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Autore: ary lovelace    03/06/2020    0 recensioni
Piccola e significativa one-shot su Susan Pevensie, che mi è balzata in testa come un'idea folle, ma che poi sono riuscita a mettere nero su bianco.
Susan è rimasta sola, i genitori sono morti, i fratelli anche,ma fortunatamente qualcuno si mostrerà a lei, facendole cambiare idea.
Piccoli accenni Caspian\Susan.
Dal testo:
Lei continuerà a sperare.
A sperare in un'altra possibilità, in un'altra vita.
A sperare che non sia già troppo tardi.
Perchè una vera Regina non abbandona mai il suo popolo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aslan, Susan Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                Susan the Gentle

Sola.
La parola che continua a ripetersi nella sua mente.
Sola.
Un sussurro, pieno di tristezza.
Sola.
Un’esclamazione, piena di frustrazione.
Sola.
Un urlo, pieno di dolore.
Sola.
Come sei rimasta.
-
Susan si fermò con le mani sulla porta della grande e imponente villa, le chiavi ancora in mano, immergendosi ancora una volta nei ricordi.
Forse non si sarebbe dovuta recare subito lì. Forse era stato uno sbaglio. Ma a casa sua ormai c’era troppa malinconia, e le tornavano in mente troppe cose. Aveva avuto bisogno di cambiare aria, ed ora eccola là. Una giovane bellissima quanto triste, davanti alla vecchia casa -di un professore ormai defunto- dove aveva passato gli ultimi tempi della sua infanzia con i suoi fratelli.
Prese un respiro, si fece coraggio e aprì la porta.
Entrò in casa e iniziò a salire su, percorrendo lo stesso percorso di anni e anni prima. Sfiorò con una mano il busto di marmo bianco come aveva fatto in passato, ritraendo la mano e continuando a salire.
Non seppe resistere e entrò nello studio del professore.
Sulla scrivania erano sparsi diversi fogli, c’erano dei raccoglitori aperti e una vecchia pipa vicino ad un portapenne marrone dall’aria antiquata. La sedia dietro era spostata indietro, le due davanti erano al loro posto. I divanetti e il tavolino, più in là, erano freddi e ricoperti da un po’ di polvere. Gli scaffali erano chiusi e anch’essi pieni di polvere.
Susan sospirò e si sedette su un divano, dove era stata tempo prima.
Ricacciò indietro le lacrime e fece vagare lo sguardo per la stanza, così vuota da sembrare gelata.
Gelata. Gelo. Ghiaccio.
Quelle parole le arrivarono davanti agli occhi senza che se ne rendesse conto. Respinse quei pensieri.
Si rialzò e si avvicinò alla finestra. Si poteva vedere il grande prato, e lei riuscì a immaginarsi Edmund, Peter e lei giocare a cricket, e Lucy leggere sotto un albero.
Poi vide la statua del leone.
E sobbalzò.
Aveva sentito un ruggito.
Potente ma allo stesso tempo debole, forte ma silenzioso.
E maledettamente familiare.
Immaginazione, si disse, è solo la tua immaginazione.
Uscì dallo studio. Voleva cercare una camera per dormire, possibilmente senza venire assalita di nuovo dai ricordi.
Notò una porta chiusa, e si chiese cosa ci fosse dietro. Ma la sua attenzione fu rapita completamente da quella accanto.
Come l’ultima volta, non era chiusa a chiave.
Lentamente la aprì, fino a spalancarla.
L’armadio era rimasto lì, nulla era cambiato, se non proprio la stessa Susan.
Lei si avvicinò piano. Accarezzò con la punta delle dita una delle due ante.
-“Lucy, gli unici alberi qui sono quelli usati per fare l’armadio
“Un gioco alla volta Lu, non tutti insieme-
Le lacrime pizzicarono di nuovo gli angoli dei suoi occhi.
Una sfuggì al suo controllo, mentre lei faceva di tutto per fermare le altre.
Aprì l’armadio.
Mise un piede dentro, in mente due parole si alternavano.
Sola.
Folle.
Sola.
Folle.
Si ritrasse.
Era stanca, voleva solo dormire un po’. In quei giorni c’erano state troppe emozioni.
*
Nel sogno, si trovava su una spiaggia.
Sabbia bianca, mare cristallino, la brezza le muoveva i capelli, sciolti e mossi. Aveva una coroncina di fiori bianchi sul capo.
Indossava un semplice ma meraviglioso abito bianco, con diverse balze, ed era scalza.
Si trovava seduta sulla sabbia, ma si alzò in piedi -sorprendentemente pulita- e camminò sulla sabbia, con un’espressione spensierata sul volto.
Poco dopo, un leone sbucò come dal nulla.
Il leone.
Aslan.
Susan lo riconobbe subito.
Ed ebbe paura. Non seppe precisamente di cosa, ma la aveva.
Lui le sorrise -o almeno così le sembrò- per rassicurarla, e si avvicinò.
Camminarono fianco a fianco sulla sabbia, e dopo poco lui ruppe il silenzio che si era creato.
“Susan, bambina mia… Cosa sei diventata?”
Lei abbassò lo sguardo.
“Non sei più Susan la Dolce” continuò. “Non sei più Susan Pevensie. Chi sei?”
Ma la ragazza aveva la risposta sulla punta della lingua, e uscì senza che se ne rendesse conto.
“Sono solo una stupida ragazza impaurita”
Aslan sorrise di nuovo.
“Mia cara, tu hai smesso di credere. Hai smesso di sperare. E ora, senza il Magnifico, il Giusto e la Valorosa, hai quasi smesso di vivere” le disse.
Susan lo guardò. “Mi dispiace tanto…” ed era vero. Le lacrime minacciavano ancora una volta di uscire, ma lei non voleva, non davanti ad Aslan.
“Piangi pure, bambina mia” fece lui. E Susan pianse.
Pianse come mai prima.
Pianse per tutto.
Pianse per Lucy.
Pianse per Edmund.
Pianse per Peter.
Pianse per la mamma e il papà.
Pianse per il professor Kirke, e per Polly Plummer.
Pianse persino per Eustace e Jill Pole.
Pianse per quello che aveva fatto.
Pianse per quella che era stata.
Pianse per quella che era diventata.
Pianse per i suoi errori.
Pianse fino a quando non pensò di aver finito le lacrime.
Aslan era lì, una delle sue zampe poggiata sulla spalla di lei.
Il suo sguardo dorato dava conforto alla povera Susan, che per una volta fu sé stessa, la sé fragile, triste, vulnerabile, sensibile, ma dolce, gentile, socievole, altruista e comprensiva.
Poi Il Leone parlò.
“Susan, non devi avere paura. La paura può farti prigioniera, la speranza ti rende libera*”
Susan tirò su col naso, riflettendo su quelle parole.
“Ora vado. C’è qualcun altro che vuole parlarti. Arrivederci, Regina” le disse Aslan.
“Non sono più una Re…” iniziò Susan, ma Il Leone era già sparito.
Al suo posto Peter, Edmund e Lucy Pevensie avanzavano verso di lei.
I loro occhi avevano una strana luce dentro.
Peter ed Ed avevano i soliti abiti narniani, solo di colore grigio chiaro, scalzi e con i capelli al vento.
Lucy era anche lei scalza, con un gran sorriso in viso, i rossicci capelli sciolti le danzavano sulla schiena, e aveva un vestitino bianco ma più semplice di quello della sorella.
Susan fece per abbracciarli, ma si ritrasse all’ultimo.
“Ciao” provò a sorridere loro.
Sorrisero.
“Susan” fece Lucy. “Spera. Credi. Chi non spera in un’altra vita è morto perfino in questa**”
Susan le sorrise.
“Sue” iniziò Peter. “Ci manchi. Manchi a noi, manchi a Narnia. Narnia ha bisogno della sua Dolce Regina”
Il sorriso della giovane si fece più ampio.
“Susy” la chiamò Edmund, usando il soprannome con cui la chiamava solo lui. “Tu devi sperare. Sì, sperare è rischioso, è addirittura il rischio dei rischi***, ma devi farlo. Per tutti noi”
Susan annuì.
“Mia cara” la chiamò una voce.
Lei si voltò.
“Professore” rispose al saluto, sorridendo al vecchio signore, ricambiata.
“Sono felice che tu sia andata nella mia villa” le disse Digory.
“Anche io” rispose lei. “Lei non ha mai smesso di crederci, vero? Mai. Come ha fatto? Per tutti questi anni lei ha vissuto senza ritornarci, ma continuava a sperare, nonostante tutto” aggiunse.
“Susan, mia cara, non si è mai troppo vecchi per sognare un’altra vita, o per vivere un altro sogno****” rispose lui.
Susan sorrise ancora.
Un altro ragazzo camminava verso di lei, capelli e occhi neri, sorriso in faccia e con gli stessi abiti dei fratelli.
Susan si premette una mano sulla bocca.
Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Il nome venne fuori da solo, dal cassetto più profondo e nascosto del suo cuore, sussurrato in un fil di voce.
“Caspian”
Il ragazzo che aveva sempre amato.
Il ragazzo che aveva provando a dimenticare, fallendo.
Il ragazzo, l’unico ragazzo, che le aveva fatto battere forte il cuore.
Lui sorrise, mentre si avvicinava sempre di più.
“P-perdonami…” mormorò Susan.
L’ex principe scosse la testa.
“Ti ho di-dimenticato…” continuò la ragazza.
Caspian le tese la mano. Dentro c’era un ciondolo di colore blu, a forma di rosa. Lei lo prese con mano tremante.
“Noi siamo con te” le disse piano Caspian, sorridendole.
Susan annuì, fissando il ciondolo, troppo emozionata e commossa per parlare.
Fece in tempo a vedere i suoi fratelli, Caspian e il professore che la salutavano con la mano, sorridenti, e sentì un ruggito che la riportò alla realtà.

Susan si alzò di scatto nel letto, respirando affannosamente.
Chiuse gli occhi.
Il ricordo di Aslan, Caspian e i suoi fratelli era ancora vivido nella sua mente. Così come le frasi che le avevano rivolto.
È stato solo un sogno, si disse.
“Un sogno” mormorò.
Ma se c’era Aslan non poteva essere solo un sogno.
Aprì la mano: non c’era nessun ciondolo.
Allora era stato davvero solo un sogno.
Per un attimo, un solo, stupido attimo, ci aveva creduto.
Si voltò verso il comodino, dove aveva poggiato un bicchiere d’acqua.
E si bloccò.
Era lì.
Il ciondolo.
Era proprio quello che aveva avuto da Caspian in sogno.
Lo prese in mano delicatamente, osservandolo meglio.
C’era una piccola incisione, dietro, che non aveva notato prima.

“Susan the Gentle”

Susan sorrise, e decise in quel momento.
Lei continuerà a sperare.
A sperare in un’altra possibilità, in un’altra vita.
A sperare che non sia già troppo tardi.
Perché una vera Regina non abbandona mai il suo popolo.

-

ANGOLO AUTRICE (l'ho già detto che è un parolone?!)

Ciao a tuttii!!

Questa è una piccola -ma non tanto- one-shot su Susan, spero vi piaccia!

Adesso, le note:

*= dal film "Le ali della libertà"

**= con una piccolissima modifica, cit. Johann Wolfgang von Goethe (scusate se è scritto male XD)

***= modificata e accorciata, cit. Georges Bernanos 

****= modificata, cit. C.S. Lewis

A presto,
>Susan Potter


 
   
 
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