aperta da cui tutti potevano sentire. Le persone avevano bisogno di intimità! Era stato lo stesso Kunikida a dirlo quando aveva presentato una domanda per far arredare una sala a quello scopo. Ai tempi in cui Fukuzawa era ancora in vita.
“Ho preso le tazze dal servizio in porcellana occidentale. So che le preferisci a quelle giapponesi!” Disse sorridendo mentre si avvicinava, quindi posò il vassoio sul tavolino e prese posto sul sofa, accanto a Chuuya.
“Grazie.” Disse lui, osservando i gesti impacciati di quell’uomo che sembrava ancora un moccioso. Davvero, era come guardare un bambino della scuola materna giocare con le pentoline! Dovette fare due tentativi per prendere la zolletta di zucchero con le pinze, e quando questa cadde dentro la tazza fece uno schizzo che bagnò perfino la teiera. E che dire del modo preoccupante in cui il piattino tremò nella sua mano quando gli porse il tutto? Si vedeva che non era abituato a maneggiare oggetti così delicati…
Chuuya prese la tazzina per il manico a ricciolo e se la portò alle labbra con un’eleganza innata. Il profumo fruttato dell’infuso gli piacque particolarmente.
“Sai…sono sorpreso che tu sia venuto fin qui per parlare con me! E’ la prima volta che metti piede nell’Agenzia! Sicuro che non preferisci aspettare Dazai?”
Chuuya, occhi chiusi, fece un movimento con le labbra simile a quello che si fa dando un bacio, in realtà stava solo assaporando il tè. “Sono venuto qui adesso proprio perché so che lui è via per incontrare un cliente. E a tal proposito, ti pregherei di non dirgli il motivo.”
Atsushi sentiva di avere già le goccioline sulla fronte. Quell’uomo aveva il potere di metterlo a disagio ogni volta che s’incontravano.
“Ehm…non lo so nemmeno io il motivo. Ah ah… Però va bene! Sarò muto come una tomba!”
Chuuya riaprì gli occhi e volse lo sguardo a lui. Anche tralasciando il sorriso forzato che aveva messo su, odiava a morte i suoi stupidi capelli! Sì, in passato lo diceva della sua frangia storta, ma anche adesso che non la portava più, e che anzi l’aveva fatta crescere per tenerla dietro l’orecchio, odiava comunque il suo caschetto da femmina! Bah, era meglio lasciar perdere…
Si schiarì la voce e cominciò: “Atsushi.” Si bloccò all’istante. Che nome stupido!!! Ma chi glielo aveva dato? Una con problemi di droga? O una che lavorava per il circo? Maledizione. Non doveva pensare a queste cose. Non adesso. Si schiarì la voce una seconda volta.
“Devo farti una domanda. Tu…come dire… Vorresti fare altri figli?”
Atsushi lo guardò con tanto d’occhi e abbozzò una risata forzata: “Ah ah! Direi di no! Hana è grande, Riku fa le medie ed è già un membro della Port Mafia! E poi io comincio ad avere una certa età…ah ah ah!”
“Non c’è niente da ridere.” Lo fulminò Chuuya, tanto da fargli mancare un battito. Prese un altro sorso di tè e posò la tazzina.
Anche Atsushi ne bevve un po’, giusto per fargli compagnia, anche se una parte di lui pregò di non farsela addosso dalla paura durante quel colloquio.
“Vedi…” Chuuya misurò bene le parole: “Di recente ho chiesto ad Hana di procurarmi la documentazione di Kyouka, riguardante il passaggio di potere avvenuto da sua madre a lei quando era bambina.” Fece una pausa e precisò: “Ovviamente ti prego di non dire nemmeno questo a Dazai. E a nessun altro qui.”
“…..o-ovviamente…!” Per capirci, quello aveva chiesto a sua figlia di prendere di nascosto dei documenti privati e gli chiedeva pure di non dirlo a nessuno. Se c’era un limite alla sfacciataggine, Chuuya lo aveva già superato. Comunque sarebbe morto piuttosto di farglielo notare. Anzi… Sarebbe morto proprio se si fosse azzardato a dirglielo, quindi era meglio tacere.
“Ho letto che un simile passaggio può essere effettuato solo tra consanguinei. Sono qui per chiederti se, nell’arco di questi anni, avete scoperto un modo per farlo anche tra persone che non hanno lo stesso sangue.”
Una richiesta insolita…
“Ecco… In verità no, che io sappia. Ci siamo occupati di quella faccenda solo nei primi mesi e poi abbiamo archiviato tutto. Come sai, una volta che Kyouka è entrata a far parte dell’Agenzia, col potere del Presidente….ehm…del precedente Presidente Fukuzawa, ha acquisito il controllo del proprio potere. E così non ha più avuto importanza il modo in cui sua madre glielo aveva passato.” Notò subito che Chuuya si era irrigidito, ma non gli diede peso.
“E se ti chiedessi di approfondire la questione? Non pretendo che tu faccia tutto da solo, puoi chiedere l’aiuto della Dottoressa Yosano se preferisci ma…ti prego…scopri come poter fare il passaggio.”
“Io…sì credo che potrei farlo. Ma avrei bisogno di un motivo. Non posso svolgere una simile ricerca per piacere personale.”
Chuuya si era decisamente incupito, ora teneva il capo chino e non riusciva a vedergli il volto, sia a causa della posizione, che per via della voluminosa acconciatura in cui teneva i capelli, la cui sommità era decorata dal solito cappello che portava da quando era ragazzo.
“Devi farlo perché sono io a chiedertelo. Ho bisogno di saperlo così da poter avere la tua abilità.”
Un punto di domanda brillò sulla testa di Atsushi! EEEH?
“La…la mia abilità?”
“Hai detto che non vuoi più fare figli, giusto? Allora puoi darmi la tua abilità di generare la vita.”
“Ehm…Chuuya? Cosa stai dicendo?”
A quel punto sollevò la testa e lo guardò con occhi colmi di follia.
“Quello che ho detto, idiota di un moccioso! Voglio la tua abilità. LA VOGLIO!!!” Si allungò su di lui e gli afferrò il colletto fru fru della stupida camicia che indossava. “Vuoi tenerla per te? Hai già due figli meravigliosi! Adesso tocca a me!”
Non stava esattamente gridando, altrimenti qualcuno avrebbe sentito e sarebbe accorso per vedere cosa succedeva, però quel modo in cui continuava a fissarlo e tenerlo intrappolato e quelle parole taglienti, non fecero che aumentare i battiti di Atsushi. Una volta Dazai gli aveva descritto l’aspetto che assumeva Chuuya quando liberava Arahabaki. Grazie agli dei non era ancora a quel livello, però… Aveva paura lo stesso.
“C-chuuya…? Per favore….calmati…” Gli tremava la voce.
 “Non ho il diritto anche io di essere felice? Di dare un figlio all’uomo che amo? Io e Dazai siamo sposati! Tu invece non… Voi non… Io e lui siamo…” La vista gli si offuscò, aveva gli occhi pieni di lacrime. Lasciò la presa e si coprì il volto con le mani.
“Non sarei qui a calpestare il mio orgoglio se non fosse davvero importante.” Si scoprì il viso ormai rigato di lacrime, rivelando così la propria disperazione. “Ti prego, Atsushi. Aiutami. Fallo per Dazai, se non vuoi farlo per me.” I singhiozzi presero il sopravvento.
Parola sua, Atsushi credeva che mai nella vita avrebbe visto Chuuya ridotto in quello stato. Ora che la paura era scemata, al suo posto era giunta una profonda tristezza. Vedere quell’uomo incredibile, rispettato e temuto da chiunque, disperarsi per un desiderio di maternità irrealizzabile era un evento unico. Poteva davvero fare qualcosa per lui? Allungò timidamente (o forse con cautela!) il braccio e gli posò una mano sulla spalla.
“Farò qualunque cosa per aiutarti, Chuuya. Se potessi rinunciare alla mia abilità e donartela, lo farei anche subito. Ma non posso garantirti i risultati che speri.” Gli parlò con sincerità.
Chuuya batté i pugni sulle proprie ginocchia: “Anch’io farò qualunque cosa! Lo desidero così tanto…un bambino…”
“Se…se posso chiedere… Da quanto hai questo pensiero nella mente?”
Chuuya si sforzò di ingoiare le lacrime. Doveva apparire così ridicolo agli occhi di Atsushi…
“Da quando hai dato la notizia di essere in attesa di Riku.”
Atsushi strabuzzò gli occhi: “Scherzi? Per tutti questi anni tu…” Venne interrotto.
“Non ogni singolo giorno di questi anni, stupido. La prima volta è stato allora. In quel periodo ne avevo parlato anche con Dazai, gli avevo chiesto di trovare un modo per farmi concepire.” Ridacchiò amareggiato. “Non devo dirti qual è stata la sua risposta. Negli anni, complice il fatto di aver avuto la possibilità di avere Riku accanto e di vederlo crescere, credevo di essermi calmato. Lo credevo davvero. Ma poi…” Ingoiò un nodo alla gola e prese respiro. “Alcune sere fa Dazai ha riportato alla luce un mio caro ricordo e…e...”
“E ti è tornato in mente anche quel desiderio a cui avevi rinunciato.” Terminò Atsushi per lui, comprendendo meglio la situazione. Ora che aveva maggiori dettagli era più facile mettere insieme i pezzi e capire i sentimenti di Chuuya. Il problema, però, restava.
“Ne parlerò con la Dottoressa Yosano. Se c’è un modo per fare quel passaggio di potere, lei lo scoprirà senz’altro. Ma fino ad allora dovrai armarti di pazienza.”
Chuuya fece dei rapidi cenni affermativi col capo. La situazione si era magicamente ribaltata, ora era lui a sembrare un moccioso e Atsushi l’adulto! Accidenti…
Sul tavolino, per casi come quello, era sempre pronto un comodo pacchetto di fazzolettini di carta. Non era insolito che si presentassero dei clienti disperati che si abbandonavano al pianto. Ne prese uno e lo porse a Chuuya, gli diede il tempo di riprendersi e ricomporsi un po’. Tutto sommato poteva dirsi piacevolmente sorpreso di aver potuto vedere il lato più umano di quell’uomo. Peccato che non avrebbe mai potuto raccontarlo a nessuno. Pena: la morte!
 
[Nel frattempo, da qualche parte sotto la città]
 
A vederlo così, occhi chiusi e corpo rilassato sul sedile, cullato dal movimento della metropolitana, Dazai sembrava addormentato. A quell’ora c’era poca gente, niente studenti e niente pendolari, solo qualche anziana di ritorno dalla spesa o da una visita amichevole, qualche turista che sfogliava le pagine di una guida di viaggio per decidere la prossima destinazione, qualche studente universitario che stava rincasando dopo le lezioni…. Tutta gente pressoché silenziosa e che pensava ai fatti propri. Ma anche se avessero alzato la voce, lui non avrebbe sentito con addosso le cuffie. O almeno è quello che si disse il ragazzo che lo osservava da un po’. Quando lo vide riaprire gli occhi all’improvviso, balzò sul sedile per la sorpresa. Quegli occhi castani e tremendamente magnetici, non erano assonnati come avrebbero dovuto essere. Infatti Dazai non stava affatto dormendo, aveva solo finto per non essere disturbato per un qualunque motivo. Normalmente avrebbe percepito lo sguardo puntato su di sé, ma era troppo preso da ciò che stava ascoltando per dare importanza al mondo che lo circondava. Abbassò le cuffie fino ad averle attorno al collo a mo’ di collana. Nessuno poteva vedere i suoi pensieri o capire il perché di quel riflesso triste nei suoi bellissimi occhi.
Sospirò al nulla. Sulle sue labbra un nome detto a fil di voce. “Chuuya…”
Si era premurato di mettere una cimice nella sala di accoglienza dei clienti ed aveva ascoltato tutta la conversazione a distanza.
*
 
Più che un ospite, Dazai si sentiva come un accusato di fronte al giudice e alla giuria. Sarà stato per la scarsa illuminazione della sala da pranzo, o per via della mobilia antica dal colore scuro e severo, o ancora per l’accoglienza fredda dei padroni di casa. Yosano sedeva lateralmente sulla sedia, un braccio sopra alla spalliera, le gambe accavallate una sull’altra con la lunga gonna blu notte svasata che le lasciava scoperte le caviglie e i piedi calzanti un paio di scarpe dal tacco a spillo, la camicetta dalla scollatura generosa da cui emergevano dei bei seni floridi, i lunghi capelli corvini legati in una coda di cavallo. Il suo sguardo già tagliente di natura era reso più affilato da un paio di occhiali con le lenti dal taglio sottile e dalla forma rettangolare. Vicino a lei, seduto direttamente sul bordo del tavolo, Ranpo era quanto mai trasandato a piedi scalzi e la camicia mezza sbottonata da cui si intravedeva una canottiera bianca, ma la cosa particolare era ciò che teneva fra le labbra. Era un bastoncino di cioccolato, un Pocky. Non è che avevano l’aria particolarmente incavolata perché li aveva interrotti durante un….ehm… ‘giochino’?
Dazai fece un passo avanti, reprimendo l’impulso di dire ‘innocente, vostro onore’. Data la situazione… (LOL)
“Perdonatemi se sono piombato in casa vostra a quest’ora. Spero di non avervi disturbato. Immagino che i vostri figli saranno già a letto.”
Ranpo succhiò il bastoncino di cioccolato e se lo tolse dalla bocca per rispondere: “Mh. Sherlock e Moriarty si ritirano presto alla sera, non hai di che preoccuparti.”
Bene. Però l’aveva rassicurato sui ragazzi e non su loro due. Allora li aveva disturbati davvero…
Yosano accennò un sorriso di sfida: “Immagino che non sia una coincidenza che tu sia qui lo stesso giorno in cui tua moglie è stata in Agenzia.”
Dazai abbassò lo sguardo. “Infatti.”
“Atsushi mi ha accennato qualcosa. E’ una cosa parecchio insolita da chiedere, comunque.”
Dazai prese respiro e affrontò lo sguardo dei due…come poteva chiamarli? Non coniugi perché non si erano mai sposati, ma chiamarli solo conviventi non gli piaceva. Ma che idiozie stava pensando in un momento così? Si fece ancora più serio di quanto già non fosse e parlò.
“Sono qui per chiedervi un enorme favore personale. Mi affido completamente all’unione delle vostre qualità, alla spiccata intelligenza di Ranpo e alle conoscenze mediche di Akiko, affinché insieme possiate trovare una soluzione al problema che è fonte di infelicità per me e la persona che amo.”
“Sei consapevole del fatto che nemmeno le nostre menti geniali potrebbero bastare?” Puntualizzò Ranpo, fissandolo con quei suoi occhi di smeraldo che erano in grado di penetrare l’anima di una persona.
Dazai fece un cenno col capo. “Sì. Ma non smetterò di sperare fino a quando non sarete voi a dirmelo.”
I due si scambiarono un’occhiata complice, sui loro volti cominciò a dipingersi un velo di divertimento. Lei tolse gli occhiali, che di solito usava solo durante il lavoro, e si fece sfuggire una risatina.
“Che ne dici, Ranpo? Lo accontentiamo?”
Con lo stesso spirito burlone, lui ripose con un’altra domanda: “E per la ricompensa come la mettiamo?”
La loro poteva sembrare scortesia, il loro atteggiamento perfino offensivo, in realtà fino a quel momento avevano messo su una recita per mettere in soggezione Dazai, ma sapevano già che cosa era venuto a chiedere ancor prima che lo dicesse. Ora il gioco era finito, per questo si erano messi a scherzare tra loro. Ranpo si voltò verso Dazai, sorridendo, e fece per dire: “Stiamo solo scherzando, perdonaci. Lo sai che vi aiuteremo volentieri e senza chiedere nient-”
Entrambi rimasero stupiti di ciò che i loro occhi videro. Forse lo scherzo era durato troppo, non era assolutamente loro intenzione giocare con i sentimenti di una persona che chiedeva aiuto. Altro che accennato, in verità Atsushi aveva spiegato per bene la situazione a Yosano appena Chuuya aveva lasciato l’Agenzia e lei a sua volta aveva raccontato tutto a Ranpo per avere un aiuto maggiore. Pur sapendo che non potevano esservi certezze di un esito positivo, era speranzosa che lavorando insieme avrebbero trovato un modo per esaudire il desiderio di quella coppia di scemi che erano in tutto per tutto diventati la colonna portante della grande famiglia creatasi tra la Port Mafia e l’Agenzia. Ma nonostante i buoni propositi, entrambi si sentirono tremendamente in colpa quando i loro occhi si posarono sulla figura di Dazai china a terra con la fronte che toccava il pavimento di marmo grigio.
“Vi prego. Vi ricompenserò in qualunque modo.”
Sia Ranpo che Yosano lasciarono immediatamente il tavolo e si precipitarono dal loro amico per farlo rialzare. Quando lo tirarono su praticamente sollevandolo di peso, videro il suo viso rigato di lacrime. Era la prima volta in vent’anni che lo vedevano piangere.
*
 
Era piacevole. Il contatto dei loro corpi nudi avvinghiati, i baci di Dazai sull’incavo tra la spalla ed il collo… Sembrava un normale rapporto, ma purtroppo non lo era. Mentre Dazai si dedicava ai preliminari per preparare il suo corpo alla penetrazione, la mente di Chuuya non riusciva proprio a rilassarsi e staccare dopo quello che era successo. Il pomeriggio di quel giorno, infatti, era avvenuto il miracolo. No, non era il termine esatto da usare. Ciò che era successo era stato frutto del duro lavoro di due menti geniali e di un caro amico che si era dato da fare fino a perdere il sonno. C’erano voluti una quarantina di giorni e alla fine avevano trovato un modo per fare il passaggio di potere. Pur avendo ricevuto una dettagliata spiegazione, non era riuscito a capire bene come vi fossero riusciti. Riassumendo a parole sue, avevano trovato un modo per fregare il sistema!  E così poche ore prima si erano riuniti all’Agenzia, lui accompagnato da Dazai, Atsushi accompagnato da Akutagawa, ed erano stati assistiti dal nanetto e dalla Dottoressa. Pochi minuti e l’abilità di generare la vita era passata di fatto dentro al corpo di Chuuya. Era stato facile. Fin troppo. Ma come ogni cosa, ora toccava a lui pagare il prezzo.
Le labbra di Dazai, dall’incavo presero a salire lungo il collo in una scia di piccoli baci, poi sostarono brevemente sul lobo dell’orecchio, si spostarono sulla linea della mandibola e si posarono sulle labbra di lui. Quando riaprì gli occhi, incontrò lo sguardo di Chuuya. Separò lentamente le labbra dalle sue.
“Sei pronto?” Sussurrò.
“Mh.” Non era vero, si sentiva teso come le corde di un violino, ma non aveva importanza. Liberò un dolce gemito di piangere nel sentire Dazai entrare in lui. Una dolce illusione di normalità, che per un momento gli fece dimenticare il resto. Un momento, appunto. Il tempo che i suoi fianchi cominciassero a muoversi assecondando il movimento di quelli di Dazai, e di nuovo i pensieri tornarono ad imporsi sul piacere.
Il passaggio di potere era stato facile tanto quanto ora sarebbe stato difficile il concepimento. Questa parte l’aveva capita bene. Contrariamente a quello che lo stesso Atsushi aveva sempre creduto, la sua abilità non era dovuta al fatto che la tigre del suo potere fosse un esemplare femmina in grado di mutare l’interno del suo corpo. Facendo studi ed esami approfonditi, la Dottoressa aveva scoperto che l’abilità di generare la vita si attivava solo dopo aver attivato un altro potere. Di conseguenza, Chuuya, per poter concepire, era costretto a risvegliare l’Arahabaki che era dentro di lui. Era questo il prezzo da pagare.
“Andrà tutto bene, Chuuya.” Gli disse Dazai, con voce gentile. “Bastano pochi secondi e poi lo bloccherò.”
Si fidava di lui, sapeva che non gli avrebbe permesso di scatenare la furia distruttiva. Non era questo il problema.
“D-Dazai… Lasciami girare, per favore.”
“Mh? Non è necessario. Atsushi lo fa per istinto felino, non è una posizione che favorisce il concepimento.”
“Lo so. Non è per questo. E’ che…" Scostò lo sguardo, cercò di trattenere un gemito. Non era facile parlare di certe cose mentre l’uomo che amava si muoveva dentro di lui. “Non voglio che tu mi guardi negli occhi mentre sono….in quel modo.”
Dazai si sentì rincuorato. Se era una cosa che poteva aiutare Chuuya a stare meglio, si poteva fare.
“Va bene.” Si sollevò dandosi una leggera spinta con la braccia e lasciò che Chuuya avesse lo spazio per sistemarsi come meglio voleva. Attese mentre spostava la lunghissima chioma rossa sul cuscino accanto e si deliziò della sua bella schiena liscia quando si mise prono e sollevò il bacino. Era così sensuale in quella posizione che la sua virilità cominciò a pulsare più forte. Senza fare complimenti, lo penetrò nuovamente e si chinò su di lui, quindi allungò le braccia fino ad arrivare ad afferrargli i polsi che teneva incrociati sopra la testa. Dopo tutto, solo la parte finale sarebbe stata complicata, il resto era piacevole come sempre. Sperò che anche per Chuuya fosse lo stesso.
Il rapporto continuò, le spinte di Dazai si fecero più forti e profonde, il respiro di entrambi divenne molto più affannato. Dazai si lasciò sfuggire un gemito, spingendo un poco il capo all’indietro.
“Ahhh… Chuuya… Adesso!”
A Chuuya mancò un battito. Era il momento. Doveva farlo, nonostante il cuore gli si stringesse nel petto. Strinse i denti e si obbligò a procedere. Era l’unico modo per far avverare il suo desiderio più grande.
Dazai diminuì il ritmo, doveva trattenersi o sarebbe stato tutto inutile.
“Presto!” Lo pregò mentalmente. Poi vide i segni rossi e neri comparire sulle braccia di Chuuya e disegnare la sua pelle come un tatuaggio. D’istinto gli strinse i polsi più saldamente e solo allora riprese a muoversi con forza dentro di lui. Pochi secondi e si sentì attraversare interamente da un tremore.
“1…2…3…4…”
Il respiro bollente si scontrava contro la schiena di Chuuya, mentre contava. Lo sentì ridacchiare in modo sinistro.
“5…6…7…”
Secondo le indicazioni ricevute, doveva aspettare almeno dieci secondi dopo l’eiaculazione prima di bloccare il suo potere. Sentì il corpo di Chuuya irrigidirsi, le sue braccia sembravano pronte a scattare per liberarsi.
“8…9…10…” E attivò il proprio potere.
Chuuya tornò subito in sé, il suo sguardo colmo di follia tornò ad essere limpido, il cuore riprese  a battere normalmente. Appena Dazai gli lasciò i polsi e si spostò per sdraiarsi e riposare, gli si gettò sul petto con aria ansiosa.
“Allora? Lo hai fatto?”
Dazai, gli occhi socchiusi e il volto sereno di chi può godersi la pace dopo il rapporto fisico, rispose semplicemente: “Sì! L’unico rimpianto è di non averti fatto venire. La prossima volta sarò più premuroso.”
“Non ha importanza, imbecille. Ora l’unica cosa che conta è il bambino.” Si morse le labbra per essere stato così antipatico. Però era vero, come poteva pensare al proprio piacere in una situazione del genere? Nascose il viso contro il suo petto, sentendosi improvvisamente a disagio. Sentì le dita di Dazai muoversi giocose fra i capelli.
“Dovresti imparare a rilassarti, sai?” Un pizzico di divertimento nella voce.
Ovviamente aveva ragione. Si era comportato quasi come una bestia, mentre Dazai aveva fatto di tutto per rendere il rapporto appagante. Doveva solo abituarsi all’idea che per un po’ avrebbero dovuto fare l’amore in quel modo. L’unica cosa positiva era il pensiero che ogni volta poteva essere quella buona. E poi, una volta incinto, avrebbero potuto riprendere ad amarsi come avevano sempre fatto.
*
 
“Gli ho detto che se avessi sentito un altro rumore avrei chiesto al Boss di vietargli di invocare White Rashomon per un mese. E lui si è infilato subito sotto le coperte!” Disse Akutagawa, dopo essere entrato in camera da letto e aver richiuso la porta. Scosse il capo con aria divertita. “E’ ancora un ragazzino, basta poco per farlo stare buono!” Doveva ammettere che era meglio così, fin che suo figlio lo ascoltava. Aveva un potere forte che un giorno forse avrebbe eguagliato il suo Rashomon, ma per adesso era ancora un ragazzino scalmanato che aveva seriamente bisogno di regole ferree. Si rese conto che Atsushi non lo stava nemmeno guardando, era seduto sul letto, con le coperte ammucchiate all’altezza dei fianchi, lo sguardo perso nel vuoto.
“Ehi Atsushi? Mi hai sentito?”
Volse lo sguardo verso di lui e accennò un mezzo sorriso. “Sì. Scusami. Stavo ancora ripensando ad oggi.” Sì, però nel vedere quel bel pezzo di figo del suo compagno lì in piedi, con addosso solo i pantaloni neri del pigiama, il bel petto nudo color latte e una ciocca dei suoi lunghi e bellissimi capelli neri ricadergli davanti con la punta bianca che gli copriva un capezzolo, orientò all’istante i suoi pensieri in un’altra direzione. Akutagawa continuava a causargli una tempesta ormonale come agli inizi della loro relazione. Anzi, ancora di più, visto che con l’età il suo corpo era diventato ancora più virile.
Akutagawa si infilò sotto le coperte, abbozzando uno scherzo: “Non è che sei davvero in menopausa, come ha detto Yosano?”
Ad Atsushi salì l’omicidio.
“Quella dannata vecchiaccia!!! Io sono un uomo! Non sono in menopausa! Ho solo passato la mia abilità ad un’altra persona, ma a parte questo non è cambiato niente!” Si lamentò, agitando i pugni come una donnetta capricciosa. Ma gli bastò vedere Akutagawa ridere per rasserenarsi e mettersi a ridere a sua volta.
“A parte gli scherzi, non mi sento diverso. Ho provato qualcosa mentre trasferivo l’abilità a lui, ma…” Scosse il capo, inseguendo un pensiero: “Sono sereno. Non ho la sensazione di aver perso qualcosa.”
“Be’, lo vedremo dalle tue voglie…” La buttò lì Akutagawa, afferrando le coperte con l’intenzione di coprirsi e mettersi a dormire. Peccato (o forse no!) che Atsushi glielo impedì saltandogli addosso come una belva affamata! Gli intrecciò le braccia attorno al collo e gli rubò le labbra con un bacio. Continuò ad assaporare le sue labbra come fossero state un frutto succoso, fino a quando non sentì il bisogno di fermarsi a riprendere fiato. I loro sguardi s’incontrarono, avevano entrambi le gote già arrossate e gli occhi carichi di desiderio. Indubbiamente la passione era ancora ardente!
Akutagawa si affrettò a sfilargli il pigiama di dosso e subito andò a leccargli un capezzolo per il piacere di sentirlo gemere come una fanciulla, mentre con le mani si avventurò sulla parte inferiore del suo corpo, accarezzandogli le cosce e le natiche piccole e tonde.
Tra leccatine, morsetti e carezze, non ci volle molto per passare alla fase successiva.
“Atsushi...? …anf anf…  Mi fai vedere la coda?”
Dio quanto lo amava quando gli diceva quelle cose sconce! Ovviamente non se lo fece ripetere, si sciolse dal suo abbraccio e si mise nella sua posizione preferita, a pancia in giù e con i fianchi ben sollevati. Quella posizione aveva un che di selvaggio, di animalesco…e non era insolito che Akutagawa perdesse la testa nel possedere quella tigre in calore! Una bella tigre dal corpo snello, lo sguardo provocante e gli artigli affilati. Era quest’ultimo il motivo che li aveva spinti ad acquistare un letto con la struttura in ferro battuto, in  modo che Atsushi fosse libero di graffiare le sbarre di ferro senza timore di rovinarle. Ma la cosa che piaceva di più ad Akutagawa era la coda, lunga, morbida e bianca, che lo sfiorava sensualmente fino alla fine del rapporto. Sorrise soddisfatto quando questa gli avvolse il girovita, obbligandolo così a spingersi più a fondo dentro il corpo di Atsushi. Ora aveva la conferma che dopo aver ceduto l’abilità di generare la vita, Atsushi era rimasto lo stesso. Il suo innamorato, il suo compagno di vita, la persona con cui viveva e che gli aveva dato due splendidi figli. Quell’uomo dall’eterno aspetto di un ragazzo, era e sarebbe sempre rimasto il suo… “Jinko!”
*
 
Un anno dopo…
 
Akutagawa si stava davvero innervosendo. Lo dimostrava la sua fronte aggrottata e il sopracciglio che talvolta era percorso da un tic. Teneva le braccia incrociate al petto in modo così saldo che le pieghe createsi sulle maniche del cappotto sarebbero rimaste impresse fino a nuova stiratura! Da quanti minuti era che Dazai andava avanti e indietro per quella dannata stanza? Gli stava facendo venire l’ulcera! L’ennesima volta che gli passò di fronte, scattò su di lui  e lo afferrò per il collo alto del maglione in lana bianca che indossava.
“Allora Dazai? Ti decidi a stare fermo?”
In quel momento un grido giunse fino a lì e li investì in pieno.
“AAAAAAAAARGHHHHHH! MALEDETTO DAZAI, TI AMMAZZOOOOO!!!”
Il diretto interessato sbiancò più del maglione che indossava e il suo corpo divenne di gelatina sotto la presa ferrea di Akutagawa.
“Lo hai sentito? Mi ammazzerà. Questa volta lo farà davvero.”
Hana, seduta lì vicino su uno dei sofa della sala d’accoglienza, non poté fare a meno di lasciare una risatina.
Ojii-san, non preoccuparti! Sono solo frasi dette alla leggera!”
Per niente rincuorato, Dazai rispose con la stessa vitalità di un fantasma in pena: “Grazie, tesoro, ma conosci tua nonna…. Sarebbe capacissima di farlo…”
Akutagawa gli lasciò il collo del maglione e lo spinse via in malomodo, seccato più che mai: “Ma fammi il favore.”
Dazai riuscì ad appoggiarsi alla parete prima di finire disteso per terra come un tappeto!
“Ooooh spero tanto che nasca una bambina! Una piccola principessa bella e delicata come un fiore!” Disse Hana, con occhi sognanti, unendo le mani come in preghiera.
Seduto accanto a lei, braccia incrociate e cipiglio severo come il padre, Riku chiese: “Perché? Se fosse un maschio ti dispiacerebbe?”
Lei lo guardò con la coda dell’occhio, senza nascondere un certo disgusto: “Sai com’è, avendo un fratello non sono ansiosa di avere altri ragazzini maschi intorno, visti i risultati…”
Riku scattò come se gli avessero tirato addosso un petardo, lo sguardo sbalordito e il ciuffo bianco che per poco non gli andò in un occhio per il repentino e improvviso movimento: “Perché mi tratti così, sorellona?” Poverino, per lui era uno shock non da poco sentire una frase del genere dalle labbra di quella sorella che amava con tutto il cuore. Ma ecco che Hana svelò lo scherzo sorridendogli e abbracciandolo come avrebbe fatto con un pupazzo!
Non ci fu tempo per altro, pochi istanti ed ecco che dal corridoio arrivò un sorridente Atsushi intento a sfregarsi le mani col disinfettante. Dazai allungò il collo verso di lui neanche fosse stato uno struzzo!
“Qualcuno di là è impaziente di conoscerti.” Gli fece l’occhiolino. “Papa!”
Il volto di Dazai finalmente riprese colore, il suo sguardo si illuminò nel sentire quell’appellativo. Senza farselo ripetere, scattò via di corsa.
Sia Akutagawa che Hana e Riku si avvicinarono ad Atsushi, evidentemente emozionati e curiosi, anche se ognuno di loro lo dimostrava in modo diverso in base alla personalità.
Hana, ansiosa, fu la prima a chiedere: “Obaa-san sta bene?”
Da un altro sofa, anche la signora Kouyou allungò lo sguardo su di lui con grande interesse. Era rimasta ferma ed in silenzio per tutto il tempo, limitandosi ad ascoltare le conversazioni degli altri. Ma adesso che era giunto il momento, non aveva motivo di nascondere la propria curiosità. Dopo tutto voleva bene a Chuuya come fosse stato suo figlio, pur avendo pochi anni di differenza.
Atsushi, raggiante, rispose subito: “Direi che sta più che bene! Tutte le imprecazioni e le minacce lo hanno tenuto in forze! Non sembra neanche che abbia dovuto fare enormi sforzi, è ancora bello carico!”
Perfino Akutagawa non riuscì a reprimere una risata. Non faticava a crederlo. Chuuya era sempre stato una femmina isterica inarrestabile!
Ora che aveva appreso la prima bella notizia, Kouyou riuscì a respirare meglio e far scivolare via l’ansia provata fino a quel momento. Si alzò e raggiunse la famigliola con passo leggero e felpato, avvolta come sempre da un raffinato kimono.
“Ora devi dirci anche il resto. Non vorrai farti pregare, spero!”
Atsushi le sorrise e si preparò a rispondere.
*
 
Dazai, esattamente come era partito, raggiunse il laboratorio di corsa ed entrò con la potenza di una palla di cannone! Per poco non investì la Dottoressa Yosano, che stava per uscire con un fagotto di lenzuola sporche tra le mani e addosso ancora il grembiule su cui erano evidenti schizzi di sangue e altri liquidi corporei.
“Sto andando a darmi una ripulita, fate pure con comodo!” Il tono di voce era allegro, ma non abbastanza da nascondere una nota di stanchezza. Come darle torto, dopo la grande opera che aveva fatto? Non tanto per il parto, quanto più per aver assistito uno come Chuuya! (LOL)
La porta non si era ancora richiusa che Dazai era già balzato verso il letto, dove Chuuya lo aspettava. Non era esattamente come lo aveva descritto Atsushi (lo aveva sentito anche se stava correndo via). Aveva i capelli madidi di sudore e il viso un po’ pallido e umido, ma oltre a questo il suo sguardo era limpido e luminoso.
Non appena gli fu accanto, Chuuya accennò un sorriso e disse: “Non c’era bisogno di correre, brutto idiota!”
Ok. Ritirava tutto. Chuuya era carico e offensivo come sempre!
“Avevo una buona ragione!” Disse di rimando, col sorriso sulle labbra. Ma ecco che la sua attenzione fu attratta da un fagottino fra le braccia di lui, avvolto in una copertina azzurra. Era un maschietto!!!
Chuuya si rivolse al neonato: “Piccolo mio, ti presento l’idiota di tuo padre. Non hai idea di quanta pazienza dovrai portare con lui! Ma se sarai fortunato schiatterà presto!”
Dazai stava per impazzire dalla curiosità, da quell’angolazione non riusciva a vedere niente oltre alla copertina. Chuuya lo accontentò e finalmente si decise a spostare il braccio e mettere in mostra il bambino. La prima cosa evidente erano i capelli rossi sulla sua testa, ma guardando bene si potevano scorgere anche alcuni ciuffetti castani. Non era difficile immaginare come sarebbe stata la sua chioma. Potevano dirsi entrambi contenti di questa cosa, dopo aver battibeccato per mesi su quale colore di capelli avrebbero preferito! La testolina era incredibilmente tonda per un bebè appena venuto alla luce e le guanciotte rosee indicavano che era stato ben nutrito mentre era nel ventre materno. Il nasino delizioso era senz’altro quello di Chuuya  e le labbra sottili sembravano essere state disegnate a matita. Il piccolo emise un verso a boccuccia chiusa e si mosse nella copertina, i suoi occhietti si aprirono di uno spiraglio. I suoi genitori si chinarono ancor più per guardarlo meglio, curiosi di vedere i suoi occhi. Non appena li aprì un po’ di più, ecco che spiccarono due bellissime sfere color nocciola, identiche a quelle di Dazai.
“Sei la cosa più bella che abbia mai visto!” Disse lui, con le lacrime agli occhi.
Chuuya lo riprese al volo: “Ehi, non rubarmi le battute!” Ridacchiò e anche i suoi occhi si riempirono di lacrime, rendendoli ancora più luminosi.
Dazai gli sfiorò le labbra con un bacio e posò il capo contro il suo, i loro sguardi completamente rapiti dalla piccola creatura che avevano desiderato per tanti anni. Il loro desiderio era divenuto realtà, finalmente potevano dire di avere avuto tutto dalla vita. Ora erano una famiglia, nel vero senso della parola. Mamma, papà e figlio.
  
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